Audiologia e Foniatria

Sindrome di USHER

Numerose mutazioni sono state identificate come responsabili di questa sindrome, che sulla base del grado di compromissione, dell’epoca di comparsa e dell’evoluzione delle patologie che la caratterizzano, è stata classificata in 3 diversi tipi diversi. Nella sindrome di Usher tipo I sono stati identificati 7 sedi di linkage e 4 geni (MYO7A, USH1C, CDH23, PCDH15) a carico dei quali sono state osservate varie mutazioni. Nella sindrome di Usher tipo II sono state osservate varie mutazioni a carico di 1 gene (USH2A); tuttavia è verosimile che vi sia una eterogeneità genetica dal momento che sono state identificate 2 ulteriori sedi di linkage. Nella sindrome di Usher tipo III è stato recentemente individuato 1 gene (USH3) a carico del quale sono state osservate varie mutazioni (Tab. III).


Locus
Localizzazione
Gene
Marker
di screening
Most Important
Reference
OMIM
Entry
USH1A
14q32
Unknown
D14S250, D14S260,
D14S292, D14S78
Kaplan et al., 1992

276900

USH1B
11q13.5
MYO7A
D11S906, D11S911,
D11S52, OMP-CA
Weil et al.,1995
276903
USH1C
11p15.1
USH1C
D11S902, D11S921,
D11S899, D11S861
Smith et al., 1992
Verpy et al., 2000
Bitner-Glindzicz et al.,
2000
276904
USH1D
10q
CDH23
D10S529, D10S202,
D10S573
Wayne et al., 1996
Bork et al., 2001
Bolz et al., 2001
601067
USH1E
21q
Unknown
D21S1884,
D21S1257,
D212S265,
D21S1258
Chaib et al., 1997
602097
USH1F
10q21-22
PCDH15
D10S199, D10S578,
D10S596
Ahmed et al., 2001
Alagramam et al.,
2001
602083
USH1G
17q24-25
Unknown

Mustapha et al., 2002
USH2A
1q41
USH2A
D1S229, D1S490,
D1S237, D1S474
Kimberling et al.,
1990
Eudy et al., 1998
276901
USH2B
3p23-24.2.
Unknown
D3S1578, D3S3647,
D3S3658
Hmani et al., 1999 276905
USH2C
5q14.3-q21.3
Unknown
D5S428, D5S421
Pieke-Dahl et al.,
2000
605472
USH3
3q21-q25
USH3
D3S1299, D3S1555,
D3S1280, D3S1279
Sankila et al., 1995
Joensuu et al., 2001
276902
606397

Tab. III. Genetica della s. di Usher.


Classificazione Clinica
Tipo 

Ipoacusia
Funzionalità
Vestibolare
Comparsa della retinite
pigmentosa
Tipo I
Profonda
Congenita
Compromessa
Durante la prima decade
Tipo II
Audiogramma in discesa
Congenita
Normale
Durante la prima o la seconda
decade
Tipo III
Progressiva
Variabile
Variabile

Tab. IV. Clinica della s. di Usher.


È una patologia trasmessa con modalità autosomica recessiva; i portatori sono stimati essere tra 1/75 e 1/150 nella popolazione.

La sindrome di Usher è stata descritta nel 1858 da Von Grafe, il quale fu il primo ad associare rinite pigmentosa e sordità neurosensoriale in un’unica patologia; prese successivamente. Nel 1959, lo studioso Hallgren scoprì l’ereditarietà di questa sindrome.

È un chiaro esempio di affezione ereditaria di natura degenerativa, espressione di un’alterazione nel metabolismo intracellulare già presente allo stadio embrionale. Caratterizzata clinicamente da ipoacusia neurosensoriale e retinite pigmentosa, viene classificata in 3 diversi tipi sulla base delle caratteristiche cliniche (Tab. IV).

I soggetti affetti presentano deficit uditivi e visivi, che possono comparire in epoche diverse nella vita e avere grado ed evoluzioni differenti secondo il tipo.

La rinite pigmentosa è una condizione in cui a livello di entrambi gli occhi si manifesta una degenerazione dei fotorecettori (bastoncelli) che hanno la funzione di reagire prevalentemente al contrasto tra chiaro e scuro e al movimento di oggetti. Questa degenerazione delle cellule fotorecettrici che progressivamente lasciano il posto ad accumuli di pigmento provoca dapprima una difficoltà a vedere in ambienti scarsamente illuminati, successivamente quando la degenerazione interessa oltre la parte più periferica anche la parte centrale della retina, si avrà un restringimento progressivo del campo visivo che potrà portare nel tempo a cecità totale. In particolare, nei soggetti affetti da sindrome di Usher Tipo I la retinite pigmentosa ha esordio molto precoce e spesso porta alla cecità; in quelli con sindrome di Usher Tipo II l’esordio della retinite pigmentosa avviene fra 10 e 20 anni e solitamente il quadro è meno grave rispetto al tipo I infine nella sindrome di Usher Tipo III i pazienti presentano un quadro variabile caratterizzato da progressivo peggioramento (Fishman, 1979; Fishman et al., 1983).

L’ipoacusia è congenita, di tipo neurosensoriale, ha carattere prettamente cocleare ed è causata da malformazioni a carico dell’orecchio interno (OI). Nella maggior parte dei pazienti con sindrome di Usher tipo I l’ipoacusia è profonda, nella sindrome di Usher tipo II solitamente l’ipoacusia è moderata con audiogramma in discesa sulle frequenze acute infine nella sindrome di Usher tipo III l’ipoacusia è simile a quella descritta per il tipo II ma compare attorno ai 3-5 anni e presenta una progressività nel corso degli anni (Kumar et al., 1984).

La funzionalità vestibolare è caratterizzata da areflessia nella sindrome di Usher tipo I, da normoreflessia nella sindrome di Usher tipo II e da risposte che vanno progressivamente peggiorando sindrome di Usher tipo III (Kumar et al., 1984; Möller et al., 1989).

La maggior parte dei soggetti affetti da sindrome di Usher presentano un normale sviluppo cognitivo e neurologico.

La diagnosi precoce è molto importante al fine del programma terapeutico-riabilitativo. La prognosi infatti è caratterizzata dalla comparsa di una cecità attorno ai 30-40 anni d’età che andrà a sommarsi al deficit uditivo, compromettendo notevolmente il grado di autonomia del soggetto.


APPROFONDIMENTO


Sindrome di NORRIE

Conosciuta anche come di Displasia oculoacusticocerebrale.

La sindrome di Norrie è causata da una mutazione nel gene NDP. Nel 1985 Bleeker-Wagemakers et al., dimostrarono che il gene NDP era localizzato nella regione Xp11.3 e nel 1992 Chen et al., dimostrarono che codificava per una proteina (norrin) di 133 aminoacidi la cui funzione rimane sconosciuta. Caratterizzata da una modalità di trasmissione X-linked recessiva con penetranza completa nei maschi (Holmes, 1971).

Descritta per la prima volta probabilmente da Fernandez-Santos nel 1905, tuttavia il primo a descriverne correttamente ed esaustivamente le caratteristiche fondamentali e a suggerire il pattern ereditario fu Warburg nel 1965.

Il quadro clinico è caratterizzato da un processo degenerativo a carico degli occhi che determina cecità durante l’infanzia. Durante i primi giorni di vita la displasia retinica si manifesta con pieghe falciformi della retina e progressivamente determina distacco della retina; alla nascita le cornee sono solitamente chiare ma durante gli anni prescolari diventano opache inoltre si sviluppa una cataratta secondaria. Circa il 35% dei soggetti manifesta un’ipoacusia neurosensoriale, a sede cocleare, progressiva di tipo pantonale talvolta accentuata sugli acuti che si istaura dopo i 10 anni. A carico del sistema nervoso centrale, circa il 35% dei pazienti mostra un ritardo mentale progressivo e il 25% manifesta psicosi.


Sindrome di ALPORT

La sindrome di Alport rappresenta la forma più frequente tra le sindrome associate a anomalie renali. È responsabile di circa l’1% delle ipoacusie neurosensoriali congenite.

La sindrome di Alport è causata da una eterogeneità di mutazione che si esprimono soprattutto a carico dei geni COL4A3, COL4A4 o COL4A5 che codificano per il collagene di tipo IV. La forma più frequente, caratterizzata da mutazione nel gene COL4A5 localizzato nella regione Xq22, è caratterizzata da una modalità di trasmissione X-linked dominante (Flinter et al., 1990). Il gene COL4A5 coinvolto codifica per la catena α5 del collagene tipo IV ed è stato localizzato nella coclea a livello della membrana basilare, del ligamento spirale e della stria vascularis (Atkin et al.,1988). Circa l’85% dei casi di sindrome di Alport presenta pattern di trasmissione X-linked; mentre circa il 15% presenta altre modalità trasmissive. Le forme più rare sono legate a mutazione dei geni COL4A3 e COL4A4, con locus 2q36-q37 e presentano modalità trasmissiva autosomica recessiva (Gubler et al., 1995; Lemmink, 1994).

Nel 1927 Alport descrisse per la prima volta una famiglia i cui membri presentavano sordità associata a disfunzione renale, in cui i maschi morivano per uricemia; per questo motivo il suo nome fu utilizzato per descrivere una nefropatia familiare progressiva che si manifesta con una ematuria associata ad ipoacusia, particolarmente grave nei maschi.

