D. Trattamento farmacologico dei disturbi psichiatrici
NELLA SINDROME DI DOWN
L’utilizzo degli psicofarmaci nella SD implica un preciso ruolo dello psichiatra. Egli deve contribuire all’ottimizzazione della qualità di vita, all’identificazione e alla gestione dei disturbi mentali in questi soggetti. In tal senso, gli psichiatri devono fornire una valutazione generale, formulare diagnosi, impostare le modalità d’intervento terapeutico, sia farmacologico sia, di concerto con l’equipe multidisciplinare, non farmacologico, eseguire verifiche di sicurezza delle farmacoterapie e valutazioni d’esito degli interventi terapeutici. Parecchi studi suggeriscono, però, che i pazienti con ritardo mentale sono, ancora, eccessivamente trattati con antipsicotici, con conseguente sedazione, ritiro sociale e la perdita di più aree di autonomia.
Le indicazioni per l’uso di psicofarmaci nelle malattie mentali in persone con SD e RM sono le stesse di quelle per il loro uso nella popolazione generale, però, con alcuni accorgimenti importanti (50). La scelta dei farmaci e la loro somministrazione dipende dalla diagnosi, dalla gravità della malattia e dalla “sapienza” ed esperienza del medico circa il range di farmaci disponibili. La regola d’oro è che il beneficio deve essere di maggior peso rispetto agli effetti collaterali (51).
Oltre a quella del sistema nervoso centrale, le persone con SD e RM presentano spesso una compromissione anatomica o funzionale di altri organi, apparati o sistemi che determina una vulnerabilità somatica e una sensibilità ai farmaci psicoattivi maggiori rispetto alla popolazione generale (4). Gli psicofarmaci dovrebbero comunque essere prescritti con precauzione, partendo da basse dosi, aumentando gradualmente se necessario. È indispensabile un attento monitoraggio, dato che alcune persone con RM, in particolare con RM grave, spesso non riconoscono o non riferiscono gli effetti collaterali.
Diversi quesiti sono ancora aperti, relativi ad esempio alla sensibilità dei soggetti con RM a specifiche categorie di psicofarmaci, l’incidenza di effetti collaterali (che sembra maggiore), l’esistenza di fattori predittivi per l’efficacia clinica e gli effetti collaterali (ad esempio la presenza di lesioni cerebrali, di anomalie neurologiche, di alterazioni EEG), i tempi di risposta (probabilmente più lunghi rispetto ai soggetti normodotati), la tendenza all’assuefazione o alle reazioni da sospensione. È inoltre da ricordare come spesso vengano trascurate le implicazioni psicodinamiche della prescrizione psicofarmacologica, che influenzano direttamente la compliance del soggetto e della sua famiglia (51).
un’altra premessa generale riguarda i problemi di compliance farmacologica che rappresenta un ostacolo frequente all’attuazione e all’efficacia della terapia farmacologica. A tal proposito si consiglia di valutare attentamente il contesto biologico, psicologico e ambientale e, parallelamente, di valutare l’opportunità di utilizzare somministrazioni orodispersibili, in soluzione o parenterali. Data la sussistenza di disabilità più o meno gravi anche rispetto alla cura di se stessi, la valutazione della compliance farmacologica di una persona con SD deve essere rivolta non solo alla persona stessa ma a tutto il suo ambiente di vita e di assistenza.
L’intervento farmacologico deve avere nella SD indicazioni specifiche, anche allo scopo di non alimentare, come è avvenuto nel passato, illusioni di guarigioni o miglioramenti clamorosi, che si sono poi trasformate in cocenti delusioni. La maggior parte degli interventi è stata spesso motivata da finalità di contenimento comportamentale piuttosto che a seguito di una diagnosi psichiatrica, spesso con terapie croniche e ricche di effetti indesiderati.
