All’interno della cornice del cognitivismo, la metodica lo supera, proponendosi come sistema meta cognitivo che approccia l’atto mentale non dal punto di vista del prodotto della mente, ma come processo necessario per produrre o arrivare ad un obiettivo.
Il Metodo Feurestein pubblicato nel 1980, è frutto dell’elaborazione effettuata dall’autore nei vent’anni precedenti ed è tuttora sottoposto ad una revisione ed implementazione costante (1).
Feurestein pone alla base dell’intelligenza l’ottimismo e la straordinaria capacità dell’essere umano di modificarsi, di cambiare e, anche nelle situazioni di maggiore svantaggio, di poter trasformare il proprio potenziale intellettivo.
Questa teoria, infatti non a caso si chiama “Teoria della Modificabilità Strutturale Cognitiva“ in quanto l’intelligenza non è vista come qualcosa di statico, innato, immutabile, definito una volta per tutte, ma viene considerata come un continuum in divenire, dotato di flessibilità e in grado di modificarsi (2).
Feuerstein, allievo di Piaget e Rey, si accorse che il quoziente intellettivo, valutato tramite test quantitativi, non rispecchiava le capacità dei soggetti testati, in particolare in coloro che apparivano in svantaggio, ed avevano quoziente basso. il risultato delle prove spiegava solamente quello che i soggetti sapevano fare in situazione testate e da soli.
Alla luce del pensiero di Vygotskj, Feuerstein ipotizzò che la “zona di sviluppo prossimale cognitivo”, cioè l’ipotetica zona dove sono situate sia le capacità realmente esistenti accanto a quelle non ancora in grado di esprimersi “tout court”, fosse ben più ampia e che le capacità latenti avrebbero potuto realizzarsi prima se un altro essere umano, determinato ad aiutare il soggetto che deve apprendere, fosse intervenuto interponendosi tra lo stimolo e l’individuo attraverso la mediazione.
Il metodo attua la teoria della “Modificabilità strutturale” e descrive l’interazione con il soggetto attraverso schemi di riferimento che riguardano: gli atti di mediazione, l’elenco delle funzioni cognitive carenti del soggetto, la carta cognitiva inerente il contenuto e la scelta del compito da sottoporre al soggetto.
Il mediatore non è un “maestro” o una figura gerarchicamente posta in posizione accademica o superiore, ma è chiunque, genitore, fratello, amico, determinato a realizzare e permettere il passaggio delle informazioni al soggetto con problemi.
Il mediatore, ovviamente, non si sostituisce al soggetto fornendogli la soluzione dei compiti proposti, ma lo accompagna nel processo di elaborazione e insght che la mente percorre per comprendere, definire, risolvere i problemi accanto alla presa di coscienza, nel limite del possibile, delle strategie eseguite, degli errori, della necessità di allargare il campo mentale o di essere più preciso, per raggiungere l’obiettivo richiesto.
La minuziosa analisi delle funzioni cognitive carenti, rilevabili nell’osservazione del soggetto che esegue le prove, permette al mediatore di accompagnare il mediato nel processo mentale che mette in atto, lo aiuta nella vicariazione fornendogli gli aiuti necessari realizzando la possibilità di trasferire la competenza, appresa in un compito specifico, in altri domini della sua esperienza: la casa, la scuola, l’amicizia, i fratelli, domini apparentemente lontani.
Nel corso degli anni Feuerstein e la sua équipe dell’Istituto ICELP (International Centre for the Enhancement of Learning Propensity) di Gerusalemme hanno elaborato due batterie di tests di tipo dinamico e qualitativo, una per la valutazione l’altra per l’intervento.
Test di valutazione LPAD (Learning Propensity Assessment Device):
• Basic indicato per la fascia d’età compresa entro gli 8 anni, è utilizzato per valutare la propensione all’apprendimento, indirizzare il lavoro di costruzione delle funzioni cognitive emergenti e delle abitudini cognitive necessarie all’apprendimento,
• Classic per la fascia d’età dagli 8 anni all’età adulta, è indicato per valutare e poi intervenire sulle funzioni e le abilità cognitive carenti.
Test per l’intervento IE (Instrumental Enrichment):
• Basic per costruire le abilità emergenti,
• Classic presenta la finalità di impostare abitudini di lavoro, aiutare la generalizzazione dei concetti appresi (3).
La valutazione LPDA rappresenta per il soggetto con SD il tentativo di modificare i campi critici dell’apprendimento in un tempo ristretto, come quello della prova, non produce un quadro stabile come quello dato dal quoziente d’intelligenza né l’inventario delle sue conoscenze ma fornisce, invece, i dati inerenti al suo potenziale, concernenti il genere, la quantità e la natura degli investimenti necessari al fine di produrre un livello di funzionamento cognitivo più elevato.
I risultati di questa valutazione aprono la possibilità di considerare ulteriori interventi a cui non si era pensato prima, infatti l’abitudine a considerare la lenta evoluzione del soggetto Down come un limite oggettivo restringe o limita le possibilità dopo una certa età.
