20. ASPETTI TERAPEUTICI 

DELLO STRESS OSSIDATIVO

UMBERTO CORNELLI
Introduzione

La sindrome di Down (SD) è la più comune causa di disabilità mentale di origine genetica e, nei paesi evoluti, considerando tutte le forme, trisomia pura- mosaicismo- difetti di traslazione del cromosoma 21 (Ch 21), essa si osserva approssimativamente in 1 caso su 700/800 nati (1).

Visti nel loro complesso, i portatori di SD hanno una sopravvivenza ridotta rispetto agli altri individui e le più frequenti cause di morte sono i difetti congeniti cardiaci e le infezioni respiratorie (1). Tuttavia, anche la demenza, i disturbi tiroidei (ipo/iper), le polmoniti da aspirazione, l’influenza, l’epatite e la leucemia sono tra le più rappresentative cause di morbilità e decesso in questi soggetti.

Tutte queste patologie e la precocità dei relativi decessi stanno ad indicare una relativa fragilità.

Confrontando i dati di mortalità nel tempo (1) risulta evidente che l’età media di decesso era 25 anni nel 1983 e 49 anni nel 1997. Questo dato indica un incremento di 24 anni di vita rispetto all’incremento di soli 3 anni riscontrato nella popolazione normale di confronto.

È certamente un grande risultato per i soggetti affetti da SD, che testimonia l’aumento dell’ interesse rivolto a questa condizione, sia per gli aspetti correlati alla cura familiare che alla chirurgia cardiaca oltre che alle cure mediche generali.

L’osservazione di una più ridotta frequenza di alcuni tumori solidi (2) è da interpretare appunto con una maggior attenzione da parte dei familiari per quei fattori facilitanti quali tabacco, alcol, esposizioni occupazionali. L’ipotesi suggestiva di alcuni ricercatori (3) che nel Ch 21 sia codificato un gene che sopprime i tumori (anche se non quelli del testicolo/ ovaie e i retino blastomi), oppure la vecchia ipotesi di un generale rallentamento replicativo cellulare (4,5), pur corredati di alcuni fondamenti, restano comunque epifenomeni da comprendere e studiare più a fondo.

Dal punto di vista generale, la terapia delle affezioni correnti in un soggetto con SD non si discosta da quelle attuabili nella popolazione generale, ma alcuni accorgimenti devono comunque essere molto puntuali proprio in ragione di quella già citata fragilità.

L’attenzione di questo capitolo è rivolta alla definizione della componente di stress ossidativo (SO) che rappresenta un elemento pressoché costante in tutti i soggetti SD. Esso è considerato da correlare alla sovra-espressione della superossidodismutasi-1 (SOD-1) codificata sul Ch 21. Tuttavia il Ch 21 non codifica solamente la SOD-1, in quanto la sua sequenza genica (almeno quella completa al 97,7%) ha rilevato 127 geni noti, 98 predicibili e 59 pseudogeni (3 ). Tra questi sono ben noti i geni che governano la proteina precursore dell’amiloide (APP) e la cistationina-P-sintetasi (6).

Pressoché tutti gli elementi citati riguardano direttamente o indirettamente l’espressione dello SO che pertanto vale la pena di chiarire in funzione di possibili trattamenti.


LO STRESS OSSIDATIVO

Visto come fenomeno generale, lo SO deriva da uno sbilanciamento tra la produzione/ esposizione a specie reattive (SR) e la rete antiossidante che dovrebbe opporsi ad esse (questa opposizione può essere definita “smorzamento” o “quenching”).

Per produzione/esposizione si considerano sia la produzione da parte del nostro organismo (per motivi energetici, metabolici o reattivi) che l’esposizione ad agenti atmosferici e/o inquinanti.

Non è compito di tale capitolo addentrarsi nei meandri delle varie SR (7), ma basta qui definire che qualsiasi SR tende a trasformarsi, o meglio a essere trasformata nel nostro organismo in specie reattive dell’ossigeno (ROS) che sono: superossido (O2^); perossido di idrogeno (H2O2); radicale idrossile (OHV Questi ROS hanno la tendenza a trasformarsi in H2O, che è il più geniale e fisiologico terminale dello smorzamento delle RS.

Il ciclo di smorzamento

Quando, per qualsiasi ragione, nel nostro organismo l’O2 (ossigeno molecolare) riesce a captare un elettrone (e-) esso diventa O2^ (superossido), il quale è una specie molto reattiva (ossidante) e per questo innesca una serie di reazioni che si possono definire come “ciclo ci smorzamento”, i cui prodotti hanno sia natura radicalica (il puntino in alto a destra o a sinistra ne definisce tale caratteristica) che non radicalica: ma tutti comunque, radicali o non radicali, hanno un’ elevata capacità ossidante.

Pertanto, è importante che nel nostro organismo l’O2^ sia rapidamente trasformato nel prodotto terminale, ovvero H2O. Se tale smorzamento non si svolge in modo armonico, cioè evitando dispersioni fuori dal ciclo, si genera il fenomeno noto come SO il quale tende a propagarsi per contiguità.

Analizziamo il processo con più dettaglio.

O2 + e- ->O2 (superossido). Ovvero, l’O2 ha captato un elettrone (ci troviamo all’interno di una cellula, per esempio nei mitocondri) e subito va incontro a dismutazione.

Dismutazione

Si tratta di una trasformazione biochimica operata dall’enzima SOD-1 (oppure da SOD-2, 3, 4): l’enzima unisce due molecole di O2^ con 2 di H+ (che prende dall’H2O oppure da acidi presenti sul posto) e con un e- derivante dal Cu1+ che si trova nel suo sito catalitico.

L’enzima trasforma quindi le due molecole di superossido rispettivamente in O2 e H2O2.

La dismutazione in termini generali avviene come segue: il metallo di transizione (Mn+), capta un elettrone all’O2* e lo trasforma in O2.

Mn+ + O2' -> M(n-1) + O2 questa reazione si chiama superossidoreduttasi (SOR)

M(n-1)+ + O2' + 2 H+ -> Mn+ + H2O2 questa reazione si chiama superossidossidasi (sOO)

Mn+ rappresenta qualsiasi metallo del sito catalitico della sOs.

Il complesso di SOR e SOO si chiama superossidodismutasi o SOD (8,9).

Esistono diverse SOD, la cui parte catalitica può contenere Cu/Zn (SOD-1) o Mn (SOD-2) o Fe(SOD -3) e infine Ni (SOD-4).

L’enzima SOD-1 è una proteina che ha un cono di accesso al sito catalitico. Tale cono è costituito da aminoacidi che gli conferiscono una carica positiva (lisina in 120 e lisina in 134) e quindi esso ha la possibilità di legare anioni (O2' è infatti un anione tanto che correttamente si dovrebbe riportare come O2'-). Questi anioni sono depositati sul sito catalitico (arginina in 141) che contiene Cu 1+ e che non sembra far partecipare lo Zn2+ (legato a ponte con il Cu+ attraverso un imidazolo). Tale cono, oltre che legare altri anioni, può legare anche l’ H2O2 (10), la quale può inattivare l’enzima. A differenza di H2O2 l’anione O2' non riesce a saturare la SOD (8).

Questo ci indica che uno dei prodotti della dismutazione, se non è rimosso, può bloccare l’accesso al sito catalitico dell’enzima e accumularsi nell’intorno. Questo avviene se l’H2O2 è in eccesso o non ha la possibilità di entrare nella reazione che segue la dismutazione, la quale è nota come reazione di Fenton.

Tale reazione non è di tipo enzimatico, ma avviene alla presenza di metalli di transizione, tra i quali il più importante è il Fe2+ (si ricorda che il Fe legato a metalloproteine è ubiquitario).

Reazione di Fenton

H2O2 + Fe2+ -> OH' + OH- + Fe3+

In tale modo si forma l’OH* (radicale idrossile), che è l’ossidante più reattivo del nostro organismo. In altri termini, se sul posto non è presente un donatore di H+, l’ OH' cattura H+ dove è possibile. Essendo estremamente reattivo, l’OH' è immediatamente smorzato dagli enzimi perossidasi (GPX) e catalasi (CAT), i quali hanno come gruppo prostetico il glutatione ridotto (GSH) che cede un atomo d’ idrogeno all’OH' e lo trasforma in H2O.

Pertanto, se l’H2O2 non subisce questa sorta di “drenaggio”, tende ad accumularsi nel sito di formazione, quindi può bloccare la dismutazione, oltre che diffondere a distanza e ossidare quanto incontra. Non solo, ma l’eccesso di H2O2 può obbligare l’enzima a esercitare la sua capacità reattiva nel trasformare l’H2O2 in OH' (11) quasi a sostituirsi in qualche modo alla reazione di Fenton. Pertanto la SOD-1 in eccesso, in un modo o nell’altro produce OH'. 3

Si è notato come il glutatione ridotto (GSH o y-glutammil-cisteinil-glicina; la cisteina è anche presente come selenocisteina, ovvero legata al Se) sia l’ultimo anello della reazione che porta finalmente a H2O.