La sintomatologia a carico del sistema renale è simile nelle varie nelle varie forme. La forma X-linked può essere caratterizzata da insorgenza precoce che rende necessaria la dialisi entro i 20 anni e conduce alla morte entro il 31° anno di vita oppure da insorgenza tardiva con necessità di dialisi dopo i 40 anni. Questa variabilità è probabilmente legata al tipo di mutazione genetica. L’ematuria è il segno clinico principale ed è presente nei maschi con frequenza doppia rispetto alle femmine. Proteinuria e albuminuria sono segni meno frequenti nell’infanzia che tendono a peggiorare megli anni (Grunfeld, 1985).

Circa il 55% dei maschi affetti e il 40% delle femmine presentano un’ipoacusia neurosensoriale accentuata sulle frequenze acute di tipo progressivo. Solitamente l’ipoacusia si istaura durante la seconda decade e nelle femmine insorge più tardivamente (Gleeson, 1984). A carico dell’occhio circa il 35-70% dei soggetti con forma X-linked ad insorgenza giovanile presenta cheratocono e sviluppa una miopia assiale (Rhys et al., 1997).

Al fine della diagnosi è necessaria la presenza di almeno tre dei seguenti criteri:

1) familiarità positiva per ematuria +/- insufficienza renale;

2) biopsia renale con aspetti tipici alla microscopia elettronica;

3) segni oftalmologici caratteristici;

4) ipoacusia neurosensoriale per le frequenze acute progressiva durante l’infanzia.


La prognosi è variabile; per alcuni soggetti i disturbi possono essere di grado lieve, mentre per altri può essere necessaria la dialisi e il successivo trapianto renale già in età precoce (Jais et al., 2000).


Sindrome branchio-oto-renale (BOR)e branchio-otica (BO)

Entrambe sono dovute a mutazioni del gene EYA1 sul cromosoma 14; altri due geni SIX1 e SIX5 sono in causa. Trasmissione AD ed espressività variabile; prevalenza 1:40.000 neonati. Le anomalie dell’orecchio sono associate con fistole branchiali e anomalie renali. Viso allungato, palato ogivale. Deformità del padiglione auricolare che variano da una grave microtia ad anomalie minori, stenosi o atresia del condotto uditivo esterno, appendici e fistole preauricolari, appendici e fistole laterocervicali. Alterazioni dell’orecchio medio: anomalie della catena ossiculare, fissità della staffa, anomalie dell’osso temporale con mastoidi ipoplasiche. Spesso si può osservare anche un interessamento dell’orecchio interno (OI), come nel caso di ipoplasia cocleare unilaterale o bilaterale oppure di displasia di Mondini, displasia del canale semicircolare orizzontale. Ipoacusia nel 75% dei casi, prevalentemente di tipo misto. Il deficit renale che può essere unilaterale o bilaterale e di entità variabile, presentandosi come displasia, ipoplasia fino a completa agenesia renale, rene policistico, reflusso vescico-ureterale ed ostruzione della giunzione uretero-pelvica.


APPROFONDIMENTO


Sindrome BOF

Nella Sindrome Branchio-Oculo-Faciale (BOF) non è stata a tutt’oggi individuata una mutazione specifica. È caratterizzata da una trasmissione autosomica dominante. Il termine Sindrome Branchio-Oculo-Faciale (BOF) è stato coniato da Fujimoto et al., nel 1987. Il quadro clinico si contraddistingue per la presenza di aplasia della cute a livello cervicale, timo a sede cervicale, labio-palatoschisi, ostruzione congenita del dotto naso-lacrimale, malformazione del padiglione auricolare ed ipoacusia trasmissiva (Hall BD et al., 1983). Possono inoltre essere presenti malformazioni renali. Ritardo dello sviluppo, ipotonia, disturbi del linguaggio sono comuni (Lin et al., 1995).


Sindrome di Townes-Brocks

Per questa sindrome è stata individuata una mutazione nel gene SALL1, localizzata sul cromosoma 16q, e si riporta una trasmissione autosomica dominante ad espressività variabile.

Descritta per la prima volta nel 1972 da Townes e Brocks; ad oggi sono stati riportati in letteratura almeno 60 casi.

Si contraddistingue per le seguenti caratteristiche cliniche: microsomia emifacciale; anomalie dell’orecchio esterno come orecchio a coppa “da satiro”, microtia, appendici preauricolari, associate ad un’ipoacusia neurosensoriale monolaterale o bilaterale di grado variabile; anomalie di mani e piedi con pollice a tre falangi, polidattilia o sindattilia, clinodattilia del V dito del piede; alterazioni a carico del apparato gastroenterico come ano imperforato, fistola retto-vaginale o retto-perineale; ipoplasia renale e reflusso vescico-ureterale.


Sindrome CHARGE

Nei pazienti affetti sono state descritte numerose anomalie cromosomiche come: trisomia 22, delezione del braccio lungo del cromosoma 9, 11 e 13, duplicazione parziale del cromosoma 4 e 14. È stato anche ipotizzato che la causa possa essere l’esposizione ad agenti teratogeni come la talidomide, la fenilidantoina, il virus della rosolia o un diabete materno. Si manifesta in modo sporadico. La Sindrome CHARGE è una condizione genetica eterogenea, in molti casi è dimostrabile una aploinsufficienza del gene CHD7.

Caratteristiche distintive di questa sindrome sono: ipoplasia malare con caratteristico viso squadrato e naso globoso con narici pinzate; atresia coanale; microftalmia con coloboma dell’iride; malformazione del padiglione auricolare, che risulta corto ed allargato con lobo piccolo, associata ipoacusia neurosensoriale di grado variabile; difetti cardiaci come tetralogia di Fallot, difetti del setto interventricolare, pervietà del dotto arterioso; ipoplasia dei genitali; ritardo della crescita e dello sviluppo psicomotorio.


Sindrome di Waanderburg

I geni coinvolti nella sindrome di Waanderburg e la loro localizzazione sono riportate nella Tabella V.

Il tipo I presenta trasmissione autosomica dominante ad espressività variabile. Il tipo II, sembra essere un tratto autosomico dominante quando coinvolge il gene MIFT e autosomico recessivo quando coinvolge il gene SLUG. Il tipo III presenta trasmissione autosomica dominante. Infine il tipo IV, sembra essere un tratto autosomico recessivo quando coinvolge il gene EDNRB o EDN3 e autosomico dominante quando coinvolge il gene SOX10.

Nonostante alcune aspetti di questa sindrome fossero già stati descritti da Hammerschlag nel 1905, l’inquadramento preciso si deve a Waanderburg e risale al 1948.

Le caratteristiche cliniche distintive della sindrome di Waanderburg comprendono: ipoacusia neurosensoriale, anomalie pigmentarie di capelli, iridi e pelle (eterocromia delle iridi e ciuffo di capelli bianchi), distopia canthorum, radice nasale allargata e sopraciglia confluenti. Esistono tuttavia quadri clinici eterogenei per cui vengono identificati 4 tipi diversi.


Classificazione Clinica
Tipo 

Localizzazione
Gene
WS type I (WS1)
2q35
PAX3
WS type II (WS2)
3p14.1-p12.3
MITF (OMIM: 156845)
WS type II (WS2)

SLUG
WS type III
2q35
PAX3
WS type IV
13q22
EDNRB (OMIM: 131244)
WS type IV
20q13.2-q13.3
EDN3 (OMIM: 131242)
WS type IV
22q13
SOX10 (OMIM: 602229)

Tab. V. Geni e loci coinvolti nella sindrome di Waanderburg.


Il tipo I e il tipo II si distinguono sulla base della presenza della distopia canthorum; essendo quest’ultima presente nel tipo I e assente nel tipo II. La presenza di anomalie a carico dell’arto superiore identifica il tipo III che viene denominato anche sindrome di Klein-Waanderburg infine l’associazione di trasmissione autosomica recessiva e malattia di Hirshprung viene definita come tipo IV o sindrome di Waanderburg-Shah.


APPROFONDIMENTO


Craniosinostosi

Incidenza 1:2500 nati vivi, con un rapporto maschi/femmine di 3:1, circa 8% familiari. Le craniostenosi sono associate a mutazioni dei geni della famiglia del FGFR (fibroblast growth factor receptor) (Cunningham et al., 2007). Sono state descritte più di 100 sindromi con craniosinostosi; quelle più frequentemente associate con ipoacusia sono le Sindrome di Crouzon, Apert, Pfeiffer e Shaethtre-Chotzen. La diagnosi precoce permette una corretta impostazione del piano riabilitativo chirurgico-ortodontico e protesico uditivo.

Sindrome di Crouzon. Prematura e progressiva craniosinostosi, ipoplasia della faccia con orbite poco profonde e proptosi oculare. Ampia variabilità fenotipica, prevalenza 15:1.000.000. Disordine AD dovuta a mutazioni del gene FGFR2. Ipoacusia trasmissiva in più del 50% dei casi per atresia del condotto uditivo esterno o malformazione della catena ossiculare; in circa 1/3 è presente ipoacusia neurosensoriale.

Sindrome di Apert. Sinostosi bicoronale e della base cranica, appiattimento delle ossa occipitali, fronte prominente e moderato esoftalmo, associata a sindattilia delle mani/piedi e labio-palatoschisis in 1/3 dei casi. Prevalenza 10-15:1.000.000. Disordine AD dovuta a mutazioni del gene FGFR2. Ipoacusia trasmissiva spesso da otite media nel 50% dei casi.

Sindrome di Pfeiffer. Acrocefalia associata ad ingrossamento del pollice della mano e dita dei piedi con parziale sindattilia. Disordine AD dovuta a mutazioni del gene FGFR1. Ipoacusia trasmissiva o mista in più del 50% dei casi per stenosi/atresia del condotto uditivo esterno o malformazione della catena ossiculare. Più rare le malformazioni dell’orecchio interno.