I test utilizzati propongono informazioni verbali, figurative, numeriche, simboliche e grafiche, è possibile così osservare in quali e quanti modi il soggetto risponde dove incontra difficoltà.
Ogni prova è descritta nei tempi oggettivi, cioè misurabili, e soggettivi, cioè personali di quel soggetto. La quantità di tempo necessario per la risoluzione e l’elaborazione delle prove è variabile da soggetto a soggetto in funzione del: tipo di proposta, delle modalità di esecuzione e delle caratteristiche delle sue funzioni cognitive.
La modalità di somministrazione cerca di analizzare come il soggetto:
- funziona, nel senso di come risolve spontaneamente e autonomamente il compito proposto.
- si modifica, ascolta e ripete, dopo la fase di mediazione, mantenendo le strategie proposte dal mediatore.
- ritiene le strategie, le ricorda in una ripetizione della stessa prova a distanza di tempo.
Il processo è descritto da dati quantitativi e qualitativi che derivano dalla differenza tra le performance prima e dopo la fase di mediazione/apprendimento e sono già valutati come indice di cambiamento possibile.
La valutazione descrive i campi di propensione, debolezza e necessità accanto alla rilevazione della qualità del soggetto, la difficoltà a strutturare o risolvere compiti con modalità di presentazione diversa (grafica, verbale o figurativa), la necessità di trovare punti di riferimento esterni.
L’incapacità ad usare contemporaneamente più informazioni, la mancanza di un comportamento comparativo autonomo o del pensiero inferenziale, fino al blocco emotivo, che nel soggetto Down generalmente è conseguente alle difficoltà nell’ esposizione verbale, che necessita di un intervento continuo di modellamento, elaborazione, puntualizzazione lessicale e morfo-sintattica.
I ragazzi con SD dimostrano, durante la valutazione, grande attenzione e curiosità rispetto le azioni di mediazione specifiche e diverse per ogni test.
Queste azioni non sono una novità per il soggetto perché fanno parte anche delle consuete relazioni “insegnante - allievo, riabilitatore - paziente ”, la differenza è che il “mediatore cognitivo” le esplicita per il loro significato e per l’obiettivo a cui mirano, coinvolgendo il soggetto in modo più preciso verso la realtà.
II ragazzo è informato che, pur avendo eseguito sufficientemente bene la prova, può fare meglio seguendo “delle indicazioni”. Succede che il bambino commenti spontaneamente il risultato del suo lavoro con frasi del tipo: “non è bello, voglio provare ancora, non so come fare, questo è difficile”.
Il sostegno della mediazione permette, ad esempio, un allungamento nei tempi di lavoro dimostrando che, se motivato e sostenuto anche la persona Down ritenuta lenta può:
• mantenere a lungo l’interesse sull’argomento proposto,
• focalizzare l’attenzione agli elementi di un compito complesso e inusuale,
• eseguire il compito utilizzando modalità diverse,
• manifestare abilità anche dove non sembrava possibile,
• sforzarsi di ripetere per essere compreso.
L’interazione mediatore-mediato presuppone che il mediatore rimanga presente alla produzione del ragazzo, descrive e trascrive come e cosa fa, il suo interesse non è al prodotto finale ma al processo del soggetto, la sequenza del metodo test-insegnamento-re test, permette di identificare le componenti cognitive e comportamentali responsabili del successo o dell’insuccesso in una prova.
La natura, l’intensità e il numero degli interventi di mediazione indicano l’estensione e la qualità del cambiamento possibile, ma anche le condizioni che nella realtà ambientale e affettiva del soggetto ostacolano o potrebbero facilitare un funzionamento più elevato. Le performance non sono considerate né come limite né come pregiudizio, il fine è quello di innescare un feedback attraverso il quale il soggetto, compresa la strategia posa continuare a ripetere la prova auto-mediandosi per produrre, nel tempo, condizioni sistematiche d’apprendimento. Questo passaggio non avviene nelle valutazioni statiche, né nel rapporto riabilitativo, né in quello scolastico dove la verifica dei contenuti trasmessi è più usuale dell’osservazione del processo attraverso il quale il contenuto è recepito e rielaborato.
Il profilo LPDA descrive anche il repertorio delle operazioni mentali presenti nel soggetto: categorizzazione, pensiero analogico, induzione, generalizzazione, seriazione e pensiero inferenziale, non dimenticando l’influenza e l’interferenza dei fattori emotivi ed emozionali che possono complicare l’apprendimento.
Una persona Down è valutabile con parte di entrambe le batterie LPAD basic e classic indipendentemente dalla sua età, in relazione ai bisogni specifici e alle capacità esistenti.
