31. LO SVILUPPO DELLA SESSUALITÀ

PATRIZIA REBAUDI
Premessa

Dedicare un capitolo alla sessualità delle persone con sindrome Down (SD) implica ritenere che la dimensione citata differisca sensibilmente da quella delle persone non affette da tale sindrome. Le conoscenze attuali sulla SD ci permettono di affermare che, non essendo possibile individuare un profilo peculiare di temperamento (cioè non esistono mai due persone Down caratterialmente uguali) gli stereotipi “sono tutti eterni bambini”, “sono docili”, “tutti amano la musica”, etc. derivano da inveterati pregiudizi che nulla hanno di scientifico. La similarità di alcune caratteristiche fisiche ha probabilmente diffuso la convinzione che queste si possano sovrapporre alle qualità psichiche. Di certo c’è che la SD penalizza queste persone poiché il loro assetto mentale e lo sviluppo cognitivo appaiono insufficienti. È perciò soltanto a proposito di questi aspetti che ha senso interrogarsi sullo sviluppo della sessualità, poiché il deficit intellettivo può portare ad una maggiore fragilità emotiva-affettiva, causa di disarmonie spesso presenti nella personalità di alcune persone con SD, e ad una minor resilienza1.

Sotto il profilo biologico, l’evoluzione della sessualità coincide con lo sviluppo degli organi sessuali che avviene nei ragazzi/e con SD mediamente nei tempi e con le caratteristiche dei ragazzi normodotati; elementi di differenziazione possono essere introdotti sulla qualità dello sviluppo sessuale in correlazione allo sviluppo mentale, agli ambienti in cui si svolge, alla durata della vita fertile e alla funzione sessuale intesa come capacità riproduttiva nel maschio e nella femmina2. Secondo J.J. Einsering, infatti, una delle correlazioni stabilite è che tanto più il ritardo nella maturazione sessuale è notevole, quanto più grave è il “ritardo mentale” (1).

1 Col termine “resilienza” ci si riferisce alle capacità del soggetto di resistere alle difficoltà, ai traumi e, in senso lato, alle situazioni sfavorevoli e pericolose.
2 Gli studi condotti portano a sostenere che il maschio abbia una fertilità minore rispetto agli uomini della sua stessa età e che i livelli ormonali tendono a ridursi molto prima (35/40 a.) che negli altri uomini. Anche le femmine si ritiene abbiano scarsa ovulazione. Va detto che i dati a cui possiamo riferirci sono insufficienti e statisticamente non rilevanti. La maggior parte degli studi condotti si riferisce ad indagini effettuate su persone istituzionalizzate.

L’attenzione deve dunque essere posta su come la persona con SD vive, esprime, usa, “incanala” la propria sessualità, e per rispondere a questi quesiti è necessario definire due concetti: quello di “sessualità” e quello di “Sé”.

Si definisce “sessualità” la parte di un intero, non qualcosa d’isolato; si esprime in ogni tipo di manifestazione di scambio o espressione affettuosa e ha il suo culmine nel rapporto d’amore, il quale a sua volta è caratterizzato da una relazione accompagnata dal desiderio sessuale che ha come meta il rapporto genitale. “Eeroticità” è invece costituita dal piacere soggettivo e dunque può essere ottenuta senza l’altro. I primi e più esaurienti apporti alla comprensione dello sviluppo sessuale ed affettivo sono dovuti all’indagine psicanalitica; secondo tale teoria l’energia libidica organizzatrice dello sviluppo psicosessuale, investe in tempi successivi ed in modo prevalente ma non esclusivo alcune aree del corpo. Mano a mano che procede nella sua elaborazione Freud “slega” la sessualità dalle zone erogene e la estende sino a farle comprendere dimensioni legate all’io; la libido, l’energia sessuale, dunque, non investirà così solo le aree interessate dalle pulsioni sessuali, ma in pratica coprirà tutta l’area della vita psichica umana. in questo lavoro ci rifaremo alla teoria freudiana per spiegare lo sviluppo psicosessuale, senza rinunciare ad altre interpretazioni ed approfondimenti successivi; le analisi del Maestro hanno resistito al tempo e ai suoi allievi, e i suoi detrattori hanno sempre dovuto porsi rispetto a Lui, il che è un sottile omaggio.

Il concetto di “Sé” permette di considerare la persona nella sua globalità e rappresenta l’integrazione tra le istanze psichiche freudiane: Es (sede delle passioni, istinti), Io (principio di realtà), Super-Io (norme morali), Ideale dell’Io (la Psiche), Corpo (Sé somatico) (2). Il Sé deve essere considerato un concetto dinamico che si modificherà molte volte nell’arco della vita poiché il nostro corpo è soggetto alla crescita, alla malattia, all’invecchiamento, mentre le funzioni dell’Io (principio di realtà) aumenteranno o diminuiranno per effetti dell’influenza ambientale3. Nel concetto di Sé è compreso quello di “Identità sessuale” che rappresenta uno dei quattro pilastri fondamentali dell’individuo, la sua struttura portante (attaccamento, autonomia, identità sessuale, autostima). L’identità sessuale pertanto si andrà formando e definendo attraverso le immagini che ci sono rimandate dagli altri e queste a loro volta formeranno l’Immagine di Sé Intrapsichica, che riguarda il proprio corpo e le proprie capacità, il genere (maschile e femminile), il ruolo. La sessualità e l’eroticità riguardano dunque il corpo e la psiche e, quando lo sviluppo psicosessuale si svolge senza intoppi, rappresentano la totale integrazione tra l’uno e l’altra. Di là della teoria psicanalitica tutte le ipotesi riguardanti lo sviluppo psicosessuale ci portano a dire che esistono esperienze significative che si verificano durante l’età evolutiva. Alcune di queste esperienze sono utili, altre potenzialmente dannose, ma solo l’ambiente educativo e la cultura possono facilitare od ostacolare l’organizzazione del comportamento e lo sviluppo delle abilità sessuali. Non è possibile stabilire con certezza

3 “Il rapporto dell’Io con l’Es potrebbe essere paragonato a quello con il cavaliere con il suo cavallo. Il cavallo dà l’energia per la locomozione, il cavaliere ha il pregio di determinare la meta, di dirigere il movimento del poderoso animale: ma tra l’Io e l’Es si verifica troppo spesso il caso, per nulla ideale, che il cavaliere si limiti a guidare il destriero là dove questo ha scelto di andare” (2).

quali conseguenze avranno le diverse interazioni con l’ambiente poiché il cervello possiede buone risorse per correggere molti errori educativi.

