1.4.3 MALATTIE DELL’ORECCHIO INTERNO

1.4.3.1 Ipoacusia neurosensoriale infantile

Le strutture dell’orecchio e le prime vie neurali uditive hanno completato il loro processo maturativo entro la 20a settimana di gestazione. Il feto a termine è già in grado di percepire alcuni suoni come la voce della madre e il battito cardiaco. Dopo la nascita le funzioni uditive sono già ‘pronte all’uso’, e, analogamente a quanto accade per il sistema visivo, richiedono l’esposizione ad adeguati stimoli ambientali per poter evolvere. Infatti, la capacità di detezione di un suono rispetto al silenzio (che in natura corrisponde sempre ad un rumore di fondo più o meno intenso), e quella di discriminare timbri diversi (per esempio il riconoscimento della voce materna rispetto a quella di estranei), rappresentano funzioni innate che possono svilupparsi solo in presenza dello stimolo-target. Dopo la nascita, il sistema uditivo svolge un ruolo importante nello sviluppo della comunicazione verbale, che rappresenta la modalità di interazione interindividuale privilegiata nella nostra specie. Il bambino dimostra di possedere l’abilità di distinguere fra loro suoni linguistici diversi già fin dai 4 mesi di vita e nei mesi successivi, grazie alle nuove esperienze uditive, sviluppa modelli percettivi verbali più complessi e verso gli 8-10 mesi produce i primi tentativi di imitazione vocalica basata sull’ascolto (babbling). La comparsa di questo balbettio rappresenta un importante pre-requisito per l’esordio del linguaggio (12 mesi di età). Quando la funzione uditiva è integra, il bambino fra 8 e 24 mesi acquisisce spontaneamente il linguaggio a contatto con gli adulti, grazie ad un’attività quasi automatica di ascolto-ripetizione dei suoni linguistici che è caratteristica di questo periodo evolutivo e che tende presto ad esaurirsi.

Il feed-back uditivo è il principale, non unico, mezzo attraverso il quale il bambino forma schemi espressivi verbali sempre più complessi, mentre feed-back visivo e quello cinestesico rappresentano aspetti secondari nello sviluppo delle capacità prassiche bucco-fonatorie. I primi tre anni di vita rappresentano il ‘periodo critico’ fisiologicamente favorevole per lo sviluppo delle competenze linguistiche. La plasticità cerebrale che consente questa veloce acquisizione tende poi a ridursi dopo i tre anni di vita e si esaurisce dopo i sei. Per questo motivo è estremamente importante che sia disturbi del linguaggio che le gravi ipoacusie vengano diagnosticate e curate molto precocemente.

Le ipoacusie insorte durante la prima infanzia possono causare gravi alterazioni dello sviluppo del linguaggio, in relazione all’entità della perdita uditiva. Anche lo sviluppo cognitivo e gli apprendimenti scolastici, dipendenti dalle abilità verbali, ne risultano fortemente influenzati. Il caso estremo è rappresentato dall’assenza di sviluppo della verbalità che è tipica delle ipoacusie severe e profonde non trattate. Fra le due condizioni estreme, da un lato semplici dislalie e dall’altro il sordomutismo, sono comprese manifestazioni cliniche che differiscono in rapporto all’epoca di insorgenza e alla durata della sordità, al livello di intelligenza, alla presenza di altri deficit associati, ai fattori ambientali, al livello socio-culturale. Gli effetti della ipoacusia sullo sviluppo del linguaggio sono più severi in rapporto alla durata e alla precocità di insorgenza della ipoacusia.

Il ritardo di linguaggio di tipo audiogeno è reversibile entro certi limiti di tempo. Infatti, se la diagnosi e l’intervento riabilitativo di ipoacusia congenita sono effettuate entro i tre anni di vita, si osserva nella maggior parte dei casi un recupero della disabilità comunicativa, mentre la diagnosi tardiva causa la stabilizzazione del disordine linguistico.

Identificazione precoce delle ipoacusie

Grazie ai più recenti progressi nel campo della tecnologia protesica, le persone ipoacusiche hanno a disposizione efficaci sussidi per l’udito che riportano a un livello di udibilità tutti suoni, anche i più deboli, e che facilitano la comunicazione verbale. L’identificazione precoce del deficit uditivo permette di riattivare nel bambino il processo di maturazione delle abilità linguistiche, prima che si stabilizzino disordini irreversibili. Si è osservato che, anche nei casi di ipoacusia profonda, la diagnosi molto precoce e la corretta protesizzazione acustica permettono uno sviluppo del linguaggio approssimabile a quello dei bambini normoudenti della stessa età. L’istituzione di screening neonatali universali con la registrazione delle Otoemissioni Acustiche (OAE) in molte parti del mondo, ha consentito di anticipare la diagnosi e quindi l’inizio della riabilitazione nelle ipoacusie, tanto da permettere ai bambini sordi uno sviluppo verbale entro i tempi fisiologici. Le metodiche diagnostiche risultano rapide, precise, non invasive, e comprendono la registrazione dei potenziali uditivi troncoencefalici (ABR), la valutazione clinica delle risposte comportamentali. L’attenta osservazione dell’attività spontanea dei bambini, anche di pochi mesi, permette di valutare con una certa attendibilità le risposte comportamentali ai suoni dell’ambiente. In casi eccezionali, ovvero quando i risultati degli esami audiologici appaiono contraddittori, si può ricorrere all’impiego della elettrococleo­grafia (ECochG) in anestesia generale, al fine di esaminare in ‘campo vicino’ l’attività elettrofisiologica della coclea e del nervo VIII, registrando il potenziale d’azione generato da uno stimolo acustico, indipendentemente dalla qualità della conduzione neurale nelle vie afferenti del tronco encefalico.

Gli screening audiologici

Approssimativamente, un bambino su mille nuovi nati in un anno risulta affetto da ipoacusia profonda preverbale, mentre molti di più presentano qualche grado di ipoacusia, e altri ancora sviluppano il difetto uditivo nella prima infanzia.

Negli anni ‘80, in base agli studi epidemiologici condotti su popolazioni infantili esposte a specifiche patologie, è stato introdotto ed applicato nella pratica clinica e il concetto di ‘rischio’ di ipoacusia, riferito ai casi gravi. Si era infatti osservato che il rischio di ipoacusia grave o profonda risultava piuttosto basso nell’ambito della popolazione normale (prevalenza fra 0.5 e 4 °/°° nuovi nati/anno), mentre aumentava di quasi 20 volte nei neonati ricoverati nelle unità di terapia intensiva neonatale (TIN), oppure affetti da malformazioni congenite. La successiva applicazione dei criteri di rischio permise di limitare il depistage delle sordità alle sole categorie considerate a rischio.

Oggi si ritiene valida l’applicazione di un programma di screening universale delle ipoacusie permanenti (UNHSP) che coinvolge tutta la popolazione di nuovi nati. Anche la più recente forte raccomandazione dell’American Academy of Pediatrics (2007) propone come obiettivo primario la detezione delle ipoacusie entro i primi 3 mesi di vita e l’attuazione simultanea di un iter abilitativo protesico e logopedico. Lo screening audiologico di primo livello consiste nella registrazione delle otoemissioni acustiche evocate transitorie (TEOAE) e l’ABR automatico. Le TEOAE, se assenti, contribuiscono a identificare pazienti affetti da difetto uditivo pari o superiore a 45-50 dB HL, mentre non identificano le ipoacusie di origine retrococleare.

L’indagine ABR segue l’esame delle OAE risultate ripetutamente anomale o assenti (fail). Se il neonato per qualche motivo è stato ricoverato in terapia intensiva è bene che sia sottoposto ad un controllo uditivo prima della dimissione. Si può procedere facilmente alla registrazione dei potenziali evocati uditivi del tronco (ABR), approfittando dei frequenti periodi di sonno spontaneo tipici in questa epoca della vita.


La diagnosi audiologica

Le strutture specialistiche provvedono in seguito all’approfondimento audiologico dei casi selezionati dallo screening, determinando con precisione la soglia uditiva e avviando le prime indagini per la ricerca delle possibili cause di sordità.

Nei primi tre mesi di vita l’esecuzione di procedure diagnostiche audiologiche risulta veloce e precisa. Oltre i due anni, l’applicazione di indagini obiettive per il rilevamento della soglia uditiva durante il sonno spontaneo diviene progressivamente più difficoltosa.

La ricerca dei possibili fattori causali implicati nelle ipoacusie rappresenta per il paziente stesso l’opportunità di migliorare l’intervento riabilitativo. Il riconoscimento degli agenti eziologici è anche il primo passo verso un ampliamento della programmazione sanitaria ai fini della prevenzione primaria. L’aumento di prevalenza delle cause di origine ereditaria, riportato nell’ultimo decennio, ha indotto a inserire nel protocollo di ricerca eziologica il counselling genetico, mediante il quale è anche possibile avviare indagini genetico-molecolari per identificare mutazioni genetiche note.


La classificazione

Le ipoacusie possono essere classificate secondo criteri diversi: in relazione alla sede anatomica della lesione responsabile del danno uditivo, all’entità della perdita uditiva, all’età di insorgenza e al suo andamento nel tempo, ai fattori eziologici. Queste suddivisioni schematiche aiutano a definire ‘categorie teoriche’ di pazienti caratterizzati da indici prognostici diversi (v. paragrafo 1.3.1.7). In base alla sede di lesione si distinguono le ipoacusie trasmissive, neurosensoriali, miste, le neuropatie uditive. Nella Tabella I sono indicate differenze qualitative fra questi tipi di ipoacusia che possono incidere sullo sviluppo del linguaggio, purché persistenti nel tempo.


Ipoacusie trasmissive 
Prevalente attenuazione della intensità del suono
Ipoacusie neurosensoriali
Attenuazione e distorsione
Ipoacusie miste
Attenuazione e distorsione
Neuropatia/dissincronia uditiva
Prevalente distorsione della qualità del suono

Tab. I. Caratteristiche alterazioni dell’informazione uditiva.