Sono da considerare indicativi di una svolta positiva la maggiore consapevolezza sulla psicopatologia del RM, il progressivo superamento del mascheramento diagnostico, la disponibilità di strumenti di valutazione più accurati, che consentono interventi più mirati e la disponibilità di molecole con efficacia ma soprattutto tollerabilità superiore a quelle precedenti. Sotto questo punto di vista i nuovi antipsicotici atipici, che stanno sostituendo i tradizionali neurolettici, gli antidepressivi-antiansia SSRI e post-SSRI che stanno sostituendo i triciclici ed i nuovi stabilizzatori dell’umore stanno aprendo nuove prospettive terapeutiche. Il passaggio agli antipsicotici atipici appare nel lungo termine non solo vantaggioso sul piano clinico, ma anche economico. I nuovi antipsicotici hanno un’incidenza più bassa di effetti collaterali come l’acatisia e la discinesia tardiva ma possono predisporre i pazienti all’obesità ed alla sindrome metabolica.
Gli studi sugli effetti collaterali sono particolarmente scarsi, non solo per la difficoltà di ottenere descrizioni da parte dei diretti interessati, ma anche per la difficoltà di discriminare tra effetti negativi della farmacoterapia e sintomi riferibili al RM (es. stereotipie motorie, agitazione comportamentale). Gli effetti indesiderati sono riportati come più frequenti in particolare in presenza di segni di danno organico cerebrale (segni neurologici, alterazioni EEG o bioimmagini). È noto ad esempio che il RM, in particolare se con lesioni cerebrali, è uno dei fattori che aumenta il rischio di effetti extrapiramidali (in particolare l’acatisia) in trattamenti con neurolettici tradizionali e in certa misura anche con gli antipsicotici atipici. Sono frequenti (fino al 25% dei soggetti trattati) gli effetti collaterali di tipo comportamentale, spesso in senso disinibente, in trattamenti con benzodiazepine che sono spesso misconosciuti e confusi con un peggioramento della sintomatologia psichiatrica. Probabilmente anche il rischio di convulsioni è maggiore in trattamenti con triciclici, in particolare in soggetti con lesioni cerebrali e alterazioni EEG. Tale frequenza è resa più elevata dalla tendenza a terapie croniche, soprattutto in soggetti istituzionalizzati, senza fasi di verifica, oppure in politerapie incongrue e ingiustificate che amplificano il rischio di effetti indesiderati (34).
L’opportunità di un controllo particolarmente accurato della farmacoterapia dei soggetti con RM è dimostrata dal fatto che nel 1997 la Health Care Financing Administration negli Stati Uniti ha definito delle linee guida per l’uso di psicofarmaci in questi soggetti che mettono in evidenza, ad esempio in presenza di disturbi comportamentali, la necessità di escludere altre cause, di caratterizzare bene la sintomatologia, di ricorrere primariamente agli interventi meno intrusivi e, nel caso la farmacoterapia sia ritenuta opportuna, che questa sia parte di un progetto riabilitativo complessivo, che non comprometta il funzionamento del soggetto, che sia monitorata nei suoi effetti indesiderati, con periodiche verifiche circa la sua efficacia e reale necessità (52).
a. Disturbi dell'umore
La maggior parte degli studi non recenti sull’uso di antidepressivi in soggetti con RM si riferiscono ai triciclici; le modalità di somministrazione, così come i criteri di scelta (amitriptilina nelle forme con maggiore componente d’ansia o agitazione, imipramina nelle forme con ipotimia o rallentamento psicomotorio) sono analoghe a quelle dei soggetti normodotati. L’effetto clinico può essere evidente solo dopo una latenza più lunga rispetto ai normodotati. Viene descritta una maggiore incidenza di effetti collaterali, in particolare di manifestazioni convulsive legate all’effetto di abbassamento della soglia convulsiva, più frequenti in soggetti con compromissione neurologica evidente. Sono possibili anche l’induzione della mania, la sedazione, cardiotossicità, effetti autonomici ed anticolinergici e cognitivi secondari alla somministrazione di triciclici. Nonostante ciò, i farmaci antidepressivi triciclici possono essere utilizzati, ma con un aggiustamento della terapia antiepilettica nel caso di fenomeni critici (e non di anomalie EEG).
