27. ORTOPEDIA

MAURIZIO DE PELLEGRIN • DARIO FRACASSETTI

Nel 20% circa dei pazienti affetti da Sindrome di Down (SD) sono presenti patologie dell’apparato muscolo-scheletrico (1-2). Grazie soprattutto al trattamento chirurgico precoce delle patologie cardiache, spesso associate alla Sindrome, la spettanza di vita dei soggetti Down è notevolmente aumentata negli ultimi anni; essa era di 25 anni nel 1983, di 49 anni nel 1997 (3) e di 55 anni nel 2000 (4). Parallelamente a questo dato sono ulteriormente aumentate le patologie ortopediche in età adulta (1, 4). Le problematiche ortopediche nella SD sono perlopiù correlate alla iperlassità legamentosa e all’ipotonia (1, 5), cause, quest’ultime, di ipermobilità e instabilità articolari in vari distretti dell’apparato muscolo-scheletrico (rachide cervicale, anca, ginocchio, piede). L’instabilità del rachide cervicale è la patologia più grave e potenzialmente più invalidante tra le affezioni ortopediche nella SD; molti sono i dati riportati su questo argomento in letteratura (6-13). Il paziente Down non è affetto esclusivamente da patologie articolari; è nota infatti la presenza di scoliosi, ginocchio valgo, piede torto e astragalo verticale. Non sono invece riportate in letteratura affezioni degli arti superiori correlate con la Sindrome. Riferiamo, suddivisi per distretti anatomici, i dati della letteratura e l’esperienza personale nella diagnosi e nel trattamento di queste patologie. 

Rachide

Rachide cervicale e instabilità

L’instabilità del rachide cervicale, che comprende sia l’instabilità tra occipite e atlante (O-C1), o instabilità atlo-occipitale, sia l’instabilità tra atlante e epistrofeo (C1-C2), o instabilità atlo-assiale, è presente, nei soggetti affetti da SD, nel 10-20% dei casi; solo nel 1-2% dei casi essa è sintomatica (6, 8, 9, 14).

La causa dell’instabilità cervicale è da ricondurre probabilmente alla lassità legamentosa generalizzata presente nei soggetti Down; in particolare, nel rachide cervicale, è il legamento trasverso dell’atlante, deputato a tenere il dente dell’epistrofeo in stretta connessione con l’arco anteriore dell’atlante, ad essere lasso.

Nell’instabilità atlo-occipitale sono le connessioni tra occipite ed atlante ad essere coinvolte ed a perdere la loro funzione limitante dell’ipermobilità in questo segmento (8, 15).

L’ipotesi più accreditata è che nei soggetti Down vi sia un difetto intrinseco nelle fibre di collagene che costituiscono questi legamenti.

Mentre più rara è riferita in letteratura l’ipermobilità posteriore O-C1 (8.5%) (15), molto più elevata è la percentuale della instabilità C1-C2 che varia dal 13% secondo l’American Academy of Pediatrics al 14.6% secondo Pueschel (9, 16), al 17% secondo Parfenchuck (15) e al 20% secondo la Pediatric Orthopedic Society of North America (17).

Sebbene siano oggi disponibili indagini strumentali più sofisticate (TAC, RM) (18, 19),

la radiografia convenzionale rimane, per semplicità di esecuzione l’indagine strumentale di prima scelta per la valutazione dell’instabilità cervicale (9, 20-21).

Per la valutazione dell’instabilità C1-C2 è indispensabile la misurazione della distanza tra parete posteriore dell’arco anteriore dell’atlante e parete anteriore del dente dell’epistrofeo, e tra parete posteriore del dente del-l’epistrofeo e parete anteriore dell’arco posteriore dell’atlante (Figg. 1-3)

Fig. 4ab Immagine radiografiche dinamiche del rachide cervicale in proiezione laterale. A) in massima flessione B) in massima estensione Si noti l’instabilità C1-C2 con aumento della DAA e diminuizione della DAP in massima flessione.


In uno studio da noi condotto abbiamo valutato le immagini radiografiche del rachide cervicale, eseguite in diverse proiezioni, in 66 pazienti affetti da SD. Di questi 66 casi, 31 erano maschi e 35 femmine, di età compresa tra i 18 mesi e i 45 anni (media 15.7±10.29 anni, mediana 13.67 anni). In totale erano disponibili 188 esami radiografici, di cui 186 sono risultati valutabili ai fini della presente indagine e 2 non valutabili. Delle 186 immagini 61 erano immagini in proiezione antero-posteriore, 62 in proiezione laterale, 5 in proiezione transorale, 6 in proiezione obliqua. Erano inoltre presenti, in 26 casi, le immagini di esami cosiddetti “dinamici”, eseguiti cioè in massima flessione e massima estensione del rachide cervicale (Fig. 4).

