23. PROBLEMATICHE AUDIOLOGICHE

ELENA ARISI • UMBERTO AMBROSETTI
Aspetti dismorfologici
Massiccio Facciale

Le alterazioni morfologiche a carico del massiccio craniofacciale riscontrabili nella sindrome di Down (SD) favoriscono e spiegano le varie patologie di competenza otorinolaringoiatrica ed audiologica.

il cranio nel soggetto Down appare di ridotta dimensione e la sua forma è alterata presentando brachicefalia con osso occipitale appiattito; le bozze frontali sono prominenti, la rima palpebrale è ridotta, il terzo medio facciale è ipoplasico per ridotto sviluppo dell’osso mascellare e zigomatico con ossa nasali poco sviluppate. La mandibola è di dimensioni ridotte a causa dell’ipoplasia del mascellare superiore sembra assumere una forma prominente con malocclusione di terza classe (1-2).

Si riconoscono inoltre: ridotte dimensioni del padiglione auricolare, stenosi del condotto

uditivo esterno, ipoplasia della mastoide (3), anomalie anatomiche a carico della tuba d’Eustachio (4-5), pseudo-iper-telorismo, palato corto, macroglossia relativa e rinofaringe ristretto (6).

Padiglione e condotto uditivo esterno

Il padiglione auricolare è piccolo, irregolare ed asimmetrico, ad impianto basso, lievemente ruotato posteriormente (7).

La conca ha forma e dimensioni irregolari: può essere troppo piccola ed allora appare accorciata lungo l’elice o, al contrario, troppo ampia ed in questo caso appare appiattita ed allargata (Fig. 1).

L’antelice è sporgente o addirittura mancante e, in tal caso, il padiglione appare lievemente concavo con parete sottile e liscia. i lobuli, spesso assenti o appena abbozzati, sono aderenti e saldati alla regione parotidea; è inoltre frequente il riscontro di tubercolo di Darwin.

Nei neonati affetti da SD, il padiglione è lungo 3-4 cm ed è frequente l’ipoplasia del bordo superiore dell’antelice; in oltre il 40-50% dei casi, il condotto uditivo esterno, sia a livello del meato esterno sia della giunzione osteocartilaginea, è spesso talmente stenotico che preclude un’esplorazione adeguata della membrana timpanica e provoca la conseguente formazione di deposito ceruminoso od epidermico (8). Tali condizioni rendono difficoltosa la diagnosi di malattie dell’orecchio medio nei primi anni di vita. Nella maggior parte dei casi si osserva, solitamente, una graduale crescita del canale uditivo esterno rendendo possibile una più accurata esplorazione dopo i 2-3 anni di età (9).

La stenosi del CUE, oltre ad impedire la fisiologica detersione dal cerume e dai detriti cutanei, facilita l’insorgenza di otite esterna, patologia a carico prevalentemente della cute del CUE (10).

Orecchio medio

Gli studi morfologici, presenti in letteratura, concernenti le alterazioni a carico dell’orecchio medio sono numericamente scarsi e condotti su un campione limitato di pazienti.

Balkany et al., in uno studio istologico condotto su 5 ossa temporali di bambini affetti da SD, ha osservato nel 42 % dei casi alterazioni a carico del canale del nervo facciale (deiescenza) e della staffa (fissità e deformazione) (11).

Harada e Sando hanno riscontrato anch’essi una deiscenza del canale del nervo facciale nel 25% dei 12 casi da loro studiati e la presenza di tessuto mesenchimale a livello della finestra rotonda in 9 soggetti, ritenendo che quest’ultimo fattore fosse l’origine della sordità trasmissiva nella SD (12).

Takahara e Sando hanno ipotizzato che la presenza del tessuto mesenchimale fosse correlata all’interruzione e/o al ritardato sviluppo dell’orecchio medio durante l’accrescimento fetale (13).

Altri Autori, invece, ritengono che la presenza di residui mesenchimali nell’orecchio medio sia implicata nella patogenesi delle forme infiammatorie dell’orecchio medio (14-16).

In uno studio anatomopatologico di Bilgin del 1996 condotto su 16 ossa temporali provenienti da 8 soggetti affetti da SD (4 maschi e 4 femmine) di età compresa tra 48 giorni e 17 anni, è stato riscontrato un costante residuo di tessuto mesenchimale nel cavo timpanico; in 13 casi (80%) era presente una deiscenza del canale del nervo facciale e in 9 alterazioni morfologiche a carico della staffa (deformità e fissità a carico della sovrastruttura stapediale) (17).

Queste osservazioni suggeriscono che qualora il chirurgo debba intervenire sull’orecchio medio per eliminare patologie flogistiche, presti molta prudenza per la possibile presenza di malformazioni.

Orecchio interno

In uno studio radiologico condotto su 59 soggetti, Blaser et al. hanno osservato che il labirinto in soggetti affetti da SD è spesso ipoplasico rispetto ad individui normoudenti; in particolare, il giro apicale è ridotto di dimensioni, il modiolo è più stretto del normale (18). Altre anomalie meno frequentemente riscontrate sono un abbozzo del canale semicircolare laterale che crea un’unica cavità con il vestibolo, un allargamento dell’acquedotto vestibolare e della fossa del sacco endolinfatico, un’ipoplasia del canale del nervo acustico e una stenosi o una duplicazione del condotto uditivo interno.

Tali displasie dell’orecchio interno sono conformi a quelle riscontrate in precedenti studi istopatologici (17,19-22) e potrebbero in parte essere spiegate dall’alterato dosaggio genico (23-24), da un ridotto numero di cellule migrate dalla cresta neurale e dal ridotto addensamento mesenchimale, elementi fondamentali per un normale sviluppo dell’orecchio interno (25-27).

Igarashi in uno studio istologico su ossa temporali di quattro soggetti Down ha evidenziato una progressiva ossificazione del giro basale della coclea con una riduzione della popolazione cellulare del ganglio di Corti ed, in alcuni casi, una completa scomparsa (20).

Vestibolo e canali semicircolari

Nonostante la displasia vestibolare sia più frequente di quanto ritenuto in passato, non sono riportati in letteratura casi di manifestazioni cliniche da alterata funzione vestibolare.

Nella nostra casistica (350 soggetti di età compresa tra 1 mese e 70 anni) nessuno ha mai presentato sintomi correlabili a disturbi vestibolari né presenza di acufeni. Alterazioni posturali e incoordinazione motoria sono invece usuali e riferibili principalmente all’ipotonia muscolare generalizzata, alla lassità legamentosa e ad un alterato apprendimento delle sinergie motorie e posturali, caratteristiche tipiche dei soggetti con SD (28).