Un interesse particolare rivestono i farmaci che agiscono in modo specifico sulla ricaptazione della serotonina (fluoxetina, paroxetina, fluvoxamina, sertralina) nelle manifestazioni depressive (ma anche in quelle ossessivo-compulsive ed auto-eteroaggressive) (51). Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono preferibili agli antidepressivi triciclici nel trattamento della depressione in questo gruppo di pazienti per la minore incidenza di effetti secondari.
Nel RM gli SSRI rappresentano il trattamento di scelta per DOC, depressione, disturbi d’ansia per sicurezza, tollerabilità ed ampio spettro d’azione. Non sono disponibili dati sugli antidepressivi post-SSRI in RM (34). Possibili obiettivi clinici dei serotoninergici nel RM sono anche i fenomeni ripetitivi (simil ossessivo-compulsivi), chiusura relazionale, disinibizione, impulsività-aggressività, disregolazione emotiva.
I farmaci antiepilettici (carbamazepina, valproato, più recentemente lamotrigina), in alternativa o in associazione al litio, rappresentano il trattamento elettivo nei disturbi bipolari. Particolare cautela deve essere prestata al litio, in quanto nei soggetti ritardati con lesioni cerebrali accertate si può riscontrare l’insorgenza di stati confusionali e di manifestazioni convulsive. Nelle forme a rapida ciclicità può essere utilizzata l’associazione tra farmaci antiepilettici (in particolare valproato) e litio. Cautela è raccomandata nell’associazione litio-neurolettici ad alte dosi (soprattutto aloperidolo). Le forme miste o a cicli rapidi (che hanno un’alta frequenza) sembrano meno sensibili al litio e beneficiano della maggiore efficacia degli antiepilettici. Il litio è efficace anche su irritabilità/aggressività ma c’è un maggior rischio di effetti collaterali nel RM (aumento di peso, ipotiroidismo, tremore, acne, polidipsia/poliuria, anomalie ECG, astenia).
Nei non responders a stabilizzatori (litio, valproato) in mono o politerapia e/o in presenza di aggressività e/o in presenza di sintomi psicotici è consigliato l’uso di un antipsicotico atipico. Nelle forme acute, olanzapina, più rapidamente titolabile, può essere preferibile al risperidone; in caso di aumento di peso l’aripiprazolo o quetiapina; nelle forme farmaco resistenti clozapina.
Sono state descritte delle particolarità dei serotoninergici nel RM (34):
Fluoxetina: minore rischio di sindrome da sospensione; effetti su sintomi depressivi, condotte autolesive, irritabilità; rischio di attivazione comportamentale, di aggressività, di sintomi ipomaniacali; superiore al placebo su fenomeni ripetitivi ma non su linguaggio ed interazione sociale; buona tollerabilità.
Fluvoxamina: superiorità sul placebo in aggressività, ripetitività, competenze relazionali. Sertralina: riduzione dei sintomi d’ansia legati ai cambiamenti; buona tollerabilità a bassi dosaggi (25-50 mg) e attivazione comportamentale a dosaggio più alto (75 mg).
Citalopram: usato prevalentemente su sintomi affettivi (ansia, umore); buona tollerabilità. Venlafaxina, Mirtazapina: l’azione noradrenergica può migliorare i sintomi iperattivi ed inattentivi spesso associati alla sintomatologia autistica; effetti positivi su comportamenti ripetitivi e interessi ristretti, ma anche iperattività ed inattenzione; miglioramento in auto-eteroaggressività, irritabilità, iperattività, ansia e depressione, ma non su deficit sociali.
b. Disturbi psicotici
I neurolettici sono stati per lungo tempo i farmaci di scelta nel trattamento dei disturbi psicotici e della schizofrenia. I farmaci usati più frequente in passato nel ritardo mentale sono la clorpromazina (se si ricerca un effetto sedativo), la tioridazina (che ha una minore incidenza di effetti extrapiramidali ed influenza meno la soglia epilettogena) e l’aloperidolo (meno sedativo, ma più efficace sui fenomeni produttivi deliranti o allucinatori). L’aloperidolo a basse dosi (0.5-4 mg/die) ridurrebbe l’instabilità, le stereotipie, il ritiro sociale. Minori evidenze sono disponibili per i cosiddetti farmaci disinibenti (pimozide, levosulpiride, pipamperone). La clozapina, un neurolettico atipico attivo sui recettori della serotonina e sui recettori dopaminergici D1 e D4, è stata usata in soggetti ritardati con disturbi psicotici, con effetti favorevoli sui sintomi positivi e negativi.