Il GSH può esistere libero o legato agli enzimi (GPX e CAT). Comunque, una volta che ha ceduto l’H deve essere rigenerato, cosa che avviene a sua volta attraverso il sistema enzimatico nicotinammide- adenina- difosfomucleotide NAD(P)H attraverso la G6PDH (glucosio 6 fosfato deidrogenasi). La produzione di GSH, o meglio il suo ripristino, dalla forma che ha ceduto idrogeno GSSG (glutatione ossidato derivante dall’unione di 2 GSH che hanno ceduto il loro H) avviene per l’intervento dell’enzima G6PDH (glucosio-6 fosfato deidrogenasi). Questo processo di ripristino è legato al ciclo dei pentoso fosfati (vedi Fig. 1) e implica consumo di ATP, pertanto è energeticamente dispendioso. Tuttavia, essendo il ciclo dei pentoso fosfati il punto di partenza della glicolisi l’energia si recupera nel resto della reazione glicolitica.

Questo processo è importante nelle cellule prive di mitocondri, quali gli eritrociti, i quali utilizzano il glucosio come fonte energetica per sostenere la spesa energetica legata alle loro varie funzioni, in particolare quella di proteggere l’emoglobina dall’ossidazione.


Fig. 1 Il ciclo dei pentosi, qui rappresentato parzialmente, consente la produzione di ATP per glicolisi, senza ricorrere alla catena respiratoria mitocondriale. Il glucosio (G) è fosforilato attraverso l’uso di ATP. Il ribulosio- 5-fosfato (R5P) per passaggi successivi è convertito in G6P per ripristinare il ciclo. Attraverso la glucosio-6- fosfato deidrogenasi (G6PDH) si produce nicotinamide adenina difosfonucleotide (NADPH) che ripristina il glutatione ridotto (GSSG). Questa parte della reazione consuma ATP. Una parte di R5P, con l’uso di un ulteriore ATP, è trasformato in triosi (difosfoglicerato e successivamente piruvato) generando 4 molecole di ATP. Pertanto il bilancio energetico è positivo (si consumano 2 ATP e si generano 4 ATP). Questa energia prodotta seguendo la via dei triosi consente, ad esempio agli eritrociti, di mantenere il potenziale di ossidoriduzione per proteggere l’emoglobina e per svolgere tutti gli altri processi ossido riduttivi, compreso il ciclo di smorzamento del O2 •(99).


È fondamentale che il passo finale della reazione OH7GSH avvenga in modo efficiente, per fare in modo che tutto il processo, dalla formazione di O2^ a quella di H2O, si svolga senza dispersione di forme reattive, che tenderebbero a ossidare l’ambiente circostante nelle sue varie componenti ovvero: lipidi di membrana, proteine, DNA o RNA, proteoglicani. Se il drenaggio riduttivo finale non riesce a compiersi in modo efficiente, l’accumulo di ROS si ripercuote a ritroso sino al sito catalitico della SOD.

Pertanto, nel caso di una sovra-produzione di SOD-1 si possono verificare diversi eventi:

a) riduzione della disponibilità di O2^ in quanto l’enzima lo trasforma molto velocemente

b) riduzione dell’attività dell’enzima per eccesso di produzione di H2O2

c) sovra-produzione di OH per azione catalitica sulla H2O2 da parte della SOD

d) Sovra-produzione di OH attraverso la reazione di Fenton

Ciascuno di questi eventi ha la possibilità di svolgersi in caso di una sovra-produzione di SOD-1.

A seconda della disponibilità di sostanze riducenti, tra le quali primeggia il GSH, la reazione può compiersi in modo diverso nelle cellule, anche a seconda della loro tipologia. La presenza o meno del nucleo (esempio gli eritrociti) e del relativo corredo reattivo (attivazione per trasduzione) condiziona il tipo di risposta.

Poiché ciascuno dei ROS ha un’azione differenziata a livello dei segnali di trasduzione (12, 13), la presenza di una o dell’altra tipologia di ROS può esitare in risposte cellulari molto differenti.

C’e chi sostiene infatti che un aumento della SOD-1 (14) porta a un decremento della presenza di O2’, ovvero si riduce lo stato stazionario di questo ROS.

Poiché l’O2’ mantiene limitata la produzione di ossido di azoto (NO’) per inibizione della sua sintesi, il risultato vettoriale non sarebbe un’ aumentata produzione di H2O2, ma un incremento della disponibilità di ossido di azoto NO’, con le conseguenze relative non sempre benefiche. Queste conseguenze relative sono la sovrapproduzione di perossinitrito (ONOO ) e poi di Off, identificabile come “paradosso dell’ossido di azoto”, in quanto all’azione vasodilatatrice di NO’ si sostituisce quella vasocostrittrice di Off.

La maggior disponibilità di NO’ potrebbe essere il motivo della ridotta incidenza di malattia aterosclerotica nei soggetti con SD.

L’aspetto della relazione fra O2’/ NO’/ONOO / OH’ riguarda ovviamente le cellule che possono operare la sintesi di NO’ (endotelio, astrociti, macrofagi ecc.) e aggiunge complessità a tutto il sistema. il tutto suggerisce che non si deve mai intervenire drasticamente, ad esempio usando dosaggi elevatissimi di antiossidanti al fine di correggere un’alterazione, ma che invece si deve cercare di armonizzare il sistema con pazienza e perizia. Queste ultime due qualità presuppongono, oltre a una conoscenza più dettagliata dei fenomeni, anche la possibilità di poter valutare le modificazioni farmacologiche indotte dalle eventuali terapie messe in atto.

Tuttavia, tutte le condizioni a, b, c, d oltre che l’interrelazione con NO’ conducono a stress ossidativo, ma le modalità di trattamento possono differire in modo consistente.

Da ultimo, la sovra-espressione di SOD-1 sembra essere da correlare alla Down Syndrome Critical Region (DSCR1 Adapt 78) che è un gene adattativo allo SO il quale porta alla produzione di calcipressina 1, che poi modulerebbe l’espressione della SOD-1 a livello cellulare (15). La calcipressina 1 è prodotta nel cervello e nei muscoli striati e nei soggetti affetti da SD oltre che nella malattia di Alzheimer (AD) essa è sovra espressa, inducendo a sua volta la produzione di SOD-1 (16). L’altra azione netta della calcipressina é di opporsi all’azione della calcineurina che innesca tutti i meccanismi di trasduzione del Ca2+ dalla reattività cellulare sino all’apoptosi.

Ci troviamo di fronte quindi ad una complessa regolazione composta da stimolatori e inibitori che si intrecciano alla ricerca di un adattamento.

Il problema della relazione O2’/ NO’/ONOO / OH

Si considera che l’incremento della produzione di NO’ sia benefico grazie alle sue ben note azioni vasodilatatrici e antiaggreganti. Questo, pur corrispondendo a verità, ha comunque dei limiti che devono essere presi in considerazione. Il limite principale è la sovraproduzione.

La sovraproduzione in presenza di O2’ consente la generazione di ione perossinitrito (ONOO-), il quale nelle condizioni di pH acido porta alla formazione di un radicale OH Quest’ultimo genera ossidazione consistente e vasocostrizione, ovvero un’azione paradossa (paradosso dell’NO’).

La correlazione tra un aumento della SOD e mancanza di protezione dallo SO è una vecchia osservazione condotta sul cuore isolato di animali sperimentali (17) in cui si notava che basse dosi di SOD erano protettive mentre alte dosi diventavano lesive.

Un secondo aspetto molto importante riguarda il rapporto tra rigenerazione nervosa e

NO’.

Una sua eccessiva produzione lo mette in competizione con l’ O2 dei citocromi e ne impedisce l’afflusso nei sistemi redox dei citocromi, con conseguente riduzione della produzione di ATP (18). Questo è uno dei meccanismi classici di impedimento della rigenerazione della mielina e dei neuroni nelle malattie neurodegenerative e nella sclerosi multipla (19).

Una combinazione particolarmente lesiva in congiunzione con la produzione di NO’ è l’ipossia, in quanto la carenza di disponibilità di O2 aumenta la produzione di NO’ che trova facile accesso al legame con i citocromi, riduce la sintesi di ATP, attiva la reazione gliale e sensibilizza i neuroni all’azione delle eccitotassine come glutamato e kainato (20,21).

Dal contesto di quanto presentato sino ad ora emergono alcune indicazioni importanti:

1) I soggetti affetti da SD sono in condizioni di SO e i comparti interessati da questo possono essere differenti a seconda delle disponibilità della riserva antiossidante o della capacità di compensazione che può essere anche tessuto specifica. Neuroni, astrociti, eritrociti, mioci-ti, macrofagi, linfociti ecc. possono avere compensazioni e riserve antiossidanti differenti.

2) Tutto il sistema di produzione dei ROS è alterato e non solamente la H2O2.

3) L’elevata produzione di SOD che genera livelli elevati di H2O2 i quali non sono smorzati per ridotta produzione di GSH, può non corrispondere alla realtà in tutti i sistemi cellulari (vedi successivamente il problema della cistationina-P-sintetasi).

4) Esiste una relazione tra SOD e NO’ tale che: SOD aumenta/ O2’ diminuisce/NO’ aumenta.

Tutto questo ci indica che lo SO nei soggetti affetti da SD, e non solo, può esprimersi in modo differenziato e quindi è importante poterlo misurare e poi intervenire di conseguenza.

IL PROBLEMA DELLA CISTATIONINA-p-SINTETASI (CBS)

Il gene della cistationina-P-sintetasi (CBS) è collocato su ch 21 e quindi nella SD si riscontra un’iperattività di questo enzima.

La CBS catalizza la trasformazione dell’omocisteina in cistationina (con l’intervento della B6) la quale poi, sempre per intervento della B6, si trasforma in cisteina che viene utilizzata per la sintesi di GSH (6). In teoria, nei soggetti con SD, questo evento dovrebbe mettere più GSH a disposizione, quindi essere sostanzialmente un evento positivo.

