Accontentarsi Vs essere grati
Non sei mai contento
,mi dicono in molti, contestandomi il fatto che continuo a cambiare, migliorare, cercare strade nuove e migliori. Il punto è che si tende a fare confusione tra essere contenti e accontentarsi, tra l’essere grato e il voler sempre evolvere. Io sono grato tutti i giorni di quello che ho: la famiglia, la salute, l’abbondanza di opportunità, gli amici, i colleghi, il mio gruppo dei pari, tutti i miei mentor, la mia crescita, tutte le persone che mi vogliono bene, tutte le persone a cui io voglio bene: Valentino (il cane dei miei), i gatti, il mio paese, Pigna, le città in cui ho vissuto, le mie ex, il mio pianoforte, la mia chitarra, i miei libri, le canzoni che ho scritto, i grazie che ho ricevuto dalle persone che ho aiutato, le persone che ho aiutato (a prescindere dal grazie), l’Italia con la sua cucina, la sua natura, la Rep. Ceca con le sue nevicate, Praga, la birra, il formaggio fritto. Sono grato per i cieli stellati, per i tramonti, le albe, le sveglie alle cinque. Potrei continuare un altro capitolo. Tutti i giorni, appena sveglio, ringrazio per tutto ciò che ho. Non è un’abitudine che ho inventato io, è una delle abitudini delle persone di successo. Stessa cosa prima di addormentarmi: penso almeno a cinque cose successe nella giornata, delle quali sono grato. È molto molto importante addormentarsi con pensieri positivi, perché durante la notte il nostro inconscio lavora, e ci aiuta se lavora su argomenti positivi, invece ci blocca e ci rallenta se lavora su emozioni negative come la paura, lo stress, la rabbia. Tutte cose che possiamo mettere nella nostra mente guardando, per esempio, un horror prima di dormire (purtroppo anche guardando un tg). Ho già approfondito questo discorso, nel paragrafo “chi fai entrare con le scarpe sporche...”, ma si può essere contenti senza accontentarsi? È così radicata questa idea nella cultura tradizionale, che il dubbio viene e torna costantemente. Ma non potrei stare più sereno accontentandomi di un lavoro normale? (Me lo dovresti descrivere tu questo benedetto lavoro normale). Non potrei dormire più tranquillo senza mille pensieri per la testa? Dopotutto ci metterei credo una settimana, forse due a trovare un “lavoro normale”. Non mi è mai più passato nell’anticamera del cervello. Evidentemente non fa per me.
Quindi, perché ci sono persone che si accontentano e persone che non lo faranno mai? Perché le persone si accontentano lo posso immaginare, ma non posso parlare per esperienza personale. Comunque il punto è che anche culturalmente viviamo con degli schemi predefiniti (dalla società in cui viviamo) che ci illustrano la vita “normale” come qualcosa del tipo: studi, trovi un lavoro, metti su famiglia, compri casa, continui a lavorare fino alla pensione e poi ti godi la vecchiaia. Niente di male in tutto questo. Vedo i miei genitori che dopo una vita di sacrifici si godono sul serio la pensione tranquilli (a parte l’hobby della campagna che tanto tranquillo e rilassante non è, dal punto di vista fisico almeno). Comunque i miei genitori e molti come loro hanno sempre qualcosa da fare e sono sereni e felici. Il problema ad accettare questo schema però arriva quando si inizia a volere di più, a voler fare di più, a voler dimostrare a sé stessi (e a volte anche agli altri) che siamo in grado di fare un passo avanti, un extra sforzo per avere un extra beneficio. Il mio grande problema quando si parla di accontentarsi è che mi sono reso conto che è sempre in un modo o nell’altro uno spreco. Secondo me (liberi di condividere o meno) abbiamo dei doni, dei talenti, delle risorse e sta a noi decidere di sfruttarle a pieno o no. Inutile che ci nascondiamo dietro un dito, ci sarà pure un motivo per il quale siamo qui a questo mondo, o no? Tornando alla gratitudine, per molti è come un punto di arrivo. Sono grato di quello che ho. Vedo che molti hanno molto meno di me, quindi sono contento così, son grato. C’è chi sta peggio, molto peggio! Per altri come me invece la gratitudine è un punto di partenza, un trampolino di lancio. Sono grato di tutto, della mia salute, della mia famiglia, dei miei amici, del mio lavoro, del mio conto in banca. Quindi sono pronto per fare ancora meglio, a migliorare la mia salute, a migliorare i miei rapporti interpersonali, a migliorare la mia carriera o il mio business, ad aiutare più persone. Io sto bene, allora posso (e secondo me devo) aiutare gli altri. Vista in un’ottica universitaria potrebbe essere qualcosa del genere “sono grato di aver preso 18, ciononostante non lo accetto perché voglio di più”. Giusto? Sbagliato? La risposta giusta è solo tua, se il 18 è tuo. La risposta giusta è mia, se il 18 è il mio.
Visto che l’argomento è veramente importante, vediamo altri spunti sui quali riflettere.