10. ASPETTI IMMUNOLOGICI ED ALLERGOLOGICI

FEDERICA DI BERARDINO

La sindrome di Down (SD) si associa ad un aumentato rischio di leucemie (1), di malattie autoimmuni (2) e ad una maggiore suscettibilità alle infezioni delle vie aeree, della cute e del sistema gastroenterico (3). Questa predisposizione alle infezioni è particolarmente evidente a carico del tratto respiratorio superiore dove è riferibile ad un deficit dell’immunità specifica ed aspecifica (4). Le cause che predispongono i soggetti con SD a tali patologie non sono ancora ben definite, ma è presumibile che vi sia un deficit primitivo dell’immunità, geneticamente determinato dalla presenza in triplice copia del cromosoma 21.

Diversi lavori scientifici hanno rilevato come nella SD vi siano variazioni del pattern immunologico sia a livello dell’immunità cellulare (5-6) che di quella umorale (7), ma i dati presenti in letteratura sono assai discrepanti, soprattutto per quanto concerne i valori delle immunoglobuline IgM, IgG, IgE e IgD, i cui livelli sono più frequentemente riscontrati aumentati (8).

D’altra parte alcuni Autori sostengono che un’analisi dettagliata dell’immunità umorale e cellulare di questi soggetti non evidenzia quadri di immunodeficienza critica o pattern immu-nologici tali da giustificare una maggiore suscettibilità alle infezioni e ai tumori (9).

i dati più recenti presenti in letteratura evidenziano che le alterazioni immunologiche principali presenti nella SD sono:

• riduzione del numero e della funzione dei linfociti T, B, NK,

• ipoplasia del timo con alterazioni morfostrutturali,

• alterati livelli di citochine e delle molecole di adesione,

• ridotta chemiotassi dei polimorfonucleati neutrofili,

• squilibrio dei sistemi antiossidanti ed alterata funzione di sistemi metabolici,

• ridotti livelli serici di zinco

• livelli di IgG normali ma riduzione delle sottopopolazioni,

• presenza di autoanticorpi.

Immunità cellulare

Nel bambino sano, immediatamente dopo la nascita si verifica un raddoppio dei linfociti B circolanti (CD 19), il cui valore resta stabile fino all’età di due anni per ridursi di 6.5 volte dai 2 anni fino all’età adulta; allo stesso modo, il numero di T linfociti (CD3) aumenta dalla nascita fino ai due anni per poi ridursi solo di 3 volte dai 2 anni all’età adulta. Da uno studio di De Hingh et al. (10) sui linfociti periferici si evince che questo aumento fisiologico dei linfociti B e T che si verifica normalmente nel primo anno di vita non è presente nei bambini affetti da SD. Inoltre, nei bambini con SD, mentre il numero di linfociti T gradualmente ritorna ai livelli di normalità dopo l’anno di vita, il numero di linfociti B rimane inferiore anche successivamente.

Anche il timo dei soggetti affetti da SD presenta anomalie morfostrutturali e funzionali caratterizzate da una deplezione di cellule T con riduzione dell’area corticale timica, da un aumento del numero e delle dimensioni dei corpuscoli di Hassal, da bassi livelli di ormone timico e da una contrazione delle zone-T dipendenti nei linfonodi e nella milza (2,11,12). È stato inoltre documentato un aumento di NK e T helper, la cui funzionalità è però ridotta. Sono presenti anche anomalie delle cellule B che giustificano una tendenza all’aumento di IgG e IgM, dato però non sempre confermato (11).

La produzione di alcune citochine, come l’interleuchina 2 (IL-2), sembra invece essere normale, ma il meccanismo di risposta a questa interleuchina è deficitario, contribuendo al dearrangiamento dei linfociti T. IL-2, infatti, è una citochina secreta dai linfociti T attivati che, assieme ad altre citochine come l’IFN-y, ha la funzione di regolare la proliferazione e la maturazione delle cellule linfatiche, aumentando il numero di linfociti Th1 CD4(+). È stato inoltre documentato che i bambini con SD hanno un numero ridotto di linfociti T CD4(+) circolante (helper/inducer) e un rapporto ridotto di linfociti T CD4(+)/CD8(+) (13).