Tuttavia, la spinta alla formazione di cistationina sottrae l’omocisteina al “ciclo metilico” ovvero alla via metabolica di formazione della metionina (con l’intervento della B12). Questa mancata produzione di metionina, da una parte non consente la formazione di tetraidrofolati (THF) e dall’altra non consente la formazione di s-adenosilmetionina (SAM). Il THF (Vit B9) è fondamentale per la sintesi del DNA e la SAM è indispensabile ai processi di metilazione cellulare.

Per la parte relativa alla cascata omocisteina-cistationina-cisteina-GsH, coerentemente con il classico schema metabolico, nel plasma di soggetti con SD si osserva una riduzione dei livelli di omocisteina, un aumento dei livelli di cistationina e di cisteina (Fig. 2).


Fig. 2 Lo schema è semplificato, per praticità di lettura per quello più completo vedi (6). L’omocisteina subisce una metilazione da parte del 5MTHF (5 metilidrossifolato) in presenza di Vit B12. Dalla reazione si forma metionina e TFH (tetraidrofolato o forma attiva della Vit B9). Se il 5MTFH non è demetilato la sintesi di DNA/RNA è compromessa. A sua volta, se la metionina non è sintetizzata a sufficienza non può svolgersi normalmente la produzione di SAM (s-adenosil metionina ) che è il principale donatore di metili attraverso la metiltransferasi. Anche la quantità di s-adenosil omocisteina, la quale libera adenosina e mette a disposizione l’omocisteina, è conseguentemente ridotta. Se questo ciclo è scompensato anche l’efficienza del THF è ridotta.


Ci si poteva aspettare anche un aumento del GSH che nella realtà è un dato un poco variabile (in letteratura) tanto che spesso non si osserva, oppure si osserva con incrementi non molto consistenti e forse non sufficienti a smorzare l’eventuale sovra-produzione di H2O2 e radicali HO7

Detto in modo diverso, l’incremento della SOD non è pari a quello del GSH.

Ma oltre alla produzione di GSH è importante la sua rigenerazione attraverso la NAD(P) (nicotinammide adenina difosfonucleotide) che è appunto l’enzima rigenerante il GSH. La disponibilità di GSH libero e di quello prostetico possono essere differenti, così come la rigenerazione del GSH legato all’enzima. Certamente il GSH libero, una volta ossidato, si unisce a un altro GSH ossidato a formare il GSSG, ovvero il glutatione ridotto. Parte di questo addirittura, certamente negli eritrociti, è esocitato attraverso pompe con consumo di ATP (100-102). Non si conosce se la rigenerazione e l’eventuale eliminazione attiva possa avvenire in una molecola complessa come l’enzima. Quest’ultimo è rigenerato a GSH con l’intervento del NAD(P)H.

Tuttavia, tale ultima reazione non riesce a mantenere i livelli di GSH se il consumo è elevato e, soprattutto, se non è possibile essere forniti di un corredo antiossidante alternativo di supporto, costituito quest’ultimo da una rete di antiossidanti interni alla cellula.

Questo spiega bene il motivo per il quale molto spesso si osservano (ad esempio negli eritrociti) concentrazioni molto variabili di GSH nei soggetti con SD, appunto in relazione agli altri componenti della rete antiossidante. Quest’ultima può essere implementata da un accorto e mirato uso di supplementi antiossidanti.

Analogamente, per la parte relativa al “ciclo metilico” si osserva una riduzione della SAM e un aumento dell’adenosina, la quale non è pienamente utilizzata alla formazione di SAM, appunto per mancanza di metionina. Quest’ultima alterazione sarebbe poco compatibile con la vita: infatti la mancanza di processi di metilazione endocellulare non consente la sintesi/ riparazione del DNA.

In sostanza, nei soggetti con SD, i processi di metilazione sarebbero molto compromessi se non operasse un meccanismo di compenso. Sembra esistere un meccanismo compensatorio che permette il recupero di metili per attivare il “ciclo metilico” il quale deriva dall’utilizzazione della betaina attraverso la betaina-omocisteina metiltransferasi (BHMT).

La betaina proviene dalla “cascata” fosfati dilcolina-colina-betaina (quest’ultima detta anche trimetilglicina o TMG). L’enzima BHMT trasferisce il gruppo metilico della betaina all’omocisteina e quindi consente un parziale recupero del “ciclo metilico”

Nei soggetti normali, la riduzione dietetica forzata di folati (22), quindi l’impoverimento del “ciclo metilico”, porta ad una riduzione dei livelli di colina. Il ripristino dietetico immediatamente si ripercuote sui livelli di colina, prima ancora di osservare compensazioni sui folati e sull’omocisteina. A render ragione di questo sbilancio metilico nei soggetti con SD è nota la ridotta capacità di metilazione della proteina basica mielinica e quindi una più frequente carenza di mielinizzazione delle fibre cerebrali (23). Questa carenza può anche spiegare la facilità con la quale questi soggetti vadano incontro a leucemia.

Poiché la partenza della compensazione da BHMT deriva dalla fosfocolina, non è certo sorprendente che nei soggetti con SD si osservi un’alterata (maggiore) fluidità di membrana, in particolare nei soggetti anziani, analogamente a quanto si osserva nei soggetti con demenza senile (24). Come ulteriore conseguenza, si osserva anche un aumento della disponibilità di acido urico, di derivazione dall’adenosina. Anche tale aspetto è stato osservato nei soggetti con SD ed è stato interpretato con un aumento della sintesi di purine (25).

Infatti, alcuni autori (26) interpretano l’aumento della sintesi di purine con la sovra espressione del gene che la proteina trifunzionale GARS-AIRS-GART (glicinamide ribonucleotide sintetasi- amino imidazolo ribonucleotide sintetasi- glicinamide ribonucleotide formiltransfe-rasi). Tale gene è collocato nel Ch 21, ma dopo la nascita, nei soggetti normali, cessa di esprimersi. Nei soggetti con SD continua ad esprimersi nel cervelletto sino a perlomeno 49 giorni e alla sua espressione è stata imputata anche la sordità e il ritardo mentale (27).

Circa la mancanza di metionina (aminoacido essenziale), si deve osservare che già semplicemente con l’impiego di alimenti ricchi di metionina (esempio formaggio grana, bresaola) si può cercare di riequilibrare in modo molto naturale eventuali necessità.

Comunque, l’alimentazione si deve vedere nel contesto globale, in altri termini, con la sola metionina non si può risolvere il problema dello squilibrio del ciclo CBS.


In sintesi, la modifica della CBS, rende fragili i sistemi di riparazione del DNA e causa un aumento dell’uricemia, oltre che una produzione di GSH facilmente esauribile, se non sostenuta dalla rete antiossidante di supporto (che consenta la sua rigenerazione).

Il problema della Amyloid Precursor Protein (APP)

Anche il gene che governa la produzione di APP, ovvero il precursore dell’amiloide, è collocato nel Ch 21. Poiché il deposito di amiloide è considerato un elemento fondamentale per la patogenesi della demenza di tipo Alzheimer (AD), è possibile ipotizzare che il precoce invecchiamento cerebrale dei soggetti con SD sia collegato a questo evento.

La APP è una glicoproteina di membrana (28) formata da un numero di aminoacidi tra 695 e 770, con struttura e attività antiproteasica (29) essendo di fatto un’aspartil proteasi.

Tale glicoproteina subisce un processo di segmentazione (cleavage) attraverso due enzimi, la a secretasi (detta anche ADAM- a disintegrin and metalloprotease) e poi la Y secretasi, (un complesso eterodimerico proteico ).

I derivati finali di tale processo sono tre peptidi: quello di dimensioni maggiori, noto come sAPPp (soluble amyloid precursor peptide), il quale ha azione neurotrofica neuroprotettiva; un peptide solubile, noto come p3; infine un peptide noto come AICD (APP intracellular domain- in quanto è la parte interna della APP). Di questi due ultimi peptidi, p3 e AICD, non si conosce la funzione, tuttavia nessuno di questi peptidi ha la tendenza a formare aggregati.

Se invece la APP (Fig. 3) è sottoposta al frazionamento da P secretasi detta anche BACE 1 (beta amyloid clivage enzyme 1) e poi da Y secretasi, il risultato finale è sempre di tre peptidi, ma due di essi hanno caratteristiche diverse: quello di dimensioni maggiori sAPPp (soluble APPp) perde le caratteristiche neurotrofiche; il peptide AICD (identico a quello ottenibile con il processo normale) sostanzialmente non cambia; e infine il peptide P 1-40/43 che ha la tendenza ad aggregarsi formando la sostanza amiloide. Pertanto la p secretasi, riveste una particolare importanza patogenetica.