Viene riportata una maggiore frequenza di effetti collaterali extrapiramidali nei soggetti con RM (in particolare con i butirrofenoni o le fenotiazine piperaziniche ed i preparati depot). Il 20-30% dei soggetti ritardati sotto terapia neurolettica svilupperebbe una discinesia tardiva. Il rischio di effetti extrapiramidali da neurolettici è più alto soprattutto con dosi elevate, con rapidi incrementi-riduzioni di dosaggio, per trattamenti inutilmente lunghi, in politerapie, in RM grave e/o con lesioni cerebrali. I farmaci anticolinergici per prevenire/curare gli effetti collaterali extrapiramidali peggiorano le prestazioni cognitive (34).
Sono indicazioni di antipsicotici: disturbi psicotici e schizofrenia, disturbi pervasivi dello sviluppo (autismo), disturbo bipolare, disturbi dirompenti del comportamento, tic e disturbo di Gilles de la Tourette, disturbo ossessivo-compulsivo farmacoresistente, disturbi della personalità (borderline, schizotipico) (34).
Gli antipsicotici atipici, per lo spettro di azione ampio, ma soprattutto per il migliore profilo di tollerabilità nel lungo termine, possono rappresentare dei validi strumenti terapeutici. Diversi studi su soggetti adulti, compreso uno studio controllato sul risperidone, hanno indicato come gli antipsicotici atipici siano efficaci nel controllo dei disturbi comportamentali nel RM (4). Nei disturbi psicotici in ritardo mentale olanzapina e risperidone sono i farmaci di prima scelta, preferibili ai tipici per efficacia e tollerabilità (34).
Sono state descritte delle particolarità anche per gli antipsicotici atipici nel RM (34): Risperidone: il più usato e studiato atipico nel RM; si consiglia di iniziare con bassi dosaggi ed incrementare gradualmente fino a massimo 3-4 mg/die; con alte dosi gli effetti extrapiramidali sono simili ai neurolettici; è importante il controllo del peso e della funzionalità epatica; talora effetto attivante; la sedazione è inferiore a olanzapina e clozapina; talora aumento di agitazione ed aggressività; effetti ematologici e epilettogeni non diversi da neurolettici. Il risperidone crea maggiori problemi nel sesso femminile (iperprolattinemia, amenorrea, ginecomastia, galattorrea) che possono essere trattate con bromocriptina e cabergolina.
Olanzapina: effetto positivo sui comportamenti aggressivi, irritabilità, umore instabile; dose massima consigliata: 20 mg/die (anche monodose serale). L’olanzapina può essere aumentata in modo più rapido in caso di urgenze, ha maggiore azione sedativa, determina più raramente iperprolattinemia ed effetti extrapiramidali ma può provocare aumento dell’appetito e del peso corporeo e alterazioni del metabolismo glucidico.
Clozapina: per la sua difficile gestione è indicata nelle forme gravi, resistenti, con sintomi negativi prevalenti, comportamento distruttivo; indicata nei disturbi psicotici e schizofrenia, disturbo bipolare (fase maniacale), disturbi gravi della personalità, disturbi gravi del comportamento auto ed eteroaggressivo. È il primo atipico, ancora il più efficace e potente. Dosaggio: 100-400 mg somministrato in 2-3 volte al giorno; dopo la fase acuta anche monodose serale. Sopra 400 mg esiste un elevato rischio di convulsioni (dosedipendente).