Un recente studio (14), condotto su 30 soggetti con SD ha evidenziato che, mentre i valori dei linfociti CD4(+) circolanti si riducono progressivamente fino ai 3 anni e mezzo stabilizzandosi poi su valori medi inferiori alla norma, i linfociti CD8(+) che, normalmente sono stabili fino a 24 mesi, nei soggetti con SD aumentano dal 9° mese di vita fino ai 5 anni. Pertanto, il rapporto CD4(+)/CD8(+) decresce rapidamente dal 3°-6° mese di vita per poi rimanere stabile fino ai 5 anni. Per riassumere, nei primi dei 5 anni di vita di bambini affetti da SD, si verifica una diminuzione progressiva dei valori medi di linfociti CD4(+), dei livelli plasmatici di zinco e un aumento dei CD8(+), mentre IgA, IgG, IgM e linfociti NK restano nell’ambito della normalità. Dopo i 5 anni d’età, invece, non sono state riscontrate variazioni significative nel numero di globuli bianchi, CD4(+), CD8(+), natural killer e dei livelli di immunoglobuline rispetto a quelli dei soggetti normali di pari età, ad eccezione dei livelli sierici di zinco che appaiono sensibilmente ridotti.

La riduzione dei livelli sierici di zinco nella SD, può concorrere alle anomalie funzionali della chemiotassi e della fagocitosi, imputabili principalmente agli elevati livelli di enzima superossido-dismutasi e a ridotti livelli di mieloperossidasi (15). È stato evidenziato infatti un aumento della superossido-dismutasi 1 (SoD-1), enzima attivo nel rimuovere il perossido di idrogeno, il cui gene è posto sul cromosoma 21. L’incremento dei livelli di superossido-dismutasi determina una maggior produzione di perossido di idrogeno che la catalasi e la glutatione-perossidasi non riescono ad eliminare: ne deriva uno squilibrio a favore dei radicali liberi prodotti ed una maggior possibilità di perossidazione delle membrane cellulari.

Nei soggetti con SD, è stata anche rilevata una diminuzione del burst ossidativo nei granulociti neutrofili dopo stimolazione con lucigenina e luminolo, attraverso la metodica della chemiluminescenza (15-16) che, unitamente ad un ridotto processo di fagocitosi, contribuirebbe all’incrementata suscettibilità alle infezioni (17).

L’alterato funzionamento dei granulociti neutrofili, dovuto anche ad una riduzione delle capacità chemiotattiche, è associato ad una riduzione del tempo di sopravvivenza di queste cellule e degli eosinofili per maggiore apoptosi (30% in più per lunghi periodi di incubazione) (18). L’interleuchina 5 (IL-5) e il fattore di crescita specifico (granulocyte-macrophage colony-stimulating factor o G-CSF) che nei soggetti normali sono in grado di prevenire l’apoptosi granulocitaria causata dagli anticorpi anti-Fas, non sembrano agire nei soggetti con SD. L’apoptosi e il disturbo funzionale dei granulociti neutrofili possono contribuire all’aumentato rischio di infezioni e all’infiammazione cronica delle vie aeree superiori.

Immunità umorale

Per quanto concerne il profilo delle immunoglobuline, sono spesso riportate in letteratura genericamente variazioni dei livelli di IgM, IgE, IgG e IgD. È stata riportata però una correlazione significativa tra deficit delle sottoclassi delle igG e predisposizione alle infezioni, in 18 soggetti Down, in cui i livelli ematici di IgG, IgA e IgM totali erano normali: ciò suggerisce l’importanza di valutare le sottoclassi delle IgG in questi soggetti, in particolare di IgG4 (19) e IgG2 (20) che risultano aumentate, mentre i valori di IgG1 e IgG3 sarebbero ridotti (21).

come già accennato, gli studi sull’immunità umorale nei soggetti con SD non sempre concordano: un lavoro del 1978 (22) evidenzia addirittura una riduzione significativa dei livelli di IgM mentre conferma che la sindrome non si associa ad altre anomalie nei livelli di immuno-globuline, ad alterazioni del complemento o di risposta ad agenti virali, e segnala infine come la maggiore predisposizione alle infezioni delle alte vie respiratorie non sia atopica, cioè IgE-mediata.

