13. EMATOLOGIA

CLAUDIO ANNALORO

Generalità

La sindrome di Down (SD) è associata ad un gran numero di alterazioni ematologiche. Lo spettro di tali manifestazioni va dal riscontro di semplici anomalie di laboratorio, espressione di disordini autolimitantisi, alla diagnosi di neoplasie ematologiche, in particolare leucemie acute. Nell’ambito di queste ultime si riconoscono varietà caratteristiche o addirittura specifiche della SD, come la malattia mieloproliferativa transitoria (TMD) e la leucemia mieloide acuta (LMA) a micromegacarioblasti. Nella tabella 1 sono riassunte le alterazioni ematologiche potenzialmente associate alla SD. Nel testo si dedicherà un capitolo alle alterazioni non neoplastiche, alla TMD, alla LMA e alla leucemia linfatica acuta (LLA).


Alterazioni ematologiche non neoplastiche

La SD può accompagnarsi ad un insieme eterogeneo di alterazioni ematologiche benigne, molte delle quali si presentano come semplice alterazioni di laboratorio. Gran parte delle osservazioni riguardano alterazioni riscontrate alla nascita e molte di esse presentano analogie con quanto rilevabile in neonati portatori di altre anomalie citogenetiche congenite o nati da gravidanze a rischio. L’evento patogenetico più frequentemente riconosciuto è infatti l’ipossia cronica intrauterina (1).

una recente indagine sistematica condotta su una casistica sufficientemente numerosa ed omogenea (2) ha dimostrato che l’anomalia più frequentemente osservata alla nascita è la neutrofilia, non di rado accompagnata da alterazioni morfologiche, in particolare la presenza di granulazioni tossiche. Molto meno frequente è la neutropenia; va tuttavia considerato che la neutrofilia è solo un evento transitorio riscontrabile alla nascita, perché nelle età successive la malattia di Down è una causa di modesta neutropenia cronica. in una minoranza di casi sono riscontrabili alterazioni più complesse, talora inquadrabili nella TMD di cui si parlerà più avanti. in particolare va distinta dalla TMD la semplice blastosi periferica transitoria, che può coinvolgere anche la serie rossa, caratteristica dell’immaturità e presente quindi anche in neonati non SD. Questa condizione si distingue dalla TMD per la fugacità dei reperti, in quanto la


I) Alterazioni non neoplastiche

A) Alterazioni neonatali

B) Alterazioni delle età successive

a) Alterazioni quantitative

a) Neutropenia

1) Neutrofilia, neutropenia

b) Deficit funzionale dei neutrofili

2 ) Trombocitosi, trombocitopenia,

c) Trombofilia (?)

3 ) Poliglobulia, anemia,

d) Macrotrom boritosi

b) Alterazioni qualitative

e) Macrocitosi eritrocitaria

1) Granulazioni tossiche nei neutrofili

f) Ridotta espansione T-linfocitaria

2) Screzio mieloide

g) Deficit persistente di B linfociti

3) Eritroblastosi

h) Deficit di IgG 4

i) Anemie carenziali 

II) Alterazioni neoplastiche

A) Caratteristiche o specifiche della SD

B) Non caratteristiche

a) Malattia mieloproliferativa transitoria

a) LLA

b) Mielodisplasia pre-M7

b) Varietà di LMA diverse da M7

c) LMA M7

c) Leucemie congenite

d) Altre mielodisplasie
e) Linfomi

Tab. 1 Alterazioni ematologiche in corso di sindrome di Down. Le alterazioni più comuni sono segnate in neretto. Per le abbreviazioni si rimanda al testo.


blastosi periferica si risolve spontaneamente nel volgere di pochi giorni. Dati non recenti hanno segnalato la coesistenza di alterazioni funzionali dei neutrofili (3).

La seconda alterazione in ordine di frequenza è la trombocitopenia, in genere di grado non elevato, ma tale in rari casi da richiedere terapia trasfusionale. Più raro è il riscontro di trombocitosi; i valori di piastrine tendono in ogni caso a normalizzarsi nelle età successive, sebbene possa permanere macrotrombocitosi.