Sindrome di Shaethtre-Chotzen. Craniosinostosi coronale uni- o bilaterale, ptosi ipertelorismo oculare, ipoplasia mascellare, padiglione piccolo e prominente, sindattilia. Disordine AD dovuta a mutazioni del gene TWIST 1. Ipoacusia trasmissiva o mista, da anchiolsi stapediale e catena fissa, ma anche neurosensoriale profonda.


Disostosi mandibolari

Sindrome di Treacher Collins (TCS). La TCS è una condizione AD con penetranza e espressività variabile, 60% ‘de novo’, causata da una mutazione nel gene TCOF1 localizzato nella regione 5q31.3, che codifica una proteina (treacle) coinvolta nella funzione nucleolare; prevalenza 1:50.000 nati vivi. Quadro clinico tipico dovuto ad anomalie nello sviluppo dei primi due archi branchiali, bilaterali e simmetriche: rime palpebrali oblique in basso e lateralmente, coloboma palpebra inferiore, ipoplasia zigomi, micrognatia, bocca larga e sottile, anomalie dentarie. Possono essere presenti palatoschisi e naso allargato con narici strette e talvolta atresia coanale. Anomalie costanti del padiglione (anotia, ipoplasia, a coppa), associato alla presenza di fistole o appendici preauricolari, frequente atresia o di stenosi del condotto uditivo esterno. Orecchio medio: agenesia o ipoplasia della mastoide; frequenti anomalie della catena ossiculare (agenesia dell’incudine, malformazione o anchilosi o assenza della staffa, mancanza della finestra ovale). Frequente compromissione dell’apparato vestibolare (displasia del canale semicircolare laterale), mentre la coclea è normale. Ipoacusia di tipo trasmissivo o misto, raramente di tipo neurosensoriale, bilaterale nel 55% dei casi.

Sindrome di Nager o Disostosi Acrofaciale. Probabile trasmissione AR, la maggior parte dei casi è sporadica; è stata identificata la delezione 1q12q21.3 e la traslocazione cromosomica (X;9) (p22.1;q32). Anomalie della faccia con rima palpebrale rivolta verso il basso, ipoplasia malare e ipoplasia zigomatica, anomalie del palato, anchilosi dell’articolazione temporo-mandibolare; malformazioni dell’arto superiore con aplasia o ipoplasia del pollice e con ipoplasia o aplasia del radio. Malformazioni minori del padiglione e appendici preauricolari; ipoacusia trasmissiva solitamente modesta.

Microsomia emifacciale/ Sindrome di Goldenhar/spettro oculo-auricolo-vertebrale. Caratterizzata da microsomia craniofacciale, cisti dermoidi e anomalie vertebrali; o volte anomalie cardiache e renali. Prevalenza 1:3.000 nati vivi, nel 70% unilaterale e prevalentemente a destra; rapporto maschi/femmine 3:2. La sindrome di Goldenhar compare in modo sporadico. Sono state descritte alcune anomalie cromosomiche associate a questa sindrome, come del(5p), del(6q), mosaicismo con trisomia 7, del(8q), mosaicismo con trisomia 9, trisomia 18, cromosoma 18 ricombinante, cromosoma 21 ad anello, del(22q), 49 XXXXY e 47 XXY. Altri studi riportano esposizione della madre a farmaci contenenti acido retinoico, talidomide, anticonvulsivanti a base di primidone, presenza di un diabete gestazionale.

Le anomalie dell’orecchio esterno variano dalla microtia all’anotia del padiglione auricolare associato ad atresia o stenosi del condotto uditivo esterno. Frequenti le appendici preauricolari. A carico dell’orecchio medio può essere presente un’ipoplasia della catena ossiculare e la tuba di Eustachio può essere malformata. Ipoacusia trasmissiva di grado variabile a seconda dell’estensione delle alterazioni anatomiche.


Condrodisplasie ereditarie

Sindrome di Stickler/Sindrome di Marshall. Si tratta di condizioni eterogenee con interessamento del tessuto connettivo collagene, caratterizzate da grave miopia, anomalie orofacciali e ipoacusia. La Sindrome di Stickler è AD; il tipo I causato da mutazioni del gene COL2A1; la tipo II da mutazioni del gene COL11A2 e la tipo III da mutazioni del gene COL11A1. L’ipoacusia è di tipo misto o neurosensoriale, è più grave nella Sindrome di Marshall e nei tipi II e III.



APPROFONDIMENTO


La consulenza genetica è il “processo di comunicazione che concerne i problemi umani legati all’occorrenza, o al rischio di ricorrenza, di una patologia genetica in una famiglia”. Tale processo comprende il tentativo di una o più figure professionali, adeguatamente preparate, di aiutare l’individuo o la famiglia a comprendere le informazioni mediche che includono la diagnosi, il probabile decorso della malattia e le forme d’assistenza disponibili; serve inoltre a valutare il modo in cui l’ereditarietà contribuisce al verificarsi della malattia e il rischio di ricorrenza esistente per taluni familiari; permette di capire tutte le opzioni esistenti nell’affrontare il rischio di malattia e di compiere le scelte che essi riterranno più adeguate, tenuto conto sia del rischio che delle aspirazioni dei familiari, con l’obiettivo di realizzare il miglior adattamento possibile alla malattia del familiare affetto e/o al rischio di ricorrenza della malattia stessa.

La diagnosi prenatale è un complesso d’indagini strumentali e di laboratorio finalizzate al monitoraggio dello stato di salute del concepito durante tutto l’arco della gravidanza e pertanto permette l’individuazione di definite patologie, siano esse su base ereditaria, infettiva, iatrogena o ambientale. Lo sviluppo della diagnosi prenatale ha significativamente modificato il comportamento delle coppie a rischio di procreare e di far nascere figli con patologie genetiche e/o malformative, in quanto è possibile offrire loro informazioni sulla reale situazione del concepito ed eventualmente tranquillizzarli per il prosieguo della gravidanza. I metodi di diagnosi prenatale possono essere non invasivi (ecografia fetale, indagini biochimiche e molecolari sul sangue materno) ed invasivi, in quanto prevedono il prelievo di tessuti fetali (villocentesi, amniocentesi, cordocentesi, fetoscopia).

Lo screening neonatale consente di identificare i bambini affetti e di avviare tempestivamente trattamenti in grado di prevenire o ridurre il danno che ne deriva.

Vengono di seguito riportati alcuni approfondimenti utili alla pratica clinica e al completamento della preparazione teorica.

Citogenetica e cariotipo. Studiano la morfologia e la costituzione del patrimonio cromosomico di una specie o di un individuo, permettendo pertanto di identificare anomalie numeriche o strutturali dei cromosomi. Per la determinazione del cariotipo le cellule da analizzare vengono bloccate in metafase, momento in cui i cromosomi si presentano come unità ben identificabili e riconoscibili al microscopio. I cromosomi vengono poi colorati, contati, analizzati e fotografati, infine appaiati a gruppi di due. È opportuno ricordare che in metafase il DNA è già duplicato per cui ogni cromosoma identificato con il cariotipo in realtà è costituito da due cromosomi legati dal centromero, che verranno appaiati agli altri due corrispondenti.

Southern Blotting. È la tecnica che permette di distribuire su gel di agarosio, per elettroforesi, frammenti di DNA radiomarcati; deriva il nome dal suo inventore e permette di identificare anomalie genetiche che daranno luogo a bande non presenti nel preparato di controllo.

I frammenti di DNA, generalmente ottenuti mediante digestione con enzimi di restrizione, vengono separati elettroforeticamente e trasferiti ad una membrana (di nylon o nitrocellulosa).

Il DNA trasferito su membrana è successivamente ibridato con una sonda marcata (radioattivamente o non) che evidenzia il DNA di interesse.

PCR. È una tecnica di genetica molecolare che permette l’amplificazione di sequenze specifiche di DNA. Si basa sulla possibilità di amplificare tramite una polimerasi il DNA compreso tra due primers introdotti dallo sperimentatore.

La tecnica permette di amplificare in breve tempo tratti specifici di DNA, purchè se ne conosca, almeno in parte, la sequenza. Si avvale di cicli di denaturazione, riassociazione con l’innesco e di estensione per amplificare di oltre 100 volte il numero di copie della sequenza di DNA bersaglio. Questa tecnica ha un grande numero di applicazioni in campi diversi, dalla ricerca alla diagnostica alla medicina legale.

Sequenziamento genico. Consiste nel determinare l’esatta sequenza nucleotidica di un frammento di DNA.

Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti. Sebbene sia opinione comune che l’esposizione a radiazioni ionizzanti per procedure diagnostiche sia da evitare il più possibile, il rischio di subire un danno genetico dopo un’indagine radiologica correttamente eseguita è davvero molto basso. È ovviamente giusto effettuare solo gli esami necessari e non esporsi inutilmente ai raggi X, ma per raggiungere una dose dannosa, un individuo dovrebbe effettuare 250 radiografie. Tuttavia esiste la possibilità di un danno al DNA non dose dipendente, che quindi teoricamente si potrebbe verificare anche dopo una sola radiografia; tale danno, detto di tipo stocastico, è stimato essere pari al rischio di sviluppare un tumore al polmone dopo aver fumato una sola sigaretta!