Fig. 3 Lo schema riporta solo la formazione del peptide amiloido-genetico p 1-40 /43 (ovvero composto da 40-43 aminoacidi). Le due secretasi a e P operano il frazionamento in due punti differenti della APP. La a secretasi si attiva sul segmento proteico che non contiene la sequenza completa di aminoacidi con capacità aggregante; pertanto, si stacca un frammento che poi sarà ulteriormente frazionato dalla a secretasi a produrre un polipeptide finale solubile della dimensione di 3kD (p3). La p secretasi si attiva invece su un segmento di dimensione maggiore che contiene la sequenza di aminoacidi con capacità aggregante; tale segmento sarà successivamente frazionato dalla y secretasi a formare il peptide p amiloideo (p 1-40/43) della dimensione di 4 kD. Le due secretasi possono anche operare contemporaneamente (ma in comparti diversi). Sia nel soggetto anziano e particolarmente nel soggetto con SD o affetto da DA, la p secretasi opera in modo più consistente, generando una quantità eccessiva di peptidi p 1-40/43 che si depositano e possono generare la classica sostanza amiloide. Nei vasi si deposita nella dimensione p 1-40/41 nelle parenchima cerebrale si deposita nella dimensione p 1-42/43. Perché si generi la classica sostanza amiloide è necessaria la presenza di un "innesco" (trigger) che orienti i peptidi amiloidei a "fisarmonica" (P sheet). Tale innesco solitamente è un proteoglicano. I proteoglicani (proteina + glicano o polisaccaride) sono strutture dotate di molte cariche negative posizionate per lo più sulla parte glicanica solforata (ovvero sui saccaridi solforati del tipo acido glucuronico, iduronico, glucosa-mina solfato, galattosamina solfato). Tuttavia nelle placche amiloidee si trovano anche ApoE (apolipopro-teina E), acetilcolinesterasi, butirrilcolinesterasi, metalli come Al, tutte sostanze che si ritengono capaci di generare aggregazione. In generale tuttavia, non esiste amiloide, anche quella periferica, che non contenga sostanze di derivazione proteoglicanica.


La APP è presente nelle cellule in due pool diversi, uno legato alla membrana cellulare (sui raft di membrana, vedi di seguito) e l’ altro non legato ai rafts. Il primo pool sottoposto all’azione della BACE-1 e l’ altro a quello della a secretasi. Pertanto, in condizioni normali, non esiste una vera e propria competizione diretta tra i due sistemi di frazionamento.

La BACE e la APP si spostano tra la superficie cellulare e il compartimento intracellulare (traffiking) ma necessitano di componenti aggiuntive che ne consentono il contatto. Un modo per governare tale contatto è la loro distribuzione in microdomini distinti della membrana. Tali microdomini sono noti come rafts (32) e sono composti da molecole di natura lipidica (cerebrosidi, colesterolo, fosfolipidi ecc) e da proteine.

Questi rafts, costituiscono delle piattaforme di ancoraggio delle proprie proteine e ogni raft si ritiene ne contenga da circa 10 a circa 30 (31).


Fig. 4 Modificato da (97). Se APP e BACE si ritrovano sullo stesso raft oppure anche su raft diversi, la modificazione di membrana può metterli in contatto, come certamente avviene durante il fenomeno di endocitosi. L’endocitosi normalmente avviene per scambi con la matrice extracellulare, per stimolazione cellulare, oppure per riparazione della membrana in seguito a stimoli lesivi o semplice “manutenzione”. Dalle prove sperimentali (31) è emerso che l’endocitosi è un presupposto per l’attivazione della BACE-1 e che la deprivazione di colesterolo e sfingolipidi (32) riduce l’attività della BACE-1 (diciamo che la deprivazione di queste sostanze allontana la BACE-1 dal suo substrato).


I rafts possono far reagire le proteine in essi contenute semplicemente modificando la dimensione della loro piattaforma, rendendola più fluida (per modificazione ossidativa dei loro componenti), oppure per depauperazione di alcune componenti come il colesterolo (32), oppure ancora attraverso il fenomeno di endocitosi (31) che costringe la membrana a ripiegarsi (Fig. 4).
Per dirla in modo semplice, più la membrana è sconnessa, maggiori saranno i contatti all’interno dei rafts.
La BACE-1 (e anche la BACE-2 ) sono legate ai rafts e un aumento comunque determinato delle componenti dei rafts aumenta l’attività delle BACE e una loro riduzione ne riduce di conseguenza l’attività (31).
Quanto esposto indica che, la sola sovrapproduzione di APP non è condizione sufficiente alla deposizione di sostanza amiloide. Nel caso della SD tale sovra-produzione non parrebbe essere facilmente sostenibile, vista l’azione α secretasica della BACE 2.
Anche la posizione sulla membrana della APP può essere importante, in quanto sembra che quella all’interno dei rafts sia elaborata attraverso la BACE-1, mentre quella fuori dai rafts sarebbe elaborata dalle α secretasi (97).
Resta logico chiedersi quale sia la funzione fisiologica della APP, oltre che del normale peptide non amiloidogenetico risultante dal frazionamento. L’ipotesi è che il processo sottenda


Fig. 5 La figura rende ragione delle connessioni strette tra tutte le strutture cerebrali, tanto che una lesione o disfunzione di una qualsiasi delle varie componenti si riverbera obbligatoriamente sul resto delle strutture. La lamina basale è costituita da collagene IV da fibronectina e da un particolare proteoglicano, il perlecan, dotato di catene di eparan solfato a elevato contenuto di gruppi solfato (quindi molto carico negativamente). La carenza del sistema linfatico, il basso drenaggio operato dal liquido cefalorachidiano, la conseguente elevata reattività della glia e degli astrociti, l’elevata energia necessaria a mantenere le giunzioni strette della barriera (si ricorda l’elevato contenuto di mitocondri nelle cellule endoteliale della barriera), fanno della BBB un punto di elevata reattività con necessità di riparazione molto elevata. Se il tutto non è coordinato alla perfezione, la riparazione sfocia facilmente in un “aborto ripartivo” e le placche senili, il deposito di amiloide e di gomitoli neuro fibrillari (NFT o neuro fibrillary tangles) ne rappresentano le stigmate.


la normale riparazione della membrana dei neuriti nelle regioni sinaptiche (il 95% dei neuroni ad esempio opera attraverso la BACE 1). Eventi esterni o interni alla cellule in riparazione possono impedire il normale svolgimento del processo e causare la tendenza all’aggregazione. Il deposito di amiloide si verifica anche a livello dei vasi cerebrali (amiloide vascolare), addirittura in modo più precoce rispetto a quello più propriamente parenchimale (amiloide cerebrale). Pertanto, diventa importante delineare il meccanismo di deposizione.

Si deve allora fare riferimento alla vascolarizzazione della barriera emato-encefalica (BBB o blood brain barrier) la quale (Fig. 5) è da considerare per la contiguità delle sue strutture un’unità neuro vascolare a tutti gli effetti (si ricorda che ogni neurone è dotato di un suo microvaso).

La BBB ha una particolare fragilità ossidativa, dovuta in parte alla mancanza del sistema linfatico che non consente un drenaggio proteico come nel resto dell’organismo. Non si deve pensare che siano solamente i lipidi ossidati a scatenare le reazioni di autoossidazione, perché le proteine ossidate possono fare altrettanto. Inoltre, la ricchezza di fosfolipidi contenenti DHA (acido docosaesaenoico, ovvero 22:6 n-3), che rappresentano il 60% di quelli cerebrali, fornisce ulteriore fragilità al sistema. Il grado di insaturazione del DHA, costituito da 6 doppi legami, lo rende estremamente efficiente per le attività di membrana, ma anche molto sensibile all’ossidazione.

Poiché la deposizione di amiloide è presente nei soggetti SD, come anche nella AD, si deve pensare che alterazioni della membrana cellulare neuronale, o a cascata di componenti della BBB, tendano ad alimentare tale deposizione.

Nei soggetti affetti da SD si osservano precocemente le lesioni tipiche dell’ invecchiamento cerebrale, ma qualche distinzione deve essere fatta.

Nel Ch 21 è codificata la produzione di APP e la sua disponibilità è più consistente, tanto da far correre il rischio di accelerarne i depositi (cerebrali e non cerebrali).

Tuttavia, nella SD la BACE non è identica a quella osservata nei soggetti non SD, ovvero BACE-1, difatti si definisce BACE 2, in quanto ha solamente un’omologia del 51% con la BACE 1 (alcuni autori riportano omologia del 64%) oltre che una localizzazione cellulare più diffusa e può comportarsi anche come una a secretasi (33). Anche La BACE 2 è espressa nei neuroni normali, ma la sua quantità è molto inferiore rispetto a quella della BACE 1.

L’incremento cumulativo dell’ incidenza della AD nei soggetti con SD è parallelo a quello dei soggetti non SD ma è anticipato di circa 25 anni. Tuttavia, le lesioni tipiche della AD (sia anatomopatologiche che neuro radiologiche) sono precoci e la malattia compare in ritardo rispetto a quanto ci si potrebbe attendere (34). Sembrerebbe che nei soggetti SD la latenza sia dovuta a una maggior produzione di amiloide di tipo solubile, quindi al rapporto tra a secretasi e P secretasi. Per eventi correlati all’età, così come avviene per i soggetti non affetti da SD, l’amiloide solubile poi tende a trasformarsi in amiloide insolubile, con il concorrere di altri fattori come la apolipoproteina E ( ApoE) in particolare quando è l’isoforma E 4 (35).

Si è anche determinato che la diagnosi di DA non risente della difficoltà di applicazione dei test diagnostici a causa della relativa disabilità (36). Pertanto, il “ritardo relativo” della sua comparsa nella SD non dipende dalla eventuale inadeguatezza dei sistemi di rilevazione.

Tutti gli altri aspetti legati ai fattori di rischio (o protettivi) della demenza, quali ApoE e, ipercolesterolemia, menopausa, uso di estrogeni e statine, sono ritenute pressoché identiche e non differenziabili (34,37-39) da quelli della popolazione generale.