Le IgE rappresentano lo 0,001-0,003% di tutte le immunoglobuline circolanti; sono prodotte da plasmacellule distribuite principalmente nel tessuto linfoide degli apparati respiratorio e gastrointestinale, mediante uno switch isotipico IgM-IgD-IgE. I geni che codificano per le catene leggere K e À sono rispettivamente sul cromosoma 2 e sul cromosoma 22 mentre il cromosoma 14 codifica per la catena pesante delle IgE. Oltre che nel siero, le IgE sono presenti anche nelle secrezioni nasali, bronchiali, lacrimali e nel latte. Le IgE non sono in grado di fissare il complemento nè per via classica nè per via alternativa, non determinano lisi batterica, agglutinazione, opsonizzazione, emolisi, fissazione macrofagica, non hanno attività antivirale, non passano il filtro placentare, mentre producono la degranulazione delle cellule metacromatiche. La concentrazione sierica di IgE aumenta significativamente in alcune condizioni patologiche come nell’atopia e nelle infestazioni parassitarie, dove le IgE saturano i recettori mastocitari e passano quindi in circolo. Secondo la classificazione di Gell e Coombs, sono i principali effettori della reazione di ipersensibilità immediata (tipo I), reazione immunitaria specifica verso protozoi ed elminti e della flogosi allergica (attivazione di linfociti T helper CD4+, della sottopopolazione Th2 e conseguente produzione di IL-4, IL-13, IL-5, IL-6, IL-10) (23).

Il primo lavoro che riguarda lo studio delle IgE nella SD risale al 1974 in cui Lopez (7) riporta lo studio della concentrazione di IgE sieriche in 16 adolescenti (12-16 anni) affetti da SD. Altri Autori hanno invece rilevato un aumento delle IgE sieriche (24,25,26) oppure nessuna differenza di concentrazione rispetto ai soggetti normali (22,27-29).

Molecole d'adesione, citochine e altri mediatori

È stata dimostrata una maggiore espressione di LFA1 (P2 integrin lymphocyte function-associated antigen-1) e di ICAM-1 (intercellular adhesion molecule 1, CD54) nel timo (30).

Uno studio più recente condotto dallo stesso gruppo (31) ha evidenziato un’aumentata espressione di TNF-a e IFN-y a livello delle trabecole, delle giunzioni corticomidollari e nella midollare del timo nella SD rispetto ai soggetti di controllo. In particolare, è stato osservato un aumento dei mastociti, responsabili dell’aumento di TNF-a, mentre le cellule che rilasciano IFN-y si trovano soprattutto a livello corticale. L’iperespressione di queste citochine nel timo nella SD può essere responsabile di un sovvertimento della normale mor-fostruttura timica e di una minore maturazione dei timociti.

Un’ulteriore segnalazione degna di nota riguarda il riscontro di una specifica molecola d’adesione trovata nella SD, denominata DSCAM (Down syndrome cell adhesion molecole), isolata dal locus 21q22.2-22.3 (32). DSCAM, appartenente alla superfamiglia delle immuno-globuline, è espressa nel sistema nervoso e regola la differenziazione del tubo neurale, della corteccia, dell’ippocampo, del midollo spinale e della maggior parte dei tessuti di derivazione entodermica. La sovraespressione di questa molecola, codificata da geni presenti sul cromosoma 21, può alterare le proprietà adesive neuronali, inibire la crescita e la migrazione sinap-tica e portare alle anomalie sinaptiche che si riscontrano nella SD e che sono responsabili del ritardo mentale ad essa associato.

Come già ricordato, la produzione di interleuchina-2 sembra essere normale o ridotta in alcuni studi, mentre il meccanismo di risposta a questa interleuchina è deficitario. Nella SD frequentemente si riscontra anche un’alterazione del sistema degli interferoni (IFN), indotta geneticamente, che contribuisce anch’essa alla ridotta funzionalità del sistema immunitario: in particolare, è riportato un deficit dell’ IFN-y che regola la produzione di linfociti T CD4(+) rispetto a quello che induce la produzione di CD8(+) (33).

Un altro studio mirato a valutare la correlazione tra la presenza di polimorfismi genetici di TNF-a, IFN-y, e IL-10 e la maggiore suscettibilità alla malattia celiaca nella SD ha riscontrato una maggiore frequenza di una mutazione nell’allele TNF-a 308 in soggetti con SD e celiachia (34).