Fattori di rischio per l’effetto epilettogeno sono le lesioni cerebrali, familiarità per epilessia, alterazioni EEG antecedenti. Si riscontrano frequenti alterazioni EEG dopo clozapina, non predittive di rischio di crisi quindi è necessario effettuare EEG preliminare ed EEG periodici. Non provoca effetti extrapiramidali o iperprolattinemia ed è efficace nella discinesia tardiva. L’effetto collaterale più grave è l’agranulocitosi (neutrofili < 500/mmc) in circa 1% dei casi, effetto non dose dipendente. Sono obbligatori i controlli ematologici settimanali per i primi tre mesi, poi mensili; se GB scendono sotto 3000/mmc è necessario sospendere il farmaco.
Quetiapina: non ci sono sufficienti dati disponibili in soggetti con RM. Ha un profilo di effetti collaterali più favorevole (minore aumento dell’appetito e del peso). Ha minore potenza ed efficacia degli altri atipici e rappresenta il farmaco di scelta per disturbi meno intensi o quando gli altri antipsicotici atipici sono stati sospesi per effetti indesiderati; dosaggio di 50-800 mg/die.
Aripiprazolo: è un agonista parziale della dopamina con un profilo di effetti collaterali favorevole (scarsa azione sedativa, scarso effetto sull’appetito). Viene usato nel trattamento dell’aggressività e dell’agitazione.
c. Disturbi d'ansia
Attualmente la terapia farmacologica nei disturbi d’ansia non si differenzia in modo rilevante da quella dei soggetti normodotati. Le benzodiazepine, e più recentemente il buspi-rone, i triciclici (imipramina, clomipramina), gli SSRI (paroxetina, fluoxetina, fluvoxamina, sertralina), il trazodone rappresentano i farmaci di scelta. Gli SSRI (in particolare fluvoxamina e sertralina) e la clorimipramina sono i farmaci di prima scelta per le manifestazioni osses-sivo-compulsive; i primi hanno dato risultati confortanti anche nelle manifestazioni fobiche.
Il gabapentin è un’anticonvulsivante, ma è anche il farmaco più prescritto per usi off-label. Viene usato per molte patologie, dal dolore neuropatico all’ansia.
Il gabapentin viene usato in associazione ad altri farmaci nei disturbi d’ansia. Il pre-gabalin è un analogo strutturale del GABA, sebbene non sia attivo a livello del recettore GABAergico. Il pregabalin si lega a livello dei canali del calcio nei tessuti del sistema nervoso centrale ed agisce come un modulatore presinaptico dell’eccessivo rilascio di diversi neurotrasmettitori eccitatori nei neuroni ipereccitati. Il pregabalin al dosaggio compreso tra 300 e 600mg/die è risultato superiore al placebo e comparabile al lorazepam 6mg/die, alprazolam 1.5mg/die e venlafaxina 75mg/die nel migliorare i sintomi ansiosi e depressivi nei pazienti con disturbo d’ansia generalizzato in forma moderato-grave (53).
La letteratura esistente concorda nell’individuare nelle benzodiazepine una classe da utilizzare raramente e con estrema cautela sulle persone con disabilità intellettive. Questa popolazione presenta rischi molto più alti di quelli riscontrabili nella popolazione generale. È invece comune il reperto di un frequente e consistente utilizzo, soprattutto in ambito istituzionale. L’indicazione elettiva è rappresentata dall’insonnia. Quando inevitabile, l’impiego dovrebbe orientarsi verso la molecola con caratteristiche di cinetica e dinamica più adatte alle esigenze specifiche e dovrebbe essere sospeso prima possibile, con una riduzione graduale del dosaggio. Si ricorda che l’efficacia clinica non è dimostrata per periodi superiori alle 4 settimane.
Si invita inoltre a fare attenzione all’incidenza particolarmente elevata di effetti paradossi (eccitamento, irrequietezza, agitazione psicomotoria, acatisia, compromissione cognitiva fino a fenomeni allucinatori e stati confusionali.). Le benzodiazepine possono precipitare delle reazioni paradossali di irritabilità e di aumentata aggressività in 10-15% dei pazienti con RM (54). Sarebbe, inoltre, più frequente il rischio di dipendenza dal farmaco. Per questi motivi ne viene da più parti raccomandato un uso cauto e mirato.
d. Disturbi comportamentali
Il trattamento dei disturbi comportamentali gravi ed in particolare delle condotte autolesive appare particolarmente complesso, sia per la complementarietà dei diversi fattori in gioco, sia per la frequente resistenza dei sintomi al trattamento.
