Capitolo 17
NO e NO GRAZIE

N = NO

Eccoci alla lettera N, qui troviamo “il no”, anzi, “i no”. Saranno tantissimi in tutta la nostra vita ma possiamo dividerli in soli due tipi, intanto quelli che riceveremo e quelli che dovremo dare. Sì, perché si prendono e si danno, una specie di balletto tra lo yin e lo yang anche se molto meno spirituale. Comunque sia legati alla danza della vita, se così vogliamo chiamarla. Vediamo che tipi di “no” sono e come gestirli.


N = NO. I NO si dividono in due tipi, quelli a cui dobbiamo resistere, e quelli che dobbiamo imparare a dare. A quanti NO sei disposta/o a resistere per ottenere il SI che cerchi? Quante volte sei disposta/o a rialzarti quando un NO ti butta al tappeto? A quante cose sei disposta/o a dire NO per raggiungere la tua sponda, il tuo obiettivo? A quante cose sei disposta/o a dire NO per continuare a impegnarti nel tuo cammino? Quando dobbiamo dire di no? Semplice, tutte le volte che dire sì ci porterebbe lontano dai nostri obiettivi. Per questo motivo prima bisogna fissare bene l’obiettivo, deve essere misurabile perché dobbiamo sempre poter capire se quello che stiamo facendo ci allontana o ci avvicina, ci aiuta o ci frena nel nostro percorso. Vedi, il motivo principale per il quale è difficile dire di no è che non abbiamo chiaro né il nostro obiettivo, né tantomeno il nostro perché. Lo ripeto perché è un passaggio fondamentale: “il motivo principale per il quale abbiamo difficoltà a prendere decisioni nella vita è che non abbiamo un perché forte e chiaro, né tantomeno un obiettivo ben posto”. Ma una volta messo in chiaro il nostro perché profondo, e una volta definito il nostro obiettivo in linea col nostro perché, è molto semplice prendere decisioni difficili molto rapidamente. Basta semplicemente chiederci se cosa ci viene proposto è in linea o meno col nostro perché e col nostro obiettivo. Se ci sono più strade, basta analizzarle e vedere quale sia la più consona, la migliore per raggiungere il nostro obiettivo nel rispetto del nostro perché (esempio: se il nostro obiettivo è guadagnare X per comprare casa e ci propongono di fare una rapina in banca, potrebbe sembrare una soluzione al problema, un modo per raggiungere l’obiettivo. Se il nostro perché è un perché etico, questo ci fa scartare immediatamente l’opzione. Giusto? Dobbiamo dire molti SI per provare quando non siamo sicuri di cosa vogliamo veramente.

L’esperienza ci aiuterà pian piano a capire cosa vogliamo e cosa non vogliamo. Inizieremo a dare meno SI, ad essere più selettivi, perché sapremo anche cosa NON vogliamo, perché lo abbiamo provato e non fa per noi. Io ad esempio non dirò più SI a un lavoro fisso, nemmeno da Responsabile di Produzione che mi piaceva. Perché so cosa significa per me quel tipo di lavoro e quando ho provato la sensazione di libertà con la mia prima P. IVA, mi sono accorto che mi piace molto di più del lavoro da Responsabile di Produzione (è semplicemente la mia considerazione personale). Nonostante credessi fosse il lavoro della mia vita, e vi assicuro lo rifarei per qualche mese, per divertimento quasi, non è paragonabile a quello che ho provato da libero professionista prima e imprenditore poi. Il coaching è di gran lunga più “accesa” in me come passione, rispetto a quanto non lo fosse mai stata la produzione. Attenzione, per me in molti momenti della mia attività sarebbe stato molto più semplice e sicuramente più remunerativo trovarmi un lavoro da Responsabile della produzione. Continuare con la mia P. IVA invece voleva dire incertezza economica, continuare a investire più di quello che stavo guadagnando “sperando” di invertire la tendenza. Significava guidare auto “stanche dai km” perché non potevo permettermene di più confortevoli. Eppure, il mio Perché di fondo era la libertà (il primo dei miei valori) e per come intendo io la libertà, la mia P. IVA mi permetteva di continuare a sognarla, e in parte già a godermela, molto più di quanto avrei potuto fare lavorando in un’azienda produttiva, seppur in un’ottima posizione e con un ottimo stipendio. Quindi NO alle proposte da Responsabile di Produzione. Sì ai sacrifici che erano più allineati col mio perché, col mio obiettivo di quegli anni (diventare padrone del mio tempo).

Perché arrivano i NO, da dove arrivano e come gestirli

Capire questo passaggio è di fondamentale importanza se vuoi raggiungere qualsiasi traguardo, qualsiasi obiettivo importante nella vita. Fai bene attenzione. Intanto perché ho appena scritto “obiettivo importante”? Perché obiettivi banali, semplici, facili molto probabilmente ti metteranno davanti a pochi “no”. Quando le cose sono facili va tutto liscio, o, meglio, quando va tutto liscio è perché le cose sono facili [fai attenzione a come ho rigirato il discorso, cambiando il senso di causa-effetto]. Un NO è una bocciatura, un NO è qualcuno che rifiuta di uscire con noi, un NO è non entrare alla facoltà dei nostri sogni, un NO è perdere una gara, un NO è il nostro partner che decide di lasciarci. Sono tutti episodi spiacevoli, assolutamente, e dobbiamo fare di tutto, prepararci al meglio per fare in modo che non accadano. Ma non si può pensare o pretendere che non arrivino nella nostra vita. Non succede a nessuno di avere una vita senza questo tipo di NO. E perché? Semplicemente perché oltre all’istinto di conservazione, oltre al paperino malefico che farà di tutto per evitarci questi no, abbiamo anche l’altro istinto, quello che ci spinge a migliorare a fare meglio, ad evolverci, è l’istinto che anima la tigre buona. Infatti riceviamo “no” quando vogliamo fare meglio di ieri, andare dove non siamo mai andati, fare qualcosa che non abbiamo ancora fatto, cercare cosa ci manca, diventare una persona che non siamo ancora. 


I no sono scalini da salire per arrivare su, dove vogliamo arrivare. Più sono forti questi no, più ci fanno male, più lo scalino è alto, tanto da sembrarci un muro di cui a volte non vediamo la fine. Bene, se da una parte lo scalino è difficile da salire, dall’altro, una volta saliti sopra, saremo ben più in alto di dove eravamo prima di partire. Ci sei? Se l’esame di calcolo numerico fosse stato una passeggiata, io non mi sarei mai immaginato di studiare a quei ritmi, con gli appunti riscritti su un taccuino tascabile, che leggevo e rileggevo anche mentre ero sul pullman per tornare a casa, a mezzanotte, dalla sala studio. Non avrei mai saputo di poter arrivare a studiare così tanto, così intensamente, così quasi ossessivamente. Qualcuno potrebbe dire che mi sarei laureato forse ben prima. Certo, ma al Claudio che è andato a lavorare, quando si è trattato di dover fare straordinari, quando ha dovuto interagire con colleghi che sembravano mettergli i bastoni tra le ruote, quando ha dovuto farsi carico di responsabilità sempre maggiori, quando ha dovuto chiudersi in ufficio giornate intere per finire in tempo il programma di produzione del mese… a quel Claudio sono tornati molto utili i sacrifici fatti per passare l’esame di calcolo numerico. Non è tanto quello che impariamo, ma chi diventiamo per imparare che ci servirà nella vita. Impariamo sempre di più dalle difficoltà. Se Quel lavoro da neolaureato lo avesse fatto uno dei miei compagni che invece erano più bravi di me e che l’esame di calcolo lo avevano passato subito, a pieni voti, cosa pensi che sarebbe successo? Qualcuno sarebbe riuscito a preparare il programma di produzione senza intoppi, molto più velocemente di me, e qualcun altro invece si sarebbe trovato il primo NO, il primo muro, la prima difficoltà importante proprio al lavoro, con qualche anno di ritardo rispetto a quello che è successo a me. Ognuno trova le proprie sfide prima o poi. L’importante è reagire nel modo corretto. Io nel mio caso ho avuto l’aiuto della mia esperienza, a tirate “testate nei muri” quindi non ho patito molto, perché ero già abituato a quel tipo di difficoltà, a dover fare extra sforzi extra impegno. Perché avevo già “sofferto” prima. Qualcun altro avrà le difficoltà più avanti. L’importante è sempre e solo una cosa: come ci comportiamo di fronte alle difficoltà, davanti ai NO. 


Come ho già detto, statisticamente nella vita saranno più i no che i si. Chi non prenderà molti NO in un campo, magari li troverà in altre situazioni. Non perché “dobbiamo soffrire”, mi raccomando, non fraintendetemi, ma perché, come dicevo prima, abbiamo l’istino a fare meglio, la spinta a migliorarci, la tigre che parla. Più ascoltiamo la tigre, più ci andiamo a cercare le “difficoltà”, più ci spingiamo oltre ciò che conosciamo. E questo è veramente un bene, non solo per noi ma per tutta la società in cui viviamo. Pensate che noia sarebbe se nessuno si spingesse fuori dal proprio “nido”, dal proprio guscio. Continueremmo a fare le cose come le facevano i nostri nonni perché funzionava comunque, o forse come i nostri bisnonni… funzionava anche così … per non parlare di come vivevamo i trisnonni e così via. Ci siamo capiti? Invece qualche trisnonno non si è accontentato, qualche bisnonno ha fatto lo stesso e così siamo ai giorni d’oggi in cui tutto ciò che abbiamo, tra comodità e comfort, arriva da qualcuno che ha deciso di eliminare un disagio, migliorare qualcosa, creare qualcosa che non c’era e così via. Tutti coloro che hanno portato un miglioramento, nella propria vita e in quella degli altri, hanno dovuto affrontare delle difficoltà, hanno affrontato ostacoli, ricevuto tanti No, e non si sono arresi. Hanno continuato fino a raggiungere i propri obiettivi. Per dirla in termini “pontistici” hanno costruito ponti con i sassi che gli altri gli hanno tirato addosso, e oggi di molti di quei ponti ci serviamo ancora, molti di quei ponti ci rendono più semplice la vita. 