La maggior attenzione che si richiede ai genitori e a tutti coloro che interagiscono con una persona con SD, è dovuta al fatto che la SD, come già detto, interferisce con i processi d’apprendimento e che al bambino con SD, e poi all’adulto con SD sono precluse numerose esperienze significative.

È fondamentale per la definizione dell’identità che sin dai primi anni di vita il bambino sia aiutato dai genitori a comprendere la sua diversità, le sue peculiarità e che sia aiutato a scoprire le sue capacità e i suoi limiti.

Una persona incapace di venire a patti con la propria identità non sarà in grado né di fare i conti con i dati di realtà né di stabilire rapporti soddisfacenti con se stessa e quindi con gli altri. L’accettazione e poi l’adattabilità alle situazioni della persona con SD sono direttamente proporzionali all’accettazione e all’adattabilità alla sindrome da parte dei suoi genitori. Sosteniamo che “un bambino con SD valuterà se stesso in base alla capacità dei suoi genitori di approvare e celebrare i suoi successi ed i suoi sforzi dandogli nel contempo un’accurata e ragionevolmente onesta descrizione del suo handicap. Questo lo aiuterà a diventare un adulto con una più chiara immagine di sé e con una buona fiducia nelle proprie capacità, nonostante la consapevolezza dei propri limiti” (3).

Identità di genere e sviluppo affettivo/sessuale

Osserviamo che le vicende evolutive della prima infanzia sono caratterizzate dal costante confronto fra i bisogni e la loro soddisfazione. il piacere nasce fin dal primo giorno di vita del bambino dalla soddisfazione del bisogno alimentare e si rinnova per l’eccitazione della cavità boccale non solo durante l’alimentazione5 (fase orale).

Sappiamo che prima il seno, poi la madre, poi i genitori rappresentano per il bambino uno stato di sicurezza e di “piacere”. La non soddisfazione immediata del desiderio di succhiare, poi del contatto fisico ed infine della sola presenza della madre, è sentita come un abbandono che nasconde una minaccia vitale; la frustrazione sperimentata di dover differire la soddisfazione dei propri bisogni, col trascorrere del tempo, consentirà al bambino di differenziarsi dalla madre permettendogli di apprendere la capacità di attendere e di scoprire, per la prima volta, l’ambivalenza dell’oggetto, “buono” e “cattivo” nel medesimo tempo. il bisogno lentamente si trasforma in desiderio, l’urgenza della sua risoluzione è dominata dall’attivazione d’immagini e di fantasie che colmano il vuoto.

Succhiarsi il dito, il succhiotto o la copertina è un comportamento vicariante che il bambino assume come fonte di piacere sostitutivo che placa temporaneamente la fame. il modo di adattarsi a queste situazioni è di primaria importanza per la costruzione della personalità in generale e della sessualità in particolare, tenendo conto del carattere “sessuale” del piacere

4 “La persona che si scandalizza all’idea della sessualità infantile pensa che il piccolo pene che diventa rigido nel bambino felice tra le braccia della madre che gli dà il latte e lo accarezza non abbia niente a che fare con la rigidità del pene dell’uomo tra le braccia della donna amata” (3).

accordato o rifiutato. Il bambino non trova solo soddisfazione tra le braccia della madre, ma “sente” il mondo esterno che può essere pieno di sensazioni sgradevoli: i rumori improvvisi, il freddo, il caldo etc., ma non è ancora in grado di comprendere ciò che appartiene al suo corpo e ciò che è esterno a lui, né sa dove finisce lui e dove comincia la madre. È indifferenziato, fuso e confuso con la madre. La comprensione di essere separato sarà legata anche al suo sviluppo motorio e solo crescendo riuscirà pian piano a comprendere d’essere altro da sua madre. Questa “simbiosi” è stata importante per tutti noi, ed è da lì che hanno origine i nostri rapporti con le persone con cui abbiamo legami profondi. in realtà, benché la bocca rappresenti in questo periodo l’area corporea centrale d’interazione essa non è la sola interessata: gli occhi, il naso, le orecchie, la pelle, sono zone ausiliarie altrettanto capaci di mettersi in relazione con il mondo permettendo al bambino di incamerare immagini, odori, suoni, sensazioni. Le carezze e le coccole che il bambino riceve sono messaggi rassicuranti, di tenerezza, che rendono la pelle un organo recettore fonte di piacere e premessa per quel comportamento erotico dell’adulto che potrà essere preliminare al rapporto sessuale o indipendente da esso5.

Per alcuni bambini con SD, oltre alla complessità descritta, si può aggiungere un’altra difficoltà legata al ridotto tono muscolare che rende la suzione e la deglutizione del latte più lenta e difficoltosa. Alcuni desistono dopo i primi due o tre tentativi anche se affamati e avere fame e non poter mangiare è molto frustrante e il piccolo probabilmente si metterà a piangere o ad urlare; altri saranno molto più lenti e tenderanno ad addormentarsi. L’ipotonia presente in questi bambini con SD è causa del prolungarsi della fase di indifferenziazione dalla madre e di dipendenza psichica da lei. Certi pianti di collera possono essere sedati solo dalle carezze della mamma che li ha “generati” così come lei è stata “la causa” della sua rabbia. Dal rapporto ambivalente con la madre nasce in tutti noi la tendenza a dividere il mondo in “oggetti buoni” e “oggetti cattivi”. La regola che vale per tutti è che tutti i neonati quando soffrono e sono arrabbiati, lo sono “per colpa” della mamma. La bocca che si nutre di ciò che è buono, “mangia”, “inghiotte”, “assorbe” l’oggetto cattivo, ma a sua volta il soggetto corre il rischio di essere mangiato. La buona educazione negli anni trasformerà l’oggetto stesso: la bocca e il palmo delle mani, agenti dell’aggressione, sono neutralizzati nel saluto. Il “bacio di pace”, la “stretta di mano” ... testimoniano intenzioni pacifiche e il bacio, simbolo per eccellenza della sessualità, può diventare morso, dimostrazione ambivalente nei confronti dell’oggetto amato. Anche la madre potrà nutrire sentimenti ambivalenti nei confronti del figlio: insieme alla tenerezza per il piccolo che inizia a sorriderle potrà provare un senso di rifiuto, più che naturale, per un figlio così diverso da quello atteso e immaginato. Gli aspetti contraddittori di questo periodo, gli attacchi alla madre alternati ad una gran tenerezza, potranno avere lunga vita. Dal primo anno e mezzo ai tre anni le zone corporee sulle quali viene focalizzata l’attenzione sensoriale sono la mucosa anale e la uretrale (fase anale).