La terza anomalia per frequenza è la poliglobulia, che può occasionalmente giungere a livelli tali da richiedere procedure di aferesi; molto più raro è il riscontro di anemia. L’anemia non è un reperto caratteristico della SD in età post-neonatale. Tuttavia la maggioranza dei pazienti con SD presentano macrocitosi anche in età adulta (4), cui corrisponde una vita media delle emazie significativamente più breve, imputabile ad una prematura senescenza eritrocitaria, caratteristica della SD (5,6). Dato che i pazienti maschi con SD sono a rischio di sviluppare anemia in età adulta (7), sia con meccanismo carenziale sia per sanguinamento cronico da FANS, la persistenza di macrocitosi può costituire un certo ostacolo nell’inquadramento diagnostico (4).

È stato ipotizzato che la SD si accompagni anche ad uno stato trombofilico, sebbene i dati disponibili in proposito siano occasionali (8).

È opinione comune che la SD si caratterizzi per una maggiore predisposizione a sviluppare infezioni. Sono state descritte alterazioni a carico dell’ontogenesi del sistema immunitario. In particolare i pazienti con SD non presentano l’ondata di espansione T e B linfocitaria, caratteristica nel primo anno di vita. Nell’ambito dei T linfociti la componente CD4 è più compromessa della componente CD8 (9). Tra i possibili fattori patogenetici è stato segnalato un deficit di interazione dei T linfociti con la componente epiteliale del timo. Mentre le sottopopolazioni T linfocitarie si avvicinano alla normalità nel volgere di alcuni anni, la maggior parte dei pazienti con SD presentano un deficit B-linfocitario persistente (10). In accordo con il deficit B-linfo-citario studi non recenti hanno documentato varie alterazioni a carico delle immunoglobuline (11); la più caratteristica è il deficit della sottoclasse IgG4, che risulta significativamente legata ad un incremento del rischio infettivo (12).

Malattia mieloproliferativa transitoria

Definizione

A seconda delle casistiche, il 5-10% dei neonati con SD presentano una caratteristica complicazione, apparentemente reversibile in maniera spontanea, cui sono stati attribuiti numerosi nomi e sigle, fra i quali i più comunemente impiegati sono “malattia mieloproliferativa transitoria” (TMD) e “mielopoiesi anomala transitoria” (TAM) (13,14); come già specificato, si darà la preferenza alla sigla TMD. La TMD è caratterizzata da un’alterazione ematologica complessa, con aspetti simultaneamente mielodisplastici e mieloproliferativi e con una blastosi periferica che può suggerire una leucemia acuta. Le alterazioni ematologiche si associano a manifestazioni a carico di altri organi, in particolare del fegato, del polmone, della cute e dell’apparato cardiovascolare, e presentano la particolarità di essere apparentemente reversibili. Anche il termine “transitorio” può prestarsi ad equivoci, perché nella sua storia naturale la malattia regredisce spontaneamente, ma nel 20-30% dei casi a distanza di pochi anni compare una leucemia acuta con i caratteri della LMA M7.

Eziopatogenesi

Sebbene siano state sottolineate sfumate analogie con altre sindromi ematologiche che si sviluppano in pazienti con patologie congenite, come la leucemia mielomonocitica cronica giovanile che compare in pazienti con sindrome di Noonan, la TMD è una complicazione pressoché esclusiva della SD. Infatti, al di fuori della SD, rari casi di TMD sono stati descritti in neonati fenotipicamente normali, ma con mosaicismo per la trisomia 21 o con trisomia 21 limitata al tessuto emopoietico. In questi ultimi casi è discutibile se si tratti di una vera triso-mia 21 acquisita solo a livello emopoietico o se si tratti di forme particolarmente sfumate di mosaicismo (13,15). Non sono disponibili convincenti segnalazioni di TMD in soggetti che non presentino trisomia 21, per lo meno a livello emopoietico. La stretta associazione fra TMD e SD aveva inizialmente portato ad indagare il ruolo patogenetico di eventuali geni presenti sul cromosoma 21. Nonostante vari geni implicati nella leucemogenesi siano localizzati sul cromosoma 21, nessuno di essi è risultato sicuramente coinvolto nell’insorgenza della TMD.