Classicamente le ipoacusie sono state suddivise in due gruppi, trasmissive e neurosensoriali. Brevemente si ricorda che le prime sono causate da una disfunzione dell’orecchio esterno e/o medio, e sono caratterizzate da una soglia per conduzione ossea normale. Le seconde sono causate da una disfunzione localizzata nell’orecchio interno e/o lungo la via uditiva neurale. Quando queste sono associate ad una ipoacusia tramissiva si realizzano le forme di “ipoacusia mista”. La diagnosi audiologica, nell’ambito delle ipoacusie neurosensoriali distingue quelle da lesione a sede cocleare e quelle da lesione a sede retrococleare. Nel bambino assumono particolare importanza le ipoacusie “centrali”: questi casi non comportano necessariamente un evidente innalzamento della soglia uditiva e danno luogo ad alterazioni delle abilità uditive complesse (processamento uditivo).

Benché questa classificazione sia la più utilizzata nella pratica clinica, essa non tiene in considerazione le difficoltà individuali causate dal grado di gravità dell’ipoacusia, in termini di sviluppo del linguaggio, di capacità di comunicazione, di relazioni sociali e di qualità della vita. Questi aspetti sono rilevanti quando devono essere programmati interventi preventivi e riabilitativi. In questa prospettiva sono state sviluppate classificazioni delle ipoacusie che, in base a criteri funzionali, tengono conto della soglia uditiva dell’orecchio migliore come media per le frequenze centrali da 0.5 a 4 kHz, ritenute essenziali per la percezione dei segnali verbali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) fissa ad oltre 41 dB HL per gli adulti e ad oltre 31 dB HL per i bambini le perdite uditive da considerare come cause di disabilità. La Tabella II riporta le classificazioni proposte da 3 organismi internazionali, in base all’entità della perdita uditiva.

In ambito riabilitativo oltre alle suddivisioni quantitative, che esprimono il grado di gravità dell’ipoacusia, vengono adottate classificazioni cliniche che considerano l’età di insorgenza dell’ipoacusia (prenatale, perinatale, postnatale), l’insorgenza in relazione allo sviluppo del linguaggio (pre- peri- post-verbale), la durata della deprivazione uditiva (ipoacusia permanente, transitoria), l’andamento temporale (stazionaria, progressiva). La differente combinazione di queste caratteristiche giustifica in parte la vasta eterogeneità di quadri clinici e di differenti gradi di disabilità uditiva anche a parità di perdita uditiva.

Le ipoacusie infantili permanenti si possono suddividere secondo il momento eziologico ed il tempo di comparsa. Le forme congenite sono già presenti alla nascita e sono causate da fattori esogeni, oppure da fattori endogeni-genetici; le forme acquisite insorgono dopo la nascita e sono causate da fattori esogeni e in misura minore da fattori genetici (sordità progressive ad esordio ritardato). Le alterazioni genetiche associate all’ipoacusia possono dar luogo a espressioni fenotipiche che coinvolgono diversi organi ed apparati, configurando quadri sindromici riconoscibili. Si possono così definire due grandi gruppi: forme sindromiche e forme isolate non sindromiche. Molte sindromi sono causate da difetti su singoli geni e possono essere ereditarie; altre forme (ad esempio, s. di Goldenhar, s. di Turner, la trisomia 21) non sono ereditarie.


Perdita uditiva
ANSI
OMS
EU
Lieve
15-30 dB
26-40 dB
20-40 dB
Moderata
31-60 dB
41-60 dB
40-70 dB
Severa/grave
61-89 dB
61-80 dB
71-94
Profonda
> 90 dB
>81 dB
≥ 95 dB

Tab. II. Classificazioni proposte da 3 organismi internazionali, in base all’entità della perdita uditiva.


Congenite e

prenatali

Non-genetiche

Infezioni (toxoplasmosi, citomegalovirus, rosolia, HIV, HSV)

Farmaci ototossici, teratogenici

Disordini metabolici, endocrini

Genetiche

Sindromiche

Non sindromiche

Acquisite

Perinatali

Ipossia

Iperbilirubinemia

Infezioni

Prematurità, basso peso

Postnatali

Meningiti

Complicazioni otite media

Infezioni virali (parotite, morbillo, CMV)

Rumore

Traumi cranici, frattura rocca petrosa

Genetiche a esordio tardivo

Ereditaria progressiva

Tab. III. Classificazione delle ipoacusie in base all’epoca di insorgenza.


APPROFONDIMENTO


Le ipoacusie profonde

Definizione. Per ipoacusia profonda si intende una condizione di ipoacusia neurosensoriale pari o superiore a 90 dB in entrambe le orecchie, come media dei valori di soglia per toni puri a 500, 1000, 2000 e 4000 Hz, in riferimento alle norme dell’American National Standards Institute (ANSI, 1989).

In passato le ipoacusie profonde erano considerate come sinonimo di “sordità totale”, non recuperabile con sussidi protesici. Grazie ai recenti progressi tecnologici nelle protesi convenzionali, impiantabili e all’impianto cocleare, anche le persone più sorde possono giovare di un’adeguata stimolazione acustica che mantiene inalterate le caratteristiche acustiche del suono, soprattutto del parlato. L’impatto delle nuove protesi sulle possibilità terapeutiche in campo di ipoacusia infantile è stato notevole e i due termini ‘ipoacusia profonda’ e ‘sordità totale‘ non sono più da considerare sinonimi. Se la diagnosi avviene entro le epoche ‘critiche’ per lo sviluppo del linguaggio e la protesizzazione è corretta, tutti i bambini sordi profondi hanno l’opportunità di sviluppare abilità percettive e linguaggio espressivo paragonabili a quelle dei bambini di pari età normoudenti.

Per stabilire quando è necessario un impianto cocleare non è sufficiente basarsi solo su un criterio di gravità di ipoacusia, ma anche su altri aspetti, indirettamente correlati all’udito, che hanno ruolo importante nelle abilità comunicative, quali il quoziente intellettivo, il livello di competenza linguistica e le identità culturali. Questo capitolo rappresenta una revisione delle caratteristiche uditive e non uditive della popolazione di sordi e mostra come tali caratteristiche siano fondamentali nella programmazione terapeutica individuale.


Caratteristiche uditive dell’ipoacusia profonda

Capacità uditive dei sordi profondi

Le persone affette da ipoacusia profonda differiscono in termini di capacità uditive che vengono definite come le capacità di detezione e di discriminazione di patterns di suoni verbali. Le capacità uditive hanno tre componenti basilari: a) il livello di soglia uditiva, b) il range dinamico e c) la risoluzione (v. Fig. 1).

a) Nell’ipoacusia profonda la soglia varia da un minimo di 90 dB (per definizione) fino a un massimo di 120 dB e oltre. Le persone con perdita intorno ai 120 dB sono probabilmente sorde totalmente e rispondono al suono solo con il senso del tatto (Boothroyd). Sebbene usiamo comunemente una media di 4 frequenze per esprimere la perdita uditiva, è importante ricordare che la perdita uditiva è differente nelle diverse frequenze e che la funzionalità residua per frequenza influenza le capacità uditive.

L’entità del danno uditivo così espressa è molto importante. Innanzitutto essa fornisce un indice generale dell’esistenza e della sopravvivenza delle strutture dell’orecchio interno, ed è quindi predittiva di altri aspetti della capacità uditiva. In secondo luogo, essa rappresenta la base sulla quale si regola il guadagno protesico che una persona deve ricevere perché possa udire (detezione) e distinguere fra loro (discriminazione) i suoni verbali.


Fig. 1. Range dinamico nelle sordità profonde (v. testo).


b) Il range dinamico è qui definito come la differenza in dB fra la soglia di udibilità e quella di disconforto. Il normoudente ha un range dinamico di circa 90 dB. Nel sordo profondo tale range è raramente superiore a 30 dB, e a volte è di pochi dB. Inoltre, a differenza della soglia uditiva, il range dinamico è influenzato dall’esperienza. Un orecchio che ha avuto un lungo periodo di esposizione ad amplificazione tende ad avere una soglia di discomforto più alta rispetto ad un orecchio mai protesizzato. L’importanza del range dinamico risiede nella sua influenza determinante per la prescrizione e l’adattamento protesico. È infatti opportuno prendere particolari misure per mantenere l’udibilità dei suoni deboli del linguaggio in ambienti tranquilli, evitando il disconforto per suoni più forti. Il range dinamico rappresenta un effettivo limite che mantenga il comfort nell’ascolto nelle persone ipoacusiche.

c) La risoluzione uditiva è definita come l’abilità delle strutture dell’orecchio interno e dei sistemi neurali afferenti ad esse connessi, a generare patterns elettrici che corrispondono alle caratteristiche spettrali e temporali di quelli acustici dell’onda sonora in ingresso. I sordi profondi hanno scarsa risoluzione, ovvero il loro sistema afferente è in grado di trasmettere informazioni acustiche impoverite e distorte rispetto a quelle in ingresso. D’altra parte il cervello umano è spesso in grado di ‘riempire i vuoti’ d’informazione, ricostituendo il segnale uditivo fedelmente rispetto a quello in origine. Il sottile equilibrio fra impoverimento dell’informazione, da una parte, e capacità di recupero, dall’altra, determina differenti capacità percettive fra le persone sorde, a parità di gravità di sordità. Nei casi migliori, i sordi profondi hanno la risoluzione sufficiente per percepire le caratteristiche soprasegmentarie prosodiche del parlato (ritmo e intonazione) e le caratteristiche segmentarie o tratti distintivi di quasi tutte le vocali e di alcune consonanti. I pazienti con queste caratteristiche possono trarre beneficio dalla protesizzazione convenzionale, aiutandosi un po’ con la labiolettura, poiché posseggono l’abilità uditiva di discriminare le parti più sonore e ridondanti del parlato. Nelle condizioni peggiori, i sordi profondi possono percepire solo patterns grossolani di variazioni di intensità nel tempo (caratteristiche temporali). La loro voce appare profondamente alterata in tutti i parametri,altezza intensità e timbro, e l’eloquio in genere risulta poco intelligibile, con conseguenti gravi limitazioni della comunicazione e delle relazioni nella vita quotidiana.

L’importanza della risoluzione uditiva sta nel suo effetto sulla percezione del linguaggio al di là della amplificazione e dell’adeguamento del range dinamico. Inoltre la risoluzione ha un effetto diretto nell’abilità di percezione in condizioni di rumore di mascheramento. Peggiore è la risoluzione e minore è la probabilità di mantenere la performance percettiva in ambienti rumorosi.