I test genetici. La diagnosi delle malattie genetiche si basa sull’accurata valutazione clinica e sull’anamnesi familiare che hanno un ruolo primario nel percorso diagnostico. L’esame clinico richiede spesso di essere approfondito e completato con indagini di laboratorio, compresi i test genetici. Per test genetico s’intende l’analisi a scopo clinico di DNA, RNA, cromosomi, proteine, metaboliti o altri prodotti genici per evidenziare genotipi, mutazioni, fenotipi o cariotipo, correlati o meno, con patologie ereditabili umane. Questa definizione include gli screening prenatali, neonatali e dei portatori, così pure i test sulle famiglie a rischio. I risultati di queste indagini si possono applicare alla diagnosi ed alla prognosi di malattie ereditarie, alla predizione del rischio-malattia, all’identificazione dei portatori sani, alle correlazioni fenotipo-genotipo.

Sono oggi disponibili indagini biochimiche, citogenetiche o molecolari che consentono di definirne il difetto genetico e, quindi, di confermare il sospetto clinico, di effettuare la diagnosi in epoca prenatale e di identificare i soggetti a rischio in fase preclinica (o presintomatica). Queste analisi di laboratorio possono includere:

– indagini biochimiche (dosaggi enzimatici);

– indagini citogenetiche (analisi dei cromosomi);

– analisi molecolari (analisi del DNA e dell’RNA).

L’analisi citogenetica viene di solito eseguita su colture di linfociti prelevati dal sangue periferico. Per poter essere analizzati i cromosomi vengono trattati con particolari sostanze coloranti (tecniche di bandeggiamento) che mettono in risalto regioni a diverse intensità di colorazione. I cromosomi bandeggiati vengono suddivisi e classificati secondo una nomenclatura standardizzata. Mediante questa indagine è possibile identificare le alterazioni di numero e di struttura dei cromosomi.

Le analisi molecolari, utilizzano gli acidi nucleici (DNA, RNA) estratti dalle cellule e impiegano tecniche sofisticate (che prevedono l’uso di particolari enzimi o enzimi di restrizione, di retrotrascrizione, di amplificazione del DNA mediante PCR = Polymerase Chain Reaction). Esse consentono di definire le basi biologiche di molte malattie, nonché d’identificare specifiche sequenze/geni, mediante l’uso di sonde molecolari (citogenetica molecolare, ibridazione in situ a fluorescenza o FISH, painting cromosomico ecc.).

1.4.3.2 Ipoacusia neurosensoriale dell’adulto
1.4.3.2.1 Ipoacusia neurosensoriale di tipo progressivo

1.4.3.2.1.1 Ipoacusia neurosensoriale idiopatica progressiva:
diagnosi differenziale

L’inquadramento delle ipoacusie neurosensoriali a carattere progressivo ad eziologia sconosciuta può risultare difficoltoso.

Tali forme possono manifestarsi nell’adulto con una perdita progressiva che più tipicamente coinvolge le medio-alte frequenze della scala tonale. Nella valutazione clinica di tale ipoacusia è necessario tenere presente:

– velocità di progressione;

– anamnesi/familiarità;

– presenza di patologie uditive pregresse;

– bilateralità.


La coclea, come noto, può essere sede di processi patologici di varia natura, microvascolare, dismetabolica, tossica, infiammatoria/immunomediata degenerativi involutivi legati all’età, oltre che di processi patologici ancora non ben definiti.

La definizione diagnostica della patologia cocleare è difficoltosa proprio per la scarsa accessibilità della coclea stessa alle attuali metodiche diagnostiche come indagini istopatologiche o citologiche sui tessuti o sui fluidi cocleari. Pertanto ancora ad oggi, solo l’analisi del “fenotipo” audiometrico può fornire degli indizi per l’inquadramento diagnostico.

Così ad esempio, nella presbiacusia solitamente la perdita udivita (bilaterale) insiste maggiormente sulle frequenze medio-alte e la progressione della perdita uditiva è stimata in circa 1dB per anno sulle frequenze medie e fino a 2-3 dB/anno per le alte frequenze. Nelle forme immunomediate, la velocità di progressione può risultare maggiore, con notevole peggioramento nell’arco di 2-3 mesi, sebbene l’instaurasi di una terapia adeguata possa rallentare tale evoluzione. Infine, nei pazienti affetti da microangiopatia diabetica (con diabete scarsamente controllato) recenti valutazioni suggeriscono una progressione della perdita uditiva stimabile attorno a 2dB/anno.

Oltre alla velocità di progressione, altri utili “indizi” per l’inquadramento diagnostico possono quindi derivare dalla presenza di dati anamnestici significativi, come esposizione a sostanze tossiche o rumore, pregressi traumi cranici (es. EVA sindrome). Nei capitoli successivi saranno trattate le forme più comuni.


1.4.3.2.1.2 Presbiacusia

Definizione. Con presbiacusia (age related hearing impairment - ARHI) si definisce genericamente il decadimento delle funzioni uditive legato all’età, tipicamente caratterizzato da un’ipoacusia neurosensoriale bilaterale e simmetrica, più accentuata sulle frequenze acute.

Epidemiologia. La presbiacusia interessa l’80% degli anziani e rappresenta il più frequente deficit sensoriale in questi soggetti. Un’ipoacusia bilaterale per la quale è indicata una protesizzazione acustica (soglia nell’orecchio migliore > 40 dB) è presente nel: 3,5% dei soggetti tra 60 e 69 anni, 15% dei soggetti tra 70 e 79 anni, 40% degli ultraottantenni (Quaranta,1991).

Eziopatogenesi. La presbiacusia è una malattia complessa, multifattoriale, prodotta dall’interazione tra agenti lesivi ambientali che si sommano nell’arco della vita e di fattori genetici predisponenti. I fattori ambientali sono stati a lungo studiati e disponiamo oggi di un’evidenza confermata sugli effetti dell’esposizione a rumore, dei farmaci ototossici, di sostanze chimiche, traumi, infezioni, patologie mediche croniche e loro trattamento (Tab. I). Resta invece ancora controverso il ruolo del fumo, della malnutrizione e dell’abuso di alcool. I fattori genetici sono ancora poco conosciuti, ma il numero di studi sull’argomento sta crescendo in modo esponenziale negli ultimi anni.


Fattori ambientali

Autore, anno

Rumore

Gates et al., 2000; Kujawa and Liberman, 2006

Farmaci ototossici

Aran et al., 1992; Chen et al., 2006; Selimoglu, 2007

Solventi

Johnson and Nylen,1995 ; Morata et al., 2002; Chang et al., 2006 

Trauma cranico

Danielidis et al., 2007

Abuso di farmaci e tossicodipendenze

Rosenhall et al., 1993; Popelka et al., 2000

Tabacco

Gates et al.,1993; Brant et al., 1996; Itoh et al., 2001; Nomura et al., 2005

Disfunzioni immunitarie

Iwai et al., 2003; Iwai et al., 2001

Diabete e malattie cardiovascolari

Kurien et al., 1989

Dieta, malnutrizione

Seidman, 2000

Fattori ormonali

Guimares et al., 2004

Tab. I. Fattori ambientali e condizioni mediche che possono accelerare la presbiacusia.



APPROFONDIMENTO


Genetica della presbiacusia

Il ruolo dei fattori genetici nella presbiacusia fu ipotizzato sin dalla metà degli anni ’70 sulla base di osservazioni empiriche: da un lato il riscontro di famiglie con più membri affetti da una presbiacusia precoce, che poteva insorgere anche prima dei 45 anni di età e dall’altro l’esperienza clinica di una elevata differenza interindividuale nella perdita uditiva età dipendente. Le norme ISO 7029 (Fig. 1) riguardanti la soglia uditiva media in ampie popolazioni di soggetti hanno confermato questa impressione. Infatti, se consideriamo ad esempio la varianza della soglia a 4 KHz per un anziano di 70 anni, possiamo osservare che la differenza tra 10° e 90° percentile è di 50 dB. Questa varianza non si poteva spiegare esclusivamente sulla base di una diversa entità e numero dei fattori ambientali nei soggetti studiati, ma doveva implicare il ruolo di fattori genetici.

Solo alla fine degli anni ’90 tre studi dimostrarono in modo sperimentale che questa varianza si poteva spiegare nella metà dei casi con fattori ambientali e nell’altra metà con fattori genetici (Karlsson et al., 1997; Gates et al., 1999; Christensen et al., 2001). Infatti, nello studio di Karlsson (Fig. 2) l’ereditabilità della presbiacusia risultò dello 0.47%; valore poi confermato anche negli altri due studi.


Fig. 1. Soglia tonale in funzione dell’età per uomini (a) e donne (b).


Fig. 2. Ruolo dei fattori genetici e dei fattori ambientali nella presbiacusia, come dimostrato in una coorte di 557 gemelli maschi sopra i 65 anni di età (modificato da Karlsson et al.,1997) .


Un notevole contributo alle nostre conoscenze sulla genetica della presbiacusia deriva dallo studio dei topi geneticamente modificati. Vari ceppi di questi topi presentano un’ipoacusia progressiva sulle frequenze acute a partire da 1-2 mesi di età, ovvero molto precocemente, pur considerando che la vita media di questi animali è di 2-3 anni. Le alterazioni dell’orecchio interno in questi topi riproducono fedelmente le alterazioni presenti nella presbiacusia dell’uomo (vedi classificazione della presbiacusia). Nel 1997 fu identificato il primo locus della presbiacusia denominato Ahl 1 (Age Related Hearing Loss) e localizzato sul cromosoma 10 (Fig. 3). In anni successivi è stato dimostrato che la caderina 23 è il gene responsabile al locus Ahl 1 (Noben-Trauth et al., 2003). Le caderine sono proteine Ca++ dipendenti che uniscono cellule uguali per formare i tessuti. Nella coclea l’otocaderina 23 (Cdh23) forma probabilmente i link laterali delle stereociglia (Fig. 4).