L’attenzione si è invece rivolta al prodotto del gene GATA-1 e al suo cofattore FOG-1 (Friend of GATA-1). Il gene GATA-1 è presente sul cromosoma X e codifica per una proteine che, in collaborazione con FOG-1, che si lega all’estremo N-terminale di GATA-1, è essenziale per la regolazione della proliferazione e della differenziazione dei megacariociti. È stato osservato che nella TMD della SD è sempre presente una mutazione di GATA-1, che a seguito di eventi molecolari diversi, porta alla sintesi di una proteina priva degli ultimi 84 aminoacidi all’estremo N-terminale. Questo prodotto, denominato GATA-1s, è presente nei topi “knock-in”, in grado di produrre solo questa variante di GATA-1, e porta ad un disaccoppiamento fra proliferazione e differenziazione megacariocitaria e alla persistenza di megacariocitopoiesi extramidollare; in effetti gli organi maggiormente interessati dalla TMD sono il fegato, sede di emopoiesi prenatale, e il polmone, dove una quota di megaca-riocitopoiesi è presente anche nell’adulto. Nei modelli sperimentali l’inserimento di GATA-1 normale è in grado di correggere il difetto indotto da GATA-1s (16).

Pertanto i dati sperimentali dimostrano che non può darsi TMD senza la contemporanea presenza di trisomia 21 e di GATA-1s. Infatti la trisomia 21 isolata è solo una condizione grossolanamente predisponente alla leucemia, mentre la sola presenza di GATA-1s in soggetti senza trisomia 21 porta ad una moderata alterazione dell’emopoiesi, che coinvolge principalmente la serie megacariocitaria (17). È argomento di discussione se il clone con trisomia 21 e GATA-1s sia un clone neoplastico. L’opinione più diffusa è che si tratti di un clone preneoplastico che nella vita intrauterina acquisisce un vantaggio selettivo, e determina così l’insorgenza della TMD. Dopo la nascita questo vantaggio selettivo si perde e il clone apparentemente scompare. Se però è in grado di acquisire ulteriori mutazioni, si determina un’evoluzione francamente neoplastica e la comparsa di una LMA M7. In assenza di evoluzione neoplastica il clone probabilmente scompare (1,17).

Dal punto di vista strettamente eziologico è stato via via ipotizzato che l’esposizione a farmaci, tossici o eventi infettivi nel corso della vita intra-uterina possa favorire l’insorgenza della TMD. I dati a disposizione non consentono di trarre conclusioni univoche (18,19).

Epidemiologia

È comunemente riportato che la TMD interessa il 5-10% dei neonati con SD, È altresì noto che nel 70% delle LMA M7 in pazienti con SD insorge dopo una precedente TMD. Dato che le due malattie hanno lo stesso “marker” molecolare, sorge spontaneo il quesito se la frequenza della TMD non sia sottostimata e se anche nel rimanente 30% dei casi di LMA M7 una TMD sarebbe stata dimostrabile se sistematicamente ricercata. In effetti i dati epidemiologici si basano sull’analisi dei neonati SD che hanno richiesto indagini ematologiche. Questi pazienti, pur rappresentando circa l’80% dei nuovi casi, non sono evidentemente indicativi della totalità della popolazione SD. Inoltre è possibile che siano stati diagnosticati come TMD solo i casi con un sufficiente impegno clinico e di laboratorio, mentre altri casi di TMD sono decorsi senza una diagnosi per la benignità e la reversibilità delle manifestazioni. Data la disponibilità di un marker molecolare specifico come GATA-1s, solo un’indagine molecolare prospettica e sistematica su tutti i neonati SD può chiarire definitivamente la reale frequenza della TMD (1,13).

Manifestazioni cliniche

La TMD si sviluppa tipicamente durante la vita intrauterina e si manifesta alla nascita. Tuttavia la TMD è anche una delle principali cause di idrope fetale nella SD e anche questi casi rientrano quindi nel computo dei casi incidenti di TMD. All’estremo opposto è altrettanto noto che in una quota rilevante di pazienti la TMD decorre in maniera asintomatica e la diagnosi si basa sul riscontro di una modesta emoblastosi reversibile. La quota di casi asintomatici è attualmente stimata intorno al 25% del totale, ma la reale frequenza di questi casi risente delle incertezze epidemiologiche: è probabile che, se si conducesse un’indagine sistematica su tutti i pazienti SD, il numero di TMD aumenterebbe e aumenterebbe parimenti il numero di TMD asintomatiche.

Tralasciando i due estremi precedentemente accennati, la TMD si caratterizza per manifestazioni ematologiche e non ematologiche. Le manifestazioni ematologiche principali sono rappresentate da leucocitosi di grado variabile, con presenza di blasti che a loro volta esprimono i caratteri morfologici, ultrastrutturali, citochimici e immunofenotipici dei micro-megacarioblasti; si accompagnano anemia, raramente eritrocitosi, con segni di diseritropoiesi ed eritroblastosi, e trombocitopenia, più raramente trombocitosi, con presenza di anomalie morfologiche delle piastrine (1,13,17).