Il primo passo per un intervento corretto è quello di individuare se il sintomo è secondario ad un disturbo fisico (epilessia, ipertiroidismo, algie, ecc.) o psicopatologico (depressione, psicosi, disturbo della personalità); in questi casi il trattamento riguarderà la malattia principale. In quelle forme nelle quali il disturbo sembra primario l’intervento si basa su un’analisi funzionale del sintomo, vale a dire del suo ruolo nel contesto personale e sociale del soggetto; un’osservazione individuale e sociale potrà consentire di individuare meccanismi sulla base dei quali il sintomo si automantiene (ad esempio distorsioni relazionali all’interno del nucleo familiare). Tali situazioni potranno essere oggetto di interventi specifici, sull’ambiente o sul soggetto, secondo le sue capacità. Nei soggetti con minore compromissione cognitiva è possibile un intervento psicologico, psicoterapeutico o psicosociale, volto a modificare in modo attivo e consapevole le modalità di risposta del soggetto ad eventi interni ed esterni. Nel caso di soggetti più gravi sarà invece opportuno un intervento centrato sul comportamento, volto a rimuovere le situazioni scatenanti, a ridurre i rinforzi positivi legati al comportamento aberrante ed a insegnare vie alternative per ottenere lo stesso rinforzo.
Gli interventi farmacologici hanno avuto negli ultimi anni un forte impulso, in particolare nell’ambito dei disturbi auto-eteroaggressivi. I trattamenti farmacologici proposti sono rappresentati dagli antipsicotici atipici (risperidone, olanzapina, aripiprazolo, clozapina), gli stabilizzatori dell’umore (litio, valproato, lamotrigina, carbamazepina), gli SSRI (fluoxetina, sertralina), il trazodone, il buspirone, il naltrexone, i P-bloccanti, la clonidina. È frequente la farmacoresistenza.
Il comportamento aggressivo è il motivo più comune per il rinvio psichiatrico di persone con ritardo mentale (55). I pazienti con ritardo mentale dovrebbero subire un’analisi diagnostica dettagliata per eliminare le cause mediche o psichiatriche specifiche di aggressività. Per quanto riguarda l’autoaggressività è necessario escludere le manifestazioni secondarie a disturbi fisici, a contesto ambientale e l’inefficacia degli interventi comportamentali.
Se non viene trovata nessun’eziologia specifica, la terapia comportamentale dovrebbe essere il metodo iniziale. La maggior parte dei pazienti, tuttavia, sono curati empiricamente con antipsicotici. un settore nel quale la somministrazione degli antipsicotici atipici è apparsa particolarmente efficace è stato quello del trattamento dell’aggressività, intesa come dimensione psicopatologica. Si tratta di una modalità applicativa transnosografica di questi composti, cioè indipendente dallo spazio categoriale nel quale la dimensione si colloca. Infatti, molte evidenze cliniche sembrerebbero indicare con chiarezza che l’effetto degli atipici sull’aggressività può essere considerato un effetto di natura diretta, cioè non secondario alla loro attività sedativa, né a quella antimaniacale, né a quella antipsicotica.
Sul piano operativo generale tuttavia, considerando che l’impiego degli antipsicotici atipici per la gestione dei comportamenti aggressivi si verifica in un contesto transnosografico particolarmente allargato, va comunque sottolineato che il loro uso per questi scopi sarà prevalentemente di add-on, all’interno di strategie di trattamento polifarmaceutiche più complesse (51).
Per orientare la prescrizione, sono stati identificati gruppi di sintomi che accompagnano gli scoppi aggressivi e che possono essere classificati nei profili di comportamento sensibili a una determinata classe di farmaci. Per esempio, i pazienti con tendenze ossessive e ritualisti-che, che diventano aggressivi quando sono interrotti, sono considerati ad avere un disturbo d’ansia e dovrebbero rispondere ad un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina. I pazienti con labilità o collera affettiva severa, che dura lunghi periodi, possono essere considerati maniacali o ad avere un disturbo d’umore e dovrebbero rispondere al litio o ad un anticonvulsivante. I pazienti con manifestazioni paranoide, deliri o allucinazioni possono richiedere la presa in considerazione dell’uso di un antipsicotico.