Problematiche correlate ALLA TUBA DI EUSTACHIO

Anatomo-fisiologia

La tuba, posta tra l’orecchio medio e la cavità rinofaringea, svolge essenzialmente tre funzioni: collegamento ed equalizzazione tra la pressione atmosferica e quella contenuta nell’orecchio medio, drenaggio delle secrezioni presenti nella cavità timpanica e protezione dell’orecchio medio tramite un meccanismo sfinterico (29) (Fig. 2).

La tuba nell’adulto si presenta morfologicamente come un condotto fusiforme in parte osseo ed in parte fibro-cartilagineo, lungo circa 35 - 40 mm., diretto in avanti, medialmente e in basso; nel neonato e nel bambino sino all’età di 5/6 anni, invece, presenta una direzione pressoché orizzontale (30-31).

La zona di giunzione tra la porzione ossea e quella fibro-cartilaginea, denominata istmo, è la parte con minor ampiezza luminare (circa 2 mm. di diametro) e si prolunga per diversi millimetri (32) (Fig. 3).

La tuba per svolgere le sue funzioni dinamiche, si avvale dei seguenti fasci muscolari peritubarici:

- Muscolo peristafilino interno o retrotubarico o elevatore del velo palatino

- Muscolo peristafilino esterno o peritubarico o tensore del velo palatino

- Muscolo salpingofaringeo o faringotubarico.

La funzione di drenaggio della tuba è garantita dal rivestimento mucoso che contiene cellule ciliate, prevalenti nella parete mediale, e cellule mucipare, presenti nella parete inferiore dall’istmo e per tutto il settore fibrocartilagineo. L’epitelio di rivestimento ha, pertanto, caratteristiche decisamente respiratorie, importanti per attuare una corretta clearance verso il rinofaringe (34). La funzione di difesa nei confronti di agenti chimici, fisici e biologici, che dal rinofaringe potrebbero risalire fino all’orecchio medio, è garantita da fattori meccanici e biochimici - umorali.

I fattori meccanici sono rappresentati dal collabimento delle pareti tubariche, che si aprono solo durante gli atti fisiologici della deglutizione, eruttazione e sbadiglio (meccanismo valvolare), opponendo una maggior resistenza al passaggio dell’aria dall’esterno all’interno.

Le difese umorali sono garantite dal tessuto linfatico peritubarico e da formazioni ghiandolari secernenti sostanze, come il lisozima, con proprietà batteriolitiche (33).

II funzionamento anomalo della tuba svolge un importante ruolo nella genesi dell’infiammazione cronica delle cavità dell’orecchio medio: in particolare, è la ventilazione insufficiente dell’orecchio medio la causa principale dell’infiammazione cronica.

il tessuto adenoideo, quando ipertrofico ed infiammato, è causa di ostruzione meccanica degli osti tubarici per stasi dei linfatici tubarici.

Nel lattante, la rettilineità della tuba, associata al suo maggiore calibro e alla sua brevità, può facilitare il passaggio di materiale infetto all’orecchio medio.

In uno studio istologico effettuato su 3 ossa temporali di soggetti con SD è stato evidenziato che il numero dei condrociti nella porzione cartilaginea della tuba di Eustachio è minore rispetto agli individui normali; questo fatto comporterebbe un anomalo funzionamento della tuba (35).

Sono stati osservati, ipoplasia della lamina laterale della tuba nella porzione cartilaginea e un ridotto punto di attacco del muscolo tensore del velo del palato alla lamina laterale (36).

In sintesi, nel soggetto Down diversi fattori concorrono ad una cattiva aerazione dell’orecchio medio, presupposto per la cascata di eventi patologici alla base dell’istaurarsi di una flogosi cronica e della conseguente sordità trasmissiva. Tra questi ricordiamo l’insufficiente funzionalità della tuba, l’alterata risposta immunitaria (37), l’ipotonia muscolare, l’ipoplasia della mastoide (3), la ristrettezza del rinofaringe (6), le alterazioni del collagene interessanti i legamenti tubarici e il tessuto elastico, l’alterazione o la perdita dell’epitelio ciliato tubarico con conseguente produzione anomala di secrezioni tubariche dense (38) (Fig. 4).

Otite media secretiva

L’otite media secretiva (OMA) è una patologia caratterizzata da produzione di liquido sieroso, siero - ematico o mucoso che occupa la cassa dell’orecchio medio.

La presenza di questo liquido determina un’attenuazione nel trasferimento dell’energia sonora dall’aria alla chiocciola, con conseguente ipoacusia trasmissiva di grado lieve o medio.

Questa patologia colpisce prevalentemente i pazienti in età pediatrica ed è pertanto definita anche otite sierosa del bambino: nei bambini affetti da SD presenta un’elevata incidenza (4,6,39). La sintomatologia è caratterizzata da ipoacusia lieve o media, autofonia, acufeni e raramente otalgia. Nel bambino, ed in particolare del soggetto con SD, l’OMA è spesso silente e solo un attento monitoraggio audiologico può svelare la patologia stessa e la conseguente ipoacusia che frequentemente è causa di alterato sviluppo o di ritardo del linguaggio; nella SD questa condizione è ancor più grave dato il ritardato di sviluppo generale e il deficit mentale più o meno grave coesistente.

L’ipotonia della tuba di Eustachio è la causa principale e inemendabile di tale patologia nel soggetto con SD, in quanto non permette l’apertura della tuba e, quindi, il riequilibrio con la pressione atmosferica.

Altre cause possono concorrere a sostenere il versamento cronico:

• alterata clearance mucociliare,

• ipertrofia adenoidea che non permette la regolare apertura delle tube di Eustachio e, quindi, il riequilibrio della pressione fra orecchio medio e l’aria atmosferica.

La depressione che si produce nella cassa del timpano richiama liquidi che bloccano il movimento degli ossicini o impedisce la trasmissione del suono.

Con il persistere della condizione disbarica, il versamento diviene sempre più denso, “glue”, e tende ad organizzarsi dando origine a fenomeni cicatriziali; infine, come complicanze della disfunzione tubarica cronica si possono avere perforazioni della membrana timpanica, tasche di retrazione, otite cronica semplice ed otite cronica colesteatomatosa (40).

Il trattamento medico prevede classicamente l’utilizzo di farmaci mucolitici, antinfiammatori, antistaminici, immunomodulatori, aerosolterapia e farmaci cortisonici per uso topico. Tuttavia, nel soggetto con SD, poiché la causa di base è malformativa, questi presidi terapeutici svolgono un’azione scarsa o nulla.

