12. DISTURBI GASTROINTESTINALI

GRAZIANO BARERA • BARBARA PARMA

I pazienti affetti da Sindrome di Down (SD) sono più soggetti rispetto alla popolazione generale a disturbi gastrointestinali che possono essere dovuti ad anomalie strutturali o ad alterate funzioni d’organo (1).

È nota inoltre la predisposizione a patologie autoimmuni, quali tiroidite e diabete mellito di tipo I°, che si esemplifica, nel tratto gastroenterico, in particolare con la malattia celiaca.

1. Disordini strutturali

Il 10% dei bambini nati con SD presenta una delle anomalie strutturali sotto descritte (2).

Atresia Duodenale

L’atresia duodenale è caratterizzata da un’agenesia totale (atresia duodenale o digiunale), o parziale (stenosi duodenale) di un tratto intestinale; queste condizioni possono determinare un’ostruzione del transito alimentare dallo stomaco al colon. Una medesima presentazione clinica può essere dovuta alla presenza di un pancreas anulare che circonda e restringe, in modo parziale o totale, il calibro duodenale (3,4).

L’incidenza di ostruzione congenita duodenale è di 1:10.000 nati; nel 10-30% dei soggetti affetti si osserva la SD (3).

La gestazione in coloro che presentano ostruzione duodenale può essere complicata da poli-dramnios nel 50% dei casi.

La metà circa di questi bambini nascono prematuri e presentano un rapporto femmina/ maschio pari a 2:1. L’atresia del duodeno è solitamente localizzata al di sotto della papilla del Vater e trova origine nella mancata ricanalizzazione del lume duodenale dopo la fase solida dello sviluppo intestinale. Quando l’ostruzione è grave è possibile identificarla ecograficamente in epoca prenatale (Fig. 1) (6). Se non riconosciuta durante della "doppia bolla" la gestazione, nelle prime ore/giorni di vita l’espressione clinica è spesso importante, caratterizzata da vomito, frequentemente biliare, che non risolve dopo sospensione dell’alimentazione (4).

Nell’ostruzione duodenale completa l’RX addome in bianco è diagnostico, in presenza della patognomonica immagine della “doppia bolla”, ovvero due importanti raccolte gassose rispettivamente in stomaco e nella prima porzione del duodeno (Fig. 2).

La diagnosi differenziale più importante è con la malrotazione e con il volvolo intestinale, che possono causare necrosi, se non riconosciute, del tratto intestinale entro 6-12 ore. Il trattamento è solitamente chirurgico e consiste nella rimozione del tratto atresico e nella successiva canalizzazione mediante duodeno-duodenostomia latero-laterale o duodeno-digiunostomia latero-laterale transmesocolica (4,6). La presenza di SD non altera l’outcome nel post-operatorio (5).

Atresia esofagea

L’atresia esofagea comprende un gruppo di anomalie congenite di canalizzazione dell’esofago caratterizzate dalla presenza di un’interruzione congenita del lume esofageo associata o meno a fistola tracheo-esofagea. L’incidenza di atresia esofagea è circa 1 ogni 3.000-4.500 nati [4]. Nei soggetti affetti da SD l’incidenza di atresia esofagea è di circa 30 volte maggiore (0.5-0.9%) rispetto alla popolazione generale (7-9).

Nell’86% dei casi uno dei monconi a fondo cieco dell’esofago, più frequentemente il distale, può comunicare con la trachea attraverso una fistola; nel 7% dei casi non ci sono tramiti


Fig. 3 I tipi più comuni di atresia esofagea. a) Atresia esofagea con fistola tracheo-esofagea distale (86%). b) Atresia esofagea isolata senza fistola tracheo-esofagea (7%). c) Fistola tracheo-esofagea ad H (4%) (10)

fistolosi, mentre nel 4% dei casi è presente una fistola tracheo-esofagea senza atresia (Fig. 3) (10).

La gestazione nei soggetti con artresia può essere complicata dalla presenza di polidramnios in circa il 60% dei casi; dopo la nascita la clinica è caratterizzata da scia-lorrea e dalla comparsa di rigurgiti, tosse ed apnea dopo l’inizio dell’alimentazione per os (4). Inoltre, in presenza di fistola, ad ogni atto respiratorio il passaggio di aria attraverso la fistola provoca distensione gastrica cui consegue reflusso di contenuto gastrico nell’albero bronchiale, con possibile insorgenza di broncopolmonite chimica ed ingravescenza del distress respiratorio.