Per quanto riguarda l’aumento sierico delle citochine proinfiammatorie, nel 2005 Licastro et al. (35) hanno evidenziato in bambini affetti da SD valori significativamente aumentati di interleuchina-6 (IL-6) rispetto ai normali, del suo recettore solubile, delle molecole d’adesione solubile sICAM-3 e sVCAM-1 e della proteina C reattiva. Questo studio sottolinea come lo stesso pattern immunologico sia presente anche in soggetti affetti da malattia di Alzheimer e suggerisce di porre maggiore attenzione nella SD per il maggiore rischio di successivo deterioramento cognitivo. Come ricordato nel capitolo di Neurologia, la malattia di Alzheimer è più frequente in soggetti adulti con SD e si associa alla presenza di due proteine trascritte dal

cromosoma 21, implicate nelle modifiche interstiziali a livello del sistema nervoso centrale (beta-amyloid precursor protein - betaAPP e S100B) la cui produzione è regolata da un’altra citochina proinfiammatoria, l’interleuchina 1 (IL-1).

IL-1 è una citochina attivata dalla risposta immunitaria che a livello cerebrale stimola la proliferazione e la reattività astrocitaria (astrogliosi) nell’Alzheimer e, nonostante non sia posta sul cromosoma 21, è anch’essa sovraespressa nei soggetti Down nell’intero corso di vita (36).

Autoanticorpi

Nella SD vi è una maggiore incidenza di malattie autoimmuni, quali la malattia celiaca (37), l’ipotiroidismo (38) e il diabete mellito di tipo I (39). È stato anche notato un incremento della prevalenza di portatori di HBsAg (40).

Per quanto riguarda la malattia celiaca, gli autoanticorpi che si possono riscontrare sono:

- IgA e IgG anti-gliadina (AGA)

- IgA e IgG anti-transglutaminasi (tissue transglutaminase, TTG)

- IgA anti-endomisio (EMA),

di cui quest’ultima classe rappresenta il dato più attendibile per valore predittivo positivo e negativo (41). Secondo le linee guida della North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition, un titolo elevato di TTG è considerato importante per la valutazione gastoenterologica mediante biopsia dei villi intestinali e livelli di TTG aumentati sono stati riscontrati nei soggetti con SD (42).

La maggiore prevalenza di diabete di tipo 1 sembra invece correlata ad una presenza subclinica di autoanticorpi contro le cellule insulari ma soprattutto alla presenza di modificazioni minori del genotipo HLA di classe II (43). I soggetti con SD sono più predisposti al diabete mellito di tipo 1 anche in associazione con una malattia autoimmune poliendocrina di tipo I che è causata da una mutazione sul gene AIRE posto sul cromosoma 21 (44). Una mutazione del gene AIRE determina la comparsa di autoanticorpi; lo studio citato ha valutato la presenza di anticorpi anti 21-idrossilasi, 17 alfa-idrossilasi, anti-enzima di clivaggio della catena laterale e, anti-decarbossilasi degli aminoacidi L-aromatici, anti-citocromo P450, anti-tiroxina idrossilasi, anti-triptofano idrossilasi, anti- decarbossilasi dell’acido glutammico 65, della tiroxina fosfatasi, della transglutaminasi, anti-tireoperossidasi.

Per quanto riguarda invece la patologia tiroidea ricordiamo che la presenza di autoanticorpi anti-tireoglobulina nei soggetti adulti con SD ha mostrato una associazione positiva con la presenza di HBsAg (22). Si rimanda la descrizione di queste patologie ai capitoli specifici.

Nel 2007 è stato pubblicato uno studio di valutazione della prevalenza degli autoanticorpi in 150 bambini con SD (45); in questo studio è stata valutata la presenza e il titolo degli anticorpi anti-nucleo (ANA), anti-mitocondrio (AMA), anti-muscolo liscio (ASMA), microsomiali (liver-kidney microsomal, LKM), diretti contro il citoplasma dei neutrofili (ANCA), contro la parete gastrica (GPC) e il fattore reumatoide (FR). Mentre AMA, GPC e LKM erano negativi in tutti i soggetti e ANCA, SM e ANA erano positivi nello 0,66% dei casi, il fattore reumatoide era presente nel 28% dei casi rispetto al 6,8% dei controlli. Il 28,3% dei pazienti con DS erano positivi ad almeno un autoanticorpo rispetto al 7,6% dei casi controllo.