Labiolettura come fonte di ulteriori informazioni

Nella comunicazione vis-a-vis il sordo profondo può avvalersi di un input supplementare con la labiolettura, definita come la percezione del linguaggio attraverso la sola lettura dei movimenti delle labbra come ulteriore input sensoriale. Il problema della labiolettura è che molti movimenti essenziali della verbalità sono nascosti. La percezione dei movimenti visibili permette di distinguere le vocali e alcune consonanti che differiscono per luogo di articolazione (per es. /p/ - /t/), mentre non permette di distinguere le consonanti in base alla sonorità (/p/ - /b/) e al modo di articolazione (/p/ - /m/). Le capacità di labiolettura variano notevolmente da individuo ad individuo.


Categorie di pazienti caratterizzati in base alla capacità uditiva nelle ipoacusie profonde

In termini di capacità uditive, i sordi profondi possono essere teoricamente suddivisi in quattro gruppi (v. Fig. 2).

1) I pazienti con consistenti capacità uditive in genere hanno una soglia a 90 dB e un range dinamico di 30 dB. Possono raggiungere una quasi completa udibilità dei suoni del parlato con le protesi acustiche. Hanno in genere una risoluzione sufficiente per percepire caratteristiche di ritmo e di intonazione del parlato, la maggior parte dei tratti distintivi delle vocali e alcune consonanti. Le maggiori difficoltà sono rappresentate dal luogo di articolazione (p/t). Le persone con buona labiolettura, in contesto conversazionale semplice e vis-a-vis presentano riconoscimento quasi completo di tutte le parole.

2) Le ipoacusie profonde con capacità uditive modeste hanno la soglia in genere a 100 dB e un range dinamico di 20 dB. Con le protesi acustiche percepiscono il ritmo e quasi tutte le componenti di intonazione, alcuni tratti distintivi di vocali e consonanti. Con la labiolettura migliorano la performance di riconoscimento, senza raggiungere un compenso completo.


Fig. 2. suddivisone dei sordi profondi in rapporto alle capacità uditive.


3) Le ipoacusie profonde con minime capacità uditive tipicamente hanno una perdita uditiva intorno ai 110 dB e un range dinamico di 10 dB. Possono percepire alcuni patterns prosodici o melodici, scarsa o nulla distinzione dei fonemi vocalici o consonantici. Non hanno performance di riconoscimento neanche in ambito conversazionale. La labiolettura può portare qualche miglioramento.

4) Le ipoacusie profonde prive di residue capacità uditive sono situate intorno ai 120 dB senza range dinamico. Sono possibili solo performance di detezione dei suoni più forti del parlato con le protesi. Alcuni sono probabilmente sordi cofotici e percepiscono sensazioni tattili, attraverso le quali possono distinguere qualche patterns prosodico. La labiolettura porta la maggior parte dell’informazione linguistica possibile.


Caratteristiche extra-uditive delle ipoacusie profonde

Le caratteristiche extra-uditive delle ipoacusie profonde sono molteplici e di natura prevalentemente clinica, demografica e socio-culturale. I fattori più rilevanti sono: a) età di esordio della ipoacusia, b) età cronologica, c) durata dell’ipoacusia, d) le scelte riabilitative, e) l’identità culturale (Boothroyd, 1993; Pisoni 2000).

a) Età di esordio dell’ipoacusia (v. Fig. 3).

L’età di esordio dell’ipoacusia profonda ha molta rilevanza sul successivo sviluppo o stabilizzazione delle abilità verbali, con riferimento non tanto all’età anagrafica del soggetto, quanto piuttosto all’età evolutiva.

In questo ambito lo sviluppo viene considerato sotto quattro aspetti: udito, articolazione, linguaggio verbale, stato cognitivo.

Lo sviluppo uditivo implica l’acquisizione delle relazioni fra patterns sonori e la natura e la localizzazione degli oggetti o degli eventi che li generano.

Lo sviluppo articolatorio si basa sull’acquisizione delle relazioni fra patterns verbali-acustici e movimenti che li generano.

Lo sviluppo del linguaggio ha alcune componenti:

– fonologica, apprendimento dei suoni del linguaggio parlato e di come questi suoni sono modificati e combinati fra loro per costistuire le parole e le frasi

– lessicale, apprendimento delle parole, del loro significato

– sintattica, apprendimento di come le parole vengono selezionate, combinate e modificate per comporre frasi con un senso

– pragmatica, come usare il linguaggio parlato per esprime messaggi e soddisfare l’intenzione comunicativa.

Lo sviluppo cognitivo: acquisire la conoscenza degli oggetti e degli eventi del mondo fisico, le loro caratteristiche e le loro relazioni, le proprietà della dimensione spaziale e temporale in cui questi esistono e le leggi fisiche che li governano.

Solitamente noi suddividiamo le età di esordio in pre- e post-verbali, intorno al 3°-4° anno di vita. Le ipoacusie profonde acquisite prima della stabilizzazione delle competenze linguistiche basali hanno conseguenze molto più severe e a lungo termine di quelle acquisite dopo il completamento dello sviluppo del linguaggio. Tuttavia, all’interno delle due categorie vengono identificate importanti differenze qualitative:

Postlinguali

– Adulti (18aa): l’adulto divenuto sordo può avvalersi di tutte le acquisizioni fino ad allora raggiunte, normale sviluppo del linguaggio, socializzazione, professionalità, capacità di letto-scrittura, per compensare il suo stato.


Fig. 3. sviluppo o stabilizzazione delle abilità verbali.


– Seconda infanzia e adolescenza (7-18 aa): seri problemi poiché sia il vocabolario che la conoscenza del mondo sono incompleti; lo stato emozionale di queste età è ancora instabile.

– Prima infanzia (3-7aa): il linguaggio appena acquisito non è consolidato, rischia di deteriorarsi; gli apprendimenti scolastici risentono notevolmente della carenza di informazione prodotta attraverso il canale uditivo-verbale, con conseguente disturbo anche dei processi cognitivi.

Prelinguali

– Tardivi (1-3aa): lo sviluppo uditivo, linguistico e comunicativo già iniziato facilita il successivo apprendimento, compreso l’adattamento alla protesi acustica o all’impianto cocleare.

– Congeniti e precoci (fino a 1 anno): in questi casi l’esperienza acustica è minima o nulla e non dà il via allo sviluppo fonologico, anche se si evidenziano alcune differenze, sembra che una stimolazione precoce comunque lasci una traccia favorendo lo sviluppo fonologico successivo all’intervento riabilitativo.

b) Età cronologica.

L’età cronologica del paziente determina le sue individuali necessità in termini di assistenza sensoriale e di intervento riabilitativo.

Nei bambini più grandi le esigenze riguardano la sfera sociale ed educativo-scolastica. In quelli più piccoli, in età scolare, le maggiori esigenze sono relative all’acquisizione della letto-scrittura.

Per i bambini in età pre-scolare è cruciale l’esigenza di apprendere una forma di comunicazione verbale o alternativa alla verbalità.

L’adulto sordo profondo che riceve un’assistenza sensoriale necessita di riabilitazione per adattarsi alla protesi o impianto e per aumentarne l’efficacia.

Il bambino sordo profondo che si trova in fase evolutiva necessita dell’assistenza sensoriale per favorire l’apprendimento e raggiungere gli obiettivi.

Quindi mentre per l’adulto la protesi è l’elemento primario e la riabilitazione consiste in un training di supporto, nel bambino l’obiettivo primario è l’apprendimento e l’assistenza sensoriale serve da supporto a questo. Occorre mantenere ben presente la sottile differenza fra i due casi.

c) Durata della ipoacusia.

Ovvero la differenza fra l’età cronologica e l’età d’esordio della malattia. In genere, una breve durata corrisponde a maggiori potenzialità di adattamento all’assistenza sensoriale. Un’ipoacusia di vecchia data si associa a due problemi: a) perdita delle competenze e delle conoscenze che si tsvano consolidando al momento del danno sensoriale, b) lo sviluppo di comportamenti che possono contrastare l’adattamento alla protesi.

Il problema della durata è cruciale soprattutto nei casi ad esordio pre-linguale. Se questi sono stati inseriti in un ambito educativo che ha promosso lo sviluppo di competenze linguistichee l’uso della protesi acustica, l’adattamento all’impianto cocleare avrà maggiori probabilità di successo, anche parecchi anni dopo l’esordio della sordità.

d) Ambito educativo.

Le scelte educative si riflettono pesantemente sulla evoluzione di un bambino sordo profondo. Le teorie al riguardo sono ancora molteplici e alcune contrastanti:

– Approccio oralista: l’obiettivo primario è lo sviluppo di competenze linguistiche verbali nonostante la sordità profonda, utilizzando un input sensoriale misto (labiolettura e protesizzazione acustica).

– Approccio uditivo-verbale: è una versione estrema dell’approccio oralista che punta ad una conversione completa delle capacità acustiche in performance acustiche, con scarso utilizzo di canali sensoriali alternativi. Se le capacità uditive sono consistenti si ottiene una produzione linguistica discreta.

– Cued speech: nell’approccio oralista il cued speech è utile nel dirimere le ambiguità segmentali che derivano dalla labiolettura.

– Total communication e Metodo bimodale: linguaggio verbale e gestuale in combinazione.

– Lingua dei segni in varie forme.

– Inserimento in scuole speciali.

– Inserimento nella scuola normale con insegnante di sostegno.

– Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA): comunicazione mista verbale e gestuale integrata da comunicazione non verbale con l’utilizzo di immagini e/o codici simbolici, in caso di ipoacusie complicate dalla presenza di disabilità associate.

e) Identità culturale.

Esiste una solida cultura della sordità, con il suo peculiare linguaggio, storia, etica, organizzazione sociale. Il bambino ipoacusico, nato da genitori sordi, entra fin dall’infanzia in questa cultura. I membri di questo ambito culturale non percepiscono la necessità di acquisire capacità uditive.


Tipologia dei pazienti affetti da ipoacusia profonda

Sulla base delle variabili non uditive sopra elencate la popolazione di bambini ipoacusici può essere suddivisa in differenti categorie qualitativecaratterizzate da prospettive evolutive e prognostiche differenti.