Detto questo, spero di averti convinta convinto che i “no” fanno parte del gioco, e più il gioco si fa interessante, più la posta in gioco è grande, più i “no” saranno pesanti e frequenti. Qualcuno potrebbe pensare che io parlo perché ormai sono parecchi anni che non ne prendo (vista la mia barba imbiancata mentre mi avvicino al mio primo mezzo secolo di vita). Invece non è così. Ho alzato l’asticella ed eccoli spuntare ancora più numerosi di prima. Nell’ultimo anno sono stati oltre 200. Di che “no” sto parlando? Di quelli che ho ricevuto da università italiane (98 sull’elenco MIUR) e licei liguri (oltre 100), più svariati istituti contattati tramite conoscenti e amici, per lo più genitori di ragazzi che ho in coaching. Quindi? Sono scarso? Sono un fallito? Sto andando nella direzione sbagliata? Ricorda la definizione di Nelson Mandela “vincitore è semplicemente un sognatore che non si è ancora arreso”. La posta in gioco per il mio progetto con scuole e università è molto più alta del mio ego (che già non scherza :-)), che ogni tanto si infastidisce a prendere no a raffica. Cambio (lo sto già facendo) strategia, cambio tecnica, cambio approccio, cambio traiettoria [come spiego nel capitolo sulla traiettoria appunto] ma non mi sogno nemmeno lontanamente di cambiare obiettivo. L’obiettivo è chiarissimo: impattare positivamente il maggior numero di studenti possibile. 20.000 entro il 2024 (obiettivo SMART 2). Non ci sono burocrazie scolastiche o costi in ads che possano fermarmi. Possono solo rallentarmi e mettermi alla prova. Sono pronto. E se non sono pronto, mi fermo, mi preparo meglio e riparto. Nel frattempo stanno arrivando i primi si, mentre ti scrivo, ho già in programma le prime collaborazioni in Italia, mentre in Rep.Ceca ho appuntamenti regolari nelle scuole superiori e sto lavorando per averne anche nelle Università. Come ho fatto a resistere a così tanti no? Ho applicato quello che sto insegnando a te: "ogni no è un passo verso il successo, ogni no mi dice che sto cercando di uscire dalla mia zona di comfort, ogni no è la dimostrazione che c’è qualcosa da cambiare. "

Poi, importantissimo, una regola fondamentale, la regola delle regole per affrontare i NO: non sono mai personali, come i voti. Un preside che risponde che non è interessato al mio progetto non significa che c’è qualcosa di sbagliato in me. E nemmeno che c’è qualcosa di sbagliato in lui (anche se, a dire il vero, ogni tanto l’ho pensato). Probabilmente ha altre priorità, altre urgenze, probabilmente non ho trasmesso abbastanza chiaramente il mio progetto, probabilmente l’ho contattato nel modo sbagliato, nel momento sbagliato, con il messaggio sbagliato. Vedi? Mi sto prendendo la “colpa”, e quindi la responsabilità. Cambio, modifico, miglioro. Non penso mai che ci sia qualcosa di sbagliato in me, come persona. Può esserci e ci sarà sempre qualcosa da migliorare, ma mai qualcosa di sbagliato. La mia autostima rimane alta, altrimenti non arriverei nemmeno a venti “no”, e non raggiungerei mai nessun obiettivo. Altro che duecento rifiuti e più di un anno di lavoro. 


Non è sempre stato così, ovviamente. I no mi facevano sempre male e li prendevo tutti sul personale. Ricordo ancora una ragazzina che ha rifiutato di ballare con me. Avrò avuto forse tredici o quattordici anni. Avrei voluto comprarmi un sacchetto e mettermelo in testa per non farmi più vedere da nessuno, brutto com’ero … altro che rinchiocciolirmi! Il mio paperino bastardo era un mostro nero enorme che faceva ombra ad ogni mio passo. Per molte cose non temevo niente, come ad esempio durante le gare in bici. Per altre, come per il rapporto con l’altro sesso, ero il campione mondiale dei rinchiocciolamenti. 

Quindi tornando a noi, i NO che prendiamo dobbiamo semplicemente vederli per quello che sono e gestirli. Sono passi verso i nostri obiettivi, ci dicono che dobbiamo ancora migliorare qualcosa. 

Ti bocciano di analisi? Significa che devi studiare di più, o meglio, oppure che devi arrivare più riposato e tranquillo all’esame. Devi capire cosa è andato storto, perché, e migliorare per la prossima volta. Mai pensare che non sei in grado, non sei portata/o, non sei capace. 

“ma gli altri lo hanno passato al primo appello” e quindi? Chi se ne frega? Cosa ne sai di quanto hanno studiato, da che preparazione arrivano, che QI hanno? Quanto erano concentrati, rilassati e riposati durante l’appello? Ognuno ha il suo percorso, i propri talenti, i propri trascorsi e può anche capitare che qualcuno fatichi di più, in alcune materie, in alcune situazioni, rispetto ad altri. E allora? Dovrebbero insegnarci già da piccoli a confrontarci con gli altri in modo sano, sanamente competitivo, senza invidie e gelosie catastrofiche. L’importante sei tu e la tua autostima, concentrati su queste due cose, che sono le uniche sotto il tuo controllo. Gli altri osservali, ammirali quando sono da ammirare, impara da loro quando ha senso e basta. 


Lo so, ho sentito anche io dire che se non ti laurei col massimo dei voti avrai problemi a trovare lavoro (o peggio). Fidati, non è vero. Il voto di laurea è solo una delle cose che ti serviranno per trovare il lavoro dei tuoi sogni, e non sarà mai la cosa più importante. A fine libro troverai un capitolo bonus sul come usare il metodo PONTE per trovare lavoro. Per ora fidati. 

Per concludere su questi NO che riceviamo, non dobbiamo MAI prenderli sul personale, e dobbiamo semplicemente capire quale lezione ci stanno insegnando, cosa vogliono dirci. Che abbiamo studiato poco? Che non abbiamo studiato tutto? Che siamo troppo nervosi? Troppo stanchi? Che stiamo pensando a problemi personali durante l’esame e non leggiamo il testo? Il voto può dirci molte cose. Dobbiamo capire cosa e comportarci di conseguenza. Studiare di più o meglio, rilassarci prima dell’esame, non arrivarci assonnati o nervosi. 


Qualcuno potrebbe dirmi “di questo esame non mi interessa niente, non mi servirà mai a niente nella vita”. L’ho sentito dire centinaia se non migliaia di volte. Qualche volta l’ho detto sicuramente anche io. Ma qui arriva il punto: credi veramente che esista un lavoro in cui non dovrai fare niente che non ti piaccia, niente in cui non vedi utilità? Niente che vorresti delegare molto velocemente? 

Diciamo pure che questo tipo di lavoro sia il top a cui puntiamo, un lavoro appunto in cui ci piace tutto ciò che dobbiamo fare, va bene, ma per arrivare a quel livello non c’è altro modo che facendo ANCHE cose che non sono proprio il massimo della vita. Eppure vanno fatte, e vanno fatte da noi in prima persona. Prendi questa materia di cui non vedi utilità (ammesso e non concesso che proprio non ne abbia) e vedila semplicemente come una sfida, un allenamento alla tua capacità di adattarti e risolvere problemi difficili. Invece di brontolare, pensa che una volta passato potrai dedicarti alle materie che ti piacciono veramente. … come non ci sono materie che ti piacciono??... non è che hai sbagliato facoltà? … ah scherzavi. Ok bene, perché a questo punto avrai capito che devi studiare cosa ti piace, ti ispira e ti da gioia. Poi potrà essere difficile, ma almeno deve piacerti. 

Tutto chiaro sui no? Sono naturali, non sono personali, e sono sempre delle lezioni. Più sono importanti gli obiettivi, più sono difficili da raggiungere, più no ci aspettano sul nostro cammino. Soprattutto, più grande sarà la ricompensa. Adesso veniamo al secondo tipo di NO, i NO che dobbiamo dare noi, e facciamo subito un po’ di chiarezza, quando dire si e quando dire no.

Quando SI e quando NO

Quindi, quando dobbiamo dire di no? Una volta deciso cosa vogliamo fare, una volta definito nei dettagli il nostro obiettivo, tutto quello che ci distoglie si merita di ricevere un NO. Allora niente sport, niente sesso e niente Rock&Roll? Non esageriamo, quello sarebbe sicuramente più controproducente che mai. Soprattutto il no al sesso, per il gentil sesso non sono idoneo a parlarne, ma ti assicuro che a noi maschietti poi fa male sul serio non farne. E pensare che cinquant’anni fa consigliavano l’astinenza agli sportivi... Però ci vuole una regola. Vedrai al prossimo capitolo che una volta programmato tutto, ci sarà spazio anche per lo svago, lo sport e tutte le altre S che vuoi. Sempre a tempo debito. Esempio: sto preparando un esame e ho previsto, per questa settimana, di uscire sabato sera. Mi chiamano gli amici e mi chiedono di uscire venerdì: o dico “NO, grazie”, o dico di sì e dirò NO sabato. Semplice. Si chiama AUTODISCIPLINA. Dobbiamo darcela da soli. Si chiama AUTO non perché c’entri qualcosa con le macchine, ma perché riguarda NOI. Perché? Perché a nessun altro interesserà così tanto né dei tuoi successi né dei tuoi fallimenti. Neanche a me, il tuo coach personale interessa così tanto dei tuoi risultati o fallimenti. Ho abbastanza da pensare ai miei, ti assicuro. Cosa voglio dire? Voglio dire che faccio e farò di tutto per aiutarti, per spiegarti come si fanno le flessioni in modo corretto per farne meno e migliorare più velocemente, che dieta devi fare, perché devi farla così e non cosà. Ti motivo, ti aiuto nei momenti di difficoltà, celebro con te le tue vittorie, ti aiuto a rialzarti dalle tue cadute. Ma chi alzerà la coppa sarai tu, e chi sbatterà il culo per terra sarai sempre tu. Quindi, chi deve scegliere cosa fare se non tu? 


Ci tengo ad andare più a fondo alla questione, perché altrimenti vengo frainteso. Perché noi coach, e tu se deciderai di diventare un coach, un insegnante, un trainer, un genitore non dovrai prendertela “troppo” per i risultati dei tuoi cochee o dei tuoi figli? Perché altrimenti vorrebbe dire vivere le loro vite, le loro angosce, le loro vittorie. E non è sano. Non va bene, nemmeno se sono i tuoi figli. È la loro vita, non la tua. Devi fare del tuo meglio per aiutarli? Per spiegargli cosa fare, cosa non fare, e perché? Sì. Dare l’esempio? Certo che sì (altrimenti non ti considerano e si fanno consigliare dal primo YouTuber che non gli rompe le scatole). Poi devi dargli la libertà di crescere a modo loro. Libero arbitrio. Se cambiamo ancora la prospettiva e torniamo alla nostra da figli, ecco che abbiamo il diritto di sbagliare con le nostre teste, e anche il diritto di diventare chi NOI vogliamo diventare. Soprattutto, non dobbiamo nasconderci dietro i nostri genitori con teorie del tipo “mio padre ha un caratteraccio quindi sono così anche io” (Ciao pa’... tranquillo, lo so che non è colpa tua se sono un po’ nevrastenico. Ti voglio bene! E sei un po’ nevrastenico. Io sto migliorando giorno dopo giorno, anno dopo anno, non credi? Se vuoi sapere come ho fatto, ti spiego più che volentieri!) (Scusa ma non ho saputo resistere, voglio vedere se mio padre leggerà mai questo libro, o forse quanto ci metterà a leggerlo :-) ) 

Quindi è chiaro il concetto? Credevi che il capitolo fosse finito con il mio dialogo “one way” con mio padre (“pa’” significa papà, nel mio dialetto pignasco) invece, ecco tre paragrafi: - i Fundamental NO: ti insegno a riconoscere le situazioni in cui dobbiamo dire no, e come fare per gestire i momenti di dubbio/incertezza che ti possono venire in questi frangenti. Buona lettura e buoni “no”!