Dermatite atopica

Come descritto nel capitolo dedicato ai problemi dermatologici, i soggetti con SD soffrono di disidratazione cutanea e di dermatiti anche a livello del volto.

Nel 1976, Carter et al. riportò una prevalenza del 50% di dermatite atopica in soggetti con SD (46). Questa osservazione fu riconfermata da studi successivi condotti negli anni ’90 (47,48). Tuttavia, uno studio prospettico italiano del 1997 ha ridimensionato notevolmente il problema rivalutando la prevalenza secondo i criteri diagnostici di Hanifin e Rajka (49) e stabilendo una prevalenza (3%), addirittura sovrapponibile a quella della popolazione generale (50).

Allergie

Il primo riferimento bibliografico riguardante la presenza di “allergia” nella SD risale al 1961 (51), seguito da un secondo articolo del 1967 dal titolo “Allergy survey in children with Down’s sindrome” (52). In seguito a queste datate segnalazioni, pochi sono i lavori che si riferiscono al problema allergologico nei soggetti affetti da SD, nonostante il quadro otorino-laringoiatrico, pneumologico e le tipiche manifestazioni dermatologiche richiamino i sintomi più frequenti del soggetto atopico. Questa associazione non è mai stata dimostrata, anche in considerazione della maggiore attenzione sulle modificazioni immunologiche presenti nella sindrome; è stata piuttosto riportata una minore incidenza di asma bronchiale.

Tuttavia, nella SD, il russamento e la sindrome delle apnee ostruttive sono spesso aggravati dall’ipertrofia adenotonsillare (53), substrato immunologico ed anatomico in cui un’allergia può giocare un ruolo causale, anche deciso.

Un altro aspetto precedentemente studiato e in seguito abbandonato, riguarda la maggiore incidenza di allergie alimentari nei soggetti con SD.

Nel 1984 Reading (54) pubblicò una review su tutti i fattori da prendere in considerazione nell’intervento nutrizionale nella SD e concluse che i bambini affetti da SD dovrebbero essere esaminati dal punto di vista allergologico per escludere un’allergia alimentare. Questo lavoro effettuato su 28 soggetti con SD, riportava il frequente riscontro di allergie alimentari multiple e di intolleranza o ipersensibilità al glutine/gliadina, entrambe responsabili di un quadro simile a quello della malattia celiaca con un conseguente stato di malassorbimento per le vitamine essenziali (ad es. B1), i minerali e la presenza di malattie autoimmuni.

L’ipotesi etiopatogenetica proposta derivava dall’intolleranza al glutine-gliadina con o senza malattia celiaca che, determinando una riduzione di vitamina B1 e conseguentemente di cAMP utile nel processo di meiosi, a sua volta è responsabile di un’alterata oogenesi, sperma-togenesi con produzione di trisomia 21 e aneuploidie. in alternativa, esorfine e peptidi derivate dai cibi in caso di ipersensibilità ad alimenti possono ridurre la sintesi di prostaglandine E1 o alterare l’assorbimento di metalli, importanti elementi nella prevenzione del deterioramento cognitivo. L’autore propone pertanto di indagare eventuali stati carenziali, la possibile allergia alimentare e, in caso di esito positivo, di iniziare successivamente una dieta priva di alcuni alimenti con l’aggiunta di supplementi secondo le necessità, il più precocemente possibile durante la crescita.

Purtroppo non sono seguiti ulteriori studi in proposito; è noto tuttavia che l’allergia alimentare presenta non solo un’associazione con le manifestazioni gastroenteriche, ma può anche interessare le vie aeree superiori e inferiori e può essere responsabile o sostenere un’ otite media sieromucosa recidivante (55). Le manifestazioni a livello respiratorio possono essere esclusivamente dovute all’allergia alimentare (tipicamente nell’infanzia) o possono essere dovute all’effetto combinato di più fattori: allergia alimentare associata ad esempio a reflusso gastroesofageo, a un difetto congenito cardiaco o dell’albero tracheobronchiale, a un deficit immunitario isolato di igA o igG o ad una concomitante allergia ad inalanti. inoltre, l’allergia alimentare isolata è frequentemente causa di una rinite cronica ed è di per sé responsabile di una maggiore di incidenza di otiti medie sieromucose.