L’organo più frequentemente interessato è il fegato. Dal punto di vista clinico si apprezzano epatomegalia, spesso accompagnata da splenomegalia, ed ittero. Gli esami di laboratorio mostrano segni di colestasi e di necrosi epatocellulare, che nei casi più gravi possono evolvere verso l’insufficienza epatica acuta. Dal punto di vista morfologico, il fegato è infiltrato da precursori megacariocitari che, nelle forme più aggressive, possono determinare l’insorgenza di fibrosi (20). Precursori megacariocitari infiltrano anche il polmone e il miocardio, dove determinano polisierosite ed edema polmonare. Meno frequente è l’interessamento cutaneo che si manifesta con infiltrati di piccole dimensioni che possono presentare un’evoluzione necrotico-crostosa.

Evoluzione e prognosi

La storia naturale della TMD è la risoluzione spontanea, che avviene in un periodo variabile da alcuni giorni a sei mesi dopo la diagnosi. Nella maggior parte dei casi la risoluzione avviene intorno ai tre mesi. il termine TMD, come la maggior parte dei termini equivalenti, sottolinea la reversibilità della TMD e suggerisce la sostanziale benignità di questa forma. Si tratta di un concetto che può essere condiviso solo in parte. Infatti, se da una parte non può considerarsi benigna una malattia che comporta un rischio del 20-30% di sviluppare successivamente una leucemia acuta, dall’altra anche la TMD ha a sua volta una mortalità non trascurabile. Tenendo conto dei casi di idrope fetale e della mortalità post-natale per fibrosi ed insufficienza epatica, nonché per complicazioni cardiopolmonari, si ottiene una mortalità globale intorno al 20% (1,13,17).

Terapia

La TMD non richiede in genere una terapia specifica. Tuttavia può essere necessaria una terapia di supporto per le complicazioni extra-ematologiche. Inoltre in casi di particolare gravità può essere indicata una terapia citoriduttiva. Il trattamento più comunemente impiegato è l’Ara-C a basse dosi, perché i blasti della TMD, come quelli della LMA M7 della SD, presentano un’elettiva sensibilità a questo antimetabolita (13). Possono essere sufficienti dosaggi dell’ordine dei 10 mg/mq di superficie corporea per la durata di circa una settimana (1).

Leucemia mieloide acuta

Epidemiologia

I pazienti affetti da SD hanno un rischio globale di sviluppare una leucemia acuta in età pediatrica, valutabile in un caso su 100-200 bambini, maggiore nel sesso maschile. In generale questo rischio è 10-20 volte superiore a quello dei bambini non portatori di SD. L’eccesso di leucemie rende conto della maggiore mortalità in età pediatrica dei pazienti con SD. Va tuttavia rilevato che, a differenza della popolazione pediatrica generale, dove è ben nota la netta prevalenza delle forme linfatiche, quasi la metà delle leucemie acute in SD è costituito da forme mieloidi; pertanto la SD è una condizione che comporta un incremento di 40-50 volte del rischio di contrarre una leucemia mieloide acuta (LMA). Va considerato infine che oltre la metà delle LMA in SD è costituito da forme a precursori megacariocitari, inquadrabili nella categoria M7 secondo la classificazione FAB modificata. Dato che la LMA M7 è rara in tutte le età della vita ed eccezionale in età pediatrica, ne deriva che quest’ulti-ma variante è almeno 500 volte più frequente nella SD rispetto alla popolazione pediatrica generale (16,21,22). L’età mediana di insorgenza della LMA M7 è al di sotto dei due anni, in un intervallo compreso fra uno e quattro anni. Per quanto riguarda le altre forme, sebbene non siano impossibili le leucemie connatali o quelle dell’età pediatrica più avanzate, il picco di incidenza si registra entro l’età di cinque anni (21,22,23).

Eziopatogenesi

Le leucemie acute e in particolare la LMA sono neoplasie particolarmente frequenti in corso di SD, tuttavia il dato nettamente più caratteristico è l’imponente eccesso di forme LMA M7, a riguardo delle quali è disponibile la maggiore quantità di dati. Il rischio di sviluppare una LMA M7 in pazienti con SD è strettamente connesso con la comparsa in età neonatale di TMD. Infatti sino al 30% dei neonati con TMD svilupperà una LMA M7, mentre il 70% dei bambini SD con LMA M7 ha un’anamnesi positiva per TMD. È probabile che quest’ultima percentuale si approssimerebbe al 100%, se venissero condotte sistematiche indagini in tutti i neonati SD, volte a diagnosticare un’eventuale TMD (1). Il legame fra TMD e LMA M7 è ulteriormente avvalorato dall’identità morfologica e biologica fra i blasti della TMD e quelli della LMA M7; in particolare l’associazione fra trisomia 21 e mutazione di GATA-1 con produzione del trascritto GATA-1s è un reperto unico e caratteristico di queste due patologie.