Fig. 3. locus Ahl sul cromosoma 10.


Fig. 4. Tip link tra le ciglia delle cellule cigliate.


Il funzionamento della Cdh23 è strettamente dipendente dalla concentrazione di Ca++ attorno alle stereociglia (tipicamente 7 molecole di Ca++ per ogni Cdh 23). A sua volta, l’omeostasi del calcio è regolata dalla pompa di membrana Ca ++_ ATPase tipo 2 pump (Pmca2). Un gene modificante che controlla Pmca2 identificato nei topi deaf-waddler (mdfw), ovvero topi sordi e che non hanno equilibrio, è allelico con il gene Ahl 1. In conclusione, l’omeostasi del calcio è fondamentale nella suscettibilità all’invecchiamento ed al rumore e numerosi geni modificanti possono avere un ruolo importante nella presbiacusia a dimostrazione della complessità di questi meccanismi. Un secondo locus Ahl2 è stato localizzato sul cromosoma 5, nei topi NOD/Ltj (Johnson & Zheng,2002); un terzo locus Ahl3 sul cromosoma 17, topi B6 (Nemoto et al., 2004) ed un quarto locus Ahl4 sul cromosoma 10 distale nei topi A/J (Zheng et al., 2009).

Purtroppo, tra i vari geni candidati per la presbiacusia nel topo (DeStefano et al., 2003; Garriger et al., 2006), solo per alcuni è stato dimostrato un ruolo nell’uomo.

Recentemente è stata dimostrata una significativa associazione tra alcuni polimorfismi di singoli nucleotidi (SNP) del gene KCNQ4 e presbiacusia (Van Eyken et al., 2006). È questo un gene localizzato sul cromosoma 1, che controlla la sintesi di una proteina costituente un canale specializzato per il potassio, le cui mutazioni determinano una sordità non sindromica autosomica dominante, DFNA2. Il fenotipo è caratterizzato da ipoacusia più accentuata sugli acuti che progredisce di circa 1 dB/anno.

Un’ulteriore associazione, studiata da diversi autori, riguarda presbiacusia e geni che contribuiscono a proteggere la cellula verso lo stress ossidativo. L’esatto meccanismo con il quale i radicali liberi dell’ossigeno (ROS) accelerano la presbiacusia è tuttora sconosciuto, ma sembra dimostrata l’azione protettiva di alcuni enzimi antiossidanti sull’orecchio interno. Un polimorfismo della N-acetiltransferasi 2 (NAT2) sarebbe correlato significativamente con la presbiacusia nell’uomo. Alti livelli di stress ossidativo sarebbero inoltre correlati con un’elevata frequenza di mutazioni del DNA mitocondriale (mtDNA) nella coclea e questo, a sua volta, è risultato essere proporzionale al danno uditivo (Fischel-Ghodsian et al.,1997). Una comune mutazione nel mtDNA è la delezione 4977 bp, osservata con elevata frequenza in anziani presbiacusici, ma rara nei controlli normoacusici.

Un ulteriore SNP, localizzato nel gene GRM7 (recettore metabotropico per il glutammato tipo 7), è verosimilmente correlato con la presbiacusia (Friedman et al., 2009). Questo gene controlla un recettore per il glutammato, primo neurotrasmettitore eccitatorio nel sistema nervoso centrale, ampiamente espresso nelle sinapsi tra i neuroni del ganglio spirale e cellule cigliate interne ed esterne. Un’alterazione funzionale di questo recettore sarebbe responsabile di una mancata autoregolazione dei livelli di glutammato e nel tempo di una eccitotossicità causa di morte neuronale e/o delle cellule sensoriali.

L’identificazione dei fattori genetici implicati nella presbiacusia potrebbe avere ricadute pratiche importanti: ad esempio soggetti geneticamente predisposti dovrebbero essere più strettamente monitorati e protetti dal rumore, solventi, farmaci ototossici e traumi, rispetto a soggetti non predisposti. Inoltre, potrebbe concretizzarsi un approccio di tipo “farmaco-genomico”, nel quale la terapia farmacologia viene adattata al personale background genetico, come pure l’utilizzo di tecniche di ingegneria genetica.


Quadri clinici. Le curve descrittive della presbiacusia (ISO 7029, 2000), ovvero le funzioni che mettono in relazione età e soglia tonale presentano una varianza elevata, dovuta a notevoli differenze interindividuali. Inoltre, le metanalisi di più studi dimostrano differenze significative in rapporto alla popolazione inclusa.

Queste differenze nelle diverse popolazioni esaminate riflettono: differenze nella predisposizione genetica, grado di esposizione al rumore sociale e/o lavorativo, la misura in cui i soggetti con patologie dell’orecchio sono stati esclusi dal campione esaminato.

Il peggioramento della soglia uditiva è maggiore ed inizia più precocemente per le alte frequenze, riflettendo un maggior interessamento del giro basale della coclea. Inoltre, i maschi sono affetti in misura maggiore delle femmine, probabilmente in rapporto alla maggiore esposizione al rumore lavorativo e voluttuario.

La perdita uditiva per i suoni acuti si associa ad un progressivo peggioramento della intelligibilità verbale. Tuttavia, in condizioni ottimali di ascolto (quiete, segnale non degradato, basso riverbero) i punteggi nei test di audiometria vocale sono simili a quelli ottenuti da soggetti giovani con uguale perdita uditiva sugli acuti. Meno dell’1% degli anziani ha una comprensione verbale in quiete discrepante con la soglia tonale.

Al contrario, in condizioni difficili di ascolto gli anziani lamentano quasi sempre una difficoltà di comprensione del messaggio verbale. In effetti, già a partire dalla quinta decade di vita si osserva un significativo peggioramento nei test di audiometria vocale con rumore competitivo o con segnale verbale degradato (accelerato, interrotto, filtrato, con riverbero elevato). Questo peggioramento è superiore rispetto a quanto atteso dalla soglia tonale, anche se presenta una notevole variabilità interindividuale. Probabilmente solo le funzioni di analisi che richiedono processamenti rapidi, perdono di efficienza con l’età: in particolare la decodifica delle caratteristiche temporali. Questo giustificherebbe le difficoltà di ascolto nel rumore o con segnale degradato. Dal 44 al 60% degli anziani, in rapporto all’età, riferiscono difficoltà di comprensione nel rumore. Nella comunicazione verbale quotidiana il rapporto S/R è spesso compreso tra +5 e +8 dB. Questo rapporto S/R è decisamente sfavorevole per l’anziano ipoacusico, per il quale sarebbe adeguato un rapporto di almeno +12 dB (Nabelek, 1982).


Fig. 5. Presbiacusia sensoriale: marcata e diffusa atrofia dell’organo di Corti.


Purtroppo è difficile stabilire quanto l’impairment uditivo negli anziani sia dovuto a fattori periferici, ovvero all’orecchio medio, coclea e nervo cocleare, e quanto a fattori centrali, ovvero a disordini delle vie uditive centrali, dell’attenzione, della memoria o di altri fattori cognitivi. È verosimile pensare che già a livello cocleare i processi di analisi uditiva (analisi di frequenza, intensità e fattori temporali) peggiorino con l’invecchiamento. L’ingresso di un segnale uditivo degradato nelle vie uditive centrali aumenterebbe ulteriormente le difficoltà e gli errori di processamento centrale (analisi fonologica, semantica, sintattica). Infatti, gli errori introdotti in ogni fase del processo di decodificazione e codificazione del messaggio verbale moltiplicano le difficoltà di analisi al livello successivo.

La difficoltà nello studio della presbiacusia risiede proprio nell’impossibilità di separare il contributo dei fenomeni di distorsione cocleare, rispetto ai disturbi di processamento centrale. Sono state proposte delle ampie batterie di test uditivi, ma anche con un notevole dispendio di tempo e di impegno da parte del paziente anziano è difficile raggiungere conclusioni affidabili. La possibilità di quantificare e di localizzare il disturbo prevalente, sarebbe di grande utilità nel programmare una riabilitazione uditiva efficace e personalizzata per ogni anziano con disturbi uditivi.

Classificazione della presbiacusia. La classificazione della presbiacusia proposta da Schuknecht sulla base di osservazioni istomorfologiche e correlati clinici condotte da questo ricercatore a partire dagli studi pionieristici del 1955, mantiene anche oggi il suo interesse didattico e speculativo. Tuttavia, va ricordato che nella pratica clinica si osserva per ogni paziente anziano una sovrapposizione delle varie forme qui descritte.

La presbiacusia sensoriale (Fig. 5) è caratterizzata da degenerazione delle cellule cigliate prevalentemente a carico del giro basale e secondaria atrofia del ganglio spirale e delle fibre del nervo cocleare

La curva audiometria è in discesa sugli acuti e l’intelligibilità verbale è proporzionale all’innalzamento della soglia tonale

Nella presbiacusia neurale l’aspetto prevalente è la perdita di neuroni del ganglio spirale che può raggiungere il 50%. In realtà, la riduzione primaria di questa popolazione neurale è rara, mentre più frequente sarebbe la riduzione causata da fenomeni di degenerazione retrograda, ovvero secondaria al danno delle cellule cigliate. Clinicamente la presbiacusia neurale si manifesta con una marcata compromissione della discriminazione verbale, che inizierebbe quando i neuroni residui scendono a 15-20.000. I test uditivi centrali sono significativamente compromessi, in assenza di deficit cognitivi. L’intelligibilità è già ridotta con stimoli iuxtaliminari, ma cade marcatamente con intensità elevate o con mascheramento continuo. Si osservano inoltre ridotti tempi di recupero (adattamento patologico) e segni di sovraccarico delle vie neurali.