Il comportamento cognitivo, come abbiamo già accennato, si analizza attraverso l’osservazione delle funzioni cognitive necessarie alla risoluzione di un compito nelle fasi di input, elaborazione e out put; i dati raccolti riguardano i bisogni pratici, come ad esempio, la necessità di migliorare la capacità di focalizzare l’attenzione, distinguere elementi rilevanti da quelli irrilevanti (in input), imparare a contenere una conversazione superflua e spesso egocentrica aumentare i concetti verbali e delle parole senza un riferimento concreto (in elaborazione), essere più preciso nella risoluzione di compiti (in out put) (4).
Gli atti di mediazione, se presentati correttamente, indicano come il comportamento possa cambiare con una ricaduta sulle risposte impulsive sia motorie che verbali, con una diminuzione della comunicazione egocentrica e delle risposte per tentativi ed errori (out put).
Il metodo Feurestein è proponibile ad una ampia popolazione con ritardo cognitivo di varia entità; non è possibile indicare strategie per problemi specifici perché, soprattutto nei soggetti sindromici ogni individuo ha un fenotipo specifico con caratteristiche e peculiarità di ritardo e/o abilità diverse.
I vari metodi, a differenza di quello di Feurestein, hanno modalità ripetitive di applicazione che rischiano, nelle patologie specifiche, di assumere un aspetto di rigidità a discapito della ricchezza dello stesso, rischiando di inficiarne l’applicazione.
L’esperienza indica che è consigliabile proporre questo metodo ad un piccolo gruppo, 2-4 soggetti, in modo da favorire il confronto e la cooperazione tra i partecipanti, lasciando il mediatore come interlocutore indiretto affichè sia più libero di osservare le dinamiche e realizzare gli atti di mediazione più opportuni.
II soggetto con SD è generalmente molto adesivo al comportamento dell’altro, questa caratteristica non gli permette di essere critico rispetto alle proposte e ai suoi stessi comportamenti.
Le pagine di lavoro del programma IE di arricchimento strumentale non vanno considerate come semplice eserciziario perché sono state concepite per un lavoro di organizzazione delle conoscenze molto più ampio; infatti non hanno contenuto scolastico ma lavorano attorno ad argomenti formativi dell’apprendimento, come l’organizzazione dello spazio, del tempo, di progressioni numeriche, di sagome colorate, di storie.
Alla fine degli esercizi, il mediatore induce il gruppo a riflettere su qualcosa che si è evidenziato durante la seduta: un tipo di errore, risultati diversi, particolarità delle proposte, per arrivare a formulare un “principio” e spostarlo poi in altri domini dell’esperienza del singolo soggetto.
Nei soggetti con ritardo cognitivo, questo passaggio è il risultato di un minuzioso lavoro di recupero dell’esperienza di tutti i giorni, attraverso un lungo percorso di tentativi ed esempi che per molto tempo viene indotto dal mediatore che propone il principio e gli esempi fino a quando il soggetto impara ad essere autonomo.
Esempi possono riguardare il principio della “necessità di controllare bene i dati prima di eseguire un compito”, questo può collegarsi attraverso dei “bridging” o “ponti” con le esperienze del soggetto presenti in molti momenti della giornata, in diverse attività: ad esempio a casa quando si devono riporre le posate dal cestello della lavastoviglie al cassetto del tavolo, a scuola quando si devono trascrivere le operazioni dalla linea alla colonna o quando si devono scrivere i compiti sul diario.
Conclusioni
La valutazione apre non solo la strada all’applicazione degli strumenti del metodo, ma anche alla possibilità di puntualizzazioni e riprese riabilitative, educative e psicologiche su aspetti non sempre considerati o spesso sottovalutati, in particolare gli aspetti affettivi e maturativi del soggetto, indicati da Feuerstein come l’altra faccia della medaglia, da un lato troviamo l’affettività dall’altro lo sviluppo cognitivo (5).
La mediazione ha una ricaduta sul miglioramento del comportamento, perché sostiene e interviene sul rinforzo del sentimento di competenza, la differenziazione psicologica tra il soggetto e il gruppo dei coetanei, la motivazione intrinseca al compito, la paura del fallimento, la tolleranza alle frustrazioni, rivalutando e incentivando la curiosità, la ricerca della novità, il riconoscimento dei micro cambiamenti e quindi la coscienza del proprio progresso.
Questi aspetti non evolvono in un cambiamento eclatante e miracolistico, ma in “micro abitudini” che si acquisiscono attraverso le pagine di lavoro del Programma di Arricchimento Strumentale: il cambiamento che si rileva nel tempo, può rilanciare anche un soggetto sindromico affinché sia “guardato” in modo diverso, per il modo con cui esegue i compiti e non per il risultato che raggiunge.
L’osservazione cambia il punto di vista di chi vive e lavora con il soggetto SD che non sarà considerato più come un bambino con problemi di memoria, ma con difficoltà di categorizzazione, non un bambino goffo, disordinato con difficoltà nell’organizzare e pianificare le procedure e nel gestire più fonti di informazioni, un soggetto suscettibile di cambiamento poiché un mediatore si è reso disponibile a aiutare lui, il suo contesto, la scuola, la famiglia (6).