5 Le zone investite di energia libidica sono fonte di piacere che Freud definì sessuale riconoscendo che quell’aggettivo era una forzatura che si rendeva necessaria nel contesto culturale del tempo che non riconosceva la presenza di una sessualità prepuberale e, poiché quelle stesse zone se sono stimolate nell’adulto producono piacere erotico, esse vengono definite anche nel bambino “erogene”.

Entrambe assumono significati erogeni e s’iscrivono nello sviluppo e nell’apprendimento delle modalità di fruizione del piacere. Questo periodo coincide con la conquista dell’autonomia motoria, del linguaggio e del controllo della funzione escretoria (il bambino fa pipì e pupù nei momenti e nei posti giusti). L’educazione dello sfintere anale è una preoccupazione familiare che conferisce all’espulsione e alla ritenzione delle feci un valore affettivo ambiguo. in alcune condizioni la defecazione è accolta favorevolmente, con soddisfazione e senza pregiudizi, come se il prodotto rappresentasse un regalo, in altre circostanze è accolta in modo negativo. Ancora una volta lo stesso atto può rivelarsi all’esperienza “buono” o “cattivo”. Come per la precedente fase anche questa non indica solo l’area primaria di riferimento, ma anche la componente aggressiva che caratterizza l’atteggiamento di relazione con il mondo. Le manifestazioni “aggressive” si esprimono attraverso la vivacità dei giochi, la competitività, l’uso del “no”, avverbio con il quale i bambini rispondono prontamente alle richieste sempre più frequenti degli adulti perché sempre maggiore è la loro capacità di autonomia. Solo nei casi di gravi difficoltà affettive-relazionali l’aggressività assume connotazioni accentuate e può rimanere, nelle fantasie o nei comportamenti, la tendenza ad umiliare gli altri o ad essere umiliati sviluppando una personalità che, se non corretta adeguatamente, avrà tratti marcatamente sadici o masochisti.

Riteniamo sia importante rimarcare che il bambino si muove da una condizione di asocialità ed irrazionalità che lo vede concentrato su se stesso (narcisismo primario) interessato a soddisfare immediatamente i suoi bisogni (principio del piacere) ignorando i limiti posti dalla realtà, ed orientato a trarre piacere dalle diverse zone erogene. La regione anale è inoltre oggetto di cure che sembrano soddisfare la madre e tutta la famiglia, e ancora gli apprezzamenti degli uni e degli altri implicano che, seppur preziosa, essa è in ogni caso una regione “sporca” poiché da lì vengono espulsi gli escrementi. Il bisogno di evacuare e il piacere che lo accompagna è affidato alla decisione del bambino; imparando ad amministrare e dilazionare la soddisfazione dei propri bisogni, senza la necessità della vicinanza di qualcuno che provveda per lui come accadeva per il cibo, il bambino usa il desiderio non in maniera reattiva per sopperire ad una mancata risposta dell’ambiente, ma in maniera attiva ed autonoma. A questa età i bambini se lasciati liberi di fare “giocherebbero” volentieri con i “loro prodotti”; scopriranno presto che questo non è apprezzato dai loro genitori, ma il loro desiderio è ripreso e traslato in tutti i giochi di manipolazione (impasto con la farina, manipolazione della creta, Didò, colori a dita, ecc.) tipici di quell’età. Lo spettro della “stitichezza” nelle famiglie in cui c’è un bimbo con SD è dietro ogni... giorno! Gli inconvenienti “patologici” generalmente attribuiti alla stitichezza, non fanno che perpetuare un pregiudizio vecchio quanto la medicina, quello dell’”intossicazione da feci trattenute”. Troppe volte è l’abuso di supposte di glicerina o di stimolazione della zona anale a creare il “bisogno” ed il prolungarsi di questo “accadimento” rischia di creare quel “circolo vizioso” ritenzione - supposta - ritenzione ben conosciuto. Il “piacere” anale è di natura diversa dal “piacere” orale. Esso è più strettamente legato alla soddisfazione dell’“altro”, dell’“oggetto” che a quello del soggetto: più della sessualità orale, mette a confronto il bambino con le difficoltà delle relazioni umane e lo prepara a complessità più grandi. Le cure fisiche, il bagno, il gioco, presto faranno scoprire al bambino altre parti del corpo: i genitali6. Gli organi sessuali e le zone erogene costituiscono aspetti privilegiati in quanto la loro stimolazione dapprima casuale, poi volontaria, produce sensazioni piacevoli. Dopo i tre anni e fino ai sei, l’energia sessuale (fase fallica) va a coinvolgere gli organi genitali: nessuno stupore quindi se il bambino sfrutta spesso tale fonte di piacere, soprattutto se non ne ha altre a disposizione. Questa forma di masturbazione precoce, sempre “riconosciuta” dalle educatrici della scuola dell’infanzia, spesso negata dai genitori, non è pericolosa né tanto meno “perversa”: è solo un’altra fonte di conoscenza di sé. I bambini che frequentano la scuola dell’infanzia vivono più spesso situazioni in cui si fanno allusioni a fatti sessuali e, sia i maschi sia le femmine, dimostrano un particolare interesse per tutto ciò che avviene in bagno e per le relative regole igieniche che apprendono dagli adulti. Amano imparare, provare e sfidare con nuove parolacce. Questo non tanto per un presunto istinto che li orienta verso le “cose del sesso”, o forse non solo per quello, ma perché avvertono il disagio degli adulti e in particolare dei genitori, e poi perché in qualche modo possono “far perdere la pazienza a mamma e papà” risultato sempre gratificante per i figli che ottengono in questo modo un duplice scopo: attirare l’attenzione su di sé, facendo perdere all’adulto il controllo che in genere esercita sui figli, e in secondo luogo l’uso del linguaggio trasgressivo lo fa sentire “grande”. È probabile che i comportamenti giudicati dagli adulti disdicevoli (autostimolazione, gergo volgare, etc.), nei bambini con SD non vengano “corretti” come lo si farebbe con bimbi normodotati, in quanto si è portati a tollerare questi comportamenti come un “difetto”, una “perversione” della sua “malattia”. In altri casi l’autostimolazione è, sebbene disapprovata, considerata un “ansiolitico naturale”; altre volte la tolleranza fa parte di un più generico atteggiamento di sfiducia nelle capacità di comprensione del disabile: “poverino, lasciamolo fare tanto non diventerà mai normale”, “poveretto ha solo quello” (lo stesso pensiero non farà mai mancare quella merendina in più!). Tenere un atteggiamento rassicurante da parte degli adulti, non solo genitori, sarà molto più difficile: ai fantasmi del sesso si aggiungono quelli dell’handicap. il gioco genitale dapprima solitario potrà assumere un carattere più sociale/relazionale (il gioco del dottore e dell’esibizione reciproca). Questo gioco può avvenire tra bambini di sesso omologo o diverso. Le reazioni dei genitori rispetto a questi giochi sono sovente più punitive che normative e per i figli è difficile comprendere la reazione così severa da parte dei genitori quando per loro è “solo un gioco”. Bornemann (4) sostiene che gli adulti tendono ad esserne scandalizzati non rammentando di avervi partecipato anche loro da bambini e questa amnesia sarebbe avvenuta all’epoca della pubertà. Le reazioni dei genitori, seppur con le debite eccezioni, sono differenti se il figlio è maschio o femmina. Quando si tratta di una femmina, le reazioni più frequenti sono di ammonimento, repressione, minaccia. Le raccomandazioni precedono le punizioni! I maschi “subiscono” una sorte diversa: quando e se vengono puniti, il castigo è spesso accompagnato da