Cateterismi tubarici (insufflazioni endotimpaniche) con gas proveniente da acque termali sulfuree associati ad inalazioni, nebbie ed aerosol effettuati a cicli programmati in primavera ed autunno, anche se non permettono la risoluzione della patologia, sono indicati per contrastare i fenomeni cicatriziali.

Poiché queste procedure terapeutiche necessitano una minima collaborazione da parte del paziente, esse possono essere prescritte solo dopo il compimento dei 5-6 anni di vita, tenendo in ogni caso in considerazione le caratteristiche del soggetto con sD.

La kinesiterapia tubarica o rieducazione tubarica è una metodica terapeutica che, tramite appositi esercizi muscolari, basati sull’attivazione dei muscoli connessi alla tuba permette l’apertura della stessa, restituendo il giusto tono muscolare e ripristinandone la normale funzionalità; anche in questo caso è, comunque, necessaria una minima collaborazione da parte del paziente.

La ginnastica tubarica si svolge in quattro fasi, insegnate dapprima dalla logopedista, e successivamente eseguite a domicilio con il supporto dei genitori formati con opportuno counseling:

1) apprendimento della detersione nasale ed educazione all’igiene nasale,

2) apprendimento della respirazione naso-diaframmatica,

3) manovre di autoinsufflazione,

4) esecuzione di esercizi (linguali, velari, mandibolari, linguo-velari, mandibulo-linguo-vela-ri, respirazione mononarinale e binarinale, eruttazione, deglutizione) (41).


L’applicazione di drenaggio transtimpanico, che solitamente permette di ottenere il ripristino della funzione uditiva con normalizzazione della soglia uditiva, nella sD è una procedura chirurgica da non utilizzare, in quanto produce un miglioramento solo temporaneo e può facilitare o peggiorare fenomeni cicatriziali, in particolare se l’intervento chirurgico viene ripetuto numerose volte.

A tal proposito, Iino, ha condotto uno studio comparativo sulle complicanze otologiche del drenaggio transtimpanico, in una popolazione di 28 soggetti con sD di età superiore ai 2 anni rispetto ad un gruppo controllo di pari età. I soggetti Down hanno presentato una maggior incidenza di episodi di otorrea, infezioni da microrganismi antibioticoresistenti, atelettasia della membrana timpanica e perforazioni residue dopo estrusione del drenaggio transtimpanico con formazione di colesteatoma (42).

In un successivo studio longitudinale attuato su 48 bambini con SD di età inferiore ai 2 anni per valutare l’efficacia del trattamento medico e chirurgico, Shott et al. hanno osservato che nei successivi 18 mesi solo 8 casi non hanno presentato OMS, gli altri 40 sono stati trattati farmacologicamente e sottoposti a drenaggio transtimpanico anche fino a 4 volte. Sebbene il trattamento fosse stato molto aggressivo, non è stata riscontrata la risoluzione del versamento né miglioramento uditivo a lungo termine (43).

Otite cronica

L’otite cronica semplice è la conseguenza di uno stato infiammatorio, a carico di tutte le strutture dell’orecchio medio, che si protrae nel tempo. La membrana timpanica appare sempre perforata ed i suoi residui possono essere ispessiti. Inoltre, quando il processo infiammatorio diventa cronico si possono avere focolai d’infiammazione della catena degli ossicini e dell’osso che circonda l’orecchio medio e la mucosa della cassa timpanica si ispessisce. Nel caso di un’attenuazione o di una risoluzione dello stato infiammatorio cronico si avrà una tendenza alla sclerosi (ispessimento fibroso) di tutte le strutture dell’orecchio medio, con possibile deposizione di sali di calcio sui residui della membrana timpanica.

La sintomatologia è caratterizzata da:

• otorrea continua o intermittente, spesso in concomitanza ad infiammazioni rinofaringee acute. Il liquido prodotto può avere caratteristiche variabili: sieroso, mucoso, muco-purulento e purulento;

• sordità: inizialmente di tipo trasmissivo, si trasforma con il tempo in tipo misto ed infine neurosensoriale;

• acufeni;

• vertigini saltuarie.

Il trattamento nel soggetto normale è l’intervento chirurgico di timpanoplastica che ha la finalità di eliminare la patologia, ripristinare l’anatomia e recuperare la funzione uditiva. L’approccio chirurgico nel soggetto Down deve essere molto prudente per la cronica disfunzionalità tubarica che può vanificare il risultato; se gli episodi di otorrea non sono molto frequenti, è da preferire, in questi casi, un monitoraggio della patologia in otomicroscopia e medicazioni con instillazione di gocce a base di cortisonici ed antibiotici.

Per permettere ai bambini Down con perforazione della membrana timpanica di praticare il nuoto è consigliabile la prescrizione di “tappi-nuoto” in materiale siliconico, realizzati in base al calco del condotto uditivo esterno e della conca; tale procedura è semplice, indolore e del tutto simile a quella utilizzata per la costruzione dell’auricolare protesico.

Otite cronica colesteatomatosa

L’otite cronica colesteatomatosa è un particolare tipo di otite cronica caratterizzata dalla presenza del colesteatoma, neoformazione epiteliale benigna costituita da epitelio cheratinizzato squamoso stratificato, contenente detriti di cheratina, localizzato nell’orecchio medio o nell’osso temporale.

La causa dello sviluppo del colesteatoma è incerta, tuttavia quando questo si realizza, il distacco della cheratina proveniente da questa neoformazione si raccoglie e genera una cisti, che si espande lentamente provocando la distruzione per lisi delle strutture ossee che incontra (la catena ossiculare, le cellule antro-mastoidee, i canali semicircolari in prevalenza il laterale, il promontorio, il tegmen timpani, il canale del nervo facciale, il seno laterale) (44). sono state poste varie ipotesi sulla genesi del colesteatoma:

• trasformazione del tessuto di rivestimento della cassa che, sotto l’influsso di ripetuti stimoli infiammatori, per brusche variazioni di pressione si trasformerebbe in epitelio simile a quello cutaneo;

• migrazione nella cassa di tessuto di rivestimento del condotto uditivo attraverso una perforazione della membrana timpanica;

• residui embrionali dell’ectoderma, erroneamente migrati nella cassa timpanica durante lo sviluppo del feto;

• migrazione di cellule epiteliali presenti nel liquido amniotico dalla tuba nella cassa timpanica;

• fenomeni di ipercheratosi e iperacantosi, cioè particolari modificazioni dovute a fenomeni infiammatori della faccia profonda della membrana di shrapnell (porzione superiore della membrana timpanica) (45).