Quando non c’è una chiara evidenza di mania o di un processo psicotico sottostante è indicata una prova iniziale con un antidepressivo serotonergico. Gli antidepressivi possono migliorare gli scoppi aggressivi in pazienti con un disturbo depressivo o di ansia di fondo. L’uso di un antipsicotico può essere necessario, quando gli scoppi aggressivi diventano severi. La consultazione psichiatrica è raccomandata, quando i tentativi iniziali con antidepressivi sono falliti, è sospettata la mania o è presente un processo psicotico (55).
e. Demenza
La cura ed il trattamento dei pazienti con SD e malattia di Alzheimer sono simili a quelli per la popolazione generale. Poiché, a volte, è difficile differenziare la pseudodemenza da demenza e perché la depressione può coesistere con la demenza, può essere utile una prova terapeutica con un SSRI (56). Molti dei sintomi clinici associati alla demenza possono essere trattati. Le crisi epilettiche dovrebbero essere trattate con la terapia standard anticonvulsivante; l’insonnia con sedazione blanda; l’aggressività, l’irritabilità e le manifestazioni psicotiche con farmaci antipsicotici; gli stati depressivi con antidepressivi.
Gli inibitori dell’anticolinesterasi (AChE) (donepezil, rivastigmina, galantamina) sono considerati farmaci che possono rallentare il deterioramento cognitivo della DAT sia nella popolazione generale sia nella popolazione con SD.
Anche se non sufficientemente studiato nel campo del RM vi è una crescente prova che l’intervento psicologico/comportamentale può aiutare gli adulti con demenza nella popolazione generale (57-58). La terapia di reminiscenza, la terapia di riorientamento nella realtà e la terapia comportamentale (terapia occupazionale compresa) possono mantenere le abilità correnti e ridurre il deterioramento.
È necessario, inoltre, il supporto dei caregivers. La maggior parte degli adulti con SD e demenza è residenziale. L’educazione, il supporto infermieristico e la maggior partecipazione dei servizi medico-sanitari primari possono insieme permettere alle persone con demenza di essere gestiti più lungamente all’interno delle loro case e far ritardare la necessità di istituzionalizzazione.
CONCLUSIONI
L’intervento psichiatrico nelle persone con SD deve assicurare la supervisione e l’assistenza tecnica ai gruppi di lavoro sociosanitari, ai colleghi con cui, ad ogni titolo e livello, si trovino a collaborare, ai medici di base, ai caregivers ed ai familiari, tenendo conto di volta in volta delle caratteristiche individuali del paziente.
Con riferimento più specifico all’intervento psicofarmacoterapeutico si individua la necessità di attenersi alle seguenti specifiche raccomandazioni legate al ritardo mentale associato alla SD:
- formulare una diagnosi di RM secondo criteri internazionalmente riconosciuti (AAMR, DSM-IV TR, ICD-10);
- organizzare un progetto riabilitativo ed un piano terapeutico per ogni persona con RM che presenta sintomi o sindromi psicopatologiche. Ciò permette di valutare, tramite un’opportuna raccolta di dati, tutti i fattori che concorrono alla comparsa di sintomi psicopatologici o comportamenti aberranti e al tempo stesso tutti i possibili strumenti di intervento terapeutico (psicoterapie, terapie educative, interventi socio-educativi);
- ricordare che la terapia psicofarmacologica è una terapia aggiuntiva, non una terapia esclusiva, e che essa trova il suo razionale d’azione in un preciso piano terapeutico, che ne individui indicazioni, durata, modalità di vigilanza e gestione di eventuali effetti collaterali;
- porre particolare attenzione al rispetto dei diritti umani;
- assicurarsi che l’individuo e i suoi familiari/caregivers possano partecipare allo sviluppo del piano terapeutico e forniscano un consenso informato;
- accertarsi che la terapia non sia usata in modo eccessivo, per punizione, per convenienza dello staff, come sostituto di servizi o in dosaggi che interferiscano con la qualità di vita dell’individuo;
- garantire una continua formazione ed informazione dell’intera equipe d’intervento;
È opinione ormai universalmente condivisa che le persone con RM sono troppo spesso, oggi come in passato, il bersaglio di terapie con farmaci psicotropi incongrue e gravate da pesanti effetti collaterali.