Nella proiezione antero-posteriore è stata valutata la presenza o meno di malformazioni associate. Nelle proiezioni laterali neutre, in massima flessione e massima estensione è stata valutata la distanza tra dente dell’epistrofeo e arco anteriore dell’atlante (DAA) e la distanza fra dente dell’epistrofeo e arco posteriore dell’atlante (DAP). In letteratura è considerato normale un valore della DAA inferiore a 5 mm e indice di instabilità atlo-assiale un valore superiore a 5 mm; per la DAP è considerato patologico un valore inferiore a 10 mm (9).

Dei soggetti risultati patologici erano inoltre disponibili le immagini TAC e RM (Figg. 5-6) oltre alla cartella clinica che riportava l’anamnesi, l’esame clinico ed il decorso.

La valutazione delle immagini in proiezione antero-posteriore ha evidenziato la presenza di una scoliosi in due casi. La valutazione delle proiezioni transorali e oblique non ha evidenziato nulla di significativo. La presenza o meno di una instabilità atlo-assiale è stata valutata sulle immagini in proiezione laterale sia in posizione neutra sia in massima flessione e in massima estensione. Dei 66 casi raccolti 2 non erano valutabili; dei restanti 64, 55 (85.9%) sono risultati normali (DAA<5mm), 7 (10.9%) ai limiti della norma (DAA=5mm) e 2 (3.1%) patologici (DAA>5mm).

Nei casi risultati normali o ai limiti della norma la DAA nella proiezione laterale in posizione neutra misurava: 2,67 ± 1,82 (Media ± Deviazione Standard), (Minima 0, Massima 5), Mediana: 2 e la DAP: 21,53 ± 3,39, (Minima 16, Massima 30), Mediana: 22.

La DAA nella proiezione laterale in massima flessione misurava: 2,73 ± 1,21, (Minima 0, Massima 6), Mediana: 2,5, e la DAP: 20,65 ± 2,66, (Minima 16, Massima 26), Mediana: 21.

La DAA nella proiezione laterale in massima estensione misurava: 2,12 ± 1,07, (Minima 0, Massima 5), Mediana: 2 e la DAP: 21,16 ± 2,44, (Minima 16, Massima 26), Mediana: 21,5. I valori sopra indicati sono espressi in millimetri. Nelle proiezioni in massima flessione e estensione, disponibili in due dei sei pazienti, clinicamente asintomatici, in cui il valore della DAA in posizione neutra era uguale a 5 mm, detto valore non variava. In un paziente, anch’esso asintomatico, la DAA in posizione neutra era di 3 mm e di 6 mm in massima flessione.

Le correlazioni tra età dei pazienti, DAA e DAP non sono risultate statisticamente significative. Non è risultato statisticamente significativo (p>0.05) il confronto, eseguito con il test t di Student tra i valori della DAA e della DAP in posizione neutra e massima flessione e posizione neutra e massima estensione, mentre è risultato significativo il confronto tra i valori della DAA in massima flessione e massima estensione (p<0,05).

Nei due casi risultati patologici la DAA misurava rispettivamente 14 e 8 mm mentre la DAP 9 e 8 mm.

Le immagini TAC con le ricostruzioni bidimensionali del tratto cervicale O-C2 hanno evidenziato la dislocazione posteriore del dente dell’epistrofeo in entrambi i casi, con la presenza di un ossiculum terminale e una schisi dell’arco posteriore dell’atlante in un caso. Negli stessi due casi le immagini RM del rachide cervicale hanno evidenziato al passaggio C1-C2 un importante restringimento del diametro sagittale osseo del canale spinale con conseguente compressione del midollo spinale e sofferenza tissutale dello stesso (mielopatia) (Fig. 6). Entrambi i soggetti risultavano sintomatici: il primo presentava ipereflessia, clono, ipostenia ai 4 arti e difficoltà alla deambulazione; il secondo: torcicollo, ipostenia agli arti, riferita progressiva, difficoltà alla deambulazione, a salire e scendere le scale e frequenti episodi di caduta a terra nell’anamnesi.