1) Bambini affetti da ipoacusia profonda di recente insorgenza: questi bambini hanno sviluppato il linguaggio in modo fisiologico fino al momento dell’insorgenza dell’ipoacusia. In questi casi è di grande importanza la conservazione delle capacità linguistiche e la necessità di proseguire l’acquisizione del linguaggio nonostante l’ipoacusia. Come nel caso degli adulti con sordità acquisita, questi bambini hanno grande necessità di migliorare l’input sensoriale e quindi hanno ottime probabilità di beneficiare di un impianto cocleare.

2) Bambini con sordità di lunga durata, insorta in epoca post-linguale: sono capaci di mantenere a lungo le capacità acquisite per molti anni. Molto dipende dall’iter riabilitativo seguito in tale periodo. Esistono buone probabilità di successo con l’impianto cocleare se in questi casi il linguaggio verbale ha continuato a rappresentare la modalità comunicativa dominante.

3) Bambini con sordità di lunga durata, insorta in epoca pre-linguale: se hanno seguito un iter riabilitativo oralista con sviluppo di buone competenze linguistiche, possono beneficiare di un miglioramento dell’input sensoriale; la valutazione alla candidatura in questi casi deve essere accurata e complessa e le probabilità di successo dipendono grandemente delle variabilità individuali.

4) Bambini in età prelinguale: in questi casi lo sviluppo del linguaggio verbale non è ancora iniziato, ma il miglioramento dell’input sensoriale rappresenta una priorità assoluta. Le probabilità di successo di un impianto cocleare sono alte. La decisione per l’impianto deve derivare da un’accurata valutazione delle performance uditive precoci con le protesi acustiche e una determinazione obiettiva della soglia uditiva.

1.4.3.1.1 Ipoacusia neurosensoriale prelinguale

Definizione

Le ipoacusie prelinguali sono quelle che compaiono prima dell’esordio linguistico del bambino (10-14 mesi) e convenzionalmente sono definite come ipoacusie che insorgono nel primo anno di vita. In ogni caso è una definizione funzionale e non cronologica, poiché rispecchia lo stato evolutivo di ciascun individuo rispetto alle fasi di acquisizione della verbalità ed esprime un giudizio prognosticamente sfavorevole. È noto come lo sviluppo del linguaggio nel bambino sia fortemente dipendente dall’integrità del feed-back uditivo. Le ipoacusie insorte precocemente infatti rappresentano una causa piuttosto frequente di assenza o ritardo di sviluppo del linguaggio. Vengono distinte in prenatali, perinatali e postnatali. La causa dell’ipoacusia può essere endogena (ereditaria/genetica) o esogena. In base all’epoca di insorgenza si parlerà di forme congenite (presenti alla nascita) e acquisite (insorte in epoca post-natale).L’ipoacusia può essere isolata o associata ad altri disordini sensoriali neurologici o psicologici, concomitanti con il danno uditivo oppure generati dalla medesima causa. Le differenti associazioni di patologie e deficit configurano quadri clinici di multihandicap, nei quali spesso la patologia maggiore non è rappresentata dall’ipoacusia, ma da deficit intellettivo, disturbi dello spettro autistico, ecc. Le ipoacusie possono essere monolaterali o bilaterali. Le prime forme hanno un impatto minore sullo sviluppo del linguaggio del bambino. Dal punto di vista eziologico, è più semplice la suddivisione in prenatali e perinatali e postnatali. Il termine prenatale si riferisce a eventi dannosi per l’udito che si verificano durante la vita endouterina fino al parto. Il termine perinatale fa riferimento all’esposizione a fattori di rischio che sono peculiari del momento del parto e dei 15-30 giorni successivi alla nascita. Le ipoacusie postnatali sono per lo più acquisite oltre questa epoca, ad eccezione delle ipoacusie congenite a esordio tardivo.


Eziologia delle ipoacusie prenatali

I termini prenatale e congenito tendono quindi a coincidere indicando una condizione patologica che ha provocato un danno uditivo prima della nascita. A volte però il rapporto di causa ed effetto non è stretto, come avviene per esempio nell’infezione congenita da Citomegalovirus che provoca l’ipoacusia a esordio tardivo fino ai sei anni di vita, o nei casi di ipoacusia progressiva della prima infanzia o dell’età adulta, che è geneticamente determinata.

Le cause più frequenti di ipoacusia prenatale sono:

– genetiche (ereditarie e non) (v. cap. 1.4.3.1.3);

– infettive (rosolia, CMV, herpes virus, toxoplasmosi, sifilide…);

– tossiche (farmaci ototossici, radiazioni);

– ipossiche (altitudine, anestesia generale, emorragie gravi materne, disturbi cardiocircolatori materni...);

– incompatibilità RH;

– dismetaboliche (alcolismo materno, diabete…);

– traumatiche.


Vedremo di seguito le cause più frequenti di ipoacusia prenatale di tipo esogeno; per quanto riguarda le cause genetiche, vedi il cap. 1.4.3.1.4.


1. Infettive

Rosolia

Il Virus responsabile della rosolia appartiene al gruppo STORCH; l’infezione può trasmettersi al feto durante la fase viremica per via trasplacentare; essa può verificarsi in diversi periodi della gravidanza e la gravità delle conseguenze che la stessa avrà sul feto dipendono proprio da questo. Il difetto isolato più comune in corso di infezione da rosolia è la sordità congenita; nel 1995 costituiva il 6.8% delle cause prenatali e tale rischio si è ridotto con la prevenzione data dalla vaccinoterapia. La sordità neurosensoriale può essere considerata una manifestazione permanente dovuta ad esiti cicatriziali di infiammazione e necrosi tissutali, ma può essere una manifestazione tardiva causata dalla prolungata replicazione virale nell’organo bersaglio. Il rischio malformativo è massimo entro 7-10 settimane di gravidanza; ma una sordità isolata può essere riscontrata anche per infezioni alla 12-13 settimana. La sordità è spesso severa, asimmetrica con curva piatta e progressiva per alterazioni del canale cocleare e del sacculo. Molte anomalie non appaiono al momento della nascita. In relazione all’epoca di gravidanza ritroviamo un rischio di malformazione:

1 mese = 80%

2 mese = 60%

3 mese = 20%

4 mese = 10%

5-9 mese = 1%.


APPROFONDIMENTO


L’agente eziologico è un virus ad RNA del genere “Rubivirus” appartenente alla famiglia dei “Togaviridae”. La patologia, frequente nell’età scolare, ha un periodo di incubazione di 14-21 giorni più spesso 16-18 giorni e può presentare due forme cliniche:

– una tipica (50% dei casi) caratterizzata da esantema micropapuloso non confluente a rapidissima evoluzione cranio-caudale, da febbre moderata (anche se talvolta anche fino a 39° - 39.5° o più), flogosi e tumefazione dei linfonodi nucali e laterocervicali ed artralgie di breve durata solo negli adulti; in questa forma clinica, la linfoadenite, che può durare fino al 30° giorno, precede sempre la febbre e l’esantema di 3-4 giorni e questi ultimi non durano per più di 2-5 giorni. La viremia compare dopo circa sei giorni dal contagio per scomparire prima che si palesi l’esantema, il virus infatti viene eliminato attraverso il naso-faringe fino a 14 giorni dalla comparsa dell’esantema.

– la seconda forma clinica è nel 25% dei casi anesantematica con linfoadenite e febbre che però non sempre è presente e nell’altro 25% asintomatica.

La rosolia congenita è tipicamente derivante da una infezione materna primaria. Nonostante la diffusa campagna di vaccinazione, la rosolia si verifica ancora, primariamente nei soggetti di età > 15 anni e studi recenti mostrano che il 10-20% degli individui dopo la pubertà è privo di anticorpi anti-rosolia. La protezione in questo gruppo deve essere ottenuta prima che la rosolia congenita possa essere eliminata. Si crede che il virus della rosolia invada le vie respiratorie superiori, con conseguente viremia e diffusione in differenti siti, compresa la placenta.

Fino alla 4° settimana non c’è ancora placenta quindi il passaggio del virus all’embrione è abbastanza difficile ma se ciò si verifica probabilmente si andrà incontro all’aborto. Alla 4°-5° settimana si sono formati i vasi sanguigni per cui il contagio comincia a divenire più probabile, se esso si verifica si può avere aborto o gravi displasie: ciclopia, acardia, anencefalia. Dalla 5° alla 16° settimana le cellule si trovano in uno stato di attiva replicazione e quindi recettive per la replicazione virale, in questo stadio si verificano: inibizione o rallentamento della mitosi e necrosi cellulare, tutto ciò causerà gravi embriopatie malformative che vengono raggruppate sotto il nome di Triade di Gregg: cataratta, malformazioni cardiache e sordità per malformazione dell’organo del Corti. Dalla 17° settimana si ha infezione senza malformazioni. Si possono avere: Rubeola espansa: poliviscerite con epatosplenomegalia, trombocitopenia, polmonite interstiziale, flogosi diffusa. Rubeola in utero: neonato sano ma con le IgM. Rubeola con interessamento di un solo organo. Si può verificare che il feto non riesca ad eliminare il virus contratto durante il periodo embrionale. In questo caso il neonato presenterà oltre alle malformazioni anche i segni dell’infezione fetale (epatosplenomegalia, ittero, IgM e IgG, piastrinopenia), inoltre continuerà ad eliminare il virus con le urine per ancora 18 mesi. La diagnosi è principalmente clinica. Tuttavia la diagnosi per la rosolia può venir effettuata ricercando anticorpi specifici del virus nel siero. La diagnosi differenziale rispetto al morbillo si effettua osservando anche l’eruzione più lieve e leggera e per l’assenza di macchie di Koplik, rinite, fotofobia o tosse. Inoltre la rosolia si distingue per il decorso più breve e con durata e rischio di complicazioni minori. Vista la scarsa pericolosità della malattia solitamente non si intraprende nessuna terapia, la diffusione è addirittura favorita; tuttavia è importante il vaccino per tutte le donne che superano la pubertà (circa il 15% in Italia) senza aver contratto la malattia. Con l’introduzione del vaccino l’incidenza è scesa del 99% in buona parte del nostro paese.