Non è tuttavia chiaro quali eventi molecolari determino la trasformazione del clone della TMD, probabilmente non neoplastico, nel clone leucemico LMA M7. Lo studio del ruolo di eventuali geni codificati sul cromosoma 21 ha dato risultati interessanti, per quanto riguarda in particolare RUNX1, ma non definitivi, né esistono alterazioni genetiche univocamente associate alla LMA M7 in SD. Per tale motivo è stato anche ipotizzato che alla base della evoluzione leucemica vi possano essere alterazioni epigenetiche (1,21,22,24).

Molto meno definiti sono gli eventi patogenetici che stanno alla base delle altre varietà di LMA in SD. Si tratta infatti di forme che non si differenziano rispetto a quelle occorrenti nella popolazione generale, se non per la più elevata frequenza. Non è chiaro quali siano i meccanismi che predispongono i pazienti con SD allo sviluppo di queste varietà di LMA. Studi non recenti hanno mostrato che la SD si caratterizza per instabilità genetica, mentre i caratteri dell’immunodepressione che complica la SD sono stati esposti a proposito delle alterazioni non neoplastiche. Va tuttavia ricordato che in generale i pazienti con SD non sono considerati a rischio particolarmente elevato di sviluppare neoplasie extra-ematologiche.

Manifestazioni cliniche ed ematologiche

La comparsa di LMA avviene tipicamente in un bambino con SD di età inferiore a 5 anni e con anamnesi positiva per TMD neonatale. La diagnosi di LMA conclamata è spesso preceduta da una fase mielodisplastica, testimoniata dalla comparsa di una o più citopenie e di alterazioni morfologiche allo striscio periferico. Il riconoscimento precoce della fase displastica, e di conseguenza la valutazione circa la frequenza di questa alterazione prima dello sviluppo di LMA, possono essere ostacolati dalle alterazioni non neoplastiche croniche, comunemente osservate in corso di SD, in particolare neutropenia e macrocitosi delle emazie. Lo sviluppo di LMA è annunciato dalla comparsa di sintomi sistemici, megalie d’organo e segni di infiltrazione, emoblastosi e accentuazione delle citopenie (1,13,17).

Nella frequente evenienza della LMA M7, i blasti leucemici hanno i caratteri morfologici e biologici dei micromegacarioblasti. Dal punto di vista morfologico si tratta di blasti di dimensioni elevate, con citoplasma basofilo e caratteristiche estroflessioni bollose del citoplasma. All’analisi immunofenotipica si rileva positività per i marker megacariocitari, in particolare CD41 e CD61.

Può esservi coespressione di marker mieloidi ed eritrocitari. Sebbene si tratti di indagini ormai in disuso, può essere utile anche rammentare le caratteristiche citochimiche; i micromegacarioblasti, a differenza dei blasti mieloidi, sono negativi per la mieloperossidasi, il Sudan e la naftol-cloroacetato esterasi (esterasi specifica), possono avere una positività aspecifica per il PAS a differenza della positività specifica granulare dei linfoblasti, presentano caratteristicamente positività per la fosfatasi acida e per la naftil-acetato-esterasi (esterasi aspecifica). L’aspirato midollare può non di rado risultare difficoltoso e in questi casi la caratterizzazione dei blasti viene di conseguenza eseguita sul sangue periferico. È utile l’esecuzione della biopsia osteomidollare che può mostrare, oltre alla blastosi midollare e a frequenti alterazioni displastiche, testimonianza di una possibile precedente mielodisplasia, anche un grado variabile di fibrosi, che rende conto dei casi di fallimento dell’aspirato midollare (1,13,17).