6 Tutto quello che è stato detto finora riguardava il rapporto del bambino con la madre, ma se tutti gli scambi fin dalla nascita fossero stati tra il bambino ed il padre, o altre figure, il discorso sarebbe stato pressoché identico. Oggi perciò si preferisce utilizzare il termine care-giver intendendo alla lettera “chi dà, chi dona cure/attenzioni”.

una mal celata soddisfazione del padre; ci sono una certa fierezza e un certo orgoglio per questo figlio che sta crescendo e che sempre più gli assomiglia, e che, “almeno in quello, è normale”. La dicotomia tra le reazioni dei genitori tenderà ad essere ancor più marcata durante l’adolescenza quando i primi innamoramenti e i corteggiamenti tra coetanei, i desideri di contatto personale e fisico, sovente disinibiti al punto da creare imbarazzo negli adulti, turberanno più i sonni dei genitori che dei figli. Il periodo che fa seguito ai sei anni e raggiunge la pubertà (11/12 anni) è stato definito fase di latenza in quanto la sessualità sembra scomparire dalla scena. Questo periodo, nonostante appaia come il meno indicativo, ha suscitato le maggiori difficoltà interpretative. L’apparente disinteresse per il sesso potrebbe dipendere dalla stabilità raggiunta grazie alla risoluzione delle dinamiche affettivo-sessuali proprie delle fasi precedenti, oppure da un iter educativo che tramite l’impegno scolastico sposta l’attenzione dalle vicende intrapsichiche alle relazioni con gli altri, o ancora dall’impegno per la gestione delle pulsioni sessuali allo studio, al gioco, alle relazioni con gli altri. Le pulsioni sarebbero rimosse, cancellati i ricordi delle pulsioni delle fasi precedenti dalla coscienza, o sublimate per la forza della repressione riservata dalla cultura alla sessualità infantile, ma è stata ipotizzata anche un’inibizione biologicamente determinata. Ragazze e ragazzi restano in ogni caso consapevoli della loro identità sessuata; nell’agire quotidiano la loro femminilità o mascolinità viene “giocata” con una naturalezza (che può non colpire l’osservatore esterno un po’ distratto) che annuncia l’adolescenza. Occorre ricordare però, che anche in questo periodo, comportamenti a contenuto specificatamente sessuale sotto forma di atti masturbatori, di curiosità per l’altro sesso, per la nudità etc. non sono insoliti e i bambini con sD non fanno eccezione.

In un excursus sulla sessualità non possiamo mancare di intrattenerci sul tema, tanto controverso quanto sempre citato, del conflitto edipico e delle vicissitudini affettive che l’accompagnano7. La psicologia dinamica con conflitto edipico indica l’insieme organizzato dei desideri ostili e amorosi che il bambino piccolo (3/6 anni, fase fallica) avverte nei confronti dei suoi genitori e dal cui superamento dipende il futuro profilo psicologico del soggetto. In questi anni il bambino passa da una relazione diadica (madre figlio/a) ad una triangolare (padre-madre-figlio/a), assumendo la consapevolezza dei ruoli e della necessità di collocarsi tra gli uomini come il padre se è maschio e fra le donne se è femmina. si ritiene che esista una forma più frequente, definita “positiva”, nella quale il conflitto si manifesta come desiderio

7 Edipo figlio di Laio, re di Tebe, e di Giocasta, fu abbandonato da suo padre fin dalla nascita, avvertito da un oracolo che sarebbe stato ucciso dal figlio. Trovato da pastori, il neonato fu cresciuto dal re di Corinto. Adulto egli consultò l’oracolo che gli disse di non tornare mai più nel suo paese perché il suo destino era di uccidere il padre e di sposare la madre. Non avendo altra patria che Corinto, Edipo scelse la via dell’esilio ma incontrò Laio che uccise in una rissa. Edipo giunse a Tebe quando Creo, successore di Laio, aveva appena promesso il reame e la mano di Giocasta a chi sarebbe stato in grado di liberare il paese dalla sfinge, mostro che divorava chiunque passando, non sapesse risolvere i suoi enigmi. Edipo che aveva risolto l’enigma, divenne re e sposò sua madre.
Un oracolo rivelò ad Edipo la sua origine, Giocasta allora si impiccò ed egli dopo essersi accecato, ripartì per l’esilio con la figlia Antigone (“Edipo Re” di Sofocle).