L’allergia alimentare, infatti, può cronicamente aggravare un’ipertrofia adenotonsillare e la relativa ostruzione delle alte vie respiratorie, mentre l’interessamento delle vie aeree più piccole si verifica generalmente con un lungo ritardo d’innesco della sintomatologia dall’ingestione, e solo in seguito all’ingestione di una grande quantità di allergeni. L’allergia alimentare deve essere sospettata e indagata nei casi con scarsa risposta alle terapie tradizionali. È per questo che bisogna porre attenzione alla rinite cronica da alimenti che, se associata a problemi respiratori polmonari, può essere un utile indicatore dell’attività della malattia allergica polmonare e della compliance del paziente nel seguire la terapia con la dieta.

Uno studio condotto in Olanda (56) evidenzia come i genitori di figli affetti da SD riportino più frequentemente sintomi legati all’allergia alimentare rispetto a un gruppo di controllo e, nonostante il sospetto sia frequente, questo problema è spesso sottovalutato in relazione agli altri problemi maggiori e quindi il più delle volte misconosciuto. Infatti, il 66% del campione esaminato (in totale 110 soggetti) riportava un beneficio dall’eliminazione di alcuni cibi ma pochi avevano affrontato il problema in ambito clinico e fatta una diagnosi con dieta di privazione e scatenamento rispetto al gruppo di controllo costituito da 223 genitori. In letteratura, sono riportate due segnalazioni di reazione allergica rispettivamente in bambini affetti da SD: in un caso è stata documentata con challenge test una pancitopenia a patogenesi allergica in seguito a terapia intramuscolare con ferro-destrano (57) e nell’altro viene segnalata una discutibile enteropatia a 11 settimane di vita con riduzione della proteinemia e trombocitopenia risoltasi dopo dieta priva di latte vaccino (58).

Anche in ambito generale, una ricerca che valuti la prevalenza di reazioni allergiche in soggetti con SD evidenzia solo studi risalenti al 1966 effettuati in Polonia (59,60) e allo stesso periodo risale il lavoro che documenta la presenza di rinite allergica stagionale, asma e eczema infantile in associazione alla SD (61).

concludendo, i soggetti affetti da SD presentano un profilo immunologico peculiare che li predispone ad alcune delle manifestazioni tipiche correlate alla malattia. Per una migliore comprensione del problema, emerge la necessità di studi mirati anche sotto il profilo Th2 per cogliere eventuali differenze e correlazioni in relazione ai diversi quadri sintomatologici.

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Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Umberto Ambrosetti - Valter Gualandri
VERSIONE EBOOKLa sindrome di Down è una patologia nota da tempo nei suoi aspetti morfologici, neuropsichiatrici ed organici. La presente raccolta di saggi, basati sull’attenta analisi della letteratura specialistica filtrata dall’esperienza diretta di ogni Autore, vuole essere una puntualizzazione per il Medico di base e per lo Specialista. Si è cercato di fornire uno strumento agile, ma completo e scientificamente aggiornato, per potere affrontare le varie patologie che non sono “speciali” perché colpiscono una persona Down, ma vanno inquadrate in una cornice particolare in quanto presenti in un soggetto con caratteristiche organiche e cliniche “particolari”. Questo testo non vuole essere uno strumento che induca ad una eccessiva medicalizzazione delle persone Down, le quali non debbono essere considerate “pazienti” ma individui soggetti a rischi clinici polimorfi, rischi che dobbiamo individuare e controllare, esercitando una medicina preventiva a tutti i livelli. Il lavoro, che ha visto impegnati un gran numero di esperti quotidianamente coinvolti nei vari ambiti specialistici per migliorare le condizioni di vita di queste donne e uomini vuole essere di aiuto nella comprensione e gestione delle manifestazioni di questo complesso quadro clinico provocato da una piccola quantità di DNA in eccesso sul cromosoma 21.