Decorso e prognosi

L’associazione fra SD e leucemie acute è nota da circa 50 anni (25). All’inizio dell’era moderna nel trattamento delle leucemie il giudizio circa la possibilità che un bambino con SD potesse essere sottoposto con successo ad un trattamento aggressivo, era sostanzialmente negativo; alla base di questo giudizio vi era la fragilità del bambino SD e la facilità a sviluppare complicazioni legate alla terapia. Di conseguenza la diagnosi di SD era un criterio di esclusione dai protocolli polichemioterapici. Successivamente è stato osservato come l’elettiva sensibilità dei blasti mieloidi di pazienti con SD compensi e sopravanzi il rischio di complicazioni (26,27). Ne deriva che attualmente la LMA della SD ha una prognosi migliore della LMA pediatrica della popolazione generale, con una probabilità di lunga sopravvivenza libera da eventi sempre superiore al 50%. È esperienza comune che i fallimenti siano imputabili in gran parte alle complicazioni della chemioterapia piuttosto che alla chemioresistenza.

Terapia

La terapia della LMA nella SD deve tenere conto, per quanto possibile, della contrapposizione, precedentemente delineata, fra l’elevato rischio di complicazioni tossiche, tipico del bambino SD, e l’aumentata chemiosensibilità, tipica dei blasti della SD LMA. La suscettibilità alle complicazioni tossiche è imputabile alla immunodepressione di base, alle alterazioni ematologiche benigne croniche che testimoniano di un’emopoiesi imperfetta, al maggiore rischio di comorbilità, alla minore riserva funzionale di alcuni organi, oltre ad altri possibili fattori non determinati. L’aumentata chemiosensibilità dei blasti SD è stata oggetto di varie indagini. Va premesso che, sebbene solo la variante M7 sia un’entità omogenea dal punto di vista biologico, tuttavia l’aumentata chemiosensibilità è una caratteristica comune a tutte le LMA SD (21,23). La nozione di più comune dominio è la sensibilità dei blasti all’Ara-C, in particolare per una maggiore generazione di nucleotide trifosfato. Tuttavia uno studio sistematico in proposito ha dimostrato che i blasti della LMA SD sono molte volte (da 3 a 23) più sensibili a tutti i chemioterapici dei blasti di pazienti non SD, con la sola eccezione del methotrexate, rispetto al quale è stata documentata una resistenza 21 volte superiore rispetto alla LMA non SD (28). Non essendo ragionevole ipotizzare un meccanismo SD specifico per ciascuna di queste sensibilità, è molto più probabile che si tratti di meccanismi legati alla peculiarità biologica della cellula leucemica. I blasti della LMA SD hanno, fra l’altro, minore capacità di riparazione del danno genomico, hanno una maggiore attività sintetica e hanno una maggiore propensione all’apoptosi (23). Alcune di queste caratteristiche sono peraltro comuni alla LLA SD, in cui la chemiosensibilità non è invece dissimile da quella delle LLA non SD. Va inoltre segnalato che non tutti i profili di sensibilità sono pienamente utilizzabili a scopo terapeutico; è il caso delle antracicline e di altri agenti intercalanti verso la cui cardiotossicità i pazienti con SD sono particolarmente suscettibili (21).

I pazienti affetti da LMA SD sono stati regolarmente inseriti in protocolli terapeutici multicentrici, pur con opportune modulazioni posologiche. I dati più rilevanti derivano dall’esperienza dei gruppi cooperativi nazionali tedesco (BFM) (29) ed inglese (MRC) (22), oltre a quella del gruppo multinazionale nordico NOPHO (23). I dati possono essere definiti nel complesso altamente favorevoli, visto che gli studi più recenti di ciascun gruppo mostrano una probabilità di lunga sopravvivenza variabile negli ultimi studi pubblicati dall’83 all’89%, con sensibili miglioramenti rispetto ai riferimenti storici di ciascun gruppo. Dato che gran parte degli insuccessi è rappresentata dal decesso per cause tossiche, vi è una sostanziale coincidenza fra sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da eventi.

L’esame delle differenti casistiche mostra alcuni caratteri comuni: percentuali di resistenza raramente superiori al 5%, percentuali di recidiva raramente a due cifre, prevalenza di insuccessi legati a complicazioni tossiche rispetto alla progressione di malattia. Di fronte a questi dati è difficile ipotizzare un ulteriore significativo miglioramento (22,23,29). Tuttavia è opinione comune che eventuali progressi siano da attendersi sia dal miglioramento della terapia di supporto sia dall’eventuale ottimizzazione del dosaggio di alcuni farmaci, come le antracicline (22).