LO STRESS OSSIDATIVO DEI PROTEOGLICANI (PGS)

Nella patogenesi della DA, sia nella popolazione generale che nei soggetti con SD, i parametri più consistenti nel determinismo della malattia sono due: l’età e la presenza di Apo E E 4. Questi due elementi di rischio sono “veri” anche nella SD.

Questi due elementi apparentemente distanti hanno in comune un aspetto: la fragilità ossidativa.

Nell’anziano la rete antiossidante e il suo coordinamento sono compromessi, quindi è più soggetto a SO o anche solamente a sbalzi ossidativi (come avviene ad esempio nelle donne in stato di menopausa che “entrano ed escono” dallo stress ossidativo sino a restare stabilmente in tale condizione).

La ApoE e4 è nota per la sua fragilità ossidativa rispetto agli alleli e 2 ed E 3 (35,40) e tutte le ApoE, una volta ossidate, sono refrattarie alla proteolisi. Quindi la Apo E E 4 tende con più facilità ad accumularsi in forma di monomeri o dimeri nei lisosomi (a esempio di cellule muscolari lisce) e generare un’angiopatia amiloidea. Se si analizza l’aspetto sacrificale dell’ossidazione (chi si ossida può proteggere il “contesto” dall’ossidazione) ancora una volta la ApoE E 4 è la meno efficace tra gli alleli (40,41). Si potrebbe definire come “una spina nel fianco” di diversi apparati cellulari (42,43).

Lo So pertanto si manifesta come aggravante di una condizione compromessa dalla intrinseca fragilità.

Nel contesto cerebrale lo So e la deposizione di amiloide sono stati già correlati da moltissimi Autori anche se il meccanismo intimo non è stato ancora chiarito.

L’ipotesi più pertinente riguarda i proteoglicani (PGs), i quali sono strutture costituite da una parte proteica (core proteico) e una saccaridica (Fig. 6) costituita dai glicosaminoglicani (GAGs o polimeri saccaridici). Essi sono presenti sulle membrane cellulari (per review 4446) in quantità consistenti (da 105 a 106) e quindi intercalati tra e/o all’interno dei rafts, ma si trovano anche all’interno delle cellule (47) e nella matrice extracellulare.


Volendo schematizzare si può dire che le funzioni principali dei PGs sono 5: la funzione di co-recettori, derivante dalla presenza di cariche negative le quali per affinità di carica possono legare proteine, citochine, chemochine, peptidi antimicrobici. Pertanto, essi sono coinvolti nella morfogenesi, nelle difese, nel bilancio energetico e nella riparazione tissutale.

La riparazione neuronale, come esempio, implica che i FGFs (fibroblast growth factors) siano collocati sul recettore che richiede prima una loro dimerizzazione. i PGs legano i FGF e ne consentono la dimerizzazione. Deprivando i neuroni di PGs la concentrazione di FGFs necessaria a stimolare il recettore sarà molto più elevata e il tempo necessario a stimolare quello stesso recettore sarà obbligatoriamente più lungo (ovvero inefficienza).

La seconda azione è la partecipazione ai processi di endocitosi e anche l’intervento sui meccanismi di traduzione, testimoniati dalla presenza di PGs nel nucleo cellulare.

L’altra azione importante è quella reologica/anticoagulante esercitata dai PGs (in particolare eparan solfato) sul fluido circolante tenendo sotto controllo la trombina e impedendo l’aggregazione piastrinica. Ricordo che il GAGs più noto è l’eparina, la quale insieme ai suoi derivati (eparine a basso peso molecolare o LMWH) rappresenta il capitolo di spesa sanitaria farmacologica più elevata al mondo.

La quarta azione è quella prettamente strutturale, in quanto i PGs sono un ponte per la matrice cellulare oltre che far parte della matrice stessa. Essi consentono i collegamenti intercellulari, quindi, parlando di cervello, sono fondamentali per la progressione dei neuriti (dalla plasticità neuronale alle spine dendritiche), per la migrazione e l’adattamento spaziale degli astrocitari e della glia.

La quinta azione è quella modulante. I PGs possono essere esocitati e perché questo avvenga esistono delle proteasi di membrana che ne consentono la mobilizzazione. Guarda caso, queste proteasi sono delle ADAM ovvero a secretasi. Essi inoltre risentono dell’azione dei rafts, in quanto i ceramici (componenti dei rafts) aumentano la loro mobilizzazione.


Fig. 6 Si può affermare che dopo l'H2O i PGS sono le strutture più rappresentate nel nostro organismo in quanto si trovano in tutte le cellule, nella matrice cellulare e cartilagini. Questa loro massiccia presenza nell'organismo umano indica che essi possono svolgere delle funzioni importanti e varie, quindi hanno un'apparato sintetico e di ricambio molto ben articolato. La parte proteica dei PG è formata nel reticolo endoteliale e la dimensione del core proteico varia da 10kD a >500 kD mentre il numero dei GAGs legati ad esso varia da 1 a >100. I GAGs, sono di tipologia diversa (eparani, eparine, dermatani, condroitine, kera-tani) con vario grado di solfatazione, ma alcuni, come l'acido ialuronico, non contengono saccaridi solforati. Il GAG più rappresentato per i PGs cerebrali è l'eparan solfato (48,49). La sintesi dei PG è complessa (50) e parte dalla polimerizzazione di diversi monosaccaridi (galattosio, acido glucuronico, N-glucosamina e N-galattosamina entrambe nella forma acetilata o non acetilata) che subiscono un processo di solfatazione (con l'esclusione dell'acido ialuronico) a formare i glicosaminoglicani (GAGs ). I PGs sono sintetizzati a passi successivi tra la membrana cellulare, il reticolo endoplasmatico (per la parte proteica) e il Golgi. L'unione tra la parte saccaridica e proteica avviene attraverso una regione tretrasacca-ridica in cui solitamente uno xilosio si unisce alla serina del versante proteico. A tale regione saccaridica si aggiunge un quinto saccaride che determina il tipo di GAG da inserire. I polimeri di GAGs di cui i PGs sono dotati non sono templati, ovvero non derivano da sintesi di DNA o RNA, ma la loro composizione risente dell'ambiente esterno alla cellula. come se fossero delle antenne primordiali che comunicano in modo semplice le condizioni dell'ambiente esterno. La cellula adatta la loro tipologia in funzione dell'ambiente esterno. Nel cervello il PG più rappresentato è l'agrin mentre nelle BBB il più rappresentato è il perlecan.


Anche lo stress cellulare ne aumenta la mobilizzazione e li danneggia. È quindi chiaro che la loro deprivazione dalla membrana riduce la capacità della cellula a captare ligandi (46) con limitazione delle attività da essi indotta.

Anche il sistema della loro riparazione/sostituzione è complesso ed è stato studiato per i PGs contenenti eparan solfato (che come accennato sono i più importanti a livello cerebrale).

Il meccanismo si basa sulla endocitosi del PG i quali hanno una vita media sulla superfìcie cellulare di 3-8 h. La degradazione avviene nei lisosomi (51) essenzialmente in tre passi nei quali si liberano le catene dai GAGs che sono poi ridotte ai singoli saccaridi e ai singoli gruppi solfato, quindi la loro degradazione richiede molto tempo.

Un eccessivo carico di PGs da riciclare implica lo stazionamento di cariche negative dei GAGs, oltre che del relativo core proteico, con elevate valenze di aggregazione. Poiché la sintesi e la degradazione dei PGs avvengono in compartimenti diversi, può verificarsi la concomitanza di un eccesso di sintesi a causa dei messaggi derivanti dall’ambiente extracellulare (attivazione dei processi riparativi) con un eccesso di degradazione, dipendente anch’esso dall’ambiente esterno (infiammazione, stress ossidativo). Non esiste amiloide nell’organismo che non abbia un contenuto di PGs.

Per le caratteristiche indicate, i PGs sono ritenuti gli iniziatori della produzione di amiloide vascolare e cerebrale che si osserva nella DA (52-54). Alcuni di questi PG sono localizzati nelle porzioni di membrana ricca di sfingolipidi come i rafts (55). L’azione di aggregazione amiloidea è da imputare principalmente alla presenza di GAGs (54). Sempre i PGs attraverso la formazione di amiloide sono anche ritenuti responsabili della aggregazione di gomitoli neuro fibrillari (NFT o neurofibrillary tangles) che sono l’altro momento patogenetico della DA (56,57).

Pertanto, lo So, a causa della sua ripercussione sulle membrane sia esterne che interne alle cellule cerebrali e per la sua attività lesiva delle cellule endoteliali dei vasi cerebrali, si ritiene perlomeno un amplificatore delle disfunzioni dei neuroni, della glia, degli astrociti e nel complesso di tutto il funzionamento della BBB.

Lo SO nella AD è un evento precoce che genera compromissione vascolare (58) e parenchimale tanto che alcuni autori lo considerano più una causa che un epifenomeno (38,59,60).

La patogenesi della DA nei soggetti affetti da SD non è sostanzialmente diversa da quella degli altri soggetti (38,39,61) forse con l’eccezione di una ridotta incidenza della componente vascolare da aterosclerosi (62) documentata dal ridotto sviluppo di ateromi. In comune certamente esiste lo SO, tanto che esso è considerato un ponte tra DS e DA (38,63).


Tutto questo complesso meccanismo serve per definire che la sovra-produzione di APP nel soggetto con SD non genera problemi gravi sino a che non si innesca l’evento di uno SO cerebrale non più contenibile che inizia a generare degli “aborti riparativi" con buona probabilità a partire dalla BBB.