Nel soggetto con SD gli elementi che possono essere riconosciuti come fattori scatenanti l’otite colesteatomatosa sono: la condizione di insufficienza tubarica cronica che sostiene l’otite media secretiva e la successiva fase sclero-adesiva, il frequente riscontro di otite cronica.

L’entità della perdita uditiva dipende, ovviamente, dai danni provocati a livello della membrana timpanica (perforazione) e della catena ossiculare.

La valutazione del quadro obiettivo deve essere sempre effettuata mediante otomicroscopia che permette di visualizzare diversi quadri:

• nella forma classica si evidenza una grossa perforazione del timpano e la presenza, a livello della cassa timpanica, di una massa biancastra, il colesteatoma,

• un quadro clinico più subdolo è caratterizzato invece da una membrana timpanica sostanzialmente nella norma con una piccola perforazione nella porzione superiore del timpano (epitimpano), spesso mascherata da una crosta o da una granulazione, che nascondono la presenza del colesteatoma.

Esistono anche forme con perforazione a carico dei quadranti inferiori della membrana timpanica, dette ipotimpaniche, e rari casi di colesteatoma “a timpano chiuso”, caratterizzate da una sordità trasmissiva non responsiva al trattamento (timpanogramma costantemente di tipo B), indice di malfunzionamento del sistema timpano-ossiculare.

I sintomi sono oltremodo vari e subdoli spesso intervallati da periodi di relativo benessere:

• ripetuti episodi otitici,

• otorrea fetida,

• sordità progressiva e irreversibile,

• vertigini episodiche.

Un ritardo nella diagnosi e nel trattamento chirurgico può scatenare una serie di gravi complicazioni dell’otite colesteatomatosa:

• paralisi del nervo facciale per erosione o compressione del canale osseo,

• infezioni a livello endocranico (ascesso, trombosi del seno cavernoso),

• sordità improvvisa per interessamento della coclea,

• vertigini acute per infezione delle strutture del labirinto (“labirintite settica”) o per fistola

labirintica, solitamente a carico del canale semicircolare laterale (40).

Nel sospetto clinico-anamnestico di otite cronica colesteatomatosa è indispensabile eseguire una TC ad alta risoluzione delle rocche petrose a diverse profondità, in quanto è fondamentale definire le zone di erosione ossea, tipiche del colesteatoma.

Quando il colesteatoma è piccolo, poco aggressivo e non comporta ancora una significativa perdita uditiva, è prevista la periodica rimozione (parziale) del colesteatoma in otomicroscopia; tale trattamento può essere effettuato ambulatorialmente con buoni risultati.

Quando il colesteatoma è invasivo, aggressivo e comporta anche una certa perdita uditiva il trattamento è solo chirurgico, da effettuarsi in tempi rapidi onde evitare l’instaurarsi di complicanze dovute al suo accrescimento.

Bacciu et al. riportano la loro esperienza chirurgica su una casistica di 9 pazienti Down, di età compresa tra 7 e 16 anni, affetti da colesteatoma a diversa localizzazione: 3 casi nell’epitimpano, 2 casi in epitimpano e antro, 1 caso in epitimpano, antro e mastoideo, 5 casi in epitimpano, antro, mastoide, mesotimpano (40). L’esame TC ad alta risoluzione ha anche evidenziato in 4 soggetti una stenosi del cuE, in 7 una mastoide ipoplasica; in due soggetti il colesteatoma era bilaterale.

L’approccio chirurgico in 8 casi è stato quello della mastoidectomia con abbattimento della parete posteriore (canal-wall-down), in 2 casi con mantenimento della parete posteriore (canal-wall-up) e in un caso con la creazione di un’atticotomia con la tecnica di Bondy per la minima estensione del colesteatoma.

Gli Autori, per quanto esigua possa essere la casistica, concludono che l’asportazione del colesteatoma, procedura chirurgica complessa e difficoltosa nel bambino, è ancor più indaginosa nel soggetto con SD, solitamente per l’ampia estensione della patologia spesso causata da una diagnosi tardiva.

La tecnica aperta necessita di una toilette della cavità mastoidea da effettuarsi ambulatorialmente almeno ogni 8 mesi, procedura spesso indaginosa nel Down per la scarsa collaborazione; questa tecnica, tuttavia, evita il rischio di colesteatoma ricorrente o residuo per il quale deve essere programmato un secondo intervento chirurgico.

Nella tecnica chiusa, a causa della persistente disfunzione tubarica, permane il rischio che si creino tasche di retrazione, possibile causa di colesteatoma ricorrente.

SORDITÀ

Sordità trasmissiva e neurosensoriale

L’ipoacusia, che si rileva in oltre l’80% dei bambini affetti da sindrome di Down, è stata associata ad un apparente peggioramento delle capacità cognitive (46). Benché la maggior parte dei deficit uditivi sia di natura trasmissiva, recenti studi riportano anche forme di tipo misto e neurosensoriale, con percentuali che variano dal 4% al 78% (11,47-50).

Tuttavia, tra le ipoacusie neurosensoriali (INS) è difficile distinguere le forme primitive o congenite da quelle secondarie ad otiti medie croniche trascurate. Nelle INS secondarie la progressione in forma neurosensoriale può essere facilitata dalla lunga durata della patologia dell’orecchio medio e dalla deposizione di tessuto osteoide nel fondo del canale uditivo interno nella regione del tratto spirale (19,47). La displasia dell’orecchio interno, invece, va sospettata nei casi in cui il deficit uditivo persista nonostante la risoluzione della patologia dell’orecchio medio.

Questi studi sono stati eseguiti non tenendo in considerazione la causa, l’entità e la fascia d’età dei Down ipoacusici e ciò spiega la così elevata disparità dei dati percentuali.

Programma di controllo audiologico

Il programma di screening uditivo “universale” basato sul rilevamento alla nascita delle otoemissioni acustiche, già effettuato presso grandi “punti nascita” e in fase di organizzazione su gran parte del territorio nazionale, permette, una volta sospettata la sordità, di effettuare la diagnosi nei primi mesi di vita e di evidenziare il problema uditivo alla famiglia e al pediatra di base.

Va osservato che questa metodica audiometrica obiettiva, di per sé non invasiva e di breve esecuzione, nel Down ha scarsa possibilità di successo, in quanto necessita di un orecchio medio privo di versamento, condizione che raramente si verifica nel Down, ed, inoltre, la tipica stenosi del condotto può impedire l’esecuzione dell’esame di screening (9). Di conseguenza, il soggetto Down deve essere sottoposto necessariamente allo studio dei potenziali evocati uditivi del tronco encefalo (ABR).