Le caratteristiche della LMA SD hanno fatto sì che il trapianto di cellule staminali emopoietiche non venisse per lungo tempo considerato fra le possibili opzioni terapeutiche. il decorso favorevole della malattia con sola chemioterapia in ogni caso limita i casi in cui tale procedura potrebbe essere prospettata. Le casistiche disponibili sono pertanto poco numerose ed eterogenee; sembrano comunque dimostrare che il trapianto è un’opzione praticabile nel trattamento della malattia refrattaria (30).

Leucemia linfatica acuta
Epidemiologia

Sebbene la LMA, in particolare la variante M7, sia la forma più caratteristica, la leucemia linfatica acuta (LLA) costituisce più della metà delle leucemie acute in corso di SD, circa il 60%. La LLA colpisce non meno dell’1% dei bambini SD, almeno dieci volte in più rispetto alla popolazione pediatrica generale. La LLA SD colpisce prevalentemente il sesso maschile con un rapporto di circa 1,5/1, in maniera non dissimile rispetto alla LLA non SD (31) Vi sono invece significative differenze per quanto riguarda l’età: è nozione acquisita che la LLA SD compare solo eccezionalmente entro il primo anno di età, mentre dal confronto fra le casistiche più numerose(31) sembra emergere una minore incidenza dopo l’età di 10 anni, non confermata da altre esperienze (32).

Eziopatogenesi

Mentre la TMD/LMA, almeno per quanto riguarda la variante M7, ha segnato considerevoli successi nella comprensione dei meccanismi patogenetici, non si può dire altrettanto della LLA SD. La LLA SD presenta una considerevole uniformità dal punto di vista immunofenotipico; d’altro canto l’acquisizione di un terzo cromosoma 21 è l’anomalia numerica cromosomica più comune in pazienti con LLA non SD, mentre sono frequenti anche altre anomalie che coinvolgono il cromosoma 21 come la t(12;21). Questi elementi suggeriscono, almeno per assonanza, un legame diretto fra trisomia 21 e ed LLA. Nonostante la ragionevolezza di questa ipotesi, non vi sono certezze circa un’eventuale modalità unitaria con cui questa predisposizione si può estrinsecare. Fra i potenziali oncogeni localizzati sul cromosoma 21, le attenzioni sono state rivolte, senza sicuri risultati, alla famiglia di oncogeni ETS; anche il gene AML-1, interessato dalla t(12;21), non sembra svolgere un ruolo di primo piano, dato che tale anomalia è di raro riscontro nella LLA SD (33). I dati disponibili sono nel complesso frammentari; le alterazioni descritte a carico di singoli oncogeni sono eterogenee e non contribuiscono alla definizione di un modello unitario (34).

Fattori predisponenti generici sono rappresentati dalla relativa inefficienza dei meccanismi di riparazione del danno genomico. Vi è poi una certa relazione fra l’età di massima espressione del deficit di ontogenesi immunitaria e il picco di incidenza della LLA SD.

Dal punto di vista eziologico, come per la TMD/LMA, non vi sono dati univoci. Le indagini epidemiologiche relative all’esposizione a vari agenti chimici coinvolgono pazienti SD e no, talvolta sono riferiti al problema più generale delle neoplasie infantili. Tuttavia vanno segnalati due studi recenti indirizzati specificamente alla SD. Il primo, del Children’s Oncology Group ha messo in evidenza una correlazione fra leucemia acuta ed esposizione ad agenti chimici domestici(18) e richiama indirettamente il ruolo dei meccanismi di riparazione del danno genomico. Il secondo non ha messo in evidenza correlazione fra leucemia acuta ed esposizione a radiazioni a scopo diagnostico (19).

Manifestazioni cliniche ed ematologiche

Le caratteristiche cliniche della LLA SD non differiscono sostanzialmente da quelle delle LLA non SD. Infatti sono principalmente imputabili alla diversa frequenza delle singole varianti immunofenotipiche alcune differenze comunemente riportate, come una minore frequenza di linfoadenopatie, soprattutto mediastiniche, e di interessamento del sistema nervoso centrale all’esordio. Analogo significato hanno alcune differenze sul piano ematologico, come la minore frequenza di forme iperleucocitosiche.

Dal punto di vista biologico il dato più appariscente è la predominanza di forme pre-B CD10+, che superano nettamente il 90% dei casi. Consone a questo rilievo sono anche le caratteristiche citochimiche; è frequente la PAS positività granulare, mentre è rara la positività per enzimi lisosomiali, fosfatasi acida ed esterasi aspecifiche, caratteristica delle forme ad immunofenotipo T. un ulteriore elemento di uniformità è costituito dalla bassa frequenza delle comuni alterazioni cromosomiche, sia quelle di significato prognostico favorevole, sia quelle sfavorevoli (31,32,33).