amoroso del bambino verso il genitore del sesso opposto e ostilità-rivalità verso il genitore del sesso omologo. La forma definita “negativa” si presenta capovolta, amore verso il genitore dello stesso sesso e gelosia per il genitore di sesso opposto, e si riscontra con maggior frequenza nelle bambine con SD rispetto alla popolazione femminile senza SD. in verità queste due forme sono variamente compresenti; il bambino spesso lotta per un rapporto privilegiato con uno dei genitori indipendentemente dal sesso di quest’ultimo. L’alta frequenza della forma definita “negativa” nelle bambine con SD deve essere letta come conseguenza del prolungato periodo d’attaccamento alla madre, in parte dovuto all’ipotonia muscolare, in parte ad un atteggiamento “riparativo” della madre che rende la bimba più fragile e indifesa agli occhi della genitrice. Il padre, escluso dalla coppia, potrà allontanarsi dalla madre (o è allontanato dalla madre?) e provare gelosia per questo figlio che lo ha spodestato dal cuore della donna. Genitori di questo tipo dimostrano di favorire un rapporto a due tendendo ad escludere il terzo. Per tutti noi la gelosia è legata all’epoca felice in cui il nostro rapporto era sicuro ed esclusivo tra le braccia della madre. Questa sicurezza però ad alcuni non permette di condividere il proprio amore con altre due persone, i nostri genitori, favorendo il rapporto esclusivo con uno dei due. Non riuscire ad includere una terza persona nel nostro rapporto non è solo legato alla figura genitoriale, ma a chiunque cerchi di “rompere” la nostra coppia, fratelli compresi. L’attaccamento della figlia al padre, possessore della virilità, che la sposerà da grande e le darà figli, sottrae in parte la bambina alla tutela materna e l’amore che nutre per la madre si tinge di odio e di gelosia. Nella risoluzione del conflitto edipico la bambina legata al padre assume nei riguardi della madre una maggior indipendenza del maschio. i legami della sessualità pregenitale si sciolgono nel primo caso, mentre si chiudono nel caso del maschio. “Infatti, c’è molto meno ambiguità nei sentimenti che legano la femmina ai suoi genitori. il ragazzo innamorato della mamma di cui è geloso, diffida del padre che odia e ammira, ed è combattuto come Edipo in una situazione senza uscita. L’uomo dominato dalla madre, è un potenziale malato grave” (5)8.

Le “vicende” che abbiamo narrato ci hanno condotto sino alla pubertà, ossia al periodo in cui si sviluppano gli organi sessuali e che sul piano psicologico coincide con Y adolescenza. Non tutti gli adolescenti vogliono diventare grandi, non tutti gli adulti desiderano che ciò avvenga. il disagio psicologico descritto in alcuni casi clinici e sociali ha portato a ritenere che quel disagio fosse inevitabile per tutti. L’adolescenza è senz’altro un’età di passaggio, di crisi, ma proprio per questo un’età di crescita, di speranze, di attesa impaziente del futuro, di scelte lavorative, di interessi artistici, letterari, di slanci ideologici, di solidarietà sociale. L’adolescenza come età di passaggio richiede “abbandoni”; la difficoltà di procedere è definita

8 L’esperienza clinica delle disfunzioni sessuali consente frequentemente di ravvisare contenuti (idealizzazione della figura femminile ritenuta pura ed intoccabile, competitività sempre perdente con un’ideale figura di uomo-padre o di donna-madre dai poteri straordinari) e comportamenti che richiamano con precisione la situazione edipica, ma se pure le conflittualità irrisolte della fase edipica possano sostenere disagi e patologie sessuali, non si ritiene che ciò sia sufficiente per conferire alla sola triangolazione edipica il ruolo di fondatore del nucleo primitivo dell’identità la quale si pone come una costruzione complessa e polideterminata.

“crisi” ed il termine è appropriato se inteso per quello che è: un momento di riflessione e di ripensamento. Gli adolescenti devono elaborare una serie di “lutti”. Il corpo cambia e non ci si riconosce, spesso non ci si piace, il passato di bambini/e sicuro e protetto lascia il posto a situazioni incerte, ad oggetti d’amore nuovi, ad idee e convinzioni che subiscono il disincanto di una realtà diversa da quella appresa. i ripiegamenti su se stessi che caratterizzano questi anni evocano contenuti antichi (ricomparsa delle tematiche edipiche) e favoriscono l’isolamento e la solitudine che coincidono con le prime modificazioni somatiche e lo svilupparsi dei caratteri sessuali. La possibilità di avvalersi del pensiero ipotetico-deduttivo e l’insorgere del pensiero riflessivo consentono di mettere in forse le certezze condivise sino ad allora con il nucleo familiare. Il confronto si fa serrato ed emerge la necessità di individuarsi emancipandosi dal legame genitoriale (opporsi per porsi).