NO alle DISTRAZIONI Valori e obiettivi chiari

Per essere in grado di dire No alle distrazioni dobbiamo intanto fare un po’ di chiarezza su cosa intendiamo per distrazioni, e quando sarà o non sarà il caso di evitarle. Partiamo dal presupposto che una distrazione è un modo per rallentare la velocità dei nostri neuroni, per rilassarci e recuperare energie. Fin qui sembra tutto bello. Il problema arriva quando si esagera, come al solito, e con le distrazioni basta un attimo per cadere in un loop perditempo e “ciuccia energie”. Sì, perché se è vero che una distrazione dovrebbe aiutarci a ricaricare le pile, è anche vero che se la distrazione non è “ecologica” rischia di prenderci più energie di quelle che ci da. Esempio subito: fare una passeggiata mi ricarica. Fare una maratona mi scoppia. Leggere due post su fb mi distrae, rimanerci mezz’ora a farmi i fattacci di persone che nemmeno conosco mi prosciuga. Mi ruba tempo e porta la mia mente a pensare alle vite degli altri, non alla mia. Se questo va bene quando consideriamo le vite dei nostri idoli, va molto meno bene (catastrofe, direi) quando cerchiamo di vivere le vite degli altri e criticare cosa fanno. Lo so, tu non lo fai. Ma tanto per essere chiari: chissenefrega di cosa ha mangiato ieri o che aperitivo ha bevuto o dov’era ieri il tuo compagno di banco del liceo? Ahah ti sento: lo fai per rimanere connesso. Sì? E quante volte lo hai chiamato il tuo compagno di banco? Quand’è l’ultima volta che lo hai visto, che ci hai preso un caffè e fatto quattro chiacchiere come fanno le vecchie amiche, i vecchi amici? Però ti tieni informata/o su dove va, cosa mangia, cosa beve. Bene, per conoscerlo meglio. E mentre sei lì a passare dagli aperitivi di un compagno di banco, ai viaggi di un’amica, ai gatti di quell’altra... se n’è volata mezz’ora e nemmeno te ne sei resa/o conto. Cosa avresti potuto fare in quella mezz’ora? Se non altro pensare a te stessa/o. Fare due passi, sgombrare la mente da pensieri inutili, respirare, leggere 10 pagine di un libro, ascoltare buona musica che ti carica o rilassa (in base a come ti senti e come vuoi sentirti). So di essere molto drastico su questo argomento e a qualcuno posso sembrare esagerato. Ma ti invito a pensare a questi pochi numeri: mezz’ora al giorno sono 3,5 ore a settimana, 14 al mese, 168 all’anno. L’equivalente di ventun giorni lavorativi a 8 ore al giorno. VENTUN GIORNI. 


Non vorrai mica dirmi che non c’è niente che vorresti fare e che rimandi, o che non hai mai tempo di fare, che sarebbe meglio fare rispetto al controllare continuamente il telefono a vedere chi scrive cosa sui social? Qui, chi vuole vedere complotti, si può sbizzarrire. Io vedo solo la debolezza umana sfruttata per scopi commerciali, comunque sia funziona così: i cellulari sono progettati per renderci “addicted” dipendenti, i social sono progettati per renderci “addicted”, le notifiche di qualsiasi sciocchezza ci rendono “addicted”. E mentre ci prendono la nostra attenzione e il nostro tempo, ci condizionano e controllano. Sì, anche i post inutili che vediamo tutti i giorni ci controllano, perché ci impediscono di interessarci di cose più importanti: primo su tutti il nostro futuro. Ti ho sentito: i notiziari e Ansa24 mi rendono informato su cosa succede nel mondo, non è una perdita di tempo. Ah, sicuro? Quante volte devi sapere che c’è la guerra in Ucraina? Cambia qualcosa, sul serio, tra cosa dice il tg delle 8 e quello delle 20? Sì? Così tanto da dedicargli un’ora al giorno del tuo tempo? Tutti i giorni? Fai un po’ di conti. Con la mia calcolatrice fanno 45,6 giorni lavorativi all’anno. Inizi a capire di cosa sto parlando? Sto parlando di un immenso potenziale che abbiamo, per fare quello che vogliamo, che invece ci viene “preso” da notifiche, post, stories che non ci servono (sicuramente non in queste quantità e non senza filtri) e fanno più danni che altro. Filtri, che filtri? Beh, almeno decidere consapevolmente che tipo di news avere, che tipo di contenuti vedere sulle nostre pagine social. Certo, l’ideale sarebbe non seguire (non “followeggiare”) nessuno che dice cose inutili... ovviamente vale anche il contrario. Prima di postare pubblicamente (in privato metto cosa voglio ovviamente) un post dovrei chiedermi: interessa a qualcuno? Veramente? Credo che possa essere utile? Ok, lo posto. Altrimenti non perdo tempo. Un conto è qualche secondo a mettere una foto, un conto è tornare a controllare quanti like ho ricevuto, ogni dieci minuti. Lo metto privato, lo vedo solo io, mi rimane come ricordo. Fine. Nei ventun o quarantacinque giorni che risparmio posso fare veramente tante cose. Ti ho sentito, tu lo fai mentre mangi e mentre espelli… e quindi? Vedere cose che hanno più senso per te non puoi? Che ne diresti di ascoltare un podcast su un argomento che scegli tu, che decidi tu, che interessa a te per i tuoi obiettivi? 


SFIDA: chi ha voglia di giocare con i numeri, può trovare l’errore nei miei calcoli qui sopra. I primi 10 che mi mandano errore e soluzione, avranno una laser coaching gratuita con me. Tranquilli, non serve una laurea in matematica. Siete tutti in grado.

NO alla Shiny object Syndrome

Nel gergo della crescita personale e del business si chiama “shiny object syndrome” la sindrome degli oggetti luccicanti, letteralmente tradotto. È la mania che abbiamo quando ci lasciamo abbagliare da ogni oggetto luccicante, ogni possibile business, ogni possibile gallina dalle uova d’oro, da ogni sirena tentatrice. Come funziona, che effetti collaterali ha e, soprattutto, come evitare che ci colpisca? Intanto per comodità la chiameremo la sindrome degli oggetti luccicanti. Questa ci colpisce quando continuiamo a spostare la nostra attenzione da quello che stiamo facendo (come lavoro/business, percorsi di studi) a qualcos’altro che cattura la nostra attenzione perché sembra più promettente, più luccicante, più veloce, più redditizio, più facile ecc. ecc. Per farti capire meglio come funziona farò l’esempio delle diete. Intanto c’è da precisare che questa sindrome è pericolosa sia quando l’oggetto luccicante è un vero diamante, sia (soprattutto) quando questo oggetto è un diamante falso. Nel primo caso perderemo le nostre energie, le disperderemo senza risultati. Nel secondo caso, in cui l’oggetto luccicante è anche un falso, perderemo molto di più. Perderemo anche i nostri soldi. Lo so per esperienza personale. Ho imparato da entrambe le situazioni. Approfondirò questo argomento nel capitolo Fatine / Sirene / corvi neri. Se stai valutando opportunità e non ci vedi chiaro, dopo questo capitolo ti consiglio di andarti a leggere proprio Fatine / Sirene / corvi neri. Poi potrai tornare a riprendere dal prossimo. Intanto questo devi leggerlo subito.

Diete

DIETE: Inizio una dieta che mi promette di farmi perdere peso gradualmente e in modo definitivo. Inizio la dieta che non comporta troppi sacrifici, inizio a fare gli esercizi che accompagnano la dieta e inizio a perdere qualche grammo. Sono anche abbastanza contento perché ho notato almeno un primo micro risultato. Bene, a questo punto ne parlo a un amico che, invece di complimentarsi con me, mi dice che sto perdendo tempo perché ha sentito di una dieta che invece promette risultati molto più importanti in molto meno tempo. Allora mi informo, scopro che effettivamente questa dieta promette risultati migliori in meno tempo e decido così di lasciar perdere la dieta che stavo facendo, e mi butto con entusiasmo nella prossima dieta. Tutto bene, forse hai già capito dove andrò a parare, tutto bene finché non incontro un altro amico, o non “incappo” in un a ads su facebook che parla degli Spartani, e del metodo che aiuta a bruciare grassi e avere un fisico in forma in sessanta giorni senza cardio (senza esercizi aerobici del tipo corsa, passeggiate, camminate veloci, bicicletta)! Allora senza neanche pensarci un attimo parto con il sistema degli Spartani. Ovviamente finché non sento un’altra ADS di un fitness coach che mi avverte dei pericoli nei quali posso incorrere facendo esercizi nel modo scorretto, senza un coach che mi controlla e verifica che ogni mio movimento sia fatto nel modo giusto... Accidenti! Allora mi serve un coach! Vado in paranoia e continuo a saltare da una dieta all’altra, da un metodo all’altro, a fidarmi di nuove promesse di nuovi guru. Il punto qual è? Il punto è semplice: tutte queste diete funzionano (Delle diete che non funzionano ne parliamo nel capitolo delle Trappple / Sirene tentatrici, ora concentriamoci su quelle che funzionano). Dobbiamo semplicemente sceglierne una e seguirla. Punto. Se invece continuiamo a saltare da una all’altra, poi diventeremo un cliente scontento, perché questa mi aveva promesso di perdere 5 kg in sei mesi, ma non era la migliore perché ch’è chi mi promette di farmene perdere sei in un mese ecc. ecc. E ho capito! 