La presbiacusia metabolica o striale (Fig. 6) è caratterizzata da una degenerazione della stria vascolare con riduzione dei meccanismi energetici e quindi con compromissione dei processi attivi delle cellule cigliate esterne. Ne consegue una perdita della soglia tonale di entità medio –lieve, pantonale.

Va ricordato come un’atrofia del 20-30% della stria vascolare riduce del 20% il potenziale endococleare (PE), mentre un’atrofia > 50% riduce il PE a valori di 20mV o meno e l’amplificatore cocleare cessa completamente di funzionare (Ohlemiller,2009). Un danno nei meccanismi cocleari necessari alla produzione di energia sarebbe dovuto inoltre alle mutazioni del DNA mitocondriale (mtDNA) ed all’accumulo di radicali liberi (ROS). Esiterebbe infatti una correlazione tra grado di ipoacusia dell’anziano e danno del mtDNA.

La presbiacusia centrale sarebbe invece secondaria ad una degenerazione delle vie uditive centrali sino alla corteccia uditiva. La perdita neuronale dei nuclei cocleari del tronco varia secondo autori diversi dal 25% al 48% (Arnesen,1982, Konigsmark,1962). Esistono tuttavia evidenze isto-morfologiche contrastanti sui fenomeni di deterioramento neuronale a livello della corteccia uditiva. Il giro temporale superiore risulterebbe più sottile, con una riduzione di spessore di circa il 30%. Vi sarebbe inoltre una riduzione delle fibre del corpo calloso ed altri processi degenerativi, quali gliosi, amiloidosi ed inclusioni citoplasmatiche di lipofuscina. Tuttavia, per altri autori queste differenze non sarebbero significative.

Effetti psicologici della presbiacusia. La presbiacusia può compromettere la qualità della vita ed il benessere psicologico: diversi studi dimostrano una significativa correlazione tra grado di ipoacusia nell’anziano e numero di attività quotidiane perse, partecipazione ad attività sociali, punteggi ai test cognitivi, sintomatologia depressiva e grado di ansia (Dalton et al., 2003; Gates and Mills, 2005; Heine and Browning, 2002).


Fig. 6. (a) Presbiacusia metabolica o striale. Area focale di atrofia. (b) Presbiacusia metabolica o striale: diffusa atrofia del giro apicale.


Tab. I.


Come riportato in Tabella I, non solo la sordità nell’anziano aggrava il deterioramento cognitivo e la depressione, ma in presenza di deterioramento cognitivo, la sordità e la depressione possono scatenare una crisi di delirio e predisporre alla demenza.

Terapia. In Italia l’utilizzo di protesi acustiche nell’anziano presbiacusico è ancora molto inferiore rispetto ad altri Paesi industrializzati. Tra le varie cause di questo scarso utilizzo delle protesi sono determinanti l’elevato costo, una scarsa accettazione della protesi per motivi estetici o psicologici, la scarsa motivazione soprattutto nell’anziano depresso o socialmente isolato e non ultima la mancata collaborazione da parte dei familiari.

La terapia farmacologia non ha ancora dimostrato una efficacia confermata nell’uomo. Vi sono tuttavia alcuni dati incoraggianti e nell’animale sono stati dimostrati effetti protettivi da parte di antiossidanti tiolici, “scavengers” dei ROS, farmaci chelanti il ferro, metaboliti mitocondriali (acetyl-1carnetina, α acido lipoico), neurotrofine, agenti anti-apoptotici, GABA ed altre molecole.Iinfine, se per molto tempo si è sostenuto che la coclea fosse incapace di rigenerare le cellule sensoriali e neuronali, sappiamo oggi che una qualche forma di rigenerazione è possibile. Gli studi sulla rigenerazione cellulare ed ancor più sull’utilizzo di cellule staminali sono purtroppo ancora in una fase del tutto iniziale ed ostacolati da molte difficoltà tecniche.


1.4.3.2.1.3 Trauma acustico e ipoacusia professionale

Definizione. Per trauma acustico si intende l’esposizione ad un rumore di intensità elevate, tale da determinare un danno uditivo, quasi sempre a livello cocleare. Il danno da rumore è spesso secondario all’esposizione in ambiente lavorativo e si definisce in tal caso come sordità professionale.

Eziopatogenesi. In rapporto alla reversibilità o meno della perdita uditiva si distinguono:

1) deficit uditivo transitorio o TTS (temporary threshold shift)

2) deficit uditivo permanente o PTS (permanent threshold shift).


Fig. 1. Meccanismo patogenetico del danno da rumore.


Il TTS si risolve totalmente in alcune ore ed è causato da una singola esposizione a rumore intenso anche di breve durata. Il PTS è invece irreversibile ed è causato da un’esposizione prolungata ad un rumore di intensità > 75 dB, oppure ad esposizioni più brevi a rumore di maggiore intensità. Indagini statistiche su ampie popolazioni di soggetti esposti hanno dimostrato che il minimo livello di intensità di rumore in grado di determinare un innalzamento della soglia uditiva a 4 KHz è di circa 75 dB. Aumentando il livello di intensità aumenta sia il numero di soggetti con ipoacusia, sia l’entità della perdita uditiva. Un’esposizione ad 85 dB per 8 ore al giorno causa un’ipoacusia nel 10% dei lavoratori esposti ed arriva ad interessare quasi tutti i soggetti se il livello supera i 95 dBA, Tuttavia la suscettibilità al danno da rumore presenta una ampia variabilità in soggetti diversi in rapporto ad una diversa predisposizione genetica (vedi approfondimento sulla genetica della presbiacusia). Il danno tende a peggiorare rapidamente nei primi anni, mentre tende a stabilizzarsi o ad aumentare molto poco dopo i 10-15 anni di esposizione.

In Figura 1 sono schematizzati i meccanismi del danno cellulare: 1) eccessiva liberazione di glutammato, neuromediatore sinaptico tra cellule ciliate e fibre afferenti; il glutammato eccedente causerebbe un’eccessiva penetrazione di ioni Ca++ con conseguente danno della cellula ciliata (cosiddetta eccitotossicità da glutamato); 2) aumentata produzione di radicali liberi e perossidazione lipidica. L’esposizione a rumore intenso aumenta la produzione di ROS. I ROS danneggiano il metabolismo cellulare ed aumentano il danno del DNA mitocondriale. 3) riduzione del flusso ematico cocleare che, associato all’aumentato metabolismo prodotto dall’elevata stimolazione acustica, determina un’ipossia cocleare.

Anatomia patologica. Il danno provocato dal rumore nella quasi totalità dei casi si manifesta a livello cocleare. Solamente esposizioni a livelli altissimi di rumore (>120dB), quali esplosioni, possono determinare lacerazioni della membrana timpanica per effetto del notevole spostamento d’aria o lussazioni della catena ossiculare. Il danno cocleare è localizzato inizialmente alle cellule ciliate esterne ed è inizialmente solo morfologico con alterazioni soprattutto delle stereociglia e del piano cuticolare. Successivamente possono comparire apoptosi e necrosi cellulare. Il danno alle CCE interessa inizialmente la fila più esterna del giro basale, poi si estende alle file intermedia ed interna, mentre solo nelle fasi più avanzate sono coinvolte le cellule ciliate interne (Fig. 2).


Fig. 2. Strutture dell’organo di Corti particolarmente vulnerabili al trauma acustico. B: normali CCE; C: alterazioni delle stereociglia e D: danno più grave delle ciglia associato a perdita di alcune CCE dopo esposizione a rumore. I: normali capillari della stria vascolare con cellule ematiche nel lume; J: vaso sanguigno occluso (frecce) con assenza di elementi cellulari nel lume dopo esposizione a rumore. E: normali cellule dei pilastri; F: alterazioni nelle stesse cellule dopo esposizione a rumore. G: normale giunzione neurosensoriale; H: dopo esposizione a rumore rigonfiamento e vacuolizzazione del 1° neurone. Tutte le immagini sono ottenute da esperimenti sul cincillà. (da Henderson et al., The Role of Oxidative Stress in Noise-Induced Hearing Loss Ear & Hearing 2006 Lippincott Williams & Wilkins).


Traumi acustici violenti possono causare un’alterazione strutturale della coclea con lacerazione delle membrane cocleari e commistione dei fluidi labirintici. Questa commistione sovverte totalmente l’omeostasi chimica provocando generalmente la necrosi delle cellule a contatto con i liquidi cocleari.

Quadro clinico. Il trauma acustico acuto può determinare acufeni e sensazione di pienezza auricolare, che si risolvono generalmente in poche ore. Il danno da trauma acustico cronico si sviluppa invece molto lentamente e diviene soggettivamente apprezzabile solo quando la perdita uditiva è già in fase avanzata. I primi sintomi possono essere una difficoltà nella comprensione verbale in presenza di rumore e nella percezione di suoni acuti. L’effetto protettivo di sostanze antiossidanti è stato dimostrato nell’animale da laboratorio, ma non nell’uomo.


Fig. 3. Tipiche configurazioni “a cucchiaio” della soglia tonale nel trauma acustico acuto e nell’ipoacusia professionale.