I ragazzi e le ragazze con SD - esattamente come i loro coetanei - attraverseranno e dovranno affrontare gli “abbandoni”, i “lutti”, il desiderio di emancipazione dai loro genitori, vorranno fare le esperienze che, magari con alterne fortune, hanno già sperimentato i loro fratelli o sorelle. Inizieranno, dunque, anche loro ad innamorarsi dei loro coetanei, dei personaggi televisivi, magari di chi rivolge loro maggior attenzione e ascolto. Se il ragazzo/a con SD ha ricevuto un’educazione sessuale precoce ed adeguata, possiamo essere certi che sarà in grado di non esibire quella “affettuosità” generica più adatta a un bambino ma che può divenire inopportuna e fastidiosa (quando non pericolosa) se manifestata durante gli anni dell’adolescenza e oltre nei confronti degli estranei e non solo. È importante stabilire col proprio figlio/a un dialogo sulla questione ”sesso” poiché sarà in grado di capire e di comportarsi in modo adeguato quanto più avrà ottenuto esaurienti e precoci risposte alle sue domande. Il quesito molto impegnativo che per primi devono porsi i genitori è il seguente: quanto si è veramente disposti emotivamente e razionalmente a pensare ad un’autentica futura vita relazionale/sessuale per il proprio figlio/a? Negli ultimi decenni l’aspettativa di vita delle persone con sD si è molto allungata. All’inizio del secolo scorso l’età media si aggirava intorno agli 8 anni; negli anni ’50 molte persone raggiungevano i 45, oggi si stima che una persona su dieci possa arrivare ai 70 e che tra qualche lustro possa raggiungere l’età media della popolazione generale. per la gran parte delle persone con sD, nonostante i progressi della scienza, le nuove conoscenze sulla sindrome, l’impegno costante di genitori ed educatori, sempre più preparati ad affrontare e superare insieme le difficoltà che si incontreranno, l’integrazione sociale che comporta per loro tanti doveri non include il diritto di scelta soggettiva e di conseguenza è negata loro una parte di vita privata. L’esperienza di preclusione è fonte di particolare sofferenza per coloro la cui disabilità intellettiva è meno profonda poiché, raggiungendo la quasi pienezza dell’operatività mentale concreta - sanno riconoscere le regole sociali, se ben preparati e motivati riescono a produrre lavoro, gestiscono l’“ autonomia dislocativa”- si confrontano abitualmente con la vita quotidiana di tutti. Di questa desiderano, com’è normale, anche i privilegi e gli aspetti ludici; mancando però loro, in larga misura, la capacità di generalizzazione, di astrazione e di comparazione critica, da un lato non possiedono gli strumenti per progettare e gestire successioni ed insiemi di eventi complessi e, dall’altro lato, non colgono ciò che intrinsecamente gli impedisce di organizzare una soddisfacente vita relazionale, e non arrivano a comprendere su cosa si fondi il maggior diritto degli altri. Sanno di essere adulti e vogliono essere considerati tali. Non è, però, sufficiente “sentirsi compresi” per sentirsi adulti. L’adulto ha bisogno di essere riconosciuto e di riconoscersi come persona che vale. Questo non si realizza se la persona è continuamente spronata a fare qualcosa in più e di diverso da quello che abitualmente riesce a dare, trasmettendole che non vale abbastanza così com’è, né tanto meno quando si pone l’accento solo sulle sue incapacità, incompletezze, imperfezioni, prontamente corrette attraverso svariati interventi educativi. Siamo al quesito finale: quale possibilità, realisticamente e non di diritto, ha l’adulto con SD di poter esprimere la propria sessualità nei suoi molteplici significati, come pulsione, linguaggio, comunicazione, piacere, relazione? La risposta non può che essere differente per ognuno di loro, come “diverso” è ciascuno di loro per famiglia, cultura, interessi, bisogni e desideri. Ricordiamo che tutte le persone con disabilità mentale, ivi compresa la SD, godono di tutti i diritti civili, compreso naturalmente il diritto a comportarsi sessualmente nel modo a loro conveniente.

Per lungo tempo si è ritenuto che le persone con SD avessero uno scarso, se non addirittura “nullo” desiderio sessuale; non solo in famiglia erano considerati “eterni bambini”, ma anche tra gli specialisti molti ritenevano improbabile, ed in ogni caso poco auspicabile qualsiasi tipo di manifestazione sessuale. Oggi è del tutto chiaro che i loro bisogni sessuali sono identici a quelli delle altre persone. Tuttavia, il modo di soddisfare le pulsioni per le persone con SD può differenziarsi dal cosiddetto “comportamento sessuale normale”, questo perché non sempre sono in grado di decifrare “quelle sensazioni” che sono segni evidenti di desiderio sessuale - rossori alle guance, formicolii al basso ventre, erezioni improvvise, nervosismo ed eccitabilità nelle ragazze, timidezza alla presenza di altre persone - ma, anzi, non è raro che questi segnali siano vissuti come spiacevoli, collegati a stati d’indisposizione, di malattia, di malesseri che essi già conoscono. La mancanza di quella subcultura, prodotta da esperienze di cameratismo, che contribuisce in maniera assai rilevante ad influenzare un giovane, l’incapacità di acquisire conoscenze concrete e dirette tramite la lettura di libri, l’assenza di “confidenze” con i coetanei di sesso omologo sulle questioni riguardanti il sesso, riducono la capacità di comprendere le emozioni relative allo sbocciare della sessualità. un errore assai frequente da parte degli adulti è quello di trattare le persone con SD rivolgendosi esclusivamente alla loro età mentale, solitamente assai più bassa di quella biologica. in tal caso si finisce per trascurare che c’è anche un corpo, con esigenze proprie e che si trova ad un grado di sviluppo del tutto diverso da quello che indica il cervello. Questo atteggiamento è così abituale che, interpellando un adulto con SD alla presenza di un familiare, si è immediatamente “autorizzati” a “dargli del tu”. I genitori, in primo luogo, e se e quando fosse consigliato l’intervento di figure specialistiche - psicologo, medico, educatore, etc. - per la soluzione di qualche problema, essi dovrebbero aiutarli a scoprire quel mondo, provvedendo a fornire le informazioni, gli insegnamenti, le regole di quella “alfabetizzazione sentimentale” ancor prima che sessuale, allo stesso modo di quello che certamente è stato fatto per educare all’autonomia personale, sociale etc.

L’idea prevalente, condivisa anche dal mondo scientifico fino agli anni Sessanta, che considerava le persone con SD tutte simili, con una struttura di personalità tipica e costante negli anni, pressoché immodificabile di fronte agli eventi della vita, è superata e ha trovato posto l’idea - verificabile nei fatti e sostenuta su basi scientifiche - che ogni persona sia differente dall’altra. Anche la loro sessualità, quindi, parte inscindibile della personalità, dovrà essere di volta in volta esaminata, compresa ed aiutata ad esprimersi, offrendo loro un’istruzione di base e un sostegno costante per tutti i dettagli che riguardano l’igiene, la prevenzione, le pratiche sessuali e le regole fondamentali del comportamento sessuale.

Cerchiamo di spiegare, attraverso l’illustrazione di alcuni casi riguardanti persone con SD9, giunti alla mia osservazione, come siano possibili evoluzioni tanto differenti tra una persona e l’altra, tenendo conto del diverso ambiente culturale e familiare.