Consiglio n°1: informati, n°2: scegli quella che sembra la più adatta al tuo stile di vita, alle tue esigenze, e n3: poi di’ NO GRAZIE a tutto il resto! Altrimenti finirai col non impegnarti mai abbastanza con nessuna di queste diete. Spero di aver reso l’idea... dimenticavo, poi segui quella che hai scelto (lo so, sembra banale ma ogni tanto qualcuno poi si dimentica di mettere in pratica ☺

Ragioni della shiny object Syndrome

Prima di dirti come evitare di cadere in questo vortice infinito di cambiamenti, devo spiegarti da dove nasce questa sindrome: nasce dal non avere le idee chiare su cosa si vuole fare e sul perché si vuole farlo. Infatti, nel mio caso per esempio, io facevo l’agente semplicemente per guadagnarmi da vivere senza dover avere un capo. Quindi, dal momento che non mi legava niente di niente ai prodotti che vendevo, per me vendere termoidraulica o vendere sanitari era lo stesso di vendere letame (concimi) o pellet da riscaldamento, ed era lo stesso poi vendere frutta, energy drink, pubblicità, registratori di cassa e chi più ne ha più ne metta! Tutto quello che mi sembrava più veloce da vendere, con commissioni maggiori, attirava subito la mia attenzione. Ero preda facile per tutti i responsabili export che mi ammaliavano con mille promesse (quasi mai mantenute) di ingenti guadagni futuri molto facili, molto vicini, ecc. ecc. ecc. sempre più luccicanti. Il problema era che non avevo capito cosa volesse dire diversificare. Si diversifica quando, partito un business e reso autonomo (indipendente dal nostro impegno e lavoro costante), ne facciamo partire un secondo e poi un terzo, rimanendo alla fine con il business A, il B e il C. Quello ha un senso, ma se per far partire B uccido A, allora questo non è diversificare, questo è semplicemente cambiare. Ti sento, ti stai chiedendo cosa c’entri con lo studio e il prendersi una laurea. Ecco la risposta: il ponte che ti porta a diventare il professionista che desideri diventare è come il ponte che ti porta a finire la dieta A, o a far decollare il business B. Se non pianti solide basi, se non dedichi il tempo necessario a definire il tuo perché, sarai preso da mille dubbi, da mille ripensamenti, rischi di iniziare un corso di laurea facendo l’occhiolino a un secondo, per poi smettere e iniziarne un terzo. Un conto è avere due lauree. Un conto e averne una e metterci il doppio del tempo perché se ne sono “provate” altre. Anche qui: non significa non cambiare facoltà. Solo gli “abelinati” (scusate il ligurismo, significa rintronati) continuano quando sono ormai sicuri che era la scelta sbagliata. Fermati, rifletti, se hai fatto la scelta che si è rivelata sbagliata, CAMBIA. Ma NON dietro a oggetti luccicanti. Non dietro a “lauree più facili”, non dietro a scorciatoie varie. NON PAGANO. Chiaro? Se il tuo caso è più complesso, fatti aiutare da chi ha successo in quello che fai o che vuoi fare, ascolta più campane diverse e decidi.

Alla ricerca dell'oro nero

Per essere sicuro di passarti il concetto, pensa a un cercatore di petrolio che inizia a scavare il proprio pozzo. Scava scava e niente, solo terra. Riscava e riscava e niente. Poi a un certo punto vede in lontananza un pozzo che sembra estrarre petrolio. Allora sposta tutto il suo macchinario più vicino possibile al pozzo che estrae (al business che funziona, alla dieta che funziona, alla facoltà di moda ecc). Riparte a scavare, scava, scava, questa volta è sicuro che funzionerà, perché li vicino c’è chi estrae. Bene. Scava, scava, scava, scava, e niente, solo terra. Inizia a dubitare della propria abilità, della propria attrezzatura, forse il posto è vicino ma non abbastanza vicino. Eppure l’attrezzatura è nuova, professionale, aveva fatto tutti i calcoli per scavare proprio lì... ma forse qualcosa è sbagliato, o qualche calcolo, o l’attrezzatura non è il massimo per quel tipo di terreno... dubita di tutto. Così vede che c’è un altro pozzo che sta estraendo e quel pozzo, ci potrebbe giurare, lo ha visto iniziare poco tempo fa. Magari invece il pozzo al quale si è avvicinato adesso è lì da un secolo a scavare. Ok, riparte ancora da zero vicino al pozzo “veloce”. E scava, e scava, e scava, e scava... hai capito? Non lo trova nemmeno questa volta, perché il pozzo “veloce” probabilmente ha decenni di esperienza, attrezzatura migliora, tecniche più veloci, radar sonar strumenti che lui non sa nemmeno che esistano, che gli hanno permesso di trovare il posto più veloce in assoluto. Potrebbe anche aver avuto fortuna, ma probabilmente ha fatto cosi tanti scavi, e cosi profondi, da aver affinato la tecnica. Se il nostro cercatore d’oro nero avesse insistito nel primo posto dove ha iniziato a scavare, a questo punto avrebbe un pozzo profondo il triplo. Invece ha scavato 50 metri nel primo posto, poi 60 nel secondo, adesso è a 40 nel terzo posto. Avesse continuato nel primo, sarebbe già a ben più di 150 metri di profondità (avrebbe risparmiato il tempo di spostare le attrezzature, risistemarle, ripartire da zero, quindi avrebbe scavato di più). E avrebbe trovato il petrolio. Perché? Perché – se ha scelto bene all’inizio – c’è petrolio. È semplicemente più in profondità di cosa credeva. 


Quindi, una volta che decidi di scavare il tuo pozzo, costruire il tuo ponte, iniziare il tuo business, iniziare la tua dieta, imparare una lingua straniera, un’arte marziale, qualsiasi cosa: pianifica, parti dal perché vuoi proprio quello, e poi inizia a scavare come se non ci fosse un domani, poi concentrati sul tuo pozzo, sul tuo ponte, non su quello degli altri. Perché non puoi mai sapere da quanto tempo stanno scavando, quanti metri scavano gli altri con che tecnologie ecc. Ha senso andare a chiedere consigli, questo sì, magari scopri che hanno trivelle più veloci, motori più potenti del tuo, qualcosa che puoi migliorare (metodi di studio migliori, lettura veloce, altri libri di testo). Ma continua a scavare il tuo pozzo. Vedi, un esempio: se adesso iniziassi da zero a fare l’agente di commercio, con qualsiasi azienda, in qualsiasi mercato, so di poter diventare molto produttivo in brevissimo tempo. Qualcuno potrebbe dire: ha proprio culo. Qualcuno potrebbe dire: è proprio bravo. Qualcuno un mix. ma se solo mi chiedessero come faccio, scoprirebbero il vero motivo: ho fatto questo lavoro per 15 anni, in tanti mercati diversi, ho letto decine di libri sulla vendita, ho fatto decine di corsi sulla comunicazione, sul marketing, sul digital marketing. Tutto questo mi permette di essere veloce e bravo. Non la fortuna, non il mercato nuovo. La mia bravura è data dall’esperienza. Ho commesso così tanti errori che so già molte delle cose che non funzionano e perché. Infatti, non venderò niente in cui non credo (per esempio che non sia un mio corso, un mio libro, un mio percorso di coaching). Perché? Perché questa è la mia missione. È cosi che ho deciso di guadagnarmi da vivere, aiutando gli altri (aiutando te, studentessa, studente) a non commettere gli errori che ho fatto io. Sono cascato così tante volte nella sindrome del pirla che ho perso il conto. Sempre perché non mi sono mai chiesto: “Ma tu, Claudio, cosa vuoi fare veramente da grande? Cosa ti rende felice? Cosa ti fa sentire realizzato?” Ora, da quando me lo sono chiesto, c’è solo un piano A. C’è solo un posto dove scavare, c’è solo una dieta adatta alle mie esigenze. C’è solo un business. 


Altro esempio molto di moda: “Ma potresti guadagnare dalle Crypto!”, mi dice qualche amico. Bene, rispondo, ottima scelta. Io ho deciso di investire tutto il mio tempo, tutte le mie risorse economiche, tutte le mie energie nel MIO progetto. Coach Claudio. Tutto il resto mi distrarrebbe. Tempo ed energie sono assolutamente certo di non potermi permettere di sprecarne. Per cosa poi? Per guadagnare di più facendo meno? No, grazie. Se ti appassiona allora puoi (di quasi qualsiasi cosa) farne diventare il tuo lavoro. Altrimenti, nemmeno 10 minuti al giorno! Quei 10 minuti mi faccio una meditazione, o una passeggiata, o qualsiasi altra cosa sia direttamente funzionale alla mia missione. Perché poi diventano 10 per le azioni, 10 per le crypto, e prima che te ne renda conto stai dedicando le tue giornate a fare cose che non ti interessano, per rincorrere una ricchezza facile (che probabilmente non esiste) e che anche se la raggiungessi non ti entusiasmerebbe, perché non sarebbe quello che volevi fare, non è così che volevi passare le tue giornate. Non significa non investire mai, significa capire dove puntare le tue energie. Ma questo discorso lo rivedremo nel corso del libro.

Un NO, scudo potente

Quando siamo noi a dover usare il NO per difenderci, a volte il NO, Grazie non basta. In queste occasioni... 

A mali estremi, rimediamo con un dito.

Se ti chiedessi qual è il dito più importante della tua mano destra (o sinistra se sei mancino), qualcuno che ha studiato bene come funziona il corpo umano, e in questo caso la nostra mano, mi direbbe il pollice, giustamente. Perché? Perché si oppone a tutti gli altri quattro e ci dà la possibilità di bloccare, sostenere, afferrare gli oggetti. Per capire il come, prova semplicemente ad afferrare qualsiasi oggetto, guarda come sono disposte le dita e prova a immaginare cosa succederebbe se non ci fosse il pollice: l’oggetto il più delle volte cadrebbe, o comunque dovresti fare molta più fatica. Benissimo, adesso veniamo a usi meno fisici e più comunicativi. Il pollice rimane uno dei miei favoriti perché è in grado di farci dire, a gesti, “OK”. Un bel pollice alzato è indiscutibilmente segnale di “OK” in quasi tutte le parti del mondo. Bene, quando qualcosa poi non ci piace, possiamo girarlo verso il basso, il famoso “pollice verso” degli imperatori romani che condannavano a morte i malcapitati gladiatori. Quindi lo stesso dito per OK e KO. Visto che siamo nel capitolo del “NO”, diciamo che abbiamo trovato anche il supporto del pollice verso. Comunque sia c’è un altro dito che, a mio parere, ha un potere molto molto più forte, magari un po’ meno “nobles” ma molto molto significativo... ci sei? Sì, è lui, il nostro dito più lungo, il caro dito medio. A cosa ci serve? Ci serve tutte le volte che dobbiamo ripararci da: perdite di tempo, persone tossiche, situazioni inutili, pretese impossibili e situazioni simili. In questi casi, un bel dito medio, risolve molti problemi alla radice. Possiamo anche farlo solo mentalmente, senza bisogno di sembrare volgari. L’importante è prendere una decisione ferma e coerente con quelli che sono i nostri obiettivi. Voglio allenarmi per la maratona, mi inviti a mangiare porcherie... “no grazie”, insisti? Dito medio. Domani ho un esame e mi vuoi trascinare in discoteca questa sera? “no grazie”. Insisti? Dito medio. Ho deciso di dedicare questo weekend a scrivere la mia tesi, e mi inviti per andare a sciare “no grazie”… Insisti? Dito medio. Ma qui, lo vedi, è semplice. È un rafforzativo del “no grazie”. Il vero uso fondamentale del medio è quando ci sentiamo attaccati, quando qualcuno inizia a minare la nostra autostima, quando qualcuno vuole metterci freni, paure, angosce che non sono funzionali al nostro scopo, al raggiungimento del nostro sogno. Ecco qui alcuni esempi “ma chi te lo fa fare di studiare tanto!” Medio “Ma chi ti credi di essere” Medio “Ma cosa credi di dimostrare!” Medio “Non fare il passo più lungo della gamba” MEDIO “Ma vola basso” MEDIO sinistro e MEDIO destro! Ma, Coach Claudio, questi due sono detti popolari... avranno un senso, no? Ah, ragazzo mio. Ti cito un formatore di imprenditori, imprenditore plurimilionario lui stesso (Mirco Gasparotto): “se avessi ascoltato chi mi diceva di non fare il passo più lungo della gamba, starei ancora a consegnare giornali”.