L’American Academy of Pediatrics (2001) ha emanato linee guida per il controllo dei pazienti pediatrici affetti da DS, in particolare sull’aspetto audiologico afferma che in presenza di minimo deficit uditivo rilevato mediante i potenziali evocati acustici, nel sospetto di OMS, nel caso in cui il condotto uditivo esterno non sia esplorabile oppure quando sussistano dubbi di sordità da parte della famiglia, l’apparato uditivo dovrà essere valutato mediante idonei test audiometrici tra il primo mese e il primo anno di vita.

In seguito, tra il 1° anno e 5° anno per monitorare il rischio di OMS (riscontrabile nel 5070 % dei casi) e per determinare l’entità dell’eventuale deficit uditivo dovrà essere ripetuto l’audiogramma ogni 6 mesi e in ogni caso fino all’ottenimento di un esame audiometrico tonale attendibile.

Infine, la valutazione audiologica con esecuzione di un esame audiometrico va effettuata annualmente dal 5° al 21° anno (51-52).

Il controllo audiologico del soggetto Down, a nostro avviso, va proseguito per tutta la vita con visite ed esami audiometrici annuali per mantenere sempre pervio e in ottime condizioni igieniche il condotto uditivo esterno e per monitorare l’andamento della soglia uditiva tonale liminare e vocale, che nella maggioranza degli adulti Down è possibile rilevare con qualche accortezza. Tali controlli annuali hanno lo scopo di evidenziare al primo insorgere la “presbiacusia” che in questi soggetti si può presentare anticipatamente, già nella seconda, terza decade di vita (53).

La perdita uditiva tipica della presbiacusia nel Down è simile a quella che si riscontra nel soggetto adulto normale e si manifesta con un deficit sulle frequenze acute; in funzione del decadimento della capacità di discriminazione vocale, l’audiologo deve proporre precocemente la protesizzazione acustica per evitare un’accentuazione dei fenomeni d’isolamento, decadimento intellettivo e disturbi depressivi, spesso già presenti nel soggetto Down.

Strategia audiometrica

In ogni paziente, ed in particolare nel soggetto Down, la scelta della metodica audiometrica da applicare va effettuata in base all’età mentale e non in base all’età anagrafica del soggetto.

L’approccio al piccolo paziente deve essere estremamente dolce, ma sicuro ed ogni reazione al suono va valutata con la massima attenzione.

L’esame deve essere condotto in un ambiente rassicurante per il bambino e per i genitori, isolato acusticamente e in un’atmosfera serena e giocosa.

È necessario disporre di giocattoli che non producano suoni, adatti alle varie età, al fine di accattivarsi la simpatia del piccolo paziente e predisporlo alla collaborazione. A questo fine, prima di eseguire l’esame, il bambino non va sottoposto a visita medica per evitare uno stato di ansia e di paura. Nei bambini Down che non presentano solo sordità si comprende come l’esame possa essere più indaginoso e di difficile interpretazione, ma è comunque sempre realizzabile dall’età di un anno.

L’audiometro deve essere attrezzato per l’esecuzione della stimolazione in campo libero; per quanto riguarda gli stimoli da erogare, si preferiscono i rumori a banda stretta e warble ai toni puri, in quanto sono più reattogeni e in grado di generare un minor numero di onde sonore stazionarie capaci di falsare le risposte.

Audiometria basata sul riflesso d'orientamento incondizionato o Behavioral observation audiometry (BOA)

L’audiometria comportamentale è la valutazione soggettiva delle capacità uditive basata sull’attenta osservazione dei riflessi involontari e delle variazioni di comportamento del soggetto esaminato in risposta ad adeguati stimoli sonori.

La rilevazione della soglia uditiva nei bambini d’età compresa tra i 3 mesi e i 3 anni presenta notevoli difficoltà in quanto, data la giovane età, non è possibile ottenere delle risposte volontarie.

Per eseguire l’audiometria a riflessi d’orientamento incondizionato è necessario essere in due operatori: il primo si pone di fronte al bambino che si trova in braccio alla madre seduta, lo distrae con giocattoli non sonori e contemporaneamente ne osserva le reazioni; il secondo, posteriormente, eroga lo stimolo scegliendo il momento opportuno.

Lo stimolo sonoro deve essere presentato dalla parte opposta a dove il bambino volge l’attenzione cercando di non farsi vedere.

Nei bambini molto piccoli (fino a nove mesi) e nei Down noi utilizziamo frequentemente suoni complessi prodotti da giocattoli sonori tarati per intensità e spettro frequenziale (54).

L’indagine audiometrica comportamentale va ripetuta due o tre volte nell’ambito della strategia diagnostica infantile e possibilmente da almeno due esaminatori diversi che non siano a conoscenza del precedente risultato.

Riflesso d'orientamento condizionato o Conditioned orienting response (COR) o Visual reinforcement audiometry (VRA)

L’esame si esegue nei bambini dai 9 mesi ai 3 anni con l’uso di un’apparecchiatura denominata teatrino di Suzuki e Ogiba, dal nome dei ricercatori che lo realizzarono nel 1959. Il condizionamento si attua tramite una doppia stimolazione, acustica e luminosa.

L’idea su cui si basa questa metodica è quella di dare un premio al bambino che volge lo sguardo verso una sorgente sonora. Il “teatrino” è costituito da due mobiletti disposti a 45 gradi fra loro; lo stimolo sonoro viene erogato attraverso due altoparlanti disposti alla sinistra e alla destra del bambino tenuto sulle ginocchia della madre.

L’esame inizia inviando uno stimolo visivo per attirare l’attenzione del bambino, in seguito si eroga dapprima un suono ad intensità sovraliminare, a partire dalle frequenze gravi, poi stimoli d’intensità decrescente fino alla determinazione della soglia uditiva.

Il bambino condizionato cercherà sempre la gratificazione costituita dallo stimolo visivo ogni qualvolta percepirà lo stimolo sonoro.

Audiometria a riflesso condizionato strumentale o Conditioned play audiometry

L’esame è ben eseguibile dopo i tre anni. il bambino è condizionato a premere un grosso pulsante colorato ogni qual volta ascolta un suono sempre più debole; se la risposta è coerente, il bambino riceve un premio costituito da un giocattolo che si mette in movimento o si illumina. Il pulsante è collegato all’audiometro e permette l’attivazione del giocattolo solo quando è presente lo stimolo sonoro, evitando l’attivazione casuale del giocattolo. Dopo alcuni tentativi si ottiene un buon condizionamento, facilitato dalla situazione giocosa.