Sandra, 13 anni, è una ragazza con SD che frequenta la terza media. Lenta nei movimenti, goffa, in sovrappeso, non segue nessuna dieta ma, anzi, la mamma le concede sempre qualche dolcetto perché “è l’unica cosa che ha e avrà nella vita di buono e di dolce". Sandra una volta al mese si assenta dalle lezioni per 4/5 giorni e le insegnanti invitano la mamma ad un colloquio a seguito del quale le suggeriscono di recarsi da uno psicologo. La madre al colloquio mi conferma i “sospetti" delle insegnanti: Sandra durante il ciclo mestruale rimane a casa perché la mamma “sa che la sua bambina non è in grado di cambiarsi, non l’ha mai fatto da sola ... se si sporcasse i compagni si prenderebbero gioco di lei ...anche mio marito dice che dovrebbe imparare, ma chi si fida! E poi in quei giorni è come se si prendesse una vacanza e io e lei possiamo stare insieme".

La mamma è una donna giovane, casalinga, e nel colloquio racconta che Sandra è “la sua sola compagnia". La signora non ha amiche, non frequenta nessuno e in casa non vuole persone nuove di cui è meglio non fidarsi”; col marito “le cose sono difficili da quando è nata la bambina. Lui va a lavorare e quando rientra si chiude nello studio per fare le sue cose; qualche notte dorme sul divano del suo studio". Della figlia non se ne preoccupa perché è sicuro che la moglie provvede e “prevede” ogni desiderio di Sandra. Quando lei è sola in casa con Sandra “finalmente possono fare le cose che piacciono a loro: la “merendina", guardare la televisione, e tanti piccoli lavoretti". Non ha mai smesso “di fare il bagno a Sandra e le mestruazioni le ho spiegato che sono normali, .... di non preoccuparsi, ci pensa la mamma quando hai bisogno". La mamma mantiene un tono calmo, quasi serafico; è un po’ stupita dall’interesse delle insegnanti e “si domanda cosa ci sia di tanto strano nel volersi occupare di una bambina Down”, e sembra dovermi dimostrare la sua soddisfazione per la vita che conduce con la figlia. sollecitata a concedere maggiore autonomia alla figlia, ad aiutarla ad esprimere i desideri ed i bisogni, mi guarda con disappunto; è certo che ci vorrà del tempo ed un paziente lavoro con la mamma prima che riconosca di usare inconsapevolmente le scarse capacità di Sandra a suo vantaggio, per tenere a freno le sue paure, le sue insoddisfazioni; l’unica gratificazione che riceve è dalle cure che presta “alla sua bambina che non diventerà mai qualcuno . proprio come me!".

Michela ha 24 anni, secondogenita, vive in famiglia; il padre è impiegato in una grande industria, la mamma casalinga si occupa “a tempo pieno" di Michela trascurando “soprattutto il

9 I nomi e i riferimenti personali sono stati appositamente modificati nel rispetto della riservatezza e in conformità alla legge sulla Privacy (legge n. 196 del 30/06/2003).

marito, ma forse anche l’altra figlia" per aiutare “la più piccola in tutte quelle cose che è giusto impari per un futuro indipendente". Michela ha conseguito il diploma di licenza media e ha frequentato un corso di formazione al lavoro. Da circa 18 mesi frequenta un Centro diurno nell’attesa di trovare il lavoro tanto "sperato". Michela è piccola, snella, la sua gestualità e i movimenti sono molto aggraziati e la sua simpatia, la mimica del volto e la sua espressività un po’ plateale la rendono la “principessina" del Centro. Nel suo esibizionismo Michela non esclude mai l’altro. Nei colloqui con Michela gli argomenti di cui spontaneamente riferisce riguardano la sua partecipazione attiva alle attività del Centro, ma le piace soffermarsi e dilungarsi, in modo particolare, sui suoi “amori". Durante i suoi racconti, se distolgo lo sguardo da lei, anche per pochi secondi, Michela cerca di “riprendere" la mia attenzione con sorprendenti racconti di “grandi segreti e rivelazioni che non dirà mai a nessun altro". Da qualche tempo ha un “fidanzato ufficiale" che esibisce nel gruppo con gran disinvoltura. In famiglia Michela racconta i suoi innamoramenti e la mamma sembra divertita ed “eccitata" dalle “fantasie sentimentali" di Michela. Nei racconti spontanei riguardanti il “fidanzato", la ragazza alterna il tono dell’umore (depresso-euforico) ed è sempre presente una discontinua ma marcata confusione tra fantasia e realtà. Non perde occasione, con disegni, racconti e composizioni scritte, di mostrare la sua affannosa ricerca d’investimenti affettivi su un oggetto esterno. L'impossibilità di trovare un oggetto veramente disponibile lascia libera Michela di utilizzare tali risorse in storie e rapporti immaginari; la produzione fantastica, l’immaginazione, l’estroversione di base la portano ad un comportamento iperproduttivo che trova una parziale realizzazione nel suo esibizionismo anche di tipo sessuale.

In questo caso la sessualità esibita non rappresenta certo il vero bisogno10. Michela è alla ricerca affannosa di gratificazioni impossibili che le danno uno stato di tensione costante. Una persona che manifesta desideri di contatto, di esibizione, non sempre desidera un rapporto sessuale: è probabile che sia solo un desiderio di affetto, una voglia di essere riconosciuta. il bisogno deve perciò essere correttamente interpretato e decodificato prima di decidere come comportarsi. Ma non basta: una volta decodificato va favorita la soluzione “possibile” tenendo conto della realtà e dei rischi che una qualsiasi scelta implica.

Nicola ha 36 anni. Vive in una grande villa con il giardino che cura personalmente. Non ha fratelli, il padre, ingegnere meccanico “inventore estroso e genialoide", è morto da qualche anno e ha lasciato alla moglie e al figlio un ingente patrimonio. Nicola ha una buona autonomia, un’abilità manuale non comune e dedica gran parte del suo tempo a riordinare “tutte le cose di casa, a costruire le sue invenzioni nel laboratorio in tavernetta”. La mamma, medico

10 Non si vuole negare che esistano, se pur rari, casi in cui la “sessualità risulta patologica”.
In alcune persone con SD con grave o gravissima compromissione intellettiva, o con gravi scompensi, con psicosi d’innesto, possono presentarsi comportamenti sessuali “disfunzionali”, quali masturbazione ripetuta, quasi sempre senza eiaculazione, toccamenti e sfregamenti autolesionistici.
A questi comportamenti si accompagna normalmente un’aggressività non solo autodiretta ma sovente eterodiretta.
In tutti questi casi ci si dovrà rivolgere allo specialista (psichiatra) perché il problema venga trattato farmacologicamente con l’obiettivo di ridurre l’aggressività.