Dai risultati di questo studio non sono emerse differenze tra i due sessi nei valori delle distanze sopra indicate, sia nei soggetti risultati nella norma (DAA<5mm) sia nei soggetti risultati ai limiti della norma (DAA=5mm) sia nei 2 pazienti risultati patologici (DAA>5mm).
Non vi erano inoltre sostanziali differenze tra i risultati degli esami eseguiti in posizione neutra e gli esami dinamici (massima flessione/massima estensione) nei soggetti normali, mentre è risultata significativa la correlazione tra quelli eseguiti in massima flessione e massima estensione. In letteratura viene riportato un aumento della DAA in flessione rispetto alle proiezioni neutre e in massima estensione; questo, a causa del movimento in avanti della I vertebra cervicale (atlante), movimento consentito dall’alterata elasticità del legamento trasverso dell’atlante. Alcuni autori (9, 14, 19, 20, 22, 23) suggeriscono, proprio per individuare quei casi in cui la posizione neutra non sia in grado di documentare l’instabilità C1-C2, l’esame in massima flessione.

Si potrebbe quindi individuare nella proiezione in massima flessione l’esame standard da eseguirsi di routine quale unico esame per l’individuazione dell’instabilità cervicale nel soggetto Down.

Avendo, tuttavia, riferito alcuni autori un aumento della DAA in posizione neutra e in estensione rispetto alla posizione in massima flessione, non si ritiene giustificata la limitazione dell’esame alla sola proiezione in massima flessione.

In un paziente Down giunto alla nostra osservazione, che esula dalla casistica riferita in questo lavoro, abbiamo assistito all’insorgenza di sintomatologia neurologica in seguito ad esame oculistico eseguito in massima estensione (24). Anche questa esperienza induce a ritenere che l’esecuzione dell’esame in tutte e tre le proiezioni è la più indicata a tutt’oggi.

Nella nostra casistica non è risultata statisticamente significativa la correlazione tra l’età dei pazienti al momento dell’esame e i valori della DAA e DAP ottenuti. Questo dato può indurre a pensare che con l’avanzamento dell’età non vi sia un peggioramento della instabilità del rachide cervicale e che vi sia, al contrario, una stabilizzazione delle strutture legamentose coinvolte nella lassità legamentosa generalizzata dei soggetti Down.

La proiezione antero-posteriore del rachide consente di individuare anomalie dei corpi vertebrali e malformazioni congenite spesso associate all’instabilità cervicale nei soggetti Down. Viene riferita la presenza di malformazioni in circa il 5 % dei casi, malformazioni che comprendono l’ipoplasia dell’atlante, la presenza di un ossiculum terminale all’apice del processo odontoideo, la fusione di C1 con C2 o la fusione di C1 con l’occipite, e la spondiloschisi di C1 e/o C2. (14, 25, 26, 27, 28).

Nella nostra casistica abbiamo evidenziato 2 scoliosi del rachide cervicale, una fusione di C1 con C2, un ossiculum terminale e una schisi dell’arco posteriore di C1. Nel sospetto di una malformazione del rachide cervicale riteniamo indicato, come altri autori ( 25, 26, 27, 28), un approfondimento diagnostico attraverso TAC o RM, ciò al fine di riconoscere precocemente e correttamente situazioni anatomo-patologiche che possano contribuire al peggioramento di un quadro di instabilità già presente per la patologia di base (un caso nella nostra casistica).

In 2 casi (3.1%) della nostra casistica era presente una grave instabilità atlo-assiale. Nel primo caso l’instabilità era stata diagnosticata precocemente in presenza di un quadro di completa asintomatologia, situazione che ha spinto a rinviare la stabilizzazione chirurgica. Dopo alcuni anni si è tuttavia instaurato un progressivo ingravescente quadro di mielopatia con sintomatologia clinica così riassumibile: difficoltà alla deambulazione, diminuzione della forza muscolare agli arti inferiori e superiori, iperreflessia, cloni, fino alla completa incapacità alla deambulazione. La TAC e la RM eseguite hanno evidenziato una grave mielopatia del midollo cervicale. Nonostante l’intervento chirurgico e la stabilizzazione O-C2, il ripristino dei deficit neurologici è stato solo parziale. Nel secondo caso il quadro neurologico si è presentato improvvisamente con un quadro di torcicollo sinistro, ipostenia agli arti, difficoltà alla deambulazione con frequenti episodi di caduta. L’intervento chirurgico eseguito ha avuto come complicanza acuta una probabile sofferenza bulbare acuta, nell’immediato postoperatorio (23).