Valutazione dello Stress Ossidativo nei soggetti con Sindrome di Down

Come osservato nei precedenti capoversi, l’equilibrio ossidativo nella SD è teoricamente spostato verso lo SO, non solo per la SOD-1 ma anche per la CBS e forse per la sovrabbondanza di APP.

L’osservazione che la degenerazione di neuroni fetali isolati di soggetti con SD dipende da SO è già stata fatta da tempo (64).

Il quesito che ora si pone è: “È possibile rendersi conto della reale dimensione dello SO nei soggetti con SD e controbattere tale condizione?”


Valutazione dello SO nei soggetti con SD

Con quanto sopra esposto risulta chiaro che nella SD ci sono tutti gli elementi per un consistente SO il quale si ripercuote su tutte le strutture, proteine, lipidi di membrana, DNA, proteoglicani con un indirizzo molto finalizzato alle lesioni cerebrali. Diventa pertanto prioritario valutare in questi soggetti lo SO.

Una buona parte degli studi relativi allo so nei Ds è stata condotta sugli eritrociti (a partire attorno agli anni 80) sia per la loro facile reperibilità, che per la possibilità di isolare i relativi sistemi enzimatici, GPX e CAT (65) oltre che per la relativa facilità di isolare e analizzarne le loro componenti fosfolipidiche. si è osservato che gli eritrociti di soggetti sD contengono un quantitativo maggiore di malonildialdeide (MDA), che è un prodotto della degradazione ossidativa dei lipidi ( Fig. 7) e i suoi livelli sembrano addirittura correlati con il grado di espressione del Ch 21 (66).


Fig. 7 Esemplificazione delle reazioni di trasformazione di un PUFA (acido arachidonico) nel corrispondente idroperossido e propagazione della reazione di ossidazione. La tendenza della reazione di ossidazione dei lipidi insaturi è quella di autoalimentarsi e di propagarsi. Poiché nelle membrane cellulari la contiguità dei fosfolipidi è indispensabile per la funzionalità della membrana stessa, la propagazione dell'ossidazione deve essere tenuta sotto stretto controllo. La reazione di propagazione viene interrotta da antiossidanti cosiddetti "chain breakers", ovvero che interrompono questa catena. Esempio di questi è la vitamina E, che essendo liposolubile con distribuzione sulle membrane delle lipoproteine e delle cellule, riesce agevolmente a svolgere tale funzione. Come si nota dalla figura una volta che il lipide è diventato un radicale (per sottrazione dell'H) L' (radicale alchile) la presenza ulteriore di O2 lo trasforma il LOO' (radicale perossile). Quest'ultimo reagendo con un lipide normale L forma un L' e un LOOH (lipide idroperossido), ovvero si effettua la propagazione. A sua volta LOOH diffonde dalla membrana (cosa normale in quanto si stacca dal fosfolipide). Se esso entra in contatto con un metallo di transizione genera la reazione di Fenton. Tale reazione consente la formazione sia di LO' che di LOO' e quindi amplifica ulteriormente la propagazione. Queste forme radicaliche subiscono ulteriori degradazioni sino alla formazione di idrocarburi semplici (es. pentano) e MDA (malonildialdeide), passando attraverso una serie successiva di metaboliti con valenza ossidante. Quello che limita questa catena di reazioni è la riserva antiossidante (costituita da tutta una serie di sostanze e sistemi) che si comporta come un vero "tampone".


Fig. 8 Esemplificazione dei processi di ossidazione della catena laterale e dello scheletro proteico (core). Nella parte sinistra della figura si riporta l’ossidazione della catena laterale proteica in cui si osservano degli intermedi con specie reattiva centrata sul carbonio (C• ovvero radicale alchilico). Lo stesso avviene anche nell’ossidazione del core proteico riportata nella parte destra della figura. In entrambi i casi la proteina viene successivamente aggredita dalle proteasi. Di fatto, prima della formazione del radicale alchilico, avviene quella di un radicale perossile (COO•) e una successiva decomposizione in due radicali alcossilici (CO•). Questi processi hanno tendenza alla propagazione come avviene per i lipidi. Un particolare processo ossidativo delle proteine è la carbonilazione, in cui l’amminoacido si trasforma nell’aldeide corrispondente (con lo stesso numero di atomi di carbonio o con un carbonio in meno), come riportato nello schema.


Alcuni Autori hanno anche osservato ossidazione delle componenti proteiche (67). L’ossidazione delle proteine può attuarsi con differenti meccanismi riportati nella Figura 8.

Considerando la carbonilazione delle proteine (68), si è osservato che nella SD a livello cerebrale si determina un aumento di questo processo che testimonia una spinta neurodegenerativa, analogamente a quanto avviene nella DA.

La ricerca più consistente in termini di ossidazione è stata condotta sugli eritrociti in relazione alla misurazione della SOD. Negli eritrociti dei soggetti con SD il contenuto di SOD-1, rispetto ai soggetti normali, è più consistente (65). Altri Autori hanno osservato oltre alla SOD un incremento di tutta la catena di enzimi del ciclo di smorzamento GPX e CAT, ma con incrementi sostanzialmente diversi e più limitati rispetto a quelli della SOD (69,70).

Quando si sono analizzati gli eritrociti dei casi DS con segni clinici di DA, è comparso un quadro inatteso, caratterizzato da una ridotta SOD e modificazioni della CAT addirittura nel senso dell’aumento. Questo comportamento sta ad indicare che lo SO è presente nei DS normali e affetti da AD, ma non si comprende quale compenso sia in atto, perlomeno nei globuli rossi.

Il corredo antiossidante di un eritrocita dipende dalla disponibilità di SOD, che si è visto essere aumentata nella SD, e dalla disponibilità di GSH, che teoricamente dovrebbe essere aumentata (ciclo della CBS) e dalla condizione che genera il consumo della riserva antiossidante, ovvero entità dello SO.


Schema 4 Trasformazione delle glicina in seguito a processo di carbonilazione. 
 La carbonilazione delle proteine è un processo molto frequente, tanto che circa il 5% delle proteine tessutali contiene una funzione carbonilica. Questa può derivare da un'ossidazione diretta sui residui di lisina, arginina, prolina e treonina, oppure da gruppi carbonilici introdotti dalla reazione con 4-HNE ovvero 4-idrossinonenale, MDA, con chetoamine e chetoaldeidi e infine con gli zuccheri riducenti o loro prodotti di ossidazione (gliossale, arabinosio). Pertanto, la formazione di proteine carbonilate può derivare da reazioni con prodotti dell'ossidazione dei lipidi e degli zuccheri oltre che dall'azione diretta delle RS. Il loro aumento, legato all'invecchiamento e a condizioni patologiche come l'aterosclerosi e il diabete, ha indirizzato a considerare che la loro determinazione possa essere un indice di stress ossidativo. Rappresentano altresì importanti marcatori di danno ossidativo i cosiddetti prodotti di glicosilazione avanzata, ovvero AGE (advanced glycosilated products) generati dall'interazione primaria dei gruppi aldeidici degli zuccheri con i gruppi amminici di amminoacidi e proteine (reazioni di Amadori).


Alcuni Autori (70) valutando il rapporto tra SOD e GPX negli eritrociti hanno trovato un’indicazione sul rischio di polmonite in soggetti DS irradiati per tumore polmonare. Il rischio è più elevato in quei soggetti con elevati livelli di SOD (valore mediano di 6,8 unit/mg) e bassi livelli di GPX (10,7 nmol/min/mg). Si sostiene inoltre che il rapporto GPX/SOD sia un indicatore ancora più predittivo quando <3 (ovvero quando ci sono bassi valori di GPX e alti valori di SOD).

Il rapporto tra funzionalità antiossidante dei globuli rossi/demenza senile sembra assumere aspetti nuovi dall’osservazione che essi agiscano come “ spazzini” dell’amiloide, sino a che questa ha un grado limitato di polimerizzazione, in compartecipazione con l’endotelio (71).

Gli eritrociti sono in grado di legarla sulla membrana e la trasportano al fegato e alla milza che opera il processo di clearance (72). Le membrane degli eritrociti caricandosi di un dimero o un trimero di amiloide ancora solubili (73), di fatto si caricano di sostanze ossidanti che ledono i fosfolipidi di membrana. L’eritrocita può reagire solo se ha dei sistemi antiossidanti funzionanti basati sulle perossidasi e sulla rigenerazione GSSG/GSH (74) che tende ad esaurirsi. Se le membrane non sono ben funzionanti l’eritrocita può andare incontro a suicidio (75).

In sintesi, gli eritrociti dei soggetti DS possono avere un maggior corredo antiossidante ma le esigenze da soddisfare potrebbero essere tali da “sfiancarli”.


Alcuni studi hanno preso in considerazione l’ossidazione del DNA.

L’ossidazione del DNA si determina attraverso la misura plasmatica della 8- idrossi-2 deossiguanosina (8-OHdG) si rivela più consistente (circa 1,5 volte) nei soggetti DS (76,77) ed è anche accompagnata da un alterato rapporto tra glutatione ossidato/glutatione ridotto (GSSG/GSH). Quest’ultimo purtroppo varia a seconda dell’età dei soggetti (elevato nei giovani < 15 anni e ridotto in quelli > di 15 anni) e quindi non si può configurare come un indice “solido” per la valutazione della condizione di SO; lo stesso avviene per la carbonilazione proteica a livello plasmatico (71).

Sembrerebbe che la riduzione del GSH sia una costante nei bambini (78).

Altri Autori considerano invece il rapporto GSH/GSSG come indicativo perché condizionato dai ridotti livelli di GSH (79). In effetti è stato osservato che i livelli intracellulari di GSH proteggono gli astrociti in modo più efficiente che non i neuroni (80), quindi si ribadisce il concetto che certi indici hanno valore parziale e sono indirizzati alla vulnerabilità selettiva.

Nei bambini con SD si è osservato a livello cerebrale che il binomio SO ed eccessiva attivazione dei recettori eccitotossici può avere espressione diversa nei vari comparti cerebrali sino a combinarsi selettivamente in alcuni sistemi neuronali (81).

L’ acido urico e le sostanze reattive all’acido barbiturico (TBARS) sono più elevate nel plasma di soggetti DS rispetto ai soggetti normali (82) e sono indicate come possibili markers dello SO.


Si ritiene che il metodo attualmente più semplice ed indicato per valutare la condizione di SO nel SD (e anche nei soggetti normali) sia la determinazione degli idroperossidi (d-ROMS test) accompagnata dalla misura della riserva antiossidante (attraverso TAC: total antioxidant capacity, oppure BAP: biological antioxidant potential). Tali test sono stati applicati in soggetti affetti da SD in confronto a controlli della stessa età. Si è osservato un consistente aumento del quantitativo di idroperossidi (U.CARR. o Unità Caratelli; corrispondenti a 0,08 mg/dL di H2O2) pari a 452± 72 Vs 270 ± 66 U.CARR., rispettivamente nei DS e controlli, oltre che una consistente riduzione della capacità antiossidante (83). 

IL TRATTAMENTO DELLO SO NEI SOGGETTI CON SINDROME DI DOWN
La condizione di SO nei soggetti con SD è stata trattata in diversi modi, a volte consapevolmente a volte inconsapevolmente. Basti dire che i cortisonici e gli antinfiammatori (glucocorticoidi e acido acetilsalicilico rispettivamente) hanno una notevole azione antiossidante indiretta, purtroppo corredata da effetti collaterali che ne sconsigliano l’uso prolungato.

Pertanto, quando ci si riferisce alla terapia antiossidante di solito si considerano gli antiossidanti diretti (dalle vitamine ai polifenoli ai metalli di traccia come Zn e Se), senza però andare alla radice del problema, ovvero senza prendere in considerazione gli aspetti globali dello SO.

Alla fine, la tendenza è quella di usare delle dosi elevate di un unico antiossidante, valutarne i livelli ematici e attendere che... forse si vedano degli effetti (84). Tale approccio “ex juvantibus” è fuori luogo.

Alcuni Autori, certamente più avveduti, hanno osservato che è possibile ridurre lo SO in soggetti con SD (85) utilizzando antiossidanti naturali (alfa lipoico e L-cisteina) a dosi moderate e hanno dato una chiara indicazione che è necessario seguire gli effetti nel tempo per determinare il valore clinico della riduzione dello so nel tempo.

Ammettendo che lo SO sia una concausa dei problemi clinici della SD, allora si deve affrontare in modo adeguato:

1) Un antiossidante, una volta che ha ceduto il suo elettrone (o l’H) cerca di riprenderselo, in particolare quando la sua concentrazione diventa elevata. Si riprende quindi quanto ha ceduto da chi può fornirglielo. Questo significa che una Vit E o un ubichinolo o un polifenolo possono essere a loro volta ossidanti nei confronti delle proteine o dei lipidi di membrana o del DNA, soprattutto se somministrati a dosi elevate. Pertanto non si deve somministrare nessun antiossidante a dosi elevate.

2) Per dosi elevate di antiossidante si ritengono quelle che superano il 200% delle RDA (recommended daily allowances). Nei prodotti che non hanno RDA ci si deve riferire a quei quantitativi che si trovano solitamente negli alimenti.

3) Quelle sostanze ad azione antiossidante che sono definite “naturali” possono essere impiegate solamente se hanno dimostrato azione antiossidante nell’uomo, ovvero se hanno dimostrato di ridurre lo SO valutato in qualsiasi modo (isoprostani, carbolinazione proteica, 8OHdG, idroperossidi ).

4) Per affrontare lo SO si deve armonizzare il sistema antiossidante somministrando gli antiossidanti in associazione (86), a basse dosi, possibilmente in forma fluida (per una migliore biodisponibilità) in una combinazione di prodotti che contenga tutte le categorie di antiossidanti (ovvero di membrana come la Vit E o il beta-carotene; di sistema come la L-cisteina, Se, ZN; circolanti come la Vit C e i polifenoli; interni alla cellula come l’ubichinolo, lo squalene, l’acido lipoico).

5) Per affrontare lo SO cerebrale si deve cercare di inserire nella combinazione antiossidante quelle sostanze che hanno dimostrato di avere azione antiossidante con selettività cerebrale come la carnosina (87,88) e i polifenoli/ terpenoidi del Gikgo biloba (89-91) con azione protettiva della BBB, reologica e vasodilatatrice.

6) Se si riesce a ridurre lo SO con l’esercizio fisico moderato (92) è bene che diventi una modalità terapeutica sistematica. Tuttavia, si deve considerare che l’esercizio fisico, soprattutto prima che si instaurino meccanismi di compenso, tende ad aumentare lo SO (93) e quindi deve essere proposto con gradualità.

7) Se si riesce a ridurre lo SO con l’alimentazione ricca di vegetali è bene renderla sistematica.

8) I punti da 1 a 7 presuppongono che si faccia inizialmente una valutazione della condizione dello SO e della riserva antiossidante con le modalità con le quali si misura la glicemia nei diabetici. Una volta stabiliti i valori del soggetto e la loro modificazione applicando i fattori correttivi adottati, lo SO e la riserva antiossidante si devono valutare con la frequenza di una misurazione di colesterolo in un soggetto iperlipemico in terapia con ipolipemizzanti.

Sulla base di questi concetti è stata messa a punto una formulazione riportata nella seguente Figura 9.


Fig. 9 La formulazione altro non è che la risultante per opporsi il più fisiologicamente possibile agli elementi causali dell'ossidazione cerebrale. Nella parte di sinistra sono elencati i componenti della formulazione e nella parte destra la loro funzione. AO significa antiossidanti; lo scudo antiossidante (scudo AO), è relativo ad antiossidanti di membrana, circolanti, di sistema e interni alla cellula.


Il gruppo delle vitamine B armonizza il ciclo metionina/omocisteina/cistationina in relazione alla condizione di aumento della CBS (vedi Fig. 2).
Le Vit B6, B9, B12 intervengono direttamente nel ciclo di produzione dei metili, della metionina e del GSH. Particolare attenzione è stata rivolta a mantenere il ciclo dei pentoso fosfati che sostiene la produzione di GSH.
La Vit B1 consente la reazione di transchetolasi che permette il regolare svolgersi del ciclo dei pentoso fosfati (e quindi la produzione di GSH) in quanto ripristina la produzione di F6P (fruttosio 6 fosfato) e in seguito di G6P che è la partenza del ciclo dei pentoso fosfati.
La Vit B3 partecipa alla sintesi del NAD(P); le deidrogenasi NAD-dipendenti catalizzano reazioni di ossidoriduzione nel ciclo dei pentoso fosfati.
La Vit B2 invece entra a formare le flavo proteine che sono la parte prostetica di molti enzimi ossido riduttivi (esempio il FAD-flavin-adenin-difosfonucleotide, il quale trasporta H dal ciclo di Krebs ai citocromi) e la NADH deidrogenasi che è il principale costituente della catena respiratoria.

Pertanto con il gruppo delle Vit B si ritiene di sostenere ed armonizzare il ciclo di produzione del GSH e l’energia necessaria al suo rinnovamento (per particolari vedi 98,99).

La carnosina (87,88) è un antiossidante cerebrale specifico (beta-alanil-istidina, un diminoacido), in quanto presente solo nei muscoli e nel cervello dove raggiunge delle concentrazioni intorno alle 20 mMol, quindi molto elevate. La carnosina si oppone alla tossicità dell’amiloide e alla carbonilazione delle proteine.

I ginkgosidi del Ginkgo biloba sono noti per la loro azione reologica e vasodilatatrice dei microvasi cerebali e anche dei vasi di calibro maggiore (89, 90).

La letteratura sul Ginkgo biloba è vastissima e controversa (90,91) e la sua attività può anche dipendere dalla tipologia di prodotto, che deve essere ben standardizzata. Tuttavia, se l’azione è valutata con metodologia corretta e con estratti standardizzati la sua attività è clinicamente evidente, anche se non “miracolistica”.

II Coenzima Q10 (CoQ10) è stato inserito come antiossidante del citosol, mentre il beta-carotene, la Vit E sono i rappresentanti degli antiossidanti tipici di membrana. Il Se e la L-cisteina sono antiossidanti di sistema in quanto costitutivi della selenocisteina, che è l’aminoacido portante per la formazione del GsH. per ultimo la Vit C rappresenta l’antiossidante circolante. Questi ultimi antiossidanti rappresentano lo scudo Ao e sono stati valutati, nelle quantità utilizzate, sul volontario sano in un’esperienza controllata in doppio cieco per determinare la loro capacità di ridurre lo SO determinato attraverso il d-Roms test ( 86).

La formulazione completa dell’antiossidante cerebrale prototipo è riportata nella seguente Tabella 1.

Tale formulazione tende a ridurre i livelli di omocisteina che, nonostante il deficit di CBs, nei soggetti con SD non sono ridotti, ma tendono in alcuni casi ad essere elevati (94).

In esperienze preliminari, tale formulazione ha dimostrato di ridurre lo SO in una percentuale significativa di casi ( 65%; 13 casi su 20 casi).

I soggetti analizzati avevano età compresa tra 9 e 14 anni, tutti con trisomia 21 pura ed erano seguiti da ambulatori medici (medici del territorio) del Centro/Sud Italia. La ricerca era di tipo aperto, quindi con tutte le limitazioni di tale tipo di ricerca. Tutti i soggetti erano in condizioni di SO con valori di d-ROMs test > 300 U. CARR. e BAP (Biological Antioxidant Potential) < a 2100.

La formulazione era composta da polveri contenute in un tappo dosatore da diluire in 10 mL di fluido contenuto in un flacone (contenente aromatizzanti).

Si è suggerito anche il compenso alimentare di metionina alternando per 3-4 volte alla settimana del formaggio grana e della bresaola che sono particolarmente ricchi di tale aminoacido essenziale (vedi tabelle alimentari della INRAN Istituto nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione). Questa aggiunta di metionina insieme con la supplementazione di tutte le vitamine del gruppo B dovrebbe armonizzare il ciclo CBS con quello dei pentoso fosfati. Il peso dei soggetti era tenuto sotto controllo, per evitare nei mesi di esperienza che si verificassero cambiamenti salienti di peso.

La formulazione è stata somministrata una o due volte al giorno (non ha mai superato le due somministrazioni) e la misura degli idroperossidi plasmatici (d-ROMS test) oltre


Prodotto

dose

RDA

Vit C

50 mg

50

Ginkgo biloba

25 mg

-

Vit E

20 mg

200

CoQ10

10 mg

-

Beta-carotene

800 RE

100

Se

27,5 mcg

25

L-cisteina

10 mg

 

Carnosina

100 mg

 

Tiamina (Vit B1)

1,4 mg

100

Riboflavina (Vit B2)

1,6 mg

100

Nicotinamide (Vit B3)

18 mg

100

Piridossina (Vit B6)

1 mcg

100

Acido folico (Vit B9)

200 mcg

100

Cianocobalamina (Vit B12)

1mcg

100

Tab. 1 Formulazione dell'antiossidante cerebrale.

Si osserva come tutti i prodotti contenuti siano in concentrazione molto limitate (come testimoniato dalle RDA).

Le vitamine ad azione antiossidante (diretta o indiretta) sono contenute in quantità simili a quelle che si possono assumere con una normale alimentazione bilanciata. La formulazione ha il vantaggio di non contenere calorie e quindi può essere assunta senza generare lo SO determinabile con l'alimentazione.

Tale formulazione è stata riportata al completo e non ha brevetto alcuno, pertanto chiunque, se lo ritiene opportuno la può utilizzare. Si suggerisce la forma fluida perché è più biodisponibile.


che l’entità della riserva antiossidante piasmatica (BAP test; ovvero capacità di ridurre il Fe) è stata eseguita prima e ad intervalli di tempo sino a tre mesi dopo il trattamento. In questo intervallo di tempo si è potuto osservate un miglioramento progressivo dello SO (Tab. 2).

Tipo di test

Basale

Dopo 1 mese*

Dopo 3 mesi*

Test t (basale Vs 3 mesi)
per dati interdipendenti

d-ROMs a
U.CARR.

410 ± 39,7

352 ± 50,5

336 ± 53,3

P<0,001

BAP b

1853 ± 183,0

1975 ± 205,4

2093 ± 270,9

P< 0,001

Tab. 2 Valori di SO prima e dopo trattamento con antiossidante cerebrale riportato in Tabella 1, somministrato in formulazione 2 fasi (polveri da sciogliere in fluido).

I test per la valutazione della condizione ossidativa devono essere sempre effettuati alla stessa ora in condizioni di almeno 12 ore di digiuno.

* alcuni soggetti hanno attuato il trattamento 1 volta /die (8 casi) altri 2 volte /die (12 casi).

La risposta sembra essere dose dipendente.

a 1 U. CARR. corrisponde a 0,08 mg/dL di H2O2; b 1 BAP corrisponde a 2 mmol/Fe2+.


L’attività sullo SO e sulla riserva antiossidante di tale formulazione si osserva, nel volontario sano, già dopo un’ora dalla somministrazione (in termini di aumento del BAP) e si mantiene per alcune ore (3 ore circa).

Nel contesto dell’esperienza attuale, le somministrazioni ripetute sembrano aver consentito di migliorare progressivamente la condizione di so.

In alcuni casi dopo 15 giorni non si sono osservate modificazioni dello stato ossidativo (riduzione del d-ROMS test e/o aumento del BAP) e il dosaggio è stato aumentato passando a 2 somministrazioni/die per altri 15 giorni. In alcuni soggetti l’incremento della dose ha consentito degli effetti antiossidanti (perlomeno modifiche del 10-15% dei valori), in altri casi (7 su 20) non si è ottenuto alcun effetto significativo. La risposta ottenuta sembra essere parzialmente dose dipendente (“nei responders”), ma si è suggerito di non superare mai le due somministrazioni giornaliere, per evitare dosi eccessive di prodotti che potessero sfociare nell’azione pro- ossidante.

Tuttavia, nonostante i risultati incoraggianti, la ricerca ha bisogno di essere più prolungata nel tempo e deve essere svolta in condizioni controllate con placebo.

Non è la prima volta che i soggetti affetti da sD sono posti in trattamento con integratori a base di vitamine antiossidanti e i risultati sono sempre stati mediamente scarsi o perlomeno di valore dubbio (95,96). Non deve sorprendere tutto questo. Se si sottoponessero ad un unico trattamento antiipertensivo tutti i soggetti ipertesi, senza mai misurare la pressione arteriosa si otterrebbero gli stessi risultati.

Nel contesto della struttura dello so nel soggetto con sD si è cercato di operare armonizzando il sistema senza interventi drastici. Questa è l’essenza della prevenzione.

sono in corso di studio altre formulazioni bilanciate che hanno dimostrato di aumentare la riserva antiossidante (BAP) nei soggetti normali.

Conclusioni

Lo SO nel soggetto affetto da SD è un evento accertato e accettato da tutta la comunità scientifica. Tale condizione può alterare tutti i costituenti biologici più importanti, come le proteine, i lipidi di membrana, i PGs ecc. producendo una particolare vulnerabilità cellulare. Questa vulnerabilità può essere diversa da sistema a sistema, addirittura da cellula a cellula in relazione con l’efficienza della rete antiossidante locale, costituita da enzimi, antiossidanti di varia tipologia i quali tendono a supportare il GSH. Una particolare fragilità si può verificare a livello cerebrale, per caratteristiche anatomiche (BBB) e funzionali, quali il consumo energetico e l’abbondanza di fosfolipidi ricchi di polinsaturi e quindi facilmente ossidabili.

Percorrendo le vie che conducono allo SO i soggetti con SD, si è giunti a comprendere che lo SO è perlomeno un’aggravante per la loro fragilità e che deve essere affrontato in modo molto specifico e soprattutto deve essere misurato adeguatamente.

Queste considerazioni hanno condotto ad articolare un trattamento antiossidante che tenga conto della peculiarità dei soggetti SD.

I dati preliminari sono incoraggianti ma hanno certamente bisogno di conferma su una casistica consistente. Inoltre, ciascun soggetto è un universo e quindi quello che è fondamentale è poter misurare la risposta del singolo caso. Con nuovi e semplici metodologie è possibile controllare il valore terapeutico di possibili rimedi.

Circa la validità di un trattamento obiettivamente antiossidante sulla durata della vita e soprattutto sulla durata della coscienza della vita, è difficile dare una risposta puntuale e circostanziata.

Ci viene in aiuto l’evidenza che negli ultimi 30 anni le cure rivolte a questi soggetti hanno consentito di prolungare in modo inequivocabile la durata della loro vita, il miglioramento della morbilità oltre che il “ritardo” nell’espressione della demenza senile.

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Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Umberto Ambrosetti - Valter Gualandri
VERSIONE EBOOKLa sindrome di Down è una patologia nota da tempo nei suoi aspetti morfologici, neuropsichiatrici ed organici. La presente raccolta di saggi, basati sull’attenta analisi della letteratura specialistica filtrata dall’esperienza diretta di ogni Autore, vuole essere una puntualizzazione per il Medico di base e per lo Specialista. Si è cercato di fornire uno strumento agile, ma completo e scientificamente aggiornato, per potere affrontare le varie patologie che non sono “speciali” perché colpiscono una persona Down, ma vanno inquadrate in una cornice particolare in quanto presenti in un soggetto con caratteristiche organiche e cliniche “particolari”. Questo testo non vuole essere uno strumento che induca ad una eccessiva medicalizzazione delle persone Down, le quali non debbono essere considerate “pazienti” ma individui soggetti a rischi clinici polimorfi, rischi che dobbiamo individuare e controllare, esercitando una medicina preventiva a tutti i livelli. Il lavoro, che ha visto impegnati un gran numero di esperti quotidianamente coinvolti nei vari ambiti specialistici per migliorare le condizioni di vita di queste donne e uomini vuole essere di aiuto nella comprensione e gestione delle manifestazioni di questo complesso quadro clinico provocato da una piccola quantità di DNA in eccesso sul cromosoma 21.