CMV (herpes virus)

È la più frequente delle cause infettive di sordità pre- e perinatali (le infezioni post-natali non provocano sordità); il rischio di sordità è pari al 5%; nel 2.5% l’ipoacusia viene rilevata alla nascita. Sembra che tale rischio aumenti fino al 65% dei casi di bambini affetti da infezione da CMV (CID o malattia da inclusioni citomegaliche) cosiddetta ‘sintomatica’, caratterizzata da lesioni multiorgano con quadro clinico complessivamente grave.

La trasmissione nei neonati può essere transplacentare, ematogena o attraverso le membrane, può inoltre verificarsi durante il parto o mediante il latte materno. L’infezione materna può essere sia primaria che ricorrente ed il virus riattivato può danneggiare comunque il prodotto di concepimento.

Alla prima infezione il rischio di contaminazione è circa del 40%, di cui il 10% è destinato a sviluppare gravi lesioni permanenti. Nelle recidive il rischio di fetopatia è dell’1%.


Fig. 1. Immagine di RM cerebrale in paziente affetto da infezione da CMV.


Si tratta di una infezione molto frequente (0.4-2.5% neonati è infetto alla nascita), di questi il 10% presenta segni sistemici di infezione; la mortalità per i neonati infetti con malattia in atto è tra il 20 e 30%; i restanti soggetti manifestano ritardo mentale (60%) e deficit staturo-ponderale (40%).

La sindrome da CMV si manifesta con epatite e conseguente cirrosi (80%), anemia eritroblastica (40%), alterazioni neurologiche (Fig. 1) (microcefalia 60%, idrocefalo 10%, calcificazioni endocraniche 40%, corioretinite 22%, sordità 30%).

La sordità può essere: monolaterale o bilaterale (asimmetrica o simmetrica), progressiva o a comparsa dopo il primo anno di vita, di grado medio, severo o profondo. Nella maggior parte dei casi è bilaterale e grave con accentuazione sulle alte frequenze. Al momento non esistono indicatori predittivi di sviluppo dell’ipoacusia e il bambino va seguito comunque fino ai 6 anni. Possono essere interessate le cellule sensoriali e le fibre nervose. La diagnosi accurata può essere fatta usando l’indice di avidità dell’anti-CMV IgG e test virologici nel liquido amniotico. La sindrome congenita può essere prevenuta utilizzando le immunoglobuline in gravidanza. Il trattamento intravenoso con ganciclovir previene l’ipoacusia ed il coinvolgimento del SNC.

La diagnosi prevede l’isolamento del virus, la ricerca degli anticorpi anti CMV. Ad oggi non vi è un vaccino affidabile.


APPROFONDIMENTO


L’infezione congenita da CMV ha frequenza dal 0.1% al 2%, di tutti i nati, è la prima causa di sordità neurosensoriale non su base genetica. Il 14% delle infezioni sono diagnosticate alla nascita mentre il restante 86% sono asintomatiche.

L’infezione primaria viene contratta durante l’infanzia e l’adolescenza, ma anche in età adulta. Sono sede di infezione primaria multipla le cellule epiteliali, le mucose, i linfonodi. Permane in forma latente per tutta la vita nel sangue periferico, nell’epitelio dei tubuli renali e nell’epitelio delle ghiandole salivari. L’infezione è spesso asintomatica (sia primaria che ricorrente), o con sintomi modesti: febbre persistente, mialgia, adenomegalia, linfoadenopatia (prima simil mononucleosica). Si riscontrano invece forme gravi negli immunocompromessi (come gli affetti da AIDS e i soggetti trapiantati in terapia immunosoppressiva) con coinvolgimento di vari organi: polmoniti, epatiti, coliti, esofagiti, nefriti. Nei malati di AIDS ha una localizzazione oculare (retinite da CMV). Per coloro che subiscono un trapianto può causare polmonite interstiziale. La trasmissione avviene tramite secrezioni contaminate, trapianti di tessuti infetti, sangue, rapporti sessuali. Durante la gravidanza, soprattutto nel primo trimestre di gestazione, l’infezione primaria può causare aborto o gravi danni al feto. La diagnosi solitamente si effettua l’isolamento del virus in colture di fibroblasti umani da vari materiali biologici (urine, saliva, sangue, broncolavaggio). Quindi si procede all’identificazione di antigeni precoci con immunofluorescenza. In seguito si fa una diagnosi sierologica (IgG, IgM). La colorazione di Giemsa in uno striscio di sangue può mettere in evidenza linfociti T con corpi inclusi ad occhio di gufo. Si può utilizzare la PCR, dotata di maggiore sensibilità e specificità. Nei campioni bioptici isolati dall’esofago, dalle ulcerazioni del cavo orale o dalle lesioni disseminate si può evidenziare la presenza di CMV mediante sonde specifiche a DNA. Le cure prevedono farmaci quali ganciclovir, valganciclovir e foscarnet (inibitori della sintesi di DNA virale da qualche tempo in via sperimentale apparentemente con buoni risultati).


Toxoplasmosi

Dal punto di vista clinico esistono due forme:

– Acquisita (asintomatica nel 90% dei casi)

– Congenita (passaggio del parassita dalla madre al feto attraverso la placenta durante la prima infezione materna).


Fig. 2. Schema della diffusione del toxoplasma.


L’infezione al primo trimestre nel 60% presenta nessun segno anche nel tempo; nel 30% si manifesta una toxoplasmosi conclamata (sordità, splenomegalia, polmonite, corioretinite, calcificazioni intracraniche e idrocefalo) e nel 10% neonato è asintomatico con comparsa dopo mesi o anni della sintomatologia completa.

La sordità può essere sia congenita sia post-natale; il 14-26% dei neonati affetti, svilupperà una ipoacusia uni- o bilaterale, spesso progressiva. L’ipoacusia ha come substrato la presenza di lesioni dell’organo del Corti, del nervo cocleare e dei centri superiori o da eventuali encefalopatie diffuse e meningoencefaliti. Si tratta di una infezione abbastanza frequente, in quanto interessa 1/3000 gravidanze ed il 40% di esse presenta neonati con infezione congenita. La percentuale di trasmissione è più alta più avanzata è la gravidanza. Poiché non siamo in grado di differenziare tra casi congeniti e acquisiti è raccomandata la prevenzione della toxoplasmosi congenita con il trattamento dell’infezione da toxoplasma nelle donne incinte e il trattamento dellinfezione acquisita da toxoplasma dopo la nascita per minimizzare il rischio di SNHL nei bambini. La diagnosi è sierologica ed al momento non esistono vaccini efficaci.


APPROFONDIMENTO


La Toxoplasmosi è una zoonosi il cui ospite definitivo è il gatto. Negli umani la prevalenza della positività sierologica aumenta con l’età indicando una esposizione passata e non esiste una differenza significativa tra uomo e donna. Il Toxoplasma gondii è una specie di protista parassitario che vive nei gatti e in altri animali a sangue caldo e può causare la toxoplasmosi nell’uomo. Appartiene agli Apicomplexa ed è l’unico membro noto dei Toxoplasma. È ubiquitario. Il ciclo vitale del Toxoplasma gondii ha due fasi. La prima avviene nell’ospite definitivo, un felino e comprende la riproduzione sessuale: il felide, ad esempio un gatto, si infetta ingerendo carne contentente cisti del parassita oppure da oocisti sporulate. Gli sporozoiti, grazie all’azione dei succhi digestivi, fuoriescono dall’oociste e possono infettare le cellule epiteliali dell’intestino tenue dove si riproducono e formano oocisti. Le oocisti misurano 10x12 micron, vengono espulse con le feci, e in condizioni ottimali (al riparo dalla luce solare diretta) tardano 2 giorni a maturare, formando 2 sporocisti contenenti ognuna 4 sporozoiti, gli elementi infettanti. La seconda fase, nella quale il parassita si riproduce solo in maniera asessuale può aver luogo in ogni animale a sangue caldo, mammiferi(incluso lo stesso gatto) o uccelli. Anche questi ospiti intermedi si possono infettare o da oocisti sporulate presenti nelle feci o dal consumo di carne cruda o poco cotta di animali parassitati: il parassita passa la barriera intestinale e, presumibilmente veicolato da macrofagi invade per via ematogena cellule di svariati tessuti, le quali formano una serie cosiddetta di vacuoli parassitofori. All’interno di questo vacuolo il T.gondii si propaga in una serie di divisioni binarie (circa 3 o 4) finché la cellula infetta non scoppia. Questa forma di replicazione veloce e asessuata del T.gondii è chiamata tachizoite. Di norma dopo questa prima fase l’ospite acquisisce una certa immunità e questo determina la comparsa di una forma riproduttiva lenta, detta bradizoite perché gli anticorpi prodotti limitano l’invasività. I vacuoli del bradizoite possono formare cisti nel tessuto degli ospiti infetti (soprattutto nei muscoli e nel cervello). La resistenza agli antibiotici varia, ma le cisti sono molto difficili da sradicare interamente. Il sistema immunitario dell’ospite non scopre queste cisti, mentre le tachizoiti libere vengono efficientemente debellate dalla risposta immunitaria.Gli effetti patologici del toxoplasma riguardano esclusivamente lo stadio di sviluppo extraintestinale. L’infezione è latente e normalmente non presenta sintomi, ma spesso dà sintomi simili a quelli dell’influenza o della mononucleosi nelle sue prime fasi acute. Comunque, nel caso di pazienti immunocompromessi (come quelli infetti da HIV o ricettori di trapianti in terapia immunosoppressiva) si può sviluppare la toxoplasmosi. La manifestazione più evidente della toxoplasmosi in pazienti immunocompromessi è l’encefalite toxoplasmica, che può essere mortale. Se l’infezione da T. gondii accade per la prima volta durante la gravidanza, il parassita può attraversare la placenta portando possibilmente all’idrocefalo, una calcificazione intercranica, e alla corioretinite, con la possibilità di aborto spontaneo o di morte intrauterina o ritardo mentale. Raramente l’ingestione di parassiti è così massiva da determinare aree di necrosi nei tessuti interessati dalla replicazione dei tachizoiti. Negli ovini e più raramente nei bovini può essere causa di aborto e natimortalità. Si stima che fino al 50% delle persone in tutto il mondo siano entrate in contatto con il Toxoplasma gondii, con incidenza molto elevata in macellatori, veterinari e proprietari di gatti. Per quanto riguarda l’epidemiologia 6 donne su 1000 contraggono l’infezione, il 40% di esse presenta neonati con infezione congenita. L’infezione interessa 1 gravidanza su 3000 con incidenza di 2/1000 nati vivi. Per quanto riguarda la percentuale di trasmissione nel 17% avviene nel primo trimestre nel 25% avviene nel secondo trimestre, nel 65% avviene nel terzo trimestre, nel 60% non si manifestano segni nel tempo.


