Capitolo 19
TRAPPOLE

Credenze

FORD 


"Che tu creda di farcela o di non farcela, avrai comunque ragione. "


Cosa significa esattamente? Che se credi di riuscire, se sei fermamente convinto convinta di farcela, troverai il modo per raggiungere il tuo obiettivo. Se tu invece crederai di non farcela, riuscirai sempre a dimostrare a te stesso a te stessa di avere ragione, e non ce la farai. Se per caso dovesse capitare (non capita) che tu riesca, sarai subito pronto, pronta ad attribuire questo successo alla fortuna, al caso, a chiunque al di fuori di te stessa o te stesso. Perché? Perché la voglia innata di avere ragione è più forte della voglia di riuscire, di qualsiasi cosa stiamo parlando... purtroppo. Adesso vediamo come funzionano queste credenze, come si formano e come possiamo riconoscerle e modificare quelle che ci ostacolano.

Chi ti credi di essere?

Intanto iniziamo con una domanda: chi ti credi di essere? Sembra quasi una minaccia, vero? Invece è una domanda importantissima a cui rispondere. E l’unica persona che ha diritto di sapere la risposta sei tu, sempre. È una di quelle domande a cui crediamo di saper rispondere senz’ombra di dubbio, ma basta metterci carta e penna a fissare il foglio vuoto, per renderci conto che manca qualcosa. Non è così semplice rispondere a questa domanda. Innanzitutto, posta così, mette un po’ sulla difensiva perché è effettivamente forte, con quel “ti” quasi a puntarci il dito accusatore contro, nel “chi TI credi di essere!”. L’ho messo lì apposta. Ti dico ora che non dovresti sentirti assolutamente accusata accusato di niente. È una semplice ma profonda domanda. Quindi, carta e penna, il mio consiglio è di iniziare a rispondere. Poco importa se la risposta ti sembra inconcludente, magari concentrata solo su alcuni tuoi aspetti, su alcune tue caratteristiche. Puoi sempre modificarla in seguito, soprattutto se ora non hai abbastanza autostima. Perché dovresti rispondere ora? dovresti rispondere e segnare data, ora, luogo in cui sei e la tua firma. Perché rifaremo questo esercizio alla fine del libro, e potrai confrontare le due risposte. Non credere di poter ricordare come ti senti ora. Anche se così fosse, non avresti la prova scritta del tuo cambiamento. Non sarebbe così buono l’effetto che ne trarresti. 

Quindi, cerca un foglio e una penna. Non pc. Meglio carta e penna. Ho già spiegato nel capitolo OBIETTIVI il perché serve (è meglio/funziona meglio) scrivere con carta e penna. (Se non ricordi non preoccuparti, torna pure a rileggerlo). Scrivi tutto quello che ti passa per la mente. Puoi scrivere da dove arrivi, dove stai andando, dove vuoi andare. Cosa credi di saper fare, di non saper fare. Chi vuoi diventare. Non fa parte di chi ti credi di essere? Certo che sì. Mi raccomando, fallo ora prima di leggere il seguito. Ok, ti ho convinto? Affare fatto

Adesso che hai risposto alla domanda, per scritto, come ti senti? È stato semplice? Difficile? Lungo? Quanto hai scritto? Un’altra domanda (la penultima, lo prometto): 

Dove pensi di essere tra cinque anni? e fra dieci? che persona pensi che sarai? (come ti immagini il tuo futuro insomma).

Che persona vorresti essere fra 5-10 anni? che vita vorresti avere? (come vorresti che fosse il tuo futuro insomma).

Prenditi il tempo di scrivere. Lo so che vorresti continuare a leggere ma almeno la prima domanda è necessario (affinché ti aiuti) che tu risponda subito. A queste ultime due puoi rispondere con calma più tardi. 

Intanto vedi che queste ultime due domande sono fatte in modo da farti capire se quello che credi sarà il tuo futuro è quello che vorresti. Se le risposte sono le stesse, allora credi di poter realizzare i tuoi sogni. Altrimenti ti consiglio di leggere attentamente e lavorare sulle tue credenze. Ma veniamo a una storiella.

Rodolfo e Rodolfino

Adesso che hai appena fatto l’esercizio (risposto alle tre domande) ti racconto una storia per spiegarti come funzionano le credenze, in modo molto pratico, e perché è così importante chi ti credi di essere. 