Per quanto riguarda i pazienti asintomatici con valori della DAA ai limiti della norma (= 5-6 mm), 7 nella nostra casistica, riteniamo indicata la proibizione di attività sportive che comportino la flessione massima e forzata del rachide cervicale. sono potenzialmente pericolosi tutti gli sport di contatto, i salti mortali, le capriole, gli esercizi al tappeto elastico, la ginnastica artistica, il nuoto a delfino, il tuffo (compresi i tuffi per la partenza nelle gare di nuoto) ed il calcio. in questi soggetti è indicato un controllo clinico e radiografico annuale.

Per quanto riguarda i soggetti in cui un primo esame radiografico ha escluso la presenza di instabilità cervicale, si potrebbe concludere che non sono necessari altri esami. Tuttavia, in accordo con alcuni autori in letteratura, riteniamo che, essendo ancora poco nota la storia naturale dell’instabilità atlo-assiale nei soggetti Down, sia necessario un controllo periodico clinico (ogni anno), e radiografico nella proiezione neutra e in massima flessione (a 8 e a 15 anni).

Per quanto riguarda i soggetti sintomatici riteniamo che non ci siano alternative all’intervento chirurgico di riduzione e stabilizzazione, nonostante l’alta percentuale di complicazioni riportate in letteratura (22-23).

Nei casi in cui vi siano valori patologici della DAA e della DAP in un paziente asintomatico, riteniamo che, dopo una accurata informazione del paziente e dei familiari riguardo alle possibili complicazioni di un intervento chirurgico, questo intervento possa trovare indicazione.

Nei pazienti in cui la radiografia convenzionale indichi il sospetto di una malformazione congenita, riteniamo indicato ricorrere a indagini strumentali più sofisticate (TAC, RM), anche se a volte eseguibili solo in anestesia generale; ciò, sia per una più precisa valutazione della prognosi e dell’evoluzione di una eventuale instabilità, sia per una corretta informazione della famiglia.

Riteniamo indicata, in considerazione dell’alta incidenza dell’instabilità cervicale nei soggetti Down, l’attuazione di uno screening a tutta la popolazione colpita da trisomia 21. Uno screening radiografico è di facile esecuzione (Rx convenzionali), e, stanti le possibili conseguenze di una mielopatia secondaria ad una instabilità cervicale, di notevole importanza.

Il protocollo consigliato per l’individuazione dell’instabilità cervicale nel soggetto Down si articola:

• A 3 anni: primo controllo Rx in proiezione antero-posteriore e laterale neutra,

• se non risulta instabilità, ultimo controllo a 15 anni con Rx nella sola proiezione laterale in massima flessione.

• Se il controllo Rx a 3 anni da un valore della DAA > 5mm e il paziente è asintomatico, vengono sconsigliate le attività fisiche potenzialmente pericolose e eseguito un controllo Rx in proiezione laterale neutra, in massima flessione e estensione dopo un anno.

• Se al controllo il valore della DAA risulta invariato si esegue un ulteriore controllo dopo un anno, poi a 8 anni e a 15 anni.

• Se al controllo il valore della DAA risulta aumentato si esegue una RM midollare in massima flessione.

• Se il controllo Rx a 3 anni da un valore della DAA > 5mm e il paziente è sintomatico, viene eseguita una RM.

• Se la RM evidenzia una mielopatia viene consigliata una stabilizzazione chirurgica.

• Se il primo controllo Rx a 3 anni evidenzia una malformazione vertebrale o un sospetto di malformazione viene eseguita una RM.

• Controllo clinico periodico (una volta all’anno) mirato a partire dai 3 anni.


Secondo Winnel (29), se è presente una instabilità atlo-assiale, sono da evitarsi sport da contatto e sport da impatto. Riaz et al. (30) hanno proposto, per le decisioni terapeutiche e le norme comportamentali da tenere nella pratica sportiva, un algoritmo basato sul quadro neurologico presente o meno, sulla misurazione della DAA e sul quadro RM. Cohen (31) raccomanda precauzione indistintamente in tutti i soggetti Down durante qualsiasi manovra medica come per esempio durante l’intubazione o durante le visite oculistiche e otorinolaringoiatriche.

SCOLIOSI

Circa il 9% dei pazienti affetti da SD presentano una scoliosi (1, 4, 32) mentre solo il 2-4% della popolazione normale ne è affetto. Il rapporto tra maschi e femmine è di circa 1:2; nella popolazione normale esso è 1:5. Per quanto riguarda la tipologia della scoliosi, la più frequente è la scoliosi a doppia curva; la curva toracica ad ampio raggio è il secondo tipo di scoliosi per frequenza, dove quella destro-convessa è più frequente di quella sinistro-convessa.