Sifilide

Attualmente è una patologia di raro riscontro; la sordità compare nel 25-38% delle infezioni. Trasmissione verticale: T. pallidum può essere trasmesso dalla madre al feto.

L’ipoacusia è di entità variabile, più spesso simmetrica, fluttuante o ad insorgenze brusca, accompagnata da segni vestibolari. L’ipoacusia negli adulti con sifilide congenita nella fase tardiva può essere improvvisa ma tipicamente asimmetrica, fluttuante o progressiva in entità variabile, spesso associata ad acufene e vertigine.

In caso d’infezione luetica, la sola diagnosi di tipo clinico risulta incompleta e complessa, dato il proteiforme manifestarsi della malattia nelle sue varie fasi. Pertanto, il supporto del laboratorio diventa fondamentale per la diagnosi d’infezione luetica nella maggior parte delle evenienze, soprattutto nei lunghi periodi in cui la malattia attraversa fasi silenti, dal punto di vista clinico. Dal momento che il Treponema pallidum non è suscettibile d’isolamento colturale in vitro, la diagnosi s’avvale di altri metodi di laboratorio, che complessivamente possono essere distinti in: diretti (test in vivo, esame microscopico, tecniche d’amplificazione degli acidi nucleici) ed indiretti (esami sierologici treponemici e non treponemici).


APPROFONDIMENTO


La sifilide è una malattia infettiva a prevalente trasmissione sessuale. È causata da un batterio (il Treponema pallidum) dell’ordine Spirochaetales, che si presenta al microscopio come un piccolo filamento a forma di spirale. Il contagio oltre che per via sessuale può estendersi, nella donna gravida con infezione recente, attraverso la placenta al feto che presenta in tal caso un quadro di sifilide connatale con malformazioni che possono interessare: la cute e le mucose, l’apparato scheletrico, l’occhio, il fegato, il rene e il sistema nervoso centrale. Pertanto questo morbo può essere contratto, nella forma connatale, prima ancora della nascita attraverso il sangue materno infetto o alla nascita, durante la discesa nel canale del parto. Comunque, nella maggior parte dei casi, il contagio (possibile fin dalle primissime fasi della malattia) avviene attraverso i rapporti sessuali. Per i controlli accurati che vengono effettuati prima che il sangue venga trasfuso, sono ormai rarissimi nel mondo i casi di acquisizione della malattia con le trasfusioni.

Sifilide primaria. Il periodo primario della sifilide è caratterizzato dalla comparsa del sifiloma e di una linfoadenite satellite. La diagnosi sospettabile può essere confermata dalla ricerca dei treponemi nell’essudato e dalla positività della sierologia (FTA-ABS). Va differenziato dall’ulcera molle, dall’herpes simplex e dall’aftosi.

Sifilide secondaria. Il periodo secondario inizia circa sei settimane dopo la scomparsa della lesione primaria. È caratterizzato da un’”eruzione cutanea”, dove per eruzione si intende la comparsa di piccole macchie chiamate sifilodermi, che si estendono su diverse parti del corpo. Possono essere color fior di pesco (roseola) o rosso rameico con collaretto desquamativo (sifiloderma papuloso). Anche queste manifestazioni scompaiono spontaneamente dopo qualche settimana. In più è frequente il riscontro di ragadi linguali e alopecia del terzo distale del sopracciglio. La malattia può entrare in uno stadio latente (assenza di sintomatologia) che può durare anche anni (5-20 anni), le spirochete che continuano ad albergare nell’organismo possono dare inizio allo stadio terziario della sifilide. Si considera che tale evento avvenga nel 25% dei casi non sottoposti a terapia antibiotica.

Sifilide latente. La diagnosi di sifilide “latente” viene effettuata attraverso un test ad hoc definito treponemico specifico con risultato positivo, con esame del liquor normale, in assenza di manifestazioni cliniche. La diagnosi viene spesso sospettata sulla base di un’anamnesi (riferite lesioni primarie e secondarie o riferita gravidanza con neonato affetto da lue congenita). Un precedente test sierologico negativo e un’assenza di lesioni o di esposizione possono essere utili per stabilire la durata di un’infezione latente. La lue latente precoce comprende il primo anno dopo l’infezione, mentre quella latente tardiva inizia dopo un anno dal contagio. Nella lue latente tardiva il Treponema pallidum può essere presente nel circolo ematico. Perciò una donna gravida può infettare il proprio feto oppure un donatore di sangue può essere involontariamente responsabile d’una sifilide trasfusionale.

Sifilide terziaria. Durante il periodo terziario, che inizia dopo la regressione della fase secondaria, la sifilide entra in una fase di latenza clinica. La sua durata può essere di qualche anno o indefinita. Al termine di questo periodo di apparente “calma”, l’agente infettante si “riattiva” e può causare danno agli occhi, al sistema cardiocircolatorio, al fegato, alle ossa e alle giunture. Il danno può essere tanto serio da portare alla morte.

Sifilide congenita. La sifilide congenita è stata la prima delle infezioni intrauterine ad essere identificata nel 1859 da Hutchinson, che riconobbe il primo caso di lue congenita tardiva con la triade sintomatologica: anomalie dentali, sordità e danno oculare. Le modalità di trasmissione della infezione dalla madre al feto possono avvenire secondo due differenti schemi: infezione materna durante il corso della gravidanza oppure infezione non trattata, antecedente al periodo gestazionale. La gravità delle manifestazioni cliniche decresce con il progredire della gravidanza. La trasmissione dalla madre al feto può verificarsi in qualsiasi momento della gravidanza, anche se le lesioni proprie della lue congenita si sviluppano in genere dopo il quarto mese di gestazione, quando inizia a formarsi il sistema immunitario. I danni maggiori nel feto vengono riscontrati nel caso di infezione durante il primo e secondo trimestre di gestazione con un elevato tasso di mortalità pre- e peri-natale e di morbilità neonatale; mentre è più frequente il numero di bimbi asintomatici alla nascita nel caso di trasmissione durante il terzo trimestre di gestazione. Le manifestazioni precoci più comuni sono le alterazioni ossee. Sono comuni inoltre l’epatosplenomegalia, la linfoadenomegalia, l’anemia, l’ittero, la trombocitopenia e la leucocitosi. La lue congenita tardiva viene definita come una forma di sifilide non trattata per 2 anni dopo la nascita, i sintomi clinici possono manifestarsi fino anche all’età puberale. Le stigmate caratteristiche della sifilide congenita comprendono i denti di Hutchinson, la facies caratteristica, che include fronte bassa, naso a sella e mandibola ipoevoluta. Le altre stigmate sono costituite da una sordità su base neurologica, senza altra causa apparente, da una pregressa corioretinite, da un’atrofia ottica e da opacità corneali dovute ad una cheratite interstiziale pregressa. Indagini sierologiche di routine nei primi mesi di gravidanza sono indicate in tutte le donne, anche nelle zone a bassa prevalenza di sifilide prenatale. Nelle zone ad elevata prevalenza di sifilide ed in donne ad alto rischio è opportuno ripetere i test sierologici durante il terzo trimestre ed al momento del parto.


2. Tossiche

I farmaci sono responsabili solo del 2-3% di tutte le malformazioni congenite; la maggior parte è dovuta a cause genetiche, ambientali o sconosciute. I farmaci somministrati in gravidanza possono nuocere al feto producendo un effetto letale, tossico o teratogeno sull’embrione o sul feto, causando una vasocostrizione dei vasi placentari e influenzando così lo scambio di gas e di elementi nutritivi tra il feto e la madre. L’effetto di un farmaco sul feto è determinato in gran parte dall’età del feto, dalla potenza e dal dosaggio del farmaco. Le sostanze somministrate prima del 20° giorno dal concepimento possono agire secondo la legge del tutto o nulla, cioè o provocando la morte dell’embrione o non danneggiandolo affatto. La teratogenesi è improbabile durante questa fase. Il periodo dell’organogenesi (tra la 3a e l’8a settimana) è critico per gli effetti teratogeni. In questa fase, i farmaci che raggiungono l’embrione possono non determinare effetti rilevabili, possono provocare l’aborto, un importante difetto anatomico subletale (vero effetto teratogenico) o un difetto permanente di natura metabolica o funzionale che si può evidenziare in un’epoca successiva (embriopatia latente).

I farmaci somministrati dopo la fase dell’organogenesi (cioè nel secondo e terzo trimestre) difficilmente hanno un effetto teratogeno, ma possono alterare lo sviluppo e le funzioni degli organi e dei tessuti. Tra le sostanze ototossiche possono essere considerati anche il fumo di sigarette, alcool e derivati metabolici che posso interferire con il normale sviluppo delle strutture del sistema nervoso centrale ed uditivo. I farmaci esercitano la loro azione otossica mediante un danno diretto o indiretto (produzione attraverso cascate metaboliche di derivati ototossici); è noto che esiste un predisposizione genetica all’ototossicità. È stato dimostrato infatti che mutazioni a carico del DNA mitocondriale aumenti la suscettibilità agli aminoglicosidi (vedi capitolo otossicità).

Inoltre il fumo di tabacco è una causa di malformazioni negli stadi maturativi più precoci, di basso peso alla nascita, di prematurità. È stato dimostrato che i figli di donne fumatrici, che avevano fumato in gravidanza avevano un peso alla nascita di 200 g inferiore rispetto ai coetanei nati da non fumatrici.

Uno studio ha dimostrato che il rischio di basso peso alla nascita sotto 2,500 g aumenta del 53% per le fumatrici occasionali (meno di 20 sigarette die) del 130% per le forti fumatrici (più di 20 sigarette die). Il 14% dei pretermini negli Stati Uniti è attribuibile al tabagismo materno. È noto che i radicali liberi rilasciati dalle reazioni chimiche scatenate dalla nicotina e i suoi eccipienti stimoli la contrazione precoce delle fibre muscolari uterine e quindi il parto.