È il 2018, una tiepida serata di aprile a Torino. Rodolfo e Rodolfino. sono due cugini hanno la stessa età, ventun anni. Si chiamano entrambi Rodolfo, all’anagrafe, ma per qualche centimetro di differenza in statura e la corporatura più gracile del giovane Rodolfino, gli ha lasciato il diminutivo addosso, anche se ora farebbero difficoltà a distinguerli le madri, da lontano. Entrambi hanno un amico, Jack, col quale si vedono ogni tanto. Una sera Jack chiede a Rodolfino di incontrarlo in un bar nuovo, all’ora dell’aperitivo, per bere qualcosa assieme e poi andare a cena. Rodolfino arriva puntualissimo, aspetta addirittura qualche minuto fuori per non arrivare troppo presto, poi entra. Jack non è ancora arrivato ma arriva quasi subito dopo di lui. Jack è qualche anno più vecchio, fisico sportivo, si sta pagando gli studi lavorando di notte come DJ. Rodolfino lo ammira molto anche per quello. In più si vede che ha un successo con le donne che gli invidia, anche se Jack è sempre molto riservato e non parla mai dei suoi affetti (li chiama così). Il locale è ancora semi deserto. Ci sono solo due ragazze nell’angolo opposto al bancone. Entrambe sui vent’anni, una riccia mora e una bruna. Chiacchierano tra loro, sorridono e ogni tanto alzano lo sguardo verso Jack e Rodolfino, continuano a bisbigliare tra loro e sorridere. Nel frattempo sia Jack sia Rodolfino hanno notato questo volare di sguardi e sorrisi. Gli effetti però sono ben diversi. Jack è tranquillo, ricambia i sorrisi e continua a parlare con Rodolfino. Questo invece inizia a farsi nervoso, quasi imbarazzato da quegli sguardi. Ordina un altro drink al barista lì vicino, dietro al bancone, senza nemmeno aver finito il primo. Jack allora intuisce cosa sta succedendo e chiede a Rodolfino: «Cosa ti prende? Tutto a posto?». «Sì... perché?», risponde un po’ incerto Rodolfino. «Rodolfo, sembri in panico, hai ordinato un altro drink, identico al primo, e il primo lo hai appena assaggiato. Cosa c’è?». «Sono spettinato? Ho il dentifricio sul naso?», si affretta a chiedere Rodolfino. «Spettinato? Dentifricio?», cerca di capire Jack. «Sì, sono sporco?», «Ferma ferma, non ti seguo, di cosa diamine stai parlando? Perché dovresti essere sporco o spettinato?». «E allora perché mi guardano e ridono quelle due ragazze?». Era chiaro a chi si stesse riferendo perché erano le uniche due ragazze nel locale, e le aveva notate anche lui. «Sei proprio rintronato», esclama Jack continuando a prenderlo in giro indicandolo ovunque… «sei sporco lì, sei sporco anche qui... pirla... anche lì... ma che ferro da stiro usi? ma chi te le stira le camicie, la nonna?». Un incubo. Rodolfino si sente ancora peggio di prima. Vorrebbe solo sparire e andarsene. «Fa un respiro profondo Rodolfo…rilassati, sto scherzando sei a posto. CI sei? Hai preso fiato? Bene, tranquillo. Adesso che ti sei ripreso…» Jack insiste: «Adesso vai da quelle ragazze a chiedere cosa hanno tanto da ridere!», «non ci penso nemmeno», «e invece lo fai, o le inviti a bere un drink con noi, altrimenti ti faccio fare la peggior figura che hai mai visto e dico a tutti...». «OK, VADO», esclama Rodolfino. Non vuole nemmeno sentir ripetere quella storia di quando erano piccoli e al campeggio, ha avuto la sua più grande umiliazione. Se la ricorda ancora, e l’ultima cosa che vorrebbe e risentirla raccontare in pubblico, per quanto sconosciuti il barista e le ragazze. Rodolfino si incammina e a ogni passo sente la pressione salire, le gambe tremare sempre più... arriva si sforza di parlare ma è così nervoso che, neanche riesce a parlare. È arrivato lì di fronte alle due ragazze, loro lo vedono immobile. Allora una si rivolge a lui: «sì?», e lui preso in contropiede: «sì, ciao... scusa... volevo... mi stavo chiedendo... io e mio cugino...», «tuo cugino? Quello con quei capelli blu? Si chiama per caso David? Non dirglielo ma non me lo ricordo… ripensavamo alla figuraccia che abbiamo fatto ieri sera al bancone…». Rodolfino si gira e vede quello con i capelli blu, era il barista. Le due ragazze non avevano nemmeno fatto caso né a Jack né a Rodolfino, né tantomeno ridevano di qualcuno. 


Il punto qual è: che se partiamo da una bassa autostima, vediamo tutto nero anche quello che non lo è. Se partiamo da un’autostima alta vediamo tutto bianco anche quando non lo è. Fin qui, potresti dirmi ottimisti vs pessimisti che dicono di essere realisti. “La paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire... e non trovò nessuno”. [Martin Luther King]. Ma il bello viene dopo, il bello è la differenza nelle azioni. Questa è la differenza che poi porta a risultati diversi. 

Qual è il punto, la grande differenza tra essere ottimisti ed essere pessimisti? È un circolo magico che può diventare una spirale positiva piuttosto che una spirale negativa a seconda dei nostri pensieri ed emozioni. Vediamone un passaggio per volta: 


Pensieri  Azioni
Penso di essere un bel ragazzo → chiedo di uscire a una ragazza senza problemi (mi aspetto un sì).
Penso di non essere un bel ragazzo (mi aspetto un no) → non chiedo alla ragazza di uscire, se lo faccio non sarò rilassato e spontaneo. 

Rivediamo la storia un po’ modificata:

Azione

Rodolfino arriva al bar, entra con un tempismo precisissimo, Jack non è ancora arrivato ma arriva da lì a poco. I due si salutano – tutto come prima – si mettono al bancone e iniziano a notare due ragazze che dall’altra parte del locale li guardano e sorridono. Fin qui, tutto ok. Rodolfino è sicuro che stiano ridendo di lui, del dentifricio o del ciuffo o di qualsiasi altra cosa. Jack minaccia di fargli fare una figuraccia se non trova il coraggio di andare a chiedere alle due ragazze cosa abbiano da ridere. Come alternativa, può chiedere di unirsi a loro per un drink. Nessuna di queste domande sembra piacere a Rodolfino che invece rimarrebbe lì immobile, cercando di capire cosa abbiano da ridere di lui quelle due ragazze. Adesso Rodolfino, costretto dalla minaccia del cugino, si avvicina alle due ragazze e... inizia a balbettare. Lui non balbetta di solito, ma in questa situazione sente lo stress, si immagina a fare scena muta, a sentirsi rifiutato o preso in giro, o entrambe le cose, e cosa succede? Si blocca. Altro caso, nella stessa situazione si trova Rodolfo, che a differenza del