Circa il 50 % dei pazienti affetti da scoliosi sono stati sottoposti ad interventi cardiochiru-gici che prevedono una toracotomia e/o una sternotomia; in letteratura è messo in evidenza questo dato e avanzata l’ipotesi di un possibile ruolo causale nella sua insorgenza (32). Nella maggior parte dei pazienti il trattamento conservativo con corsetto è inefficace (32).

Il trattamento chirurgico è gravato da una alta percentuale di complicazioni (circa il 50 %): pseudoartrosi, mobilizzazione dell’impianto e insorgenza di problematiche vertebrali prossimalmente (cifosi) e distalmente alla strumentazione. È più alta la percentuale di infezioni quale complicanza della chirurgia vertebrale (1, 32).

Anca

Le comuni malattie dell’anca infantile e cioè la displasia e la lussazione congenita, il M.di Perthes e l’epifisiolisi dell’anca non sembrano avere nel soggetto Down un incidenza maggiore. Esse sono presenti, secondo i dati riportati in letteratura (1, 2, 4), nel 1-6 % dei pazienti. La displasia e la lussazione congenita sembrano, al contrario, essere presenti in percentuale inferiore rispetto alla popolazione normale (4). È noto, infatti, che l’acetabolo, nel soggetto Down, è più profondo e che il tetto acetabolare è più orizzontale e più coprente; come unico dato biomeccanicamente sfavorevole sono presenti una aumentata anteversione acetabolare e una modesta anteversione femorale (33).

Quando, tuttavia, si presentano malattie quali l’epifisiolisi e il M. di Perthes esse hanno

una prognosi più sfavorevole. L’epifisiolisi è associata spesso ad una necrosi della testa del femore; il M. di Perthes esita in epifisi incongruenti con segni di preartrosi (Fig. 7). Rimane tuttavia buona, grazie alla ipermobilità articolare congenita caratteristica della sindrome, anche in questi casi, l’articolarità dell’anca.

Un capitolo a se spetta alla instabilità dell’anca, che insorge dopo l’inizio della deambulazione, tra i 2 e i 10 anni, e che è anch’essa correlata alla gravita della iperlassità e dell’ipotonia. si tratta di una lussazione spontanea e di solito indolore e spontaneamente riducibile della testa femorale dall’acetabolo; quest’ultimo non presenta solitamente note displasiche, che possono però insorgere secondariamente, se persiste per lungo tempo la lussazione spontanea della testa femorale. Il trattamento chirurgico è caratterizzato da una alta percentuale di insuccessi, dovuti alla lassità legamentosa che non consente di stabilizzare sufficientemente l’anca, e da una alta percentuale di infezioni (34).

Ginocchio

In associazione con l’ipotonia e la grave iperlassità legamentosa presenti nei soggetti Down, può essere presente un’instabilità femoro-rotulea che si manifesta con una instabilità della rotula, una sublussazione o una lussazione spontanea laterale della stessa. L’instabilità femoro-rotulea è presente nel 10-20% dei casi, ma solo nel 2-8 % si ha una lussazione franca (1, 2, 4).

L’instabilità non impedisce al paziente di camminare e di condurre una vita normale. Il trattamento è di solito conservativo e prevede un training muscolare mirato, tutori per ginocchio con guida rotulea. Solo raramente è necessario un trattamento chirurgico che è preferibile eseguire sui tessuti molli (release degli alari esterni, rinforzo di quelli interni e eventuale azione sull’inserzione del rotuleo). Solo in casi estremamente selezionati si agirà con la trasposizione ossea dell’inserzione del tendine rotuleo.

Nei soggetti Down è spesso presente un ginocchio valgo (4) (Fig. 8), con un aumento dell’angolo femoro-tibiale oltre i 10 gradi. È possibile correggere il ginocchio valgo in età puberale (11-13 anni) con una metodica non invasiva, nota come emiepifisiodesi mediale distale del femore, che consente di modulare la crescita di quel distretto in modo da riportare in asse il ginocchio. Questa tecnica è resa oggi ancora meno invasiva, rispetto alla tecnica con cambre (Fig. 9), dopo l’introduzione sul mercato di una placchetta a “8” da posizionare a cavallo della cartilagine di accrescimento e da fissare con una vite intrepifisaria ed una metafisaria. Questa tecnica, oltre ad essere ben tollerata dal soggetto Down si è rivelata, nella nostra esperienza, priva di complicazioni. Esse ci consente di correggere quella deformità (il valgismo del ginocchio) che potrebbe contribuire a instaurare una instabilità femoro-rotulea.