Per quanto riguarda l’alcol, il consumo di alcol durante la gravidanza è la causa della sindrome alcolico fetale (Fetal alcohol sindrome, Fas). Nella letteratura medica moderna le prime segnalazioni degli effetti nocivi del consumo di alcol in gravidanza risalgono alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso; per molto tempo, infatti, si è ritenuto che le anomalie dello sviluppo dei neonati fossero imputabili alla cattiva qualità degli spermatozoi, a fattori ereditari o ambientali. A parità di statura, il corpo delle donne contiene una minore percentuale di acqua rispetto agli uomini, per cui, dopo aver bevuto un uguale quantitativo di una bevanda alcolica la concentrazione di alcol nel sangue delle donne è maggiore rispetto a quella degli uomini. I tempi di eliminazione dell’alcol, già lunghi nella donna, sono per il feto ancora più dilatati. Se una donna incinta consuma bevande alcoliche, l’alcol e, soprattutto, l’acetaldeide (prodotto della metabolizzazione dell’alcol) giunge direttamente nel sangue del nascituro attraverso la placenta. Il feto non essendo in grado di metabolizzare l’alcol come un adulto, viene di conseguenza esposto più a lungo ai suoi effetti nocivi.

In base all’età gestazionale sono descritte:

1) dismorfologie facciali e i problemi cerebrali si devono all’esposizione all’alcol durante il primo trimestre di gravidanza;

2) il deficit di crescita è legato all’esposizione durante la seconda metà della gestazione;

3) l’alterato sviluppo del cranio è dovuto all’effetto dell’alcol nella quarta settimana di gravidanza;

4) difetti congeniti più gravi di norma subentrano nei primi tre mesi di gravidanza, periodo in cui si sviluppano gli organi del bambino e durante il quale spesso le donne sono ancora inconsapevoli del proprio stato.


Sono stati utilizzati molti termini per descrivere i problemi dei bambini che soffrono di alcuni dei sintomi clinici della Fas. Tre di questi sono: “effetti dell’alcol fetale” (Fae), “disturbi del neurosviluppo relazionato all’alcol” (Arnd) e “difetti di nascita relazionati all’alcol” (Arbd). La sigla Fae è stata utilizzata per definire tutte le espressioni parziali della Fas, soprattutto in ambito neurologico. Gli effetti dell’alcol fetale possono limitare le facoltà cognitive e psicosociali tanto quanto la Fas, ma non ne rappresentano una manifestazione mitigata.

Nel 1996 l’Oms ha sostituito la sigla Fae con i più specifici Arnd e Arbd. Gli individui che soffrono di Arnd possono manifestare problemi funzionali o mentali, associati al consumo di bevande alcoliche in gravidanza, tra cui i disturbi del comportamento e dell’apprendimento. I bambini che soffrono di Arbd possono invece presentare problemi di cuore, ossa e udito. L’espressione “spettro dei disordini feto-alcolici” (Fasd) è sempre più frequente nella letteratura recente e indica l’ampia gamma di danni causati al nascituro dall’abuso di alcol in gravidanza.


APPROFONDIMENTO


Fattori di rischio. Non tutte le esposizioni all’alcol nel grembo materno comportano danni gravi alla salute del nascituro: il rischio di partorire un bambino con sintomi della sindrome fetale alcolica (Fas) è stimato attorno al 30-40% delle gestanti con un forte consumo di alcol in gravidanza. Attualmente non è nota la ragione della diversa suscettibilità dei bambini agli effetti dell’alcol, ma è ragionevole pensare che la diversa risposta del feto sia dovuta alla combinazione di abuso di alcol, fattori genetici, deficit nutrizionali, fumo e/o abuso di droghe. I fattori che sembrano concorrere maggiormente alla formazione dei danni pre e postnatali specifici sono:

– quantità di alcol consumato durante la gravidanza

– tipologia del consumo di alcol (cronico o occasionale)

– intensità dell’esposizione

– periodo dell’esposizione

– interazione con altre sostanze (tabacco, droghe, medicinali)

– fattori alimentari

– predisposizione genetica

– condizioni di vita

– ceto sociale, livello d’istruzione e stato civile della madre.

Sintomi fisici. I bambini affetti da Fas manifestano peculiarità fisiche specifiche, soprattutto della testa e del volto. Segni caratteristici nel viso sono: pieghe agli angoli degli occhi, fessure oculari strette, strabismo, naso corto e piatto, labbro superiore sottile e vermiglio, solco naso-labiale allungato e piatto, fronte lunga e stretta, ipoplasia mascellare e mandibolare. Le anomalie oculari che si osservano nei bambini affetti da Fas indicano che gli occhi sono particolarmente sensibili all’alcol durante la fase dello sviluppo: ai segni visibili si associano ipoplasia del nervo ottico, aumentata tortuosità dei vasellini retinici e capacità visive ridotte.

Anche il sistema scheletrico subisce le conseguenze dell’esposizione all’alcol. È stato osservato un ritardo rilevante nell’età ossea media nei bambini affetti da Fas, che continua negli anni dell’adolescenza, ravvisabile nei valori inferiori alla media di altezza, peso corporeo e circonferenza cranica.

Altra manifestazione clinica comunemente associata alla Fas è la presenza di un grado variabile di microcefalia, ovvero una ridotta circonferenza del cranio, che rappresenta anche la più sicura evidenza della presenza di un danno cerebrale. Le altre anomalie registrate a livello cerebrale sono legate alla riduzione nella dimensione della volta cerebrale e cerebellare, dei gangli basali e del diencefalo. Sono presenti anche malformazioni cardiache, in particolar modo rappresentate dai difetti del setto ventricolare.

 Disturbi psicologici e neurologici. Un’alta percentuale di pazienti, esposti a quantità elevate di alcol durante la gestazione, che manifesta le caratteristiche tipiche della Fas nella crescita e nel viso, non presenta evidenze di danno cerebrale organico, ma piuttosto significativi deficit comportamentali e cognitivi.

I disturbi neurologici e neuropsicologici che compongono il quadro clinico della Fas sono:

– disturbi del sonno e riflesso di suzione ridotto

– ritardo dello sviluppo mentale

– deficit intellettivo

– disturbi dell’attenzione e della memoria

– disturbi della motricità fine

– iperattività e impulsività

– disturbi dell’eloquio e dell’udito.

Le anomalie comportamentali e cognitive possono essere rilevate attraverso test psicometrici specifici per età, eseguiti generalmente dopo i 5 anni, utili non solo per stabilire la diagnosi ma anche per organizzare un piano di trattamento ad hoc.

Diagnosi. Una diagnosi attendibile della Fas è possibile se l’eccessivo consumo di alcol della madre è documentato e se si verificano i seguenti tre casi:

– ritardo pre e postnatale della crescita

– peculiarità fisiche specifiche, soprattutto della testa e del volto

– disfunzioni del sistema nervoso centrale e danni conseguenti.

La diagnosi finale combina la valutazione psicologica, i segni fisici e la storia prenatale, richiedendo lo sforzo congiunto di genetisti, psicologi clinici, logopedisti e neuropsicologi.

La Fas solitamente viene diagnosticata tardi nell’infanzia, sebbene la diagnosi precoce risulti fondamentale per garantire al bambino l’accesso a programmi educativi e servizi sociali costruiti intorno a lui e alla sua famiglia. I bambini affetti da Fas che ricevono un’educazione speciale hanno infatti maggiori probabilità di sviluppare pienamente il proprio potenziale.


3. Ipossiche

L’ipossia, cioè un apporto insufficiente di ossigeno alla circolazione sanguigna del feto, può essere provocata da cause materne (insufficienza cardiaca, anemie, altitudine, anestesia generale), placentari (distacco precoce della placenta, emorragia retroplacentare, torsione del cordone ombelicale), parto prolungato, sofferenza fetale (emorragia, danni al sistema nervoso centrale). All’indagine anatomo-patologica, l’orecchio interno non presenta danni apparenti mentre sono presenti tracce di emorragia a carico dei nuclei del tronco encefalico. La sordità da ipossia è di tipo neurosensoriale grave e si associa a importanti danni del sistema nervoso centrale (encefalopatie, paralisi, spasticità). Il basso peso alla nascita aggrava i danni da ipossia. (vedi paragrafo prematurità).


4. Incompatibilità materno-fetale

Per incompatibilità materno-fetale si intende una condizione caratterizzata dalla presenza nel nascituro di un gruppo sanguigno diverso e incompatibile rispetto a quello della madre. Gruppo sanguigno che, in questo caso, il feto avrà evidentemente ereditato dal padre. Più in particolare, quindi, gli antigeni eritrocitari fetali non verranno riconosciuti dal sistema immunitario della donna che dunque tenderà ad immunizzarsi contro di loro. Tale immunizzazione – definita “allo-immunizzazione”, in quanto riguardante individui appartenenti alla medesima specie – rischia di provocare gravi conseguenze a carico del feto e poi del neonato. In particolare si parla di Malattia Emolitica Neonatale (MEN) per indicare quella condizione in cui i globuli rossi fetali vengono appunto distrutti dagli anticorpi materni; da cui conseguenze come anemia emolitica, ittero, epatosplenomegalia, danno cerebrale.

Il problema non riguarderà tanto la prima gravidanza caratterizzata dal contatto tra gruppi sanguigni diversi, quanto piuttosto quelle successive in cui tale incompatibilità dovesse ripresentarsi. La prima gravidanza infatti sarà quella in cui l’eventuale contatto tra sangue materno e fetale porterà la madre a “sensibilizzarsi”. Le gravidanze successive invece potranno essere quelle in cui tale, conseguente, immunizzazione produrrà i suoi reali effetti negativi sul feto. Perché ciò avvenga, comunque, occorre che si verifichino anche alcune altre fondamentali circostanze: ad esempio, gli anticorpi materni dovranno superare la placenta in quantità sufficiente per poter colpire efficacemente gli antigeni del feto.