Già nel 1995 si è tenuto presso l’Università dell’Ohio (USA) un’importante Conferenza, i cui lavori sono stati pubblicati nel 1998, che si è posta lo scopo di raccogliere l’esperienza clinica internazionale in questo campo.
I promotori della Conferenza hanno descritto in questo modo la ragione e lo scopo della loro iniziativa: “(...) una percentuale elevata di persone con RM è affetta anche da malattia mentale oppure manifesta un disturbo del comportamento. Si dice di queste persone che sono interessate da una Doppia Diagnosi. Molti medici sono professionalmente preparati o nel campo del RM o nel campo delle malattie mentali, ma non in entrambi. Poiché non vi è una competenza diffusa in entrambe le aree, i medici compiono un numero relativamente elevato di errori nel curare le persone con Doppia Diagnosi. Questi errori costano milioni di dollari e sono estremamente frustranti per le famiglie. Questi errori conducono a ricoveri non necessari e ad un’assunzione eccessiva di farmaci. Il numero di farmaci psicoattivi prescritto è eccessivo. i farmaci sono somministrati a tempo indefinito senza che si programmi il termine dei trattamenti. Possono esservi rilevanti effetti collaterali.” Uno dei risultati di questa Conferenza è stata la diffusione di una serie di Linee Guida che indirizzano l’attività del medico prescrittore. Esse sono le seguenti:
A. Condotte da perseguire:
- Considerare psicoattivo qualunque farmaco prescritto per migliorare l’umore, lo stato mentale o modificare il comportamento.
- Prescrivere un trattamento con farmaci psicoattivi solo all’interno di un piano di trattamento multidisciplinare.
- Prescrivere un trattamento con farmaci psicoattivi solo in presenza di una diagnosi psichiatrica e solo dopo aver portato a termine una valutazione diagnostica esaustiva comprendente una valutazione del significato funzionale del comportamento.
- Ricercare un consenso informato scritto dell’individuo oppure di chi si prende cura di lui e stabilire un’alleanza terapeutica con chi è coinvolto nell’organizzazione dell’assistenza alla persona.
- Controllare l’efficacia del trattamento definendo, in modo empirico, indici di comportamento oggettivamente rilevabili e misure della qualità della vita.
- Compiere un monitoraggio degli effetti collaterali usando strumenti di valutazione standardizzati.
- Compiere un monitoraggio dell’insorgenza della discinesia tardiva usando metodi di valutazione standardizzati se prescritti antipsicotici oppure altri farmaci che bloccano i recettori dopaminergici.
- Condurre un riesame clinico e dei dati oggettivi sulla base di un programma sistematico.
- Utilizzare la dose minima efficace.
- Valutare la pratica prescrittiva e il monitoraggio attraverso l’affiancamento di un gruppo di lavoro.
B. Condotte da evitare:
- Non prescrivere farmaci psicoattivi per assecondare le richieste dell’ambiente di vita, come alternativa a programmi psicosociali significativi oppure in quantità tali da interferire con la qualità della vita.
- Evitare cambi frequenti dei dosaggi oppure del tipo dei farmaci.
- Evitare l’associazione di più farmaci della stessa categoria e ridurre al minimo le associazioni di più farmaci per limitare al massimo gli effetti collaterali.
- Ridurre il più possibile: le prescrizioni di farmaci al bisogno; l’uso di sedativi-ipnotici a lunga durata di azione; l’uso protratto di benzodiazepine; l’uso di antipsicotici ad alte dosi; l’uso di anticolinergici (59-60).