Piede

La deformità più frequente (circa il 90% dei pazienti Down ne è affetta), presente in forme più o meno gravi, è il piede metatarso varo o primo metatarso varo (2). Nelle forme lievi, non è indicato, solitamente, alcun trattamento, mentre può esserlo nelle forme gravi, seppur molto raramente (29).

Questi pazienti sono inoltre affetti, molto spesso, da forme più o meno gravi di piede piatto valgo (4) (Fig. 10). Non vi sono molti dati in letteratura riguardo al trattamento specifico di tali deformità nel soggetto Down. Alcuni autori (2) sottolineano che circa il 20 % sono di grado elevato e che il 40% circa diventa sintomatico in età adulta. Nella nostra esperienza un piede piatto di modesta entità, presente in età adulta, non reca solitamente alcun disturbo al paziente e non è fonte di dolore. Tuttavia, la deformità gravi in valgismo del piede con marcata inclinazione dell’astragalo e aumento dell’angolo astragalo-calcaneare, tipico del soggetto Down (più che la ridotta inclinazione del calcagno) con conseguente piede piatto e valgo può essere oggi corretta efficacemente con una tecnica chirurgica relativamente semplice, già adottata per la correzione chirurgica del piede piatto valgo lasso giovanile (35, 36). Nei 10 pazienti da noi trattati, di età compresa tra i 10 e i 13 anni, si è ottenuta un’ottima correzione, senza complicazioni e senza situazioni postoperatorie diverse dal soggetto non-Down (Figg. 11-12).

Non sono note correlazioni tra piede torto congenito e SD; ella nostra esperienza non possiamo segnalare una aumentata incidenza di questa patologia. Come riferito in letteratura (37), nonostante l’iperlassità legamentosa che caratterizza questi soggetti, il piede torto si presenta solitamente rigido e resistente al trattamento conservativo (manipolazioni, fisioterapia, tutori) (Fig. 13). Il trattamento chirurgico è di solito il trattamento più frequente. Non è riportato un aumento di complicazioni a breve (infezioni) e lungo termine (recidive, ipercorrezioni) del trattamento chirurgico.

Fig. 11ab A) Immagine radiografica in carico in proiezione laterale del piede dx. Si noti la marcata inclinazione dell’astragalo verso la pianta del piede. B) Immagine radiografica post-operatoria dopo intervento di artrorisi della sottoastragalica con tecnica di “Calcaneo Stop”.


Altre deformità presenti nel soggetto Down sono l’alluce valgo, di solito molto marcato, l’alluce varo e l’ipoplasia del 4° metatarsale (Fig. 14). Tutte queste deformità sono di solito asintomatiche e ben contenute nelle calzature normali o eventualmente ortopediche. In presenza di dolore e grave deformità è indicato il trattamento chirurgico.

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Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Umberto Ambrosetti - Valter Gualandri
VERSIONE EBOOKLa sindrome di Down è una patologia nota da tempo nei suoi aspetti morfologici, neuropsichiatrici ed organici. La presente raccolta di saggi, basati sull’attenta analisi della letteratura specialistica filtrata dall’esperienza diretta di ogni Autore, vuole essere una puntualizzazione per il Medico di base e per lo Specialista. Si è cercato di fornire uno strumento agile, ma completo e scientificamente aggiornato, per potere affrontare le varie patologie che non sono “speciali” perché colpiscono una persona Down, ma vanno inquadrate in una cornice particolare in quanto presenti in un soggetto con caratteristiche organiche e cliniche “particolari”. Questo testo non vuole essere uno strumento che induca ad una eccessiva medicalizzazione delle persone Down, le quali non debbono essere considerate “pazienti” ma individui soggetti a rischi clinici polimorfi, rischi che dobbiamo individuare e controllare, esercitando una medicina preventiva a tutti i livelli. Il lavoro, che ha visto impegnati un gran numero di esperti quotidianamente coinvolti nei vari ambiti specialistici per migliorare le condizioni di vita di queste donne e uomini vuole essere di aiuto nella comprensione e gestione delle manifestazioni di questo complesso quadro clinico provocato da una piccola quantità di DNA in eccesso sul cromosoma 21.