Lo stimolo acustico solitamente è presentato tramite altoparlanti (campo libero); talora, nei bambini meno timorosi è possibile l’uso della cuffia che consente di esaminare separatamente la soglia di entrambi gli orecchi. È possibile rilevare anche la soglia per via ossea che fornisce indicazione sulla riserva cocleare.

Impedenzometria

Lo studio impedenzometrico permette la valutazione obiettiva della funzionalità dell’orecchio medio (sistema timpano-ossiculare), mediante la timpanometria, e dell’orecchio interno (recettore periferico), mediante l’evocazione del riflesso stapediale.

Purtroppo, nel soggetto Down il timpanogramma è spesso piatto (tipo B) per la presenza cronica di otite media secretiva: questa condizione impedisce l’evocazione del riflesso stapediale, la cui soglia ha un importante valore diagnostico.

Potenziali evocati uditivi

Nella diagnostica della sordità infantile vengono utilizzati prevalentemente i potenziali evocati uditivi del tronco encefalico (ABR) in quanto sono risposte elettriche precise, ripetibili e non influenzate da farmaci che spesso occorre utilizzare per indurre il sonno nel bambino. I potenziali ABR forniscono informazioni sull’avvenuta attivazione del sistema uditivo dalla coclea fino al settore più alto del lemnisco laterale ed identificano il deficit uditivo con una correttezza superiore al 90 % nel periodo neonatale e del 100 % dei casi entro il settimo mese di vita.

Il tracciato ABR è caratterizzato da un insieme di onde costituite da cinque picchi principali: l’onda V è la più stabile e facilmente individuabile anche a valori di soglia; per questo motivo, essa costituisce l’elemento principale considerato.

L’acquisizione dei segnali biologici avviene mediante l’applicazione di tre elettrodi cutanei tramite interposizione di pasta elettroconduttrice (il positivo al vertice, il negativo alla mastoide e quello di terra alla fronte).

Lo stimolo acustico utilizzato è il click (onda quadra della durata di 100-200 msec.) caratterizzato da un’aspecificità frequenziale; le informazioni di soglia si riferiscono alla banda frequenziale degli acuti compresa tra 2000-4000 Hz.

Mediante un idoneo sistema di filtraggio, “finestra di Blackman” (rise e fall time di 2 ms e durata di 4 ms) ed utilizzando come stimolo sonoro un tone burst a 250 Hz (il cui spettro è ampio e presenta una costante di energia intorno ai 600 Hz) è possibile ottenere risposte ABR nell’ambito delle frequenze gravi. Tale metodica, validata da Gorga (55) e da noi stessi verificata nella pratica clinica, ci permette di migliorare l’accuratezza della soglia uditiva obiettiva, studiando anche l’ambito delle frequenze gravi.

La registrazione dei potenziali evocati deve essere eseguita in ambiente silente, poco illuminato e di norma schermato elettricamente; tuttavia, le più recenti attrezzature consentono l’acquisizione di segnali anche in ambiente non schermato.

Nella nostra esperienza, nella quasi totalità dei casi, è possibile ottenere delle buone registrazioni in bambini anche molto piccoli durante il sonno spontaneo.

Le apparecchiature in uso erogano un’intensità massima di 90 dB HL; l’assenza dei potenziali ABR non è indice di una sordità totale, ma di una soglia audiometrica inferiore ai 90 dB HL.

I potenziali ABR possono essere evocati anche mediante click inviati per via ossea (con vibratore posto al centro della fronte) consentendo la stimolazione d’entrambi gli orecchi interni (56).

È possibile, comunque, studiare la funzione di un singolo orecchio realizzando un mascheramento controlaterale con un rumore bianco di almeno 80 dB HL.

La latenza dell’onda V nella registrazione in via ossea è maggiore di quella ottenuta per via aerea. La massima intensità di stimolazione effettuabile con click per via ossea è di 40 dB HL; intensità maggiori provocano artefatti elettromagnetici che oscurano i potenziali.

La ricerca della soglia per via ossea è indispensabile quando bisogna valutare la funzionalità dell’orecchio interno in presenza di un deficit trasmissivo caratterizzato da un timpanogramma di tipo B e da un esame audiometrico di tipo comportamentale che dimostra un deficit medio o medio-grave, come spesso si verifica nella SD.

Nei neonati prematuri, con meno di 28 settimane gestazionali, la risposta ABR fisiologica per via aerea appare oltre i 70 dB HL. Nei neonati a termine le onde I e V sono più evidenti, mentre la III è più sfumata; la soglia audiometrica si colloca tra i 20 e i 30 dB HL.

Nei primi tre mesi di vita la morfologia dei potenziali ABR è molto simile a quella dell’adulto; dopo i dodici mesi risulta assolutamente sovrapponibile a quella dell’adulto, anche per i parametri di latenza.

Negli studi effettuati sui potenziali ABR in soggetti pediatrici, affetti da sindrome di Down, sono riportati in letteratura tempi di conduzione dello stimolo nervoso significativamente più brevi rispetto alla popolazione normale (57-60).

È segnalato anche che i soggetti Down sani di sesso femminile presentano tempi di conduzione più brevi rispetto ai soggetti maschi di pari età (61-63).

in conseguenza del noto fenomeno dell’invecchiamento precoce nel soggetto affetto da SD (64), ci si potrebbe aspettare che questo fatto interferisca negativamente sui tempi di conduzione del segnale nervoso a livello delle vie uditive centrali, come, in effetti, avviene nei soggetti normali.

In un nostro studio, condotto su 25 SD normoudenti (11 maschi e 14 femmine) di età compresa tra i 18 e i 50 anni, i risultati ottenuti dimostrano e confermano come le latenze dei complessi ABR dall’onda I all’onda V ed anche i relativi valori d’interpicco I-III e I-V siano costantemente e significativamente ridotti rispetto ai valori di un analogo campione di soggetti normali, in particolare nel sesso femminile. Al contrario, non abbiamo mai riscontrato un aumento dei tempi di latenza dei complessi ABR all’aumentare dell’età e ciò può essere messo in relazione al precoce invecchiamento di questa peculiare popolazione (65).

Il riscontro di tempi di conduzione ABR ridotti potrebbe essere interpretato come una mancanza di controllo del flusso dati efferente da parte dei centri superiori; in altre parole, il sistema si comporterebbe come un semplice amplificatore piuttosto che come un elaboratore di dati. Ciò spiegherebbe perché si rilevano onde mediamente più ampie, con accorciamento dei tempi di latenza più evidente a carico del tratto III-V.