Da notare, a questo proposito, che se lo stesso passaggio di sangue fetale nel circolo materno – soprattutto durante il parto e il secondamento – è piuttosto frequente, d’altra parte non è, almeno nella maggior parte dei casi, quantitativamente sufficiente a stimolare la reazione immunitaria materna. In tale contesto occorre poi osservare che i gruppi sanguigni esistenti – caratterizzati da antigeni differenti - sono in effetti numerosi; tuttavia il problema dell’incompatibilità materno-fetale interessa soprattutto i sistemi AB0 ed Rh. Il primo caso è più frequente ma generalmente meno grave. Il secondo implica invece i rischi maggiori e si verifica quando una madre Rh negativa concepisce un figlio Rh positivo come il padre. Non sussistono invece problemi – almeno da questo specifico punto di vista - se entrambi i genitori sono Rh positivi, se entrambi sono Rh negativi o se la madre è Rh positiva e il feto Rh negativo. Per questo motivo, oggi, è fondamentale conoscere tempestivamente il gruppo sanguigno e il fattore Rh di ogni donna in gravidanza ed eseguire il cosiddetto Test di Coombs indiretto sulle gestanti Rh negative. A scopo preventivo, poi, verranno rapidamente somministrate immunoglobuline anti-D a tutte le donne Rh negative che avranno partorito un figlio Rh positivo. Ciò proprio per contrastare il rischio di sensibilizzazione e di conseguente immunizzazione. Nella prevalenza dei casi, infatti, è proprio la presenza o meno dell’antigene D a caratterizzare rispettivamente l’appartenenza al gruppo Rh positivo o Rh negativo. Per verificarlo, comunque, ogni volta che il Test di Coombs risulterà positivo verranno eseguite anche la cosiddetta “tipizzazione” e “titolazione” degli anticorpi. Ciò chiarirà appunto il tipo di anticorpo e il grado di positività con cui avremo a che fare (vedi paragrafo ittero).


5. Dismetaboliche

Il diabete gestazionale si manifesta nel 2-5% circa di tutte le gravidanze ed è causato da un’insufficiente capacità del pancreas di produrre insulina, l’ormone che regola il metabolismo degli zuccheri. Questo comporta iperglicemia che viene trasferita al feto. Il rischio principale è che il feto andrà in sofferenza per la stessa iperglicemia e se il compenso del diabete gestazionale non sarà adeguato, l’iperglicemia fetale stimolerà la cellula beta pancreatica fetale determinando una iperinsulinemia fetale. Si avrà la formazione di feti macrosomici, con organi enormi, fegato e pancreas di volume aumentato, dove vi sarà il rischio di generare neonati poliglobulici, per le aumentate esigenze dell’organismo con ematopoiesi extramidollare. Inoltre il neonato, che durante la gravidanza era abituato a ricevere elevate quantità di zucchero dalla madre, alla nascita rischia di avere pericolose ipoglicemie. Potranno comparire ipoglicemia neonatale, deficit di surfattante ed immaturità del metabolismo epatico, la cui conseguenza eclatante è l’ittero. In seguito dalla ventesima settimana in poi si avrà macrosomia e alla nascita questi bambini presenteranno asfissia per le mutate esigenze metaboliche. La captazione epatica di glucosio ad opera del fegato è accresciuta in questi feti, così pure la sintesi di glicogeno che addirittura si accumula perfino nel setto interventricolare del cuore, rendendolo ipertrofico. Ebbene, entro le prime venti settimane, epoca in cui i tessuti e gli organi sono in formazioni, il bambino ne risentirà con anomalie congenite e riduzione della velocità di crescita. Ipoglicemia e sindrome da distress respiratorio con ipossiemia grave. La policitemia che si manifesta può essere ancora responsabile di stroke, con gli elementi corpuscolati del sangue che appaiono impilati. Non sempre, però, il bambino è macrosomico; talora se la paziente diabetica ha complicanze micro e macrovascolari, allora il feto si accresce male, per esempio se i vasi uterini sono calcificati ed al momento della nascita potrà apparire denutrito. Si instaura, cioè, un quadro di malnutrizione con riduzione della massa grassa e proteica. I bambini macrosomici sono circa il 26% dei nati da madre diabetica; sono neonati paffuti, con peso > 4000 gr o > 90C° ma disarmonico, peso sproporzionato rispetto alla lunghezza ed alla c. cranica, con organomegalia (aumento di volume ma anche di numero delle cellule).

Essi presentano queste criticità:

– Asfissia intrapartum, paralisi del brachiale ecc.

– Ipoglicemia

– Cardiomiopatia

– Distress respiratorio.


Il 50% dei nati da madre diabetica presenta ipoglicemia già a 30 min. dalla nascita (75% se la madre è insulinodipendente); una ipoglicemia è più frequente nei macrosomi e nei malnutriti per il cattivo controllo metabolico del 2° e 3° trimestre di gravidanza. La probabilità che un neonato sviluppi ipoglicemia aumenta quanto più sono alti i livelli di glucosio nel cordone ombelicale o nel sangue materno a digiuno. Questi bambini avranno ancora il rischio di sviluppare la poliglobulia, cioè il sangue sarà molto ricco di globuli rossi, e la ragione di ciò dipende dal fatto che l’iperglicemia e l’iperinsulinemia fetali aumentano il consumo di ossigeno tissutale stimolando la produzione di eritropoietina con secondaria eritropoiesi. La sintomatologia è conseguente all’iperviscosità del sangue. Il piccolo sarà iporeattivo, letargico, pletorico, irritabile, tremolante, pianto stridulo. Potrà andare incontro a problematiche neurologiche centrali ed a stato di ipercoagulabilità: infarto cerebrale, convulsioni, enterocolite necrotizzante, trombosi della vena renale, trombosi del seno venoso, ipertensione polmonare

Infine vengono le malformazioni fetali del bambino nato da madre diabetica:

– Cardiopatie complesse

– Difetti del tubo neurale

– Palatoschisi, micrognazia

– Anomalie vertebrali

– Ipoplasia del femore

– Malformazioni renali.


Sindrome della regressione caudale:deficit di sviluppo delle strutture vertebrali,urogenitali ed intestinali sino alla sirenomielia.

Le performance neurocomportamentali dei nati da madre diabetica appaiono correlati allequilibrio glicemico della madre. La presenza di “minimal brain dysfunction” in bambini con ipoglicemia asintomatica sarà valutata alletà di 8 anni, quando il bambino diventa un bambino “difficile”. I nati da madri diabetiche sono più a rischio per sequenze oculo-auricolo-vertebrali; può essere presente ipoacusia associata a malformazioni cardiache, renali e cerebrali. Si consiglia pertanto di eseguire valutazione audiologica, cardiologica, ecografia renale, studio immunologico in tutti i nati da madre diabetica.


6. Traumatiche

Le sordità sia perlinguali che post linguali possono riconoscere cause traumatiche della rocche petrose. Sebbene si possa ipotizzare che manovre incongrue durante il parto possano determinate danni al piccolo paziente, in realtà è rara l’evenienza che un trauma da parto sia responsabile di sordità. Le cadute accidentali sia nei primi mesi di vita (incidenti) sia durante l’acquisizione dello schema motorio visto la deambulazione incerta del paziente, sono la causa più frequente. Il rischio di sordità in caso di traumi può aumentare nei pazienti affetti da sindrome dell’acquedotto Vestibolare Allargato o Sindrome di Pendred nei quali la malformazione non è nota. Infatti i pazienti portatori di tali malformazioni nascono normoudenti e spesso in seguito ad una caduta può insorgere un’ipoacusia neurosensoriale bilaterale in alcuni casi fluttuante ma spesso progressiva. Tra le cause di sordità esiste anche il trauma acustico, evenienza frequente nella popolazione di prematuri che stazionano nelle NICU per un periodo superiore alle 48 ore, tempo limite che non dovrebbe esporre il piccolo a rischi. I rumori provenienti dalle termoculle e dagli strumenti utili alla loro assistenza stimolano continuamente l’orecchio e possono danneggiare l’udito.

Audiologia e Foniatria
Audiologia e Foniatria
Martini A. - Prosser S. - Aimoni C. - Bovo R. - Ciorba A. - Trevisi P.
VERSIONE EBOOKQuesto manuale è principalmente indirizzato agli studenti che frequentano corsi in cui si richiede una conoscenza dei disordini del sistema uditivo-vestibolare e del sistema fonatorio. Lo scopo per cui è stato scritto era di disporre di un testo agile da suggerire agli studenti come complemento ai trattati di ORL comunemente in uso. Gli argomenti sono suddivisi in tre parti (AUDIOLOGIA, VESTIBOLOGIA e FONIATRIA). La prima riguarda il sistema uditivo e comprende l’anatomo-fisiologia, i principali mezzi di indagine diagnostica, la clinica (comprese le malattie dell’orecchio esterno e medio), nozioni di base di otochirurgia e i sussidi protesici (protesi uditive, protesi impiantabili, impianti cocleari). La seconda è dedicata ai disordini vestibolari periferici e centrali: la parte clinica è preceduta da una descrizione dell’anatomo-fisiologia e dei mezzi diagnostici del sistema vestibolare. La terza parte riguarda i disordini della voce e del linguaggio, in particolare quelli dell’età evolutiva. Nella trattazione dei vari argomenti si è cercato di mantenere uno schematismo per facilitare un apprendimento abbastanza veloce dei temi essenziali. Molti temi sono stati ampliati da “approfondimenti” che abbiamo ritenuti opportuni per meglio spiegare la patologia e la clinica. Questi sono stati evidenziati a stampa diversa, e potranno essere utilizzati secondo i programmi individuali di studio o, augurevolmente, solo per curiosità. L’Audiologia-Foniatria, benché presente nell’ordinamento delle facoltà mediche come specialità autonoma, non ha trovato almeno in Italia un’ampia diffusione nel servizio sanitario nazionale. Questo manuale si propone quindi come mezzo di aggiornamento anche per il medico generico e lo specialista ORL, che diventano molto spesso i primi a fronteggiare patologie di tipo audio-vestibolare e foniatrico anche di elevata occorrenza, che tuttavia possono richiedere una base aggiornata di conoscenze specifiche per essere adeguatamente inquadrate. Questo volume è stato scritto “a più mani”, ma tutti i capitoli sono stati oggetto di discussione “assieme” e rappresenta 20 anni di esperienza maturata tra un gruppo di colleghi-amici nell’Audiologia di Ferrara.