Diagnosi. L’audiometria tonale dimostra una perdita uditiva neurosensoriale inizialmente settoriale sui 4-6 KHz. Successivamente sono interessate le frequenze 2-3 ed 8 KHz. Soprattutto nei soggetti più giovani il profilo audiometrico ha un caratteristico andamento “ a cucchiaio”, mentre nell’anziano questo profilo di soglia può essere meno chiaro per la contemporanea presenza di una perdita sugli 8 KHz, secondaria alla presbiacusia (Fig. 3).

Il riflesso stapediale, i test sovraliminari e l’audiometria vocale dimostrano generalmente fenomeni di recruitment. L’esatta determinazione della soglia audiometrica può essere difficoltosa per la scarsa collaborazione del lavoratore, che può avere interesse a simulare, ovvero a protestare una ipoacusia in realtà non esistente, oppure ad esagerare un deficit uditivo presente, ma di entità minore. Per svelare una simulazione od una esagerazione si possono applicare i seguenti test:

– ripetizioni successive od a distanza di tempo dell’esame audiometrico ricercando eventualmente la soglia sia in salita (aumentando l’intensità del tono puro a passi di 5-10 dB), sia in discesa (riducendo l’intensità sempre a passi di 5-10 dB). Se le differenze così ottenute sono superiori a 10-15 dB si può sospettare una simulazione

– audiometria vocale e confronto della SRT (soglia di percezione o del 50%) con la PTA (media dei valori di soglia a 500, 1000 e 2000 Hz)

– soglia del riflesso stapediale, che deve essere sempre superiore alla soglia tonale, anche in presenza di recruitment marcato.


Nelle simulazioni più difficili può essere necessario ricorrere all’ABR, al test di Azzi, di Lombard ed all’audiometria automatica.

Una soglia uditiva con la tipica configurazione “a cucchiaio” può essere asimmetrica per l’uso di armi da fuoco (cacciatori, forze dell’ordine), per esagerazione, o molto raramente per esposizione costante ad un rumore che proviene da uno stesso lato (postazione di lavoro fissa a lato di una macchina rumorosa). L’esposizione a trauma acustico da sparo per attività lavorativa o ludica determina tipicamente un’ipoacusia più grave per l’orecchio sinistro nel destrimane e per l’orecchio destro nel mancino.


Aspetti medico legali e preventivi

Quando il trauma acustico è secondario all’attività lavorativa del paziente il medico deve attenersi scrupolosamente alle norme legislative vigenti. Gli obblighi medico legali ed assicurativi sono:

1) obbligo di redigere il referto da inviare all’Autorità Giudiziaria (o a chi per legge sia obbligato a riferire all’Autorità Giudiziaria)

2) obbligo di denuncia all’ULSS

3) obbligo di denuncia all’INAIL.


Ai sensi del Codice Penale l’aver cagionato una lesione personale che comporti un indebolimento permanente di un organo di senso è reato perseguibile d’ufficio e pertanto anche nel solo sospetto di lesione permanente vi è obbligo di redigere il referto (365 Codice Penale). Si considera generalmente come apprezzabile una riduzione del senso dell’udito, e pertanto penalmente perseguibile, una perdita superiore a 25 dB per le frequenze tra 0,5 e 4 KHz. Al fine di prevenire l’insorgenza o l’aggravamento di una ipoacusia professionale i lavoratori esposti devono essere sottoposti a:

1) audiometria solo su richiesta del soggetto quando i livelli di esposizione sono inferiori ad 85 dB

2) audiometria ogni 2 anni e consiglio di utilizzare protezioni acustiche individuali (cuffie od inserti endaurali che riducono il rumore sino a 20 dB) quando i livelli sono compresi tra 85 e 90 dBA

3) audiometria annuale ed obbligo di utilizzo delle protezioni acustiche individuali per livelli di esposizione superiori a 90 dB.


1.4.3.2.1.4 Ipoacusia progressiva su base genetica

APPROFONDIMENTO


Proctor e Coll., in una vasta analisi dei lavori scientifici sulle sordità progressive pubblicati negli anni 1952-59, prendono in esame innumerevoli cause di sordità progressiva e tra queste un certo spazio è anche dedicato alle forme ereditarie. Di particolare interesse assumono queste affermazioni di van Egmond “There are two types of congenital hereditary deafness: 1) dominant hereditary, 2) recessive sporadic. Dominant inner-ear deafness is rarely congenital. It develops in middle age, has a strong progression with frequent lengthy pauses, and a loss of hearing for all frequencies.”

I progressi della biologia e della genetica molecolare hanno dato un contributo importante alla comprensione della fisiologia e fisiopatologia dell’orecchio interno. Questo vale non solo per le forme profonde e congenite d’ipoacusia neurosensoriale di cui sono noti i ruoli di connessine, miosine, pendrina e usherine, ma anche per le forme progressive ad insorgenza tardiva: si ricordi il ruolo dei geni COL4A nella membrana basilare nella sindrome di Alport, il gene della glomerulosclerosi Mpv17, deficienza che conduce a notevoli alterazioni delle strutture dell’orecchio interno e il gene COCH (nei pazienti con mutazioni nel gene COCH, si ha deposizione di sostanze acidofile nell’orecchio interno che può causare la degenerazione di assoni e dendriti cocleari e vestibolari). Le ipoacusie geneticamente determinate si possono sviluppare a qualsiasi età nel corso della vita, sia come manifestazione unica del gene mutante, sia come parte di una sindrome ereditaria, oppure come risultato dell’interazione con fattori esogeni; è infatti possibile che le mutazioni in alcuni geni rendano l’orecchio più sensibile a fattori ambientali che causano un danno dell’orecchio interno (ad esempio esposizione al rumore, infezioni, lesioni e farmaci ototossici). Anche se la maggior parte delle forme genetiche sono congenite, una serie di anomalie dell’udito appaiono durante o dopo il primo decennio di vita e sono progressive.


Ipoacusie non-sindromiche progressive

La maggior parte delle ipoacusie neurosensoriali post-linguali non sindromiche sono autosomiche dominanti. Anche se in letteratura sono riportati molti casi di famiglie con mutazione autosomica dominante (AD) che hanno manifestato forme d’ipoacusia progressiva non esistono dati epidemiologici sulla prevalenza delle ipoacusie genetiche nella popolazione adulta. La DFNA1 è la tipica forma (ipoacusia di ‘Monge’) in cui sono coinvolte le basse frequenze durante i primi anni, si ha la progressione della compromissione dell’udito che comporta il coinvolgimento delle alte frequenze negli anni successivi. Individui più anziani con questo genotipo mostrano una perdita uditiva che coinvolge tutte le frequenze. Questo vale anche per alcuni altri disordini non sindromici dell’udito che all’inizio possono avere differenti profili audiometrici (ad esempio, che coinvolgono medie o alte frequenze) che diventano sovrapponibili in età adulta, ad esempio grave ipoacusia pantonale con possibile caduta sulle alte frequenze. Si definisce “ipoacusia progressiva” una perdita di 15 dBHL nel PTA in un periodo di 10 anni (European Work Group on Genetic Hearing Impairment, 2000).

Studi recenti hanno identificato tre possibili geni responsabili di ipoacusia neurosensoriale progressiva a trasmissione autosomico-recessiva: LOXHD1 (lipoxygenase homology domains 1), PJVK (pejvakin) e MYO3A (miosina 3A), espressi nelle cellule ciliate dell’orecchio interno ed in particolare PJVK (che codifica per una proteina citoplasmatica) è espresso a livello del ganglio spirale. Questi tre geni sono indispensabili per la normale fisiologia delle cellule ciliate dell’orecchio interno. Nei modelli animali, mutazioni a carico del gene LOXHD1 alterano la normale funzionalità delle cellule ciliate; studi condotti sul DNA di famiglie affette da ipoacusia progressiva hanno permesso di individuare una mutazione responsabile di DFNB77, a trasmissione autosomica recessiva, e il gene umano corrispondente è stato localizzato sul braccio lungo del cromosoma 18 (Grillet et al., 2009). Altre forme progressive autosomico-recessive sono attribuite a mutazioni dei geni PVJK e MYO3A: rispettivamente DFNB59, caratterizzata da neuropatia (Delmaghani et al., 2006) e DNFB30.

Altri geni le cui mutazioni possono determinare ipoacusia neurosensoriale progressiva sono MYH9 (Myosin, heavy chain 9) e WFS1 (sindrome di Wolfram o DIDMOAD). In particolare mutazioni a carico del gene MYH9, che codifica per la catena pesante della miosina non-muscolare IIA, sono responsabili di fenotipi riconducibili alla sindrome di Epstein, di Fechtner, di Sebastian e all’anomalia di May-Hegglin. Tale classificazione è da ritenersi tuttavia superata perchè non in grado di descrivere la complessità dei quadri fenotipici conseguenti alle mutazioni del gene. A quadri clinici così ampi e variabili è stato dato il nome di disordini MYH9-correlati (o malattia MYH-9 correlata), caratterizzati da grandi piastrine e in bassa concentrazione, glomerulonefrite e ipoacusia neurosensoriale progressiva per le alte frequenze che insorge in età giovane adulta. Tutti i pazienti presentano alla nascita piastrinopenia, ma alcuni di loro sono destinati a sviluppare negli anni successivi glomerulonefrite cronica e/o deficit uditivo neurosensoriale e/o cataratta presenile. Il pattern clinico è ereditato in maniera autosomica dominante. A trasmissione autosomica recessiva è invece la sindrome di Wolfram (o DIDMOAD, nota anche come DFNA 6/14/38), dovuta a mutazioni a carico del gene WFS1, caratterizzata da una perdita progressiva sulle basse frequenze, dopo un iniziale decadimento sui toni acuti, disordini neurodegenerativi progressivi, diabete mellito e atrofia ottica prima dei 15 anni, atassia, neuropatia periferica e altre alterazioni neurologiche.