I 3 comandamenti

Te li elenco subito, poi li vediamo uno per uno: 

  • No scuse 
  • No vittimismo 
  • No opinioni (su argomenti che non si conoscono). 


Questi “comandamenti” non sono ordini del tipo “devi fare così”. Sono dei suggerimenti che ti do dal cuore, anche se possono sembrare difficili da seguire sempre. Intanto l’importante è riconoscere quando siamo in una di queste situazioni, in uno di questi “mood”, e uscirne al più presto possibile. Pena la perdita di energia mentale, e di controllo sulle nostre emozioni. Ti invito a riflettere su questo: ti piacerebbe vivere con una persona che ha scuse per qualsiasi cosa, si sente vittima della vita per qualsiasi cosa, ha opinioni critica, invidia, giudica tutto e tutti? Hai risposto, giusto? Non piacerebbe a nessuno vivere con una persona simile. Bene, adesso un po’ di autocritica e possiamo evitare di portarci “quella persona, cioè quel modo di pensare” in giro tutto il giorno. Come? Cambiando le nostre abitudini e seguendo questi tre semplici comandamenti.

NO scuse

NO Scuse = non trovare scuse. Non prenderti in giro. Non sei ingrassato perché devi studiare e non hai tempo per fare sport. Sei ingrassato perché hai fame nervosa e mangi senza nessuna regola. Quindi, basta scuse e risolvi il problema. Le scuse sono alibi per non prendersi la responsabilità delle proprie azioni. Come dicevo al capitolo “complottisti o complottati”. Ok, ti sento, a volte non è proprio colpa tua. Ma qui non parliamo di cosa ha causato il problema. Qui parliamo di trovare soluzioni, quindi cercare scuse non ci serve. 

Mai.

Epigenetica

Una scusa che molti usano (l’ho usata molto anche io) è quella dei geni: sono fatto così. Mio padre è così, quindi sono destinato a essere così anche io, fisicamente. Invece, guardate un po’, nemmeno il DNA si può prendere più come scusa, da quando è nata l’Epigenetica: la scienza che studia come l’ambiente in cui viviamo, le azioni che facciamo, come ci nutriamo e come pensiamo influenzano addirittura il nostro codice genetico! Si, hai letto bene. Se vuoi approfondire, ti consiglio il Dott. Ongaro, un luminare dell’argomento, o il libro di Bruce Lipton "La biologia delle credenze | Come il pensiero influenza il DNA e ogni cellula" .

NO vittimismo

Secondo comandamento: NO vittimismo. Il concetto ce lo sintetizza benissimo una frase di Peter Krištofovič, investitore milionario slovacco che, dopo anni a creare e gestire aziende di successo in tutto il mondo ha deciso di mettersi a servizio di chi vuole migliorare la propria vita. La frase recita così: “a chi dai la colpa dai la forza”. Lo abbiamo già visto a proposito della teoria del complotto, in sintesi possiamo leggerla come “Non dare la colpa agli altri” con frasi del tipo: “Sono solo perché nessuno mi vuole come amico, sono tutti...”. Diamo la colpa agli altri, li incolpiamo della nostra solitudine. Meglio invece prendermi le mie responsabilità, se sono proprio sicuro di frequentare solo persone ..., bene, cambio amicizie perché è colpa mia chi frequento, giusto? Se il problema si ripete, la causa sono io che continuo a frequentare le persone sbagliate o sono io il problema. Lavoro su me stesso. Poi vedremo nel prossimo capitolo dedicato alle trappole come gestire questo tipo di situazioni. Sicuramente non facendo la vittima. Dietro questa frase apparentemente semplice c’è una formula, un’equazione che mi ha cambiato il modo di vedere parecchie situazioni. Ecco l’equazione: 


COLPA = FORZA E POTERE 


Una strana equazione, spiega un concetto importante: a chi diamo la colpa, diamo la forza, il potere Eh? cosa? che forza? la forza di influenzare il nostro mondo. Lo so, ti sento perso/a, seguimi e ti porto al dunque: se succede qualcosa (es. non passo un esame) e do la colpa alla professoressa, succede una cosa molto pericolosa. È come se ammettessi che dipende dalla professoressa se io passo o no l’esame. Non dipende più da me. Nel momento stesso in cui ho dato la colpa alla professoressa, le ho dato la “forza” di farmi o non farmi passare l’esame. Probabilmente non lo avrò fatto consciamente, ma sicuramente nel mio inconscio avrò pensato: “dipende solo dalla prof”. E quindi, di conseguenza “cosa studio a fare se poi dipende da lei?” E questo è un esempio semplice. Ma pensa a quando sentiamo le persone che sono senza lavoro e danno la colpa alla crisi. Certo, possono essere stati licenziati per un esubero di personale, dovuto alla crisi. Ma adesso possono cambiare le cose? Se continuano a pensare alla crisi sarà ben difficile che riescano a cambiare qualcosa, perché vedono la crisi come la causa del loro essere disoccupati. Non vedono al di là, non vedono che è sempre un periodo di grandi opportunità. Certo bisogna darsi da fare, ci si deve adattare alla situazione e capire, magari, che le nostre competenze sono da aggiornare, perché nessuno ha bisogno delle competenze che abbiamo. Ok, non è un problema grave, basta rimboccarsi le maniche e imparare le competenze che sono richieste dal mercato. Non ci sono offerte di lavoro? Sicuri? Non esiste un momento storico in cui non ci siano offerte di lavoro. Durante le crisi, ci sono aziende che cercano. Licenziano chi si occupa di mansioni “sacrificabili” perché non rendono più all’azienda, e cercano professionisti che possono aiutare l’azienda durante la crisi. Facci caso: più c’è crisi, più sale la richiesta di venditori, commerciali, responsabili marketing. Perché? Perché sono quelli che portano ossigeno all’azienda. Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma io ho studiato logistica”. Ok, e allora? Se cercassero solo venditori (ammesso e non concesso, ovviamente), nulla ti vieta di cercare lavoro come venditore in un’azienda di logistica. Puoi entrare come commerciale/tecnico riutilizzando le tue capacità e competenze in logistica, e formandoti come venditore. Poi quando passerà la crisi ti ritroverai in un’azienda di logistica con più esperienza di qualsiasi tuo concorrente. L’alternativa qual è? Non formarsi come venditore e aspettare di trovare un lavoro identico a quello che stavi facendo? Magari per un’azienda molto simile a quella in cui lavoravi (e che ti ha licenziato), e, perché no, vicino alla sede nella quale hai lavorato tanti anni, così sai già la strada...? Sì? Serve altro? Le leghiamo anche le scarpe? Ah ecco, mi raccomando, facciamoci una bella risata, e diamoci da fare. Qui nessuno ci deve niente. Nessuno. Noi siamo i padroni del nostro futuro. Noi abbiamo la possibilità di trovare il lavoro dei nostri sogni, e se non lo troviamo, di costruircelo. Ti ho fatto l’esempio (purtroppo molto veritiero) di una persona che rimane senza lavoro, magari di mezza età (come me che mi avvicino ai 50) e crede di non potersi “riciclare” nel mondo del lavoro. So che sei in un’altra stagione della tua vita, ma questo esempio sono sicuro ti farà capire come ragionano molte persone, perché lo fanno, da chi prendere esempio e da chi scappare alla velocità della luce. Bene, intanto possiamo cambiare l’esempio e portarlo a un neolaureato specializzato in logistica (magari un Ing. meccanico) che non ha nessuna voglia di mettersi a fare il commerciale. Se (sempre ammesso e non concesso) ci sono solo annunci di ricerca di venditori/commerciali/export manager25 cosa può fare?



A) si dispera, dà la colpa alla crisi, alla laurea sbagliata, al governo; 

B) cerca opportunità in logistica anche fuori della propria provincia, magari anche fuori dal proprio stato; 

C) si adatta alle offerte che vede, e si offre come commerciale junior in un’azienda a caso (vicino a casa); 

D) si adatta alle offerte che vede, e cerca le più rispondenti ai propri sogni, in ottica di investimento nel proprio futuro, cioè in una azienda nella quale vorrebbe lavorare, anche se in ruolo diverso dal commerciale. 


Non chiedermi qual è la risposta giusta. Ti chiedo semplicemente, secondo te, quale o quali delle risposte è una strategia vincente e quali non lo sono? A che situazione possono portare queste diverse strategie? Una piccola parentesi: il “vicino a casa” mi raccomando, da prendere con le pinze. A meno ché tu non abbia situazioni particolari e difficoltà a spostarti, cambiare ambiente, città, magari stato, conoscere posti nuovi fa solo bene. Fa crescere. Il mondo che conosci già non sparirà. Potrai sempre tornarci. Chiudo la parentesi. 

Vedi, sarò anche un po’ di parte perché ho lavorato come commerciale per anni, ma in effetti c’è sempre stato, c’è e ci sarà sempre bisogno di buoni venditori/commerciali. Ovviamente c’è, c’è stato e ci sarà sempre bisogno anche di altre figure professionali, ma le conosco poco, quindi mi limiterò a usare l’esempio del venditore/commerciale.