in pensione, si occupa “a 360 gradi della salute di Nicola, così simile al padre anche in certe ritualità e tratti personologici”. Nicola frequenta una palestra, pratica il nuoto, la domenica va in parrocchia, e, una volta la settimana esce con un gruppo di ragazzi disabili per andare in pizzeria o a ballare. Elegantissimo, ama fare il baciamano alle signore, e spesso quando viene in consultazione, sovente accompagnato dalla madre, porta un fiore “per la sua dottoressa”. I suoi movimenti molto aggraziati e la sua voce sono palesemente effeminati, ma nonostante le apparenze non sono mai stati osservati o riferiti manifestazioni o comportamenti omosessuali. Con i ragazzi disabili che frequenta occasionalmente ha un atteggiamento saccente e distaccato e nel medesimo tempo “pietistico e iperprotettivo”. Racconta di frequentare l’oratorio e di uscire col gruppo di disabili “per prestare aiuto ai ragazzi handicappati”. Le persone con SD che incontra li definisce “Giapponesi” e non ammette nessuna somiglianza con loro. Solo in apparenza estroverso, nei colloqui è “reticente” quando parla di sé. Nicola racconta di essersi sempre masturbato senza difficoltà ma che negli ultimi anni “non ha più tanta voglia e che la mamma è preoccupata per la sua salute”. Il dilemma della mamma è “portarlo dall’andrologo o come qualcuno suggerisce accompagnarlo da qualche prostituta ... pensandoci potrebbe anche venire a casa ...”.

Quale soluzione dovrà adottare Nicola? Nicola lo sa, lui “sta bene così, non ho più tanta voglia di quelle cose ... La mamma dice che mi devo mantenere efficiente ma io non riesco e mi arrabbio”. Anche in questo caso, il vero “bisogno” è quello della madre che, attraverso l’attività sessuale del figlio dimentica la disabilità, proietta su di lui il suo desiderio di “normalità”, contiene le sue ansie relative all’inesorabile passare del tempo, considera lo sfogo sessuale un ansiolitico naturale che “dovrebbe ridurre l’aggressività di Nicola come per qualsiasi uomo sano”.

Anna ha quasi 30 anni, vive in una cittadina di medie dimensioni dove si muove in piena autonomia in bicicletta e con i mezzi pubblici. Lavora dalle 9 alle 15 in una scuola per l’infanzia; il suo lavoro consiste nell’aiutare le maestre con i bambini “come un’assistente” dice orgogliosa, nell’apparecchiare e sparecchiare i tavoli della mensa e nel riordinare le aule. È contenta del lavoro e si è fatta un’amica tra le “colleghe”. Anna ha un “compagno” da 5 anni, un ragazzo “un po’ disabile ma non come me che ho la Sindrome di Down”, un uomo della sua stessa età che conosce da molti anni. Giovanni come lei lavora e insieme progettano una vita “a due” in un appartamento vicino ai genitori “così possono aiutarci, sai, per i conti”. Anna e Giovanni con l’appoggio delle loro famiglie e con l’aiuto dei servizi sociali e di un prete, si preparano alla nuova situazione frequentando alcuni corsi “sull’autonomia domestica” e nei fine settimana trascorrono il loro tempo in una comunità. Anna mi racconta che le piace fare l’amore con Giovanni e quando io le chiedo dove lo fa, e come, lei sorride e mi dice “Sì, non è proprio fare l’amore come si vede nei film, noi ci stendiamo sul letto e ci diamo tanti baci e tante carezze perché vogliamo sempre stare insieme. A noi piace così”. Loro parlano di matrimonio e di figli ma questa è una storia che non so se vedremo.

Per aiutare le persone disabili e le loro famiglie a trovare soluzioni differenti da quelle sino ad oggi adottate, nel rispetto al diritto di una vita “vissuta” in cui non sia negata la possibilità di esprimere bisogni e desideri, anche nel nostro Paese - sulla “falsariga” di esperienze già consolidate all’estero - da alcuni anni si stanno realizzando, tra dubbi, paure, resistenze, incertezze, difficoltà economiche, delle strutture (case-famiglia, comunità residenziali, alloggi etc.) che permettono alle persone con handicap una vita relativamente autonoma, lontano dai familiari, ove possano incontrarsi, parlare, fare amicizia, volersi bene, scegliersi. il cammino è lungo, ma solo pochi decenni fa, la possibilità di pensare ad un adulto con SD autonomo negli spostamenti, integrato nella società, inserito nel mondo del lavoro e libero di poter vivere tra “amici”, fuori da un istituto anche dopo la scomparsa dei genitori, era impossibile ed irrealizzabile. L’augurio che possiamo fare a tutte le Persone Disabili è che non passi troppo tempo per la realizzazione di questi progetti previsti anche dalla nostra Legge (Legge Quadro 104/92).

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Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Inquadramento clinico, chirurgico e riabilitativo della persona con sindrome di down
Umberto Ambrosetti - Valter Gualandri
VERSIONE EBOOKLa sindrome di Down è una patologia nota da tempo nei suoi aspetti morfologici, neuropsichiatrici ed organici. La presente raccolta di saggi, basati sull’attenta analisi della letteratura specialistica filtrata dall’esperienza diretta di ogni Autore, vuole essere una puntualizzazione per il Medico di base e per lo Specialista. Si è cercato di fornire uno strumento agile, ma completo e scientificamente aggiornato, per potere affrontare le varie patologie che non sono “speciali” perché colpiscono una persona Down, ma vanno inquadrate in una cornice particolare in quanto presenti in un soggetto con caratteristiche organiche e cliniche “particolari”. Questo testo non vuole essere uno strumento che induca ad una eccessiva medicalizzazione delle persone Down, le quali non debbono essere considerate “pazienti” ma individui soggetti a rischi clinici polimorfi, rischi che dobbiamo individuare e controllare, esercitando una medicina preventiva a tutti i livelli. Il lavoro, che ha visto impegnati un gran numero di esperti quotidianamente coinvolti nei vari ambiti specialistici per migliorare le condizioni di vita di queste donne e uomini vuole essere di aiuto nella comprensione e gestione delle manifestazioni di questo complesso quadro clinico provocato da una piccola quantità di DNA in eccesso sul cromosoma 21.