Ipoacusie sindromiche progressive

La perdita progressiva dell’acuità uditiva è stata riscontrata in alcune sindromi caratterizzate da disturbi oculari, come la CHARGE, e la sindrome di Usher tipo III. Inoltre, la perdita dell’udito è progressiva nelle sindromi di Alstrom, Refsum e Norrie, nell’albinismo oculare, in alcuni tipi di atrofia otica, in alcune forme di cataratta. In quest’ultima condizione ereditaria, i risultati istopatologici hanno evidenziato una grave degenerazione cocleosacculare. Inoltre, nella sindrome di Stickler (o artro-oftalmopatia ereditaria), una perdita uditiva neurosensoriale e progressiva per le alte frequenze è riportata nell’80% dei casi. In genere si ha progressivo indebolimento dell’udito nella sindrome di Alport (nefrite e ipoacusia neurosensoriale), di Epstein (macrotrombocitopenia, nefrite e ipoacusia neurosensoriale), di Lemieux-Neemeh (nefrite, neuropatie motorie e sensitiva, ipoacusia progressiva) e di Muckle-Wells (nefrite, orticaria, amiloidosi e ipoacusia neurosensoriale). Solitamente i pazienti presentano ipoacusia di grado severo ed il tasso di progressione non è correlato al grado di compromissione della funzionalità renale. La maggior parte delle ipoacusie neurosensoriali associate a disordini del sistema nervoso sono di fatto progressive. È così per le sindromi associate ad atassia (sindrome di Cockayne, di Klippel-Drante, di Hallgren, di Richards-Rundle), per quelle associate a disordini neuromuscolari (sindrome di Brown-Vialetto-Van Laere, la sindrome autosomica dominante di Charcot-Marie-Tooth, di Hagemoster, la sindrome di Pauli, ecc.) e per quelle associate a neuropatie sensoriali e del sistema nervoso autonomo (sindrome di Hicks, ecc.), o sindromi mitocondriali come la sindrome di Kearns-Sayre (oftalmoplegia maggiore), MELAS (encefalomiopatia mitocondriale, acidosi lattica, episodi ictus-simile e ipoacusia neurosensoriale), o altre forme come la sindrome di Wells-Jankovic (paraplegia spastica, ipogonadismo e ipoacusia neurosensoriale). Poche anomalie dell’orecchio interno sono riportate da un punto di vista istopatologico: atrofia del neuroepitelio, degenerazione delle cellule ciliate, grave degenerazione cocleosacculare, prominenza vascolare con emorragie e degenerazione quasi completa delle fibre nervose della lamina spirale, gliosi dei nuclei cocleari ventrali e degenerazione dei nervi cocleovestibolari.

L’ipoacusia neurosensoriale a carico delle alte frequenze è un riscontro comune in età giovane-adulta nei disordini metabolici come l’alfa-D-mannosidosi, la malattia di Fabry, la malattia di Krabbe e l’adrenoleucodistrofia. Le mucopolisaccaridosi (MPS) sono un gruppo di disordini metabolici che coinvolgono il metabolismo degli eteroglicani, e ciascuna è caratterizzata dalla carenza di uno specifico enzima. Le mucopolisaccaridosi sono prevalentemente malattie pediatriche. La MPSII (malattia di Hunter), la forma lieve, è compatibile con la sopravvivenza fino all’età adulta, e un certo grado di perdita uditiva si sviluppa nella maggior parte delle persone interessate; il deficit è di solito misto e deriva da una combinazione di infezioni dell’orecchio medio e infiltrazione di glicosaminoglicani del ganglio otico. La MPSIV (sindrome di Morquio) presenta ipoacusia neurosensoriale progressiva o mista che si sviluppa nella tarda infanzia. Inoltre, nella sindrome DIDMOAD (diabete insipido, diabete mellito, atrofia otica, sordità neurosensoriale della sindrome di Wolfran), l’ipoacusia neurosensoriale coinvolge inizialmente le alte frequenze e si estende poi alle frequenze più basse, probabilmente correlata all’atrofia della stria vascolare.

La maggior parte delle ipoacusie genetiche associate ad alterazioni dell’apparato tegumentario o a disturbi oro-dentali sono congenite e profonde, ma alcune si presentano con perdita progressiva dell’udito, come la sindrome di Waardenburg di tipo II, la sindrome di Crandall, la sindrome otodentale, e, in alcuni casi, l’ittiosi. La maggior parte degli audiolesi X-linked sono affetti da mutazioni nel gene POU3F4 che causano o perdita progressiva dell’udito mista o severa ipoacusia neurosensoriale congenita.


L’effetto dell’invecchiamento nelle ipoacusie genetiche

Relativamente pochi sono i lavori che hanno preso in esame l’effetto dell’invecchiamento “normale” sulle ipoacusie cosiddette progressive di tipo genetico. Recentemente il nostro gruppo ha esaminato i dati clinici ed audiometrici riguardanti 105 gruppi familiari (kindred) portatori di ipoacusia di tipo ereditario, con il duplice obiettivo di caratterizzarli dal punto di vista classificativo in accordo con il fondamentale lavoro di Konigsmark e Gorlin (1976), rivisto da Gorlin, Toriello e Cohen (1995) e di analizzare l’effetto dell’età sulla progressione dell’ipoacusia.

In particolare, analizzando 65 kindred con ipoacusia neurosensoriale non-sindromica (NS-SNHL), per un totale di 220 soggetti clinicamente “affetti”, la maggior parte dei kindred (75%) presentava una forma autosomica dominante (AD), mentre la rimanente parte presentava una forma autosomica recessiva (AR); un solo kindred evidenziava un pattern di trasmissione X-linked. Alcuni dati interessanti vengono dalla analisi del gruppo più numeroso, quello AD progressivo sulle frequenze acute, che comprendeva 26 kindred, per un totale di 98 soggetti. In questo gruppo è stato paragonato l’esame audiometrico medio di 42 soggetti sotto i 30 anni con l’esame audiometrico medio dei 24 soggetti sopra i 50 anni; le due curve audiometriche venivano poi corrette per l’effetto età sulla base delle indicazioni ISO 1999. Utilizzando un metodo simile a quello utilizzato per la valutazione degli effetti dell’esposizione al rumore, sostituendo il “fattore” “ipoacusia da rumore” con quello “ipoacusia di tipo ereditario”, si sono evidenziati nei gruppi AD-NS-SNHL che avevamo preso in esame, i seguenti tre tipi di evoluzione di una ipoacusia di tipo ereditario:

A) l’ipoacusia peggiora progressivamente con un andamento età-dipendente parallelo a quello della popolazione di riferimento;

B) l’ipoacusia peggiora precocemente e ad una velocità più rapida di quella della popolazione normale, dimostrando quindi una interazione tra i fattori causali della presbiacusia e quelli inerenti la patologia cocleare di tipo ereditario;

C) un grado di ipoacusia che rimane stabile per tutta la vita, dimostrando una specie di resistenza agli effetti della presbiacusia.

Audiologia e Foniatria
Audiologia e Foniatria
Martini A. - Prosser S. - Aimoni C. - Bovo R. - Ciorba A. - Trevisi P.
VERSIONE EBOOKQuesto manuale è principalmente indirizzato agli studenti che frequentano corsi in cui si richiede una conoscenza dei disordini del sistema uditivo-vestibolare e del sistema fonatorio. Lo scopo per cui è stato scritto era di disporre di un testo agile da suggerire agli studenti come complemento ai trattati di ORL comunemente in uso. Gli argomenti sono suddivisi in tre parti (AUDIOLOGIA, VESTIBOLOGIA e FONIATRIA). La prima riguarda il sistema uditivo e comprende l’anatomo-fisiologia, i principali mezzi di indagine diagnostica, la clinica (comprese le malattie dell’orecchio esterno e medio), nozioni di base di otochirurgia e i sussidi protesici (protesi uditive, protesi impiantabili, impianti cocleari). La seconda è dedicata ai disordini vestibolari periferici e centrali: la parte clinica è preceduta da una descrizione dell’anatomo-fisiologia e dei mezzi diagnostici del sistema vestibolare. La terza parte riguarda i disordini della voce e del linguaggio, in particolare quelli dell’età evolutiva. Nella trattazione dei vari argomenti si è cercato di mantenere uno schematismo per facilitare un apprendimento abbastanza veloce dei temi essenziali. Molti temi sono stati ampliati da “approfondimenti” che abbiamo ritenuti opportuni per meglio spiegare la patologia e la clinica. Questi sono stati evidenziati a stampa diversa, e potranno essere utilizzati secondo i programmi individuali di studio o, augurevolmente, solo per curiosità. L’Audiologia-Foniatria, benché presente nell’ordinamento delle facoltà mediche come specialità autonoma, non ha trovato almeno in Italia un’ampia diffusione nel servizio sanitario nazionale. Questo manuale si propone quindi come mezzo di aggiornamento anche per il medico generico e lo specialista ORL, che diventano molto spesso i primi a fronteggiare patologie di tipo audio-vestibolare e foniatrico anche di elevata occorrenza, che tuttavia possono richiedere una base aggiornata di conoscenze specifiche per essere adeguatamente inquadrate. Questo volume è stato scritto “a più mani”, ma tutti i capitoli sono stati oggetto di discussione “assieme” e rappresenta 20 anni di esperienza maturata tra un gruppo di colleghi-amici nell’Audiologia di Ferrara.