La diagnosi viene sospettata dal riscontro di una resistenza nell’avanzamento del sondino nasogastrico a circa 10-13 cm dalla narice e confermata dall’esecuzione di un RX torace-addome che evidenzia il sondino fermarsi o piegarsi a livello dell’altezza del moncone esofageo prossimale (Fig. 4).

L’introduzione attraverso il sondino di mezzo di contrasto idrosolubile consente una migliore visualizzazione del moncone prossimale e l’eventuale identificazione di fistola tracheo-esfa-gea prossimale.

Una volta stabilita la diagnosi devono essere intraprese le misure atte ad evitare complicazioni polmonari (posizione semiseduta, aspirazione continua del moncone esofageo prossimale, terapia antiacida ed antibiotica). Quando le condizioni generali del lattante sono stabili, è possibile procedere alla correzione chirurgica dell’atresia esofagea e della fistola tracheo-esofagea per via extrapleurica (4,10).

Anomalie anali

Le malformazioni anorettali sembrano essere più frequenti nei pazienti affetti da SD con una incidenza, rispetto ad una popolazione generale, compresa tra il 0.36% ed il 2.7% (11-14). Nei soggetti con malformazioni anorettali il ruolo giocato dai soggetti affetti da SD è, infatti, rilevante (Tab. 1) ed il difetto anorettale maggiormente descritto è rappresentato dall'ano imperforato senza fistola (95%) (14).


 Età materna

N. pazienti con
malformazioni anorettali

N. pazienti con
sindrome di Down

Frequenza
(%)

Buchin et al.15

187

5

2.6

Joseph et al.16

88

7

8

Gross17

198

8

4

Torres et al.14

987

20

2

Tab. 1 Frequenza della Sindrome di Down nei pazienti con malformazioni anorettali (14).


Tale condizione è caratterizzata dalla assenza di orifizio anale ed atresia più o meno estesa del retto, se pur correttamente localizzato, che si arresta a cul di sacco ad una distanza media di circa 2 cm dal piano perineale; l’osso sacrale è solitamente normoconformato (Fig. 5). La malformazione si evidenzia alla nascita con un quadro clinico caratteristico dell’occlusione intestinale e necessita di un immediato intervento chirurgico. Il trattamento mira dapprima a risolvere l’occlusione intestinale mediante colostomia ed, in seguito (verso i 3-12 mesi), ad abbassare il cul di sacco rettale al perineo (4). Nel follow-up post-chirurgico si è evidenziata un’adeguata continenza fecale anche nei pazienti affetti da SD (14).

Malattia di Hirschsprung

La Malattia di Hirschsprung (MH), anche conosciuta come megacolon agangliare, è un disordine congenito caratterizzato dall’assenza delle cellule gangliari dei plessi di Meissner ed Auerbach nella parete intestinale che determina mancata peristalsi, stenosi del tratto interessato e dilatazione secondaria a monte. Risulta, pertanto, ostacolata sia la progressione dell’onda peristaltica che l’evacuazione del contenuto intestinale che si accumula a monte del tratto agangliare (4).

L’incidenza è di 1 caso ogni 5.000 nati. È più frequente nel sesso maschile (M:F=3-4:1).

La clinica è proteiforme e dipende dall’estensione del tratto agangliotico; può esprimersi in modo eclatante nelle prime 24-48 ore di vita, con mancata emissione di meconio in presenza di addome globoso/teso, vomito e grave deterioramento delle condizioni cliniche generali, oppure in modo più subdolo, nel corso del primo/secondo anno di vita, con alvo stitico, addome meteorico, scarso accrescimento e talora episodi di enterocolite recidivante, squilibri idro-elettrolitici ed ipoprotidemia (4,18).

In letteratura è ampiamente descritto come la SD sia la più comune cromosomopatia associata a MH con un frequenza variabile dal 4.5% al 16% (18,19).

La tabella sottoriportata descrive la lunghezza del tratto agangliotico nei pazienti con SD, tratta dal lavoro di Croacker e coautori (Tab. 2).