Terapia e prognosi

I bambini SD con LLA, come nel caso della LMA, presentano un rischio elevato di sviluppare complicazioni tossiche legate alla chemioterapia. D’altra parte però, a differenza del caso della LMA, nella LLA SD il maggiore rischio di complicazioni non è controbilanciato da una maggiore chemiosensibilità. Va tuttavia rilevato che i linfoblasti della LLA pediatrica sono intrinsecamente più chemiosensibili dei blasti della LMA. Questi risvolti negativi sono parzialmente mitigati dalla netta prevalenza di forme pre-B, a prognosi migliore, e dalla scarsa frequenza di assetti cromosomici e molecolari sfavorevoli. Ne deriva che i bambini SD affetti da LLA possono avere una prognosi tendenzialmente più sfavorevole rispetto ai bambini non SD, sia in termini di sopravvivenza globale sia in termini di sopravvivenza libera da malattia, sebbene non tutte le casistiche siano in grado di confermare questa asserzione (33). Anche i bambini SD affetti da LLA sono da tempo inseriti in protocolli chemioterapeutici aggressivi. La percentuale di LLA SD nelle diverse casistiche non è in genere inferiore all’1% e sembra quindi riflettere la realtà dei casi incidenti, senza una significativa preselezione. Come è ragionevole attendersi, a differenza della LMA SD, assumono rilievo fra le cause di fallimento anche la resistenza primaria e la recidiva, oltre alla morte per complicazioni tossiche. Ne deriva una più evidente dissociazione fra la sopravvivenza globale, che non sempre significa guarigione e dipende anche dall’efficacia delle terapie di seconda linea, e la sopravvivenza libera da malattia. È comunque evidente una tendenza al miglioramento dei risultati con i protocolli più recenti, che rende conto del fatto che non sia sempre dimostrabile una prognosi più sfavorevole per i pazienti con SD. Pur tenendo conto di una certa eterogeneità dei dati disponibili, si rileva una sopravvivenza globale a lungo termine intorno al 70% e una lunga sopravvivenza libera da eventi quanto meno superiore al 50% (31,32). Per quanto riguarda le prospettive di miglioramento, quelle specifiche per la LLA SD sono affidate soprattutto al miglioramento della terapia di supporto. Sebbene il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche sia stato applicato in epoca relativamente recente ai pazienti con leucemia acuta e SD, la LLA costituisce la principale indicazione perché una quota rilevante di pazienti possono risultare refrattari o recidivare dopo terapia convenzionale. I dati a disposizione, mostrano che, come per la LMA SD, tale procedura è attuabile con una tossicità accettabile. Dato che però la LLA refrattaria non è una condizione caratterizzata dallo sviluppo di una reazione efficace del trapianto contro la leucemia, la recidiva costituisce la causa primaria di fallimento (34).

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Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Umberto Ambrosetti - Valter Gualandri
VERSIONE EBOOKLa sindrome di Down è una patologia nota da tempo nei suoi aspetti morfologici, neuropsichiatrici ed organici. La presente raccolta di saggi, basati sull’attenta analisi della letteratura specialistica filtrata dall’esperienza diretta di ogni Autore, vuole essere una puntualizzazione per il Medico di base e per lo Specialista. Si è cercato di fornire uno strumento agile, ma completo e scientificamente aggiornato, per potere affrontare le varie patologie che non sono “speciali” perché colpiscono una persona Down, ma vanno inquadrate in una cornice particolare in quanto presenti in un soggetto con caratteristiche organiche e cliniche “particolari”. Questo testo non vuole essere uno strumento che induca ad una eccessiva medicalizzazione delle persone Down, le quali non debbono essere considerate “pazienti” ma individui soggetti a rischi clinici polimorfi, rischi che dobbiamo individuare e controllare, esercitando una medicina preventiva a tutti i livelli. Il lavoro, che ha visto impegnati un gran numero di esperti quotidianamente coinvolti nei vari ambiti specialistici per migliorare le condizioni di vita di queste donne e uomini vuole essere di aiuto nella comprensione e gestione delle manifestazioni di questo complesso quadro clinico provocato da una piccola quantità di DNA in eccesso sul cromosoma 21.