Salvato dalle vendite

Se non sei interessato alla mia storia e preferisci andare al sodo, puoi tranquillamente saltare questa parte, come vedi c’è anche il mio avatar, come promesso nell’introduzione al libro, ad avvisarti. Parlo della mia vita e di come la vendita mi abbia letteralmente tirato fuori dai problemi, più di una volta. 

Eccomi in Rep. Ceca, con la lingua stracolma di consonanti incomprensibili, senza lavoro, in casa della mia ragazza e sua madre (sante entrambe, cara Eva e Petra vi sarò per sempre grato per quello che avete fatto per me!), con una causa da fare (all’azienda che mi aveva licenziato in tronco) e pochi soldi sul conto. Il lavoro che stavo facendo, prima di essere licenziato, era proprio quello per il quale avevo studiato: planner, responsabile di produzione. Decidevo quante tonnellate di acciaio comprare, di quale tipo, dimensione, spessore, formato ecc. Decidevo di quanti lavoratori interinali o da assumere avevamo bisogno per i mesi futuri, in base agli ordini e alle previsioni, decidevo, per ogni singolo giorno, chi lavorava su quale macchina, con quale stampo, quali prodotti, da che ora a che ora, e quanti pezzi ci si dovevano produrre. Mi piaceva proprio, sono stato così “fortunato” da fare lo stesso lavoro in quattro aziende diverse. Proprio il lavoro per il quale avevo studiato. A ripensarci, non ho MAI mandato un CV in risposta a una ricerca che non fosse o da planner, o di un’azienda in cui sarei entrato anche a fare il lavapiatti! Tornando al trentenne disoccupato, mi sono reso conto molto in fretta che non potevo aspirare a lavorare come planner per tre motivi fondamentali (tre vincoli): 


  1. non parlavo la lingua ceca, ma solo l’italiano e l’inglese (più qualche parola in francese e in spagnolo, poco sfruttabili all’epoca, in Rep. Ceca); 
  2. volevo rimanere nel raggio di 60/70 km da Petra (una distanza percorribile in meno di un ora, possibilmente); 
  3. il mio stipendio da trasfertista spaventava chiunque potesse chiudere un occhio sulla mia carenza linguistica.


Quindi era come se stessi cercando di lavorare dove volevo, parlare la lingua che volevo, guadagnare quello che volevo. Più la famosissima erba voglio condita... (quella che si dice nasca solo nel giardino del Re :-)) Bene, tutto questo, erba voglio compresa, mi si è presentato con la proposta di diventare un “agente rappresentante, responsabile dello sviluppo commerciale del mercato Ceco” ... però che spettacolo! Benefit: possibilità di parlare in italiano con la casa madre (poi con i clienti ... da risolvere in qualche modo);
- possibilità di autogestirmi il lavoro e gli orari (ottimo!! Vacanza quando voglio!);
- incalcolabili guadagni (legati solo alle mie capacità! Fantastico! nessun limite di guadagno finalmente! Sì, a parte il fatto che si sono dimenticati di dirmi che non c’era un limite nemmeno ai costi... va beh); 

- possibilità di avere anche la possibilità di aprire il mercato Slovacco! (grande! possibilità di vendite infinite! più che infinite inimmaginabili! incalcolabili!). 


E quindi? Salto al risultato: clienti trovati english speaking e anche Italian speaking, fatturati un po’ altalenanti ma in grado di coprire le spese, e farmi rimanere in Rep. Ceca. Qui vi evito la sfilza infinita di No, di Km, di notti in albergo (pseudoalberghi, non esisteva ancora AirB&B ma esistevano strutture con bagni comuni, docce comuni, senza stelle né pianeti né satelliti). 

Se avessi continuato a dare la colpa a chi mi aveva licenziato (cosa che ho fatto per un primo periodo) non avrei mai cercato oltre il mio naso, sarei probabilmente tornato in Italia (la strada più semplice) salutando per sempre Petra e sentendomi ancora più vittima delle circostanze. Se fossi stato rigido nella ricerca di lavoro, non lo avrei trovato, a meno di non andare probabilmente a Praga, città in cui (ho visto più tardi) si trovava lavoro anche solo con la lingua inglese e in multinazionali avide di neolaureati/junior. Anche in questo caso però avrei perso Petra. Invece sono stato un po’ elastico e ho iniziato la strada più difficile, la nuova avventura nel commerciale. Non era il mio ponte definitivo (anche qui mi ponevo le domande sbagliate, cercavo solo un modo per guadagnarmi da vivere) ma mi ha comunque permesso di rimanere con Petra, non tornare in Italia, iniziare una nuova avventura e imparare una nuova professione, quella del commerciale (nello specifico, di agente rappresentante prima, consulente commerciale poi) 

Morale: rimboccarsi le maniche, essere elastici porta più risultati che incolpare la sorte o chiunque altro.

La Fortuna non esiste

La fortuna non esiste. Ecco la dimostrazione. Le occasioni capitano “random”? Può anche essere (non ci credo, ma non è questo il posto e il momento di parlarne), ma chi le coglie deve essere pronto, avere gli occhi e le orecchie aperte e sapere cosa fare. Poi deve avere il coraggio di fare. Quindi i casi possono capitare, ma perché si trasformino in “fortuna” ci dobbiamo mettere del nostro. Mi spiego meglio con un esempio. L’occasione può essere un posto di lavoro nella 80 Twenty (la mia società). Stipendio in linea col mercato per la posizione cercata ma con una parte fissa e una parte legata ai risultati, più una parte di bonus in azioni (non importa che sappiate cosa significa, lo spiego poi). Solo il fisso un “misero” minimo sindacale. Passa un annuncio su un altro portale di ricerca personale. Come fai a cogliere quest’occasione unica? Come fai a capire se questa offerta è un’occasione unica? Come fai a fare il paragone tra questo annuncio e quello delle ABC con salario fisso più alto, nessun premio, nessun variabile? Ammesso, per questo esempio, che entrambi i posti di lavoro rispondano alle tue richieste. Esempio concreto: posizione da junior in cui la tua laurea, che sia di chimica, psicologia, economia e commercio, sia fondamentale. Rimane da valutare in base al tipo di contratto. Tutte le altre variabili che ti possono venire in mente per valutare le due opzioni, le poniamo uguali. Che si tratti di stabilità dell’azienda, anni sul mercato, numero dipendenti, trend fatturato, utili ecc., posto di lavoro (spero ti stia accorgendo che ti sto indirettamente dicendo come si valuta un posto di lavoro :-) ). 


Tutto identico. Adesso ti chiedo: come fai a valutare se è meglio ABC a stipendio fisso o la 80 twenty con fisso basso, variabile e premio? Esatto, devi valutare come funziona il variabile, e cosa significa ricevere come bonus quote della società. Ottimo. Diciamo che non sei pigro (non fare il pigro please!) e vuoi approfondire. Ti serve tempo, fare le tue ricerche, se possibile parlare con qualcuno che lavora in ABC, qualcuno che lavora in 80 Twenty... li puoi cercare su linkedin, fb... puoi andare a fare entrambi i colloqui e poi decidere. Ottimo. Ma se non sai cosa chiedere, uscirai dai colloqui sapendone come prima, per confrontare le offerte e decidere quale sia la migliore per te. Lo so, diventa lunga la faccenda. Accorcio subito. Per fare la scelta giusta ti servono competenze per poter riconoscere e scegliere l’opportunità. Se non hai le competenze, allora ti serve solo tempo per fartele. Il punto quindi è questo: chi ha più chance di arrivare alla soluzione del problema “scelgo ABC o scelgo 80 Twenty” A) Gino che sta lavorando 12 ore al giorno, vorrebbe cambiare e maledice il suo lavoro e la crisi; B) Dino che sta lavorando 12 ore al giorno, vuole cambiare, ha deciso di dedicare i suoi sabati mattina a cercare opportunità (e non vuole arrendersi alla crisi): Ovviamente B. Dino. Anche perché Gino non vedrà l’annuncio, se lo vedrà non avrà il tempo di valutare, fare ricerche, e quindi di capire quale sia meglio per lui. A questo punto Dino deve avere anche la capacità di analizzare e valutare le differenze. Deve essere la persona giusta (lo sono entrambi) al momento giusto (lo è solo per Dino perché Gino “non ha tempo”) e con la capacità giusta (deve essere in grado di capire. "Se la fortuna esiste, esiste solo per chi è in grado di riconoscerla e coglierla" Coach Claudio.

Paperino

Sento già il paperino malefico di Gino tirare fuori scuse, pur di non mettersi a valutare “tanto è una fregatura... guadagnerei SOLO x in più (vero, in ABC), la 80 Twenty vuole risparmiare... (sì, sul fisso, ma con i premi produzione guadagneresti il doppio di cosa guadagni ora, se potessi farti due conti) non hai tempo di fare colloqui... e quindi rimani dove sei. L’occasione c’era, non eri pronto a prenderla. Questa è la verità. L’ora per andare al colloquio possono averla entrambi, ma solo uno ha deciso di cercare, quindi solo lui trova l’annuncio. A patto che qualcuno lo faccia notare anche a Gino, lui non crederebbe sia possibile trovare lavoro, finché c’è la crisi, perché ci saranno centinaia di pretendenti allo stesso posto… con più esperienza di me, con meno pretese di me … più giovani di me… prevede il fallimento ed è quello che avrà. Purtroppo.

NO Opinioni (su argomenti che non si conoscono).