Lunghezza

Percentuali

Rettale

7.5

Sigmoidea

70

Colon sinistro

12.5

Restante colon

2.5

TCA (+ileale)

5

Tab. 2 Lunghezza dell'agangliosi nella Sindrome di Down (20).


La diagnosi viene sospettata mediante l’esecuzione di un RX addome in bianco in clino ed ortostatismo che permette di visualizzare nei bambini più grandi un’area di passaggio di differente calibro, mentre nei neonati solitamente la zona di transizione presenta calibro normale, ma si evidenzia una marcata distensione delle anse intestinali a monte con aria assente o ridotta nel retto (Fig. 6-7). Il clisma opaco consente di migliorare la defi- Fig. 6 MH: RX in ortostatismo Fig. 7 MH: RX in clinostatismo nizione dell’ampiezza del tratto coinvolto e del tratto stenotico.

L’esame principe per la diagnosi è rappresentato dalla biopsia rettale che evidenzia la nota e patognomonica agangliosi di parete. I rischi della biopsia intestinale includono sanguinamelo, perforazione del retto ed infezione, ma queste complicanze sono molto rare e si verificano in meno dell’1% dei soggetti sottoposti.

Il trattamento consiste nella rimozione chirurgica del tratto agangliotico e nella giunzione dei due monconi sani. La procedura chirurgica rimuove il segmento agangliotico, quindi porta la porzione sana nel retto congiungendola con la parete del retto proprio sopra l’ano (pull-through). in alcuni casi, viene chirurgicamente impacchettata una temporanea stomia (colostomia o ileostomia) prima della pull-through, in particolare se il bambino è piccolo o clinicamente compromesso (21). Èstato descritto in letteratura come l’outcome a lungo termine nei pazienti con sD operati con pull-through sia caratterizzato da un maggior rischio di persistenti disturbi intestinali, in particolare soiling fecale ed incontinenza fecale (19,22).

2. Disordini Funzionali

Difficoltà nell'alimentazione

I neonati affetti da SD spesso presentano difficoltà nell’alimentazione, in particolare se nati prematuri. L’eziologia di tale disordine è ancora in parte sconosciuta: essa potrebbe essere ricondotta all’ipotonia muscolare, che interessa anche i muscoli orali e periorali, con conseguente difficoltà di suzione, incoordinazione di deglutizione e protrusione della lingua. L’ipotonia e i sintomi da essa dipendenti, in combinazione con un ridotto spazio orofaringeo, palato ogivale e coane nasali di ridotte dimensioni, sono fattori disturbanti che interferiscono con la nutrizione orale nei lattanti affetti da SD (1,23). Infine, la coesistenza di cardiopatia in circa il 40% dei soggetti è un altro importante fattore concausale di difficoltà alla nutrizione per os.

Il problema nutrizionale più frequentemente riportato è rappresentato dalla durata prolungata di ogni pasto (30-60 min.) nei primi 3 mesi di vita, con successivo miglioramento tra i 4 mesi e l’anno di età. Hunt e coautori hanno infatti recentemente dimostrato che i lattanti affetti da SD acquisiscono capacità orali motorie tra i 7 ed i 9 mesi di vita (24).

Esistono molti accorgimenti che possono facilitare l’alimentazione: una posizione più favorevole durante la suzione, l’utilizzo di ciuccio per stimolare i movimenti di suzione e migliorare il tono muscolare e, nei bambini allattati al biberon, l’utilizzo di tettarelle differenti.

Talvolta, tuttavia, questi semplici accorgimenti non sono sufficienti ed è necessario iniziare, solitamente per un breve-medio periodo di tempo, una nutrizione tramite gavage con sondino naso-gastrico.

Reflusso gastroesofageo

Si definisce reflusso gastroesofageo il ritorno involontario del contenuto gastrico (alimenti o secrezioni) nella cavità orale e la sua successiva emissione. Di norma rappresenta un fenomeno maturativo, scomparendo spontaneamente, nella maggioranza dei casi, entro l’anno di vita, senza tuttavia condurre ad un rallentamento di crescita o interferire con le condizioni generali del paziente.

È una condizione frequente: il 67% dei lattanti sani dell’età di 4 mesi presenta uno o più episodi di rigurgito al giorno; tale prevalenza si riduce al 5% all’età di 12 mesi.

Il reflusso gastroesofageo si distingue dal vomito; espressione di un riflesso del sistema nervoso centrale che coinvolge sia la muscolatura scheletrica che autonomica con conseguente emissione del contenuto gastrico tramite movimenti coordinati del piccolo intestino, stomaco, esofago e diaframma.

Una diagnosi di malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) viene invece suggerita dalla presenza di reflussi gastroesofagei associati ad un rallentamento o arresto di crescita, segni clinici di esofagite quali pianto durante la suzione, inappetenza, ematemesi, sangue occulto nelle feci, con possibile progressiva anemizzazione ed infine sintomi respiratori: tosse stizzosa, soprattutto notturna, raucedine, asma, crisi di apnea e broncopolmoniti recidivanti.

La patogenesi della MRGE è multifattoriale e complessa, coinvolgendo il tono dello sfintere esofageo inferiore, l’acidità gastrica, lo svuotamento gastrico, il clearing esofageo, l’ipersensibilità viscerale e la reattività delle vie aeree (25,26).

I bambini affetti da SD sono più soggetti al reflusso gastroesofageo verosimilmente in virtù del quadro di ipotonia generalizzato che interessa anche la muscolatura esofagea ed in particolare lo sfintere esofageo inferiore (27).

In presenza di sospetta malattia di reflusso gastroesofageo la diagnosi strumentale non si avvale di un esame gold standard, ma si basa soprattutto sulla sintomatologia clinica.

La radiografia con contrasto delle alte vie digerenti è utile per documentare anomalie strutturali quali stenosi del piloro, mal rotazione, ernie jatali, stenosi, ma non è un esame sensibile e specifico per la diagnosi di RGE (25).

La PH-metria, esame tuttavia più invasivo e disturbante che si esegue mediante il posizionamento di una sonda in esofago, è in grado di misurare il PH dell’esofago distale, determinare la presenza e quantizzare l’esposizione a reflussi acidi; la percentuale del tempo totale con PH esofageo inferiore a 4, variabile nota come “indice di reflusso”, è considerata la più valida misura di RGE poiché esprime l’esposizione cumulativa dell’esofago all’acido (28).

L’esame endoscopico è da considerarsi in prima istanza nel sospetto di esofagite o durante il follow-up; esso permette di valutare l’anatomia esofagea, di evidenziare l’eventuale presenza di ernia jatale/stenosi, e di visualizzare e biopsiare la mucosa esofagea.

Altre metodiche diagnostiche disponibili sono rappresentate da:

• PH-impedenzometria, che sfrutta il principio di cambiamento di impedenza in un organo al passaggio di un liquido ed è in grado di identificare anche la presenza di reflusso non-acido, che può comunque determinare sintomatologia in particolare respiratoria. Mancano tuttavia al momento range di normalità per l’età pediatrica, anche se questa tecnica si identifica come promettente e di possibile utile impiego [28].

• scintigrafia: è eseguita dopo ingestione di una formula o un pasto semisolido marcato con Tc 99m. Le aree di interesse, stomaco, esofago e polmoni sono sottoposte a scansioni per ricerca di RGE ed aspirazione. Il test nella diagnosi di MRGE non ha un ruolo ben definito, ma può tuttavia essere utile nel misurare il tempo di svuotamento gastrico; anche in questo caso la mancanza di una standardizzazione della metodica e di valori di normalità per l’età pediatrica rendono il test di scarso utilizzo.

L’esame endoscopico è da considerasi l’esame di prima istanza nel sospetto di esofagite o durante il follow-up; esso permette di valutare l’anatomia esofagea, di evidenziare l’eventuale presenza di ernia jatale/stenosi, e di visualizzare e biopsiare la mucosa esofagea.

i principali accertamenti di ausilio nella diagnosi e nella determinazione di cause e conseguenze di MRGE sono riassunti nella tab. 3.

Gli obiettivi della terapia sono ridurre o neutralizzare i sintomi, promuovere un normale pattern di crescita ponderale, guarire l’esofagite e prevenire le complicanze. La terapia medica comprende misure conservative e la somministrazione di farmaci.

Nel lattante le misure conservative includono cambiamenti nella viscosità della formula, del tipo di formula e la postura (con posizione inclinata di 30° dopo i pasti); nei bambini ed adolescenti includono il cambiamento della dieta con eliminazione di alcuni alimenti che riducono la pressione dello sfintere esofageo inferiore (cioccolato, menta, alcool) ed alimenti grassi la sera.

il trattamento è solitamente medico e si basa sull’utilizzo combinato di un farmaco antiacido (Ranitidina o Omeprazolo/Lansoprazolo) per ridurre la secrezione acida gastrica e un farmaco pro-cinetico per favorire lo svuotamento gastrico e ridurre il reflusso in esofago (Domperidone) (25).

È possibile, nei casi resistenti alla terapia medica, un approccio chirurgico utilizzando la fundoplicatio sec. Nissen, con procedura laparoscopica (4).

Alterazioni Motorie Esofagee

Le discinesie motorie esofagee sono caratterizzate da alterazioni della normale attività peristaltica esofagea, senza ostruzione organica del lume. Esse sono più frequenti nei soggetti affetti da SD rispetto alla popolazione generale e i sintomi più frequenti sono rappre-


1. Test che documentano RGE

Commento

Radiografia con contrasto delle prime vie digerenti PH-metria intraesofagea prolungata (18-24 ore)


Impedenzometria

Scarsa sensibilità e specificità, radiazioni


Sensibilità e specificità elevate, richiede team esperto nella

preparazione, esecuzione della procedura e nelle analisi dei
tracciati. Permette di valutare solo i reflussi acidi.

Consente la valutazione di reflussi esofagei non acidi.
Richiede studi di validazione.

2. Test che valutano le cause di RGE

Commento

Radiografia con contrasto delle prime vie digerenti

Può essere utile per evidenziare ernia jatale o cause strutturali di RGE (pliche, stenosi, mal rotazioni intestinali). Esame da eseguire in casi do difficile gestione (es. refrattarietà alla terapia medica), quando la storia clinica è caratterizzata da vomito post-prandiale o in fase preoperatoria.

Endoscopia

Evidenzia la presenza di ernia jatale

Manometria esofagea

Evidenzia alterazioni del tono di base dello sfintere esofageo inferiore o alterazioni della dinamica sfinteriale (aumentata frequenza di rilassamenti transitori o di episodi di ipotonia). Di scarsa utilità nell'approccio corrente al bambino con sospetta MRGE.

3. Test che valutano le conseguenze di RGE

Commento

Radiografia con contrasto delle prime vie digerenti

Di scarsa utilità per evidenziare l'esofagite. La radiografia del torace può evidenziare segni di broncopneumopatia in
caso di sospetta aspirazione.

Endoscopia

Evidenzia la presenza e la severità dell'esofagite. Evidenzia la presenza di esofago di Barrett (con la tipizzazione istologica)

4. Test che valutano un nesso causale tra RGE e sintomi

Commento

PH metria intraesofagea

Consente di mettere in rapporto i sintomi riportati nel diario giornaliero compilato ed episodi di RGE evidenziati sul tracciato PH-metrico

Tab. 3 Test diagnostici della malattia da reflusso gastroesofageo (25).


sentati da disfagia per i liquidi e per i solidi, rigurgito alimentare e dolore retrosternale (29).

Fra le alterazioni motorie riveste un particolare ruolo di interesse l’acalasia esofagea, determinata da una ridotta innervazione gangliare a livello muscolare con conseguente mancato rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore durante la deglutizione. il tono sfinteriale persiste elevato e si documenta l’assenza e/o l’incoordinazione dell’attività peristaltica esofagea.

Questo disordine primario della motilità esofagea ha eziologia sconosciuta; si ritiene che infezioni, fattori autoimmuni e genetici siano implicati senza tuttavia definire un meccanismo patogenetico prevalente. L’alta suscettibilità dei soggetti affetti da SD alle infezioni ed all’autoimmunità organo-specifica potrebbe essere un punto d’incontro tra le due patologie. È noto inoltre che la SD è frequentemente associata alla Malattia di Hirschsprung, con cui l’acalasia condivide l’assenza di cellule gangliari e la mancanza dell’enzima ossido-nitrico sintetasi; quindi, la SD presenta verosimilmente fattori genetici in grado di determinare un’alterata innervazione del sistema enterico (30).

In considerazione di questa predisposizione è importante sottoporre i soggetti con sintomatologia di natura disfagica ad accertamenti che permettano di valutare la morfologia esofagea (pasto baritato - Fig. 8) e successivamente ad un eventuale esame manometrico esofageo in grado di documentare la presenza e progressione delle onde peristaltiche, le loro caratteristiche ed il tono degli sfinteri esofagei, superiore ed inferiore (4).

Sfortunatamente la difficoltà nell’esprimere la sintomatologia avvertita può essere fattore ritardante la diagnosi e condizionante uno scarso accrescimento ponderale nei bambini ed una perdita di peso negli adulti. L’attenta valorizzazione di questi sintomi e segni clinici è importante per consentire una corretta diagnosi di alterazione motoria esofagea (30,31).

Stipsi

Si definisce stipsi l’emissione persistente di feci dure, voluminose o caprine, o un ridotto numero di evacuazioni (2 o meno episodi) nella settimana. La stipsi funzionale è la causa più frequente di disordini funzionali della defecazione in età pediatrica ed è un problema frequente anche nei pazienti affetti da SD (4).

Nella maggior parte dei casi è di natura funzionale, dovuta alla combinazione di un ridotto tono muscolare, scarsa attività fisica, dieta ed assunzione spesso inadeguata di liquidi.

Frequentemente un primo approccio dietetico con incremento delle fibre e dell’assunzione di liquidi è in grado di risolvere la sintomatologia; tuttavia, a volte, è necessario l’utilizzo di farmaci emollienti fecali. Se il quadro persiste è importante tuttavia ricordare che i pazienti affetti da SD possono essere più frequentemente affetti da alterazione della funzionalità tiroidea e che un ipotiroidismo può essere causa di stipsi. Da notare, infine, è anche l’associazione della SD con la Malattia di Hirschsprung, condizione che dovrebbe essere esclusa in caso di stipsi ostinata (1).

3. Disordini autoimmuni del tratto gastrointestinale:
LA MALATTIA CELIACA

La malattia celiaca è un’enteropatia immuno-mediata, caratterizzata da atrofia villare ed iperplasia criptica, causata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente suscettibili.

La sequenza esatta della cascata autoimmune non è interamente nota, ma il meccanismo di legame della gliadina alle molecole HLA-DQ2 per la sua presentazione antigenica alle cellule T mucosali rappresenta l’evento centrale. L’enzima calcio-dipendente transglutami-nasi tissutale (tTG) gioca un ruolo importante in questo meccanismo agendo sulla gliadina, suo eccellente substrato, mediante reazioni di deaminazione di residui di glutamina, di cui la gliadina è ricca, in acido glutammico. Queste reazioni modificano la struttura della gliadina, caricandola negativamente ed aumentandone l’affinità nei confronti del sito di legame della molecola HLA-DQ. Inoltre, la gliadina così modificata presenta elevata affinità di legame con le tTG stesse, producendo nuovi epitopi immunogeni in grado di generare sia una risposta anticorpale specifica anti-gliadinica, sia auto-anticorpale specifica anti-tTG. La risposta immunitaria della mucosa intestinale dopo presentazione del glutine da parte del complesso HLA-DQ2, è specifica dei soggetti con malattia celiaca e conduce alla produzione di citochine e di altri mediatori dell’immunità in grado di determinare la caratteristica lesione istologica intestinale (32,33). Particolare interesse si pone ad uno specifico frammento dell’a-gliadina, peptide di 33 aminoacidi, resistente alla digestione enzimatica per tempi molto lunghi (oltre 15 ore) verosimilmente per la sua ricchezza in prolina, dotato di altissima specificità per le tTG e di forte capacità nell’attivare cloni di linfociti T in casi HLA-DQ2 positivi.

I bambini nella prima infanzia presentano spesso sintomi gastrointestinali tipici (diarrea e steatorrea, distensione addominale, vomito, arresto della crescita ponderale) o talvolta atipici (inappetenza, irritabilità, stipsi), mentre nella seconda infanzia e nell’adolescenza prevalgono sintomi extra-intestinali quali anemia carenziale da deficit di ferro e/o acido folico, bassa statura, ritardo di sviluppo puberale, osteopenia in rare occasioni associata ad ipocalcemia, sintomi neurologici o neuro-comportamentali (33).

Nel 1975 Bentley descrisse per la prima volta un caso clinico di un paziente quattordicenne affetto da SD, malattia celiaca e retinoblastoma (34); negli anni successivi, numerosi lavori hanno descritto l’associazione tra queste due patologie con una frequenza di malattia celiaca nei soggetti affetti da SD compresa tra 4.5 ed il 7% circa (35,36,37,38). Un ampio studio multicentrico italiano ha evidenziato una prevalenza di 4.6% su 1.202 bambini e adulti affetti (39). La sintomatologia presentata è frequentemente di tipo classico, in minor percentuale la presentazione atipica e silente. Come dimostrato da Bonamico e coautori nei soggetti affetti da SD il rapporto tra soggetti sintomatici e silenti è invertito (4:1) rispetto ai soggetti non affetti (1:8).

È stato, tuttavia, riscontrato, nonostante l’ampia percentuale di manifestazioni classiche, un ritardo di diagnosi di 3.8 anni dall’inizio della sintomatologia (36).

La diagnosi si avvale dei seguenti esami di laboratorio: anticorpi anti-transglutaminasi, anti-endomisio ed anti-gliadina (AGA).

In particolare, gli anticorpi anti-transglutaminasi sono quelli di più ampio utilizzo anche nei pazienti affetti da SD data la loro elevata sensibilità e specificità. Di contro gli anticorpi anti-endomisio sono operatore-dipendenti e spesso non sono identificabili nei pazienti di età inferiore ai 2 anni di vita (41,42,43).

L’endoscopia con biopsie multiple è comunque indicata nei soggetti affetti da SD di età inferiore ai 2 anni, che presentino anticorpi anti-gliadina (AGA) positivi, pur in presenza di anticorpi anti-transglutaminasi ed endomisio negativi. Tuttavia, è raro il riscontro di lesioni mucosali in presenza di AGA isolate. È stato descritto, infatti, in letteratura come gli anticorpi anti-gliadina siano presenti in alta percentuale nei pazienti affetti da SD, probabilmente per un’alterata aspecifica reattività immunitaria di mucosa o per un’alterata permeabilità intestinale (44,45).

È ancora controverso se tutti pazienti affetti da SD debbano essere sottoposti agli esami di screening per malattia celiaca o se debba essere eseguita un’unica valutazione ai 24 mesi di vita, come raccomandato dal Down’s Syndrome Interest Group (46).

Tuttavia, poiché emerge dall’esperienza clinica che la malattia celiaca può manifestarsi a diverse epoche della vita, anche a distanza dalla prima introduzione di glutine, riteniamo indicato, in questi pazienti, un programma di screening che preveda più controlli durante l’età pediatrica. L’esatta cadenza di questi controlli è tuttavia ancora da standardizzare (47).

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Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Umberto Ambrosetti - Valter Gualandri
VERSIONE EBOOKLa sindrome di Down è una patologia nota da tempo nei suoi aspetti morfologici, neuropsichiatrici ed organici. La presente raccolta di saggi, basati sull’attenta analisi della letteratura specialistica filtrata dall’esperienza diretta di ogni Autore, vuole essere una puntualizzazione per il Medico di base e per lo Specialista. Si è cercato di fornire uno strumento agile, ma completo e scientificamente aggiornato, per potere affrontare le varie patologie che non sono “speciali” perché colpiscono una persona Down, ma vanno inquadrate in una cornice particolare in quanto presenti in un soggetto con caratteristiche organiche e cliniche “particolari”. Questo testo non vuole essere uno strumento che induca ad una eccessiva medicalizzazione delle persone Down, le quali non debbono essere considerate “pazienti” ma individui soggetti a rischi clinici polimorfi, rischi che dobbiamo individuare e controllare, esercitando una medicina preventiva a tutti i livelli. Il lavoro, che ha visto impegnati un gran numero di esperti quotidianamente coinvolti nei vari ambiti specialistici per migliorare le condizioni di vita di queste donne e uomini vuole essere di aiuto nella comprensione e gestione delle manifestazioni di questo complesso quadro clinico provocato da una piccola quantità di DNA in eccesso sul cromosoma 21.