La carenza di modulazione del segnale cortico-sottorticale sull’attività della via uditiva può tradursi in una difficoltà d’elaborazione degli stimoli significativi rispetto a quelli più generici con una risultante incapacità di seguire correttamente i complessi e rapidi cambiamenti spettrali della voce e conseguente ritardo nello sviluppo del linguaggio (66).

La protesizzazione acustica

La protesi acustica odierna non è più da considerarsi come un semplice amplificatore di suoni ma, grazie alla tecnologia digitale, si è notevolmente perfezionata diventando un elaboratore di segnali, in grado di adattarsi alla maggior parte dei deficit uditivi, offrendo al paziente ipoacusico un’amplificazione controllata, confortevole e fisiologica.

L’applicazione della protesi acustica nel bambino deve essere la più precoce possibile, in quanto la mancanza d’input sensoriale uditivo provoca delle ripercussioni molto gravi, sia sull’acquisizione del linguaggio sia sullo sviluppo intellettivo.

Inizialmente nel piccolo paziente sordo occorre fornire la più ampia informazione sonora possibile; pertanto, si cercherà di applicare una protesi dotata d’amplificazione adeguata e con la più vasta gamma di risposta frequenziale. In seguito, nel proseguimento della terapia, sulla base dei controlli di resa protesica e delle osservazioni del logopedista, si potrà adattarla perfettamente al tipo di deficit.

L’amplificazione erogata dovrà essere adeguata alla correzione del deficit, ma non eccessiva, tale da provocare nuove lesioni all’orecchio interno.

La principale difficoltà nella protesizzazione del bambino risiede proprio nella determinazione della soglia di disturbo; è, quindi, opportuno, nella fase di applicazione e nei primi periodi d’uso della protesi, mantenere livelli d’uscita massima sonora inferiori rispetti a quelli teoricamente necessari, far utilizzare la protesi al bambino in modo graduale in ambiente chiuso, guidandolo alla scoperta del mondo sonoro e coinvolgendo il più possibile i genitori nell’osservazione del suo comportamento. Solo dopo qualche settimana, quando il piccolo avrà integrato la protesi nel proprio schema corporeo e sarà lui stesso a ricercarla, si potrà passare ad un uso più completo e prolungato durante la giornata.

La regolazione della protesi acustica, effettuata dall’audioprotesista, inizialmente si basa sui dati audiometrici soggettivi ed obbiettivi. Nel bambino piccolo e nei soggetti non collaboranti, d’altra parte, è utile la verifica dei parametri di amplificazione mediante la metodica del guadagno in situ che si basa sulla registrazione, attraverso una piccola sonda posta in prossimità della membrana timpanica, del guadagno acustico fornito dalla protesi, tenendo in considerazione lo spazio residuo tra membrana timpanica e peduncolo della chiocciola.

Rilevato il calco dell’orecchio e realizzata la chiocciola su misura, possiamo effettuare direttamente le misurazioni (real ear coupler difference) oppure, con metodica più lunga ed indaginosa, determinare le caratteristiche di risonanza del condotto uditivo esterno con e senza chiocciola, tali parametri sono necessari per regolare le caratteristiche di amplificazione della protesi acustica senza la presenza del paziente (67).

Nel piccolo paziente con deficit ad entrambi gli orecchi la protesizzazione dovrà essere binaurale e ciò per consentire la spazialità dei suoni, l’eliminazione dell’effetto ombra del cranio e la migliore discriminazione della voce nel rumore. Questi principi generali valgono ancor più nel soggetto Down che costituzionalmente presenta un deficit intellettivo ed un ritardo maturativo, di cui l’audiologo, il logopedista e la famiglia dovranno tenere conto nel valutare le risposte alla stimolazione uditiva. Attualmente le industrie produttrici di protesi acustiche producono quasi totalmente modelli digitali.

La protesi acustica digitale è assimilabile ad un computer applicabile all’orecchio, che usa un processare di segnale digitale (DSP) con una tecnica di campionatura e conversione analogico-digitale del segnale in ingresso.

Il procedimento usato si può così riassumere:

- le onde sonore sono trasformate dal microfono in segnale elettrico analogico;

- il segnale analogico è filtrato da un filtro passa-basso per evitare distorsioni;

- le ampiezze analogiche elettriche sono campionate e trasformate in codice binario usando un convertitore analogico/digitale;

- l’unità centrale di processazione (CPU) fa in modo che il computer elabori matematicamente i dati in modo predeterminato dal software;

- una memoria conserva il programma che tratta le sequenze d’operazioni di calcolo e conserva anche i risultati intermedi;

- l’uscita digitale computerizzata, formata da segnali binari, è trasformata in un segnale analogico per mezzo di un convertitore digitale/analogico;

- un filtro passa-basso elimina le componenti spurie delle frequenze;

- gli impulsi analogici elettrici vengono convertiti in onde sonore dal ricevitore della protesi acustica.

I vantaggi forniti dalle protesi digitali sono quelli di poter amplificare solo certe bande di frequenza rispetto ad altre anche adiacenti, di controllare l’uscita in base al segnale d’ingresso, agendo direttamente sull’amplificazione senza introdurre distorsioni (sistema d’amplificazione non lineare), di variare il livello d’amplificazione di certe frequenze in base allo spettro energetico d’ingresso.

Queste protesi presentano una maggiore adattabilità alle perdite neurosensoriali con ridotto campo dinamico.

Un’importante e rivoluzionaria novità correlata alla tecnologia digitale è quella di poter disporre di sistemi automatici di soppressione dell’effetto Larsen (fischio), che associati ad algoritmi specifici, ha permesso la costruzione di modelli denominati “open ear”.

La protesi “open ear” consente il passaggio del messaggio sonoro amplificato all’interno del condotto uditivo esterno attraverso un tubicino (dome) evitando fastidi da occlusione, amplificazione dei toni gravi e sensazione di suono rimbombante (68).

Questo tipo di protesi acustica digitale ha rivoluzionato la correzione delle perdite uditive, in particolare quelle sui toni acuti, un tempo difficilmente emendabili. Nei soggetti Down la protesi “open ear” ha aperto nuove possibilità nel bambino e negli adulti presbiacusici, in quanto non necessitanti di un fastidioso periodo d’adattamento.

Per correggere una sordità di tipo trasmissivo, situazione frequente nel soggetto Down affetto da otite cronica, la protesi acustica retroauricolare provvista di auricolare su misura è sconsigliabile in quanto l’occlusione del condotto uditivo esterno può provocare otorrea.

in alternativa alla protesi retroauricolare è possibile utilizzarne una in grado di trasdurre il segnale amplificato in vibrazioni che stimolano direttamente l’orecchio interno ( protesi ad occhiale in via ossea).

Questo tipo di protesi risulta però piuttosto scomoda e fastidiosa in quanto il vibratore per essere efficace deve aderire molto bene alla mastoide.

Per sfruttare efficacemente e continuativamente la stimolazione vibratoria è stata realizzata la protesi BAHA che non è altro che un vibratore fissato in modo solidale, tramite un pilastro di titanio avvitato, del tipo di quelli impiegati per gli impianti endoorali, alla squama dell’osso temporale.

Chirurgicamente l’applicazione del pilastro in titanio è una procedura non complessa e poco traumatizzante; l’osteointegrazione necessita di 3-6 mesi, trascorso questo tempo si può applicare il device che genera la stimolazione vibratoria (69).

Poiché l’utilizzatore del BAHA deve prestare un minimo di attenzione nella detersione della zona ove è applicato il pilastro di titanio e nell’inserzione e distacco della protesi, questa soluzione può essere proposta solo a soggetti collaboranti e con lieve insufficienza mentale.

L’impianto cocleare1, moderno approccio alla sordità infantile grave e profonda, è un presidio che può essere utilizzato anche nella SD, dopo un periodo iniziale d’applicazione della protesi acustica con associata terapia riabilitativa logopedica oppure quando si evidenzi un peggioramento della soglia uditiva (70).

Un elemento importante che potrebbe limitare i risultati attesi dall’impianto cocleare nel soggetto Down è stata la rilevazione di una ridotta lunghezza delle spire cocleari in uno studio istologico comparativo condotto da Igarashi et al. su 8 rocche temporali di pazienti Down e 30 di soggetti normoudenti di pari età (20).

Schmidt et al. hanno confermato questa osservazione in una donna Down di 22 anni affetta da sordità neurosensoriale profonda, che presentava una riduzione della popolazione cellulare del ganglio di Corti (9612 cellule gangliari rispetto alle 36000 del soggetto normale). Tale condizione è comune ad altre patologie quali la malformazione di Mondini, la sindrome di Di George e la sindrome di Usher (22).

Allo stato attuale, in letteratura non vengono segnalati casi di soggetti Down con sordità profonda sottoposti ad impianto cocleare; tuttavia vengono riportati risultati soddisfacenti di impianto cocleare in soggetti affetti da insufficienza mentale per altre cause. Gli Autori sconsigliano l’applicazione dell’impianto cocleare (71-75) solo nei casi gravissimi di insufficienza mentale (76).

In conclusione, a nostro parere non esistono controindicazioni assolute all’applicazione di impianto cocleare in un soggetto Down sordo profondo. È da tenere presente che in questo caso, i tempi riabilitativi saranno più lunghi, le metodiche logopediche dovranno essere personalizzate e i risultati attesi, certamente inferiori ai “gold patients”, dovranno essere confrontati con quelli di un soggetto Down normoudente di pari età. 

1 L’impianto cocleare, altrimenti definito “protesi cocleare”, si basa sulla stimolazione elettrica diretta delle fibre del nervo acustico per generare sensazioni uditive a livello delle aree corticali del cervello in soggetti con sordità totale o profonda. La sua applicazione prevede un atto chirurgico per l’inserzione degli elettrodi stimolanti le residue fibre del nervo acustico nell’orecchio interno.
Tecnicamente, l’impianto cocleare è costituito da una parte esterna (esoprotesi) ed una interna (endoprotesi) tra loro collegate indirettamente mediante un sistema ad induzione elettromagnetica (transcutaneo).
La parte esterna schematicamente è costituita da:
• microfono, che trasduce le onde di pressione sonora in energia elettrica che verrà inviata al processore;
• processore (speech processor) che dopo aver amplificato l’energia elettrica la trasforma da segnale analogico in digitale più adatto alla stimolazione diretta del tessuto nervoso;
• sistema di collegamento con la porzione impiantata nell’orecchio interno realizzata tramite un’antenna che emette onde elettromagnetiche che permettono il trasferimento di informazioni molto complesse.
Il sistema di ricezione, impiantato sotto la cute, è costituito da:
• antenna recettrice,
• circuiti elettronici di demodulazione,
• porta-elettrodo (electrode array).
Il sistema impiantato non è alimentato direttamente da una sorgente di energia elettrica, in quanto è lo stesso segnale modulato (onda elettromagnetica) a fornire l’energia per il funzionamento dei circuiti. Gli elettrodi sono impiantati nella rampa timpanica attraverso la finestra rotonda o effettuando una stomia del giro basale della coclea.
Gli impianti multielettrodo forniscono informazioni di una certa complessità dal momento che si riproduce un sistema di stimolazione compatibile con le modalità con le quali la coclea analizza i suoni in condizioni di normalità. La totalità dell’informazione contenuta nel messaggio sonoro viene utilizzata per trasmettere simultaneamente diverse informazioni a specifiche zone della coclea. Lo stimolo elettrico erogato dagli elettrodi è rappresentato da un’onda quadra bifasica di ampiezza e durata variabile in quanto si è rivelata la più idonea a depolarizzare le fibre nervose del nervo VIII, generando sensazioni acustiche diverse a seconda della posizione endococleare che ciascun elettrodo occupa.

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Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Umberto Ambrosetti - Valter Gualandri
VERSIONE EBOOKLa sindrome di Down è una patologia nota da tempo nei suoi aspetti morfologici, neuropsichiatrici ed organici. La presente raccolta di saggi, basati sull’attenta analisi della letteratura specialistica filtrata dall’esperienza diretta di ogni Autore, vuole essere una puntualizzazione per il Medico di base e per lo Specialista. Si è cercato di fornire uno strumento agile, ma completo e scientificamente aggiornato, per potere affrontare le varie patologie che non sono “speciali” perché colpiscono una persona Down, ma vanno inquadrate in una cornice particolare in quanto presenti in un soggetto con caratteristiche organiche e cliniche “particolari”. Questo testo non vuole essere uno strumento che induca ad una eccessiva medicalizzazione delle persone Down, le quali non debbono essere considerate “pazienti” ma individui soggetti a rischi clinici polimorfi, rischi che dobbiamo individuare e controllare, esercitando una medicina preventiva a tutti i livelli. Il lavoro, che ha visto impegnati un gran numero di esperti quotidianamente coinvolti nei vari ambiti specialistici per migliorare le condizioni di vita di queste donne e uomini vuole essere di aiuto nella comprensione e gestione delle manifestazioni di questo complesso quadro clinico provocato da una piccola quantità di DNA in eccesso sul cromosoma 21.