NO opinioni. Cosa significa, che non devo pensare con la mia testa? Non proprio, vuol dire che la tua opinione, se non te la chiedono, puoi anche valutare la possibilità di tenertela per te. Ah, ma io voglio condividere, quando sono sicuro di sapere qualcosa di utile. Ok, affare fatto, parla quando hai qualcosa di utile. Quindi, sei una persona competente (almeno rispetto alla persona a cui vuoi dire la tua opinione) dell’argomento in questione? Faccio prima con un esempio perché non vorrei essere frainteso e offendere qualcuno: Sai cosa significa improvvisare? È quando in un gruppo musicale non si segue una melodia precisa, ma mentre gli accompagnamenti tengono ritmo e armonia – il tappeto musicale che si fa un po’ più sottovoce per dar spazio al solista – il solista appunto improvvisa facendo apparentemente cosa vuole, cioè le note che vuole, che daranno vita alla melodia che vuole. Bene, ho scritto “apparentemente”, perché? Perché a un orecchio inesperto così può sembrare, invece il solista è proprio durante le sue improvvisazioni che deve rispettare maggiormente le regole, altrimenti finisce che fa uno schifo. Quindi? Quindi prima impara le basi, poi dimmi cosa ne pensi di questo assolo. Ho capito, forse è un esempio complesso. Ti farei ascoltare i miei assoli e poi quelli di mio fratello (che ha all’attivo due lauree al conservatorio e trent’anni di concerti) capirai immediatamente che c’è un abisso tra le sue improvvisazioni e i miei tentativi. Comunque, altro esempio, qui rischio di farmi molti nemici... ma è per il tuo bene, per una buona causa... vado: Se sono l’allenatore della Nazionale e “ho fatto un casino alle qualifiche dei mondiali”, tu (non tu che leggi, sia chiaro) tu caro il mio fenomeno che sviolini sui social tutti i miei errori... tu che metti pollici verso e dici che è un po’ che faccio schifo, tu che tanto sai vedere i miei errori... tu, fenomeno... li hai mai tirati due calci a un pallone? Sì, ho giocato nella promozione... di cosa? Hai mai allenato in serie A B C Dichediaminemivuoiparlare allora?? Qualcosa del genere, per intenderci :-) Adesso, lo so lo so, di calcio in Italia ne dobbiamo parlare e straparlare tutti, funziona così ed è fatto a posta tutto il sistema mediatico. Va bene, va bene, ma il punto dietro il NO OPINIONI è un altro: invece di passare le notti sui social a scrivermi come la pensi, muoviti e fammi vedere cosa sai fare, fammi vedere come si fa! Non sono stato ancora abbastanza chiaro? Hai mai letto un commento, un’opinione non costruttiva di una persona che stimi, di successo? Ti sei mai chiesto come mai non commentano mai (o quasi mai)? Ahh perché vogliono essere politically-correct ... no no, acqua profonda! Per un unico motivo: Non hanno tempo da perdere a dare opinioni/consigli a chi non li ha chiesti. Probabilmente lo hanno fatto un po’ di volte finche hanno capito che i consigli dati a chi non li ha chiesti sono come semi gettati sulla brace. Non perdere tempo (quando impari una materia nuova, un’abilità nuova) a chiederti mille cose. Fai e impara. Poi migliora, inventa, adatta, modifica, interpreta cosa vuoi. Quando sarai sicuro/sicura di non fare stecche, allora potrai improvvisare. Prima le basi. Lo so, per te che sei nata o nato col cellulare in mano viene difficile aspettare per l’ABC. Tranquilla, tranquillo, ne riparlo meglio e ti do una soluzione nel prossimo capitolo. Se sai tutto (credi di sapere tutto) e non hai i risultati che vuoi, allora hai un problema serio. 

Chiediti perché, se sai tutto quindi hai tutte le informazioni giuste che ti servono, non hai i risultati che vorresti. Le risposte possono essere principalmente tre: 


  1. Le informazioni che sai non sono buone come credi. 
  2. Le informazioni sono giuste ma nel metterle in pratica commetti degli errori
  3. Sai ma non metti in pratica (quindi in realtà non hai ancora la prova che quello che sai sia giusto).

Vedi tu. Io ero nel primo gruppo: facevo molto, lavoravo fino allo stremo ma non avevo risultati (per lo meno non quelli che volevo), perché avevo le informazioni sbagliate. Quello che credevo fosse giusto, era in realtà sbagliato. Parlo delle strategie che usavo per raggiungere il successo economico. Andavo sempre controvento. Facevo una fatica indecente e non mi muovevo di un centimetro. Tutti gli sforzi che facevo avevano l’unico risultato di farmi rimanere dov’ero. Non vedevo che la corrente andava in un’altra direzione, non vedevo che il vento soffiava in un’altra direzione e che io avevo le vele spiegate e continuavo a remare al contrario. Un gran bel casino. Non lo consiglio a nessuno. Vuoi degli esempi più concreti? Innanzitutto non avevo un perché valido, solido, a prova di bomba. Avevo solo una smisurata forza di volontà, che è ben diverso dall’avere un perché valido. Avevo semplicemente deciso di guadagnare come agente, non badavo a spese, non badavo a orari, a chilometri, non mi interessava se parlando solo inglese fissavo un appuntamento ogni cinquanta telefonate o ogni cinquecento. Ero tanto ossessionato dal fare che non mi rendevo conto di fare le cose nel modo sbagliato. Come un falegname che, per la fretta di abbattere l’albero, non si accorge che deve affilare la lama. A me non era rimasto più nemmeno l’ascia. Mi ostinavo a prendere l’albero a calci e a testate. Ti svelo un segreto “prendere a testate gli alberi... fa male!” Perché credevo di avere ragione, che si facesse così. Non ho mai chiesto a un collega. Lo avessi fatto, avrei risparmiato anni di fatiche. La mia opinione “ho ragione si fa così” mi è costata anni, fatica, delusioni. Lavoro nuovo, mai fatto prima, nessuna preparazione specifica e “credevo si facesse così”. (Continuo la mia storia nel capitolo sulla TRAIETTORIA/controvento).
Finiti i tre comandamenti, proseguiamo a capire quando dobbiamo dire NO.

Un'infinità di NO al paperino scorbutico

Oltre a riconoscere il nostro “paperino scorbutico”, la nostra voce depotenziante, dobbiamo allenarci a dirgli di NO sempre. Il primo passo è riconoscere il problema, l’ostacolo, e il secondo passo è evitarlo o risolverlo. Altrimenti serve a poco. Dobbiamo quindi imparare a non dargli la parola, a farlo tacere, più o meno bruscamente, con più o meno spiegazioni. Questo è un “lavoro” che continueremo a fare finché la tigre non sarà la voce che sentiamo più spesso. E allora dovremo stare comunque attenti a non confondere la prudenza con la paura, la voglia di fare le cose bene con il tergiversare, la cautela con la vigliaccheria. Come puoi capire, un lavoro costante e continuo che, stanne pur certo/a, darà frutti incredibili e inaspettati. Ricordiamoci che il paperino fa parte di noi. Se gli insegniamo (parlando continuamente con lui) che deve cambiare, lui cambierà. Non subito, non velocemente, ma cambierà. Quindi NO a raffica, o NO Grazie, e poi qualche spiegazione non farà mai male. Soprattutto, dopo il NO, ripetiamo invece cosa vogliamo noi. Cosa vogliamo che anche lui (il paperino) pensi. Ci dici di parlare da soli? Ti spiego come parlare col tuo subconscio, per riscrivere quelle credenze e quei comportamenti che come dei virus si sono insediati nelle tua mente. Tutto qui. (Non preoccuparti, riparlerò di questo argomento in mille modi, ogni volta che parlerò di credenze).

Potare

Potare, per chi non è pratico di agricoltura e/o giardinaggio, significa tagliare rami, parti di piante sia secchi sia ancora verdi, con l’obiettivo di liberare la pianta di un peso (rami secchi), uno spreco di linfa (rami “sbagliati”) o semplicemente dare alla pianta la forma giusta, la forma migliore per una crescita armoniosa e la miglior produzione di frutti. Nessuna metafora migliore per definire cosa è doloroso ma deve essere fatto per il “bene finale”. Perché? Perché non possiamo portarci dietro rami secchi, o rami inutili che ci prendono linfa vitale. Stesso discorso con un business o una professione che non ci piace più, o che ci prende più energia di quella che ci rende sotto forma di frutti. Per fare un esempio l’albero posso essere io, con le mie radici i miei contatti, le mie ore di esperienza. I rami da tagliare sono: quelli secchi sono i business che non danno frutti; quelli ancora verdi che non vanno nella direzione giusta sono i business che non mi danno quello che voglio, i frutti che voglio. Non vuol dire che non danno frutti. Solo che i soldi non sono tutto. Più andrai avanti, più ne farai e più vedrai che il denaro è solo un sintomo (del buon lavoro fatto), mai un punto di arrivo. Il denaro è al massimo un indice di misura del lavoro fatto e della serenità che hai nel farlo. 

Molti potrebbero dire che a volte abbiamo soldi e non siamo contenti. Certo, ma secondo me ne avremo di più se facessimo qualcosa che ci rende felici. Sono in controtendenza con chi parla del k di “lavoro duro”. Magari scriverò un capitolo anche su questo. Per ora torniamo alla potatura. Non voglio solo frutta, voglio quella frutta particolare. Non soldi, ma soddisfazione e soldi fortemente mischiati assieme. Non è “o è lavoro duro o non paga”, perché può pagare ed essere “mollo” cioè leggero. Quel lavoro che fai e non te ne accorgi. Come adesso che nonostante la sveglia alle 3.00 sono ancora in palla a scrivere come un forsennato. Potare è un atto di coraggio e un atto d’amore nei confronti della pianta, nei confronti di noi stessi. Vogliamo vivere bene, non sopravvivere alla meglio, con rami che vanno ovunque, dove vogliono, con rami secchi ovunque, che tolgono aria e sole ai rami verdi. Tantomeno vogliamo rami forti nel posto sbagliato che servono solo a prendere forze e linfa (tempo, attenzione, e risorse) a quelli che possono fare i frutti che vogliamo (i business che ci possono dare soldi e gioia, non solo soldi).

FOCUS

Il risultato di tutti questi no alle distrazioni è la nostra capacità di concentrarci sul raggiungimento dei nostri obiettivi, ci porta a focalizzarci, a focalizzare le nostre energie. Hai presente una lampadina, che irraggia luce ovunque? Bene, pensa che se questa luce fosse iper concentrata in un punto solo diventerebbe un laser. È sempre luce, solo molto molto più concentrata. Pensa quando prendi una lente d’ingrandimento e riesci a bruciare un pezzo di carta con i raggi del sole: hai semplicemente raccolto dei raggi, della luce, e li hai concentrati con una lente in un punto preciso. Così forte da bruciare un foglio di carta. La stessa carta che stava al sole tranquilla e beata, adesso brucia. E il sole è lo stesso. Questo ti succede quando hai un perché forte, un obiettivo specifico ben definito, e sei disposto a concentrartici con tutte le tue forze, niente ti può fermare. Ci proveranno in molti, a fermarti, ma tu avrai tutti gli strumenti per vincere. Ti basterà leggere attentamente anche i prossimi capitoli degli altri pilastri del Metodo, e mettere in pratica quello che ti insegno. 

Nemico del focus è il multitasking (il fare più cose contemporaneamente). Esempio: rispondere al telefono guardando la televisione, parlare con due persone di due argomenti diversi contemporaneamente (una mia ex ci riusciva benissimo, parlava con me e con sua madre contemporaneamente. Quando mi vedeva che la guardavo male mi rispondeva “guarda che ti ascolto! riesco a fare entrambe le cose”, bah, non ci ho mai creduto). È vero che il gentil sesso riesce meglio a gestire più cose contemporaneamente: casa, figli, lavoro, marito. Forse proprio per esigenza non solo culturale. Rimane il fatto che se continuiamo a cambiare il nostro focus, passare da un argomento a un altro, l’energia si disperde. Perché? Perché è come se, a ogni cambio argomento, il nostro cervello dovesse fare un reset, e ripartire. Se non ci credi fai questo semplice esercizio. 

Ti servono un paio di minuti, carta e penna e un cronometro (ne hai sicuramente uno sul cellulare). Torna qui quando avrai tutto. Lo so, non lo farai dopo. Leggerai il risultato e non sarà mai la stessa cosa che leggerlo dopo aver provato l’esercizio, dopo aver avuto l’esperienza diretta. Non ti ho ancora convinto? Vuoi leggere senza fare l’esercizio? Almeno fai una cosa, salta al prossimo capitolo e torna qui quando avrai carta, penna e cronometro. Ok? A me non cambia niente. Per te cambia dal ricordarti cosa significa l’esperimento per i prossimi cinque minuti, massimo cinque ore, a ricordartelo i prossimi anni. Fai tu. Ok, spero tu sia pronta/pronto con carta penna e cronometro. Bene. Hai presente i numeri romani? I II III... fino al venti (XX)? Ripassali un attimo mentalmente. Ok, ci sono tutti. Parte prima dell’esercizio. Tra poco dovrai scrivere (non adesso) tre colonne: nella prima colonna i numeri arabi (1,2 fino al venti), nella seconda colonna i corrispettivi in cifre romane (I II... sempre fino al XX). Nella terza le lettere dell’alfabeto A, B...V (la ventesima è la V). L’esercizio devi farlo in due modi e cronometrare entrambi. Primo modo scrivi per righe prima riga 1 I A seconda riga 2 II B e così via. Cronometra quanto ci metti e segna il punteggio. Poi rifai l’esercizio scrivendo prima tutta la colonna con i numeri arabi, poi quella con i numeri romani e infine le lettere. Cronometra anche questo. Chiaro? Pronti... via! ... secondi? ... secondi? Adesso, sicuramente la prima cronometrata sarà stata più lunga, giusto? Di quanti secondi? Questo perché la mente doveva continuamente passare da un lavoro a un altro, da un “linguaggio” a un altro, dai numeri alle lettere e viceversa. Lavorava insomma in multitasking. Nel secondo caso, preso il “canale” numeri, li hai scritti velocemente, passando a quelli romani fino in fondo e idem con le lettere. Hai fatto tre “set-up” diversi. Arabi, romani, lettere. Nel primo caso invece hai fatto sessanta setup. Tre setup ogni riga che hai scritto. Questa è la dimostrazione scientifica (molto semplice) di quanto si perda con il multitasking. Checché se ne dica, è uno spreco di energie. Per questo motivo le aziende si specializzano, per essere sempre sul pezzo ed essere iper concentrate su un problema specifico. La differenziazione, quando c’è, è gestita da team differenti, ognuno col proprio iper focus. (le eccezioni ci sono e ci saranno sempre, ma non sono la regola). Bene, quindi, NO MULTITASKING, PLEASE. PS: se per caso hai impiegato meno a fare l’esercizio per righe, per cortesia chiamami e fatti studiare. Sicuramente avrai (se tu leggi) delle capacità molto al di fuori dal comune. Sei un fenomeno, non scherzo, e lungi da me prenderti in giro, hai una capacità unica. Se mi contatti sarò ben contento di averti mio ospite durante i miei workshop, i miei eventi, e di aiutarti a sviluppare e ottenere il massimo da questo talento, le lo vorrai.

IPER FOCUS

Quindi No multitasking. Ok, adesso vediamo se hai già sperimentato cosa significa avere un iper focus. Ti sarà capitato di concentrarti così tanto nel guardare un film dal rimanerne completamente assorti? Da non vedere nient’altro che quello che succede nello schermo, senza neanche più vedere uno stacco tra l’ambiente dove sei e quello in tv, giusto? Ti capita probabilmente anche con lo studio o ti capiterà senz’altro. Se non ti capita potresti avere un calo di attenzione, un deficit più che altro di attenzione e focus (chiama un esperto, niente di grave, magari hai troppe cose in testa, se non ti va di chiamare un esperto, prova ancora questo: bevi regolarmente acqua, fai attività fisica regolare – anche solo passeggiate – e vedi se migliora. Spegni cellulari o almeno notifiche il più possibile. Se nemmeno così riesci a concentrarti, chiedi il parere di un esperto). Dicevo, quindi ti capita, vero? A volte il film è così intenso che se ci portassero via il divano da sotto non ce ne accorgeremmo nemmeno. E ti sarà successo di avere la stessa sensazione che il tempo voli, che ci sia solo tu e il lavoro che stai facendo, o il libro che stai scrivendo, o l’hobby al quale ti stai dedicando, vero? Questo è lo stato di “flow” di flusso, in cui ci sei solo tu e l’oggetto della tua concentrazione. Se il flow guardando un film ti fa vivere emozioni più forti e realistiche, quando sei nel flow facendo un lavoro, in questo caso le tue capacità saranno al massimo. 

Quello si chiama FOCUS o IPER FOCUS e porta a una produttività incredibile. 

In questo stato mentale siamo molto molto più produttivi, creativi, concentrati. Questo stato ci aiuta sia a migliorare, sia a scovare le cose che ci piacciono. Se ci pensi, un bambino intento a giocare ai videogiochi non ride, è serio, molto serio e concentratissimo. Quando riusciamo a esserlo altrettanto in quello che facciamo, abbiamo trovato una vera passione, probabilmente anche un talento. Come dicevo prima, per preservare questi “stati di grazia” e usarli al meglio per raggiungere i nostri obiettivi, dobbiamo salvaguardare il nostro tempo e difenderci dalle possibili intrusioni e distrazioni. Così la nostra produttività andrà alle stelle, e con lei anche i nostri risultati.

Una bussola per le decisioni difficili

Quindi cos’è che ci fa da bussola, da ago della bilancia quando dobbiamo prendere decisioni importanti? Come abbiamo visto è la combinazione del nostro “perché profondo” col nostro obiettivo ben posto. Pensa che fortuna avere una bussola che ci indica quale sia la strada. L’obiettivo da solo non basterebbe? Non sempre, perché ci saranno sempre casi in cui avremo dei dubbi, magari anche solo per scegliere una strada piuttosto che un’altra per raggiungere lo stesso obiettivo. In tutti questi casi ci servirà Il Perché, le regole delle regole (se volessimo indagare ancora più profondamente, sono le regole dei nostri valori che sintetizziamo nel nostro “perché”). Cerco di chiarire con un esempio: Il mio obiettivo è diventare un dottore. Il mio perché è aiutare le persone a vivere a lungo (ognuno avrà poi i suoi perché del perché, qui lo semplifico). Se sono sotto stress potrei prendere qualche aiuto extra, qualche medicina border line (se non qualche droga) che mi aiuti a stare sveglio e studiare. L’obiettivo è anche ben posto, ho il mio piano d’azione, è misurabile, rilevante, ambizioso ecc ecc. Prendere sostanze stupefacenti ha senso o non ha senso? Voglio aiutare gli altri a vivere meglio, a loro consiglierei di fare cosa sto pensando di fare adesso? Molto probabilmente direi di riposarsi, idratarsi, ossigenarsi, nutrirsi bene e riprendere le energie, e di non barattare la propria salute col lavoro/gli esami/qualsiasi altra cosa. Giusto? A questo punto non solo l’opzione stupefacenti salta, ma mi vengono in mente le opzioni più consone al mio perché. Quando il perché non è profondo e chiaro si rischia di perdersi e dare la precedenza a cose sbagliate. Ricordati sempre, questo proprio in generale: la prima persona di cui devi prenderti cura, in tutti i sensi, sei tu stesso. Nessuno lo farà per te. Poco me ne faccio di una laurea sei mesi prima se mi sono rovinato la salute. Quindi, in caso di incertezza, mix tra perché e obiettivo per prendere decisioni difficili.

NO = avanti, non stop

I NO che riceviamo saranno sempre molti, solitamente molti più dei sì. non è un augurio, è semplicemente statistica. Il punto è che se li “digeriamo” male, i NO che riceviamo, rischiano di fare precipitare prima il nostro umore (come ci sentiamo) e come un domino anche la nostra auto-stima (chi crediamo di essere). Avere l’umore sotto le scarpe è normale ogni tanto, non possiamo pretendere sempre di essere allegri. Ci sono gli alti e ci sono anche i bassi in tutto. L’importante è non rimanere con l’umore alle scarpe troppo a lungo. Altrimenti questo porterebbe giù anche la nostra autostima. L’autostima è come ci vediamo noi, chi ci crediamo di essere, cosa crediamo di poter e non poter fare, in cosa crediamo di poter riuscire e in cosa no. Per questo è fondamentale rimanere con l’autostima alta. Sei stato bocciato due volte dello stesso esame? Morale giù, certo, dovrai riprepararlo per la terza volta. Non fa piacere a nessuno. Ora hai due scelte da fare: credere che sia stata colpa della tua incapacità, quindi ti senti incapace e fai scendere la tua autostima, oppure, molto meglio, capisci cosa non è andato bene, cosa non hai saputo, in cosa non ti sei preparato abbastanza. Impari dai tuoi errori e ti riprepari meglio. Il voto non è alla tua persona, non deve intaccare la tua autostima. Il voto è a come hai risposto alle domande il giorno dell’esame. Il voto è alla performance, per così dire, non all’atleta. Chiaro? Quindi, come si reagisce ai no? Si accettano come parte del percorso, si capisce cosa non è andato bene e si riparte migliorandosi. In questo modo l’autostima rimane alta. E alla prossima sessione, per quanto ti ri-prepari, è molto meglio arrivare con un’alta autostima piuttosto che con una autostima bassa e la vocina interna che continua a dire “non ce la fai... non c’è due senza tre. sei scarso ecc. ecc”. Come puoi capire, alta autostima vuol dire ascoltare più la tigre del paperino, e viceversa. Quindi puoi sempre capire a che livello è la tua autostima capendo se hai più pensieri da paperino antipatico o da tigre buona. 

In sintesi: ogni no che riceviamo è parte del processo per raggiungere i nostri obiettivi. Dobbiamo capire cosa ci insegna, imparare la lezione e migliorarci. Non è mai un “no” a noi come persona, come individui. È un no alla prestazione di quel momento, con tutte le circostanze attorno. L’importante è imparare la lezione, altrimenti busseremo alla stessa porta nello stesso modo e avremo lo stesso risultato. Lo diceva anche Albert Einstein: "La follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi."

Metodo Ponte
Metodo Ponte
Come laurearsi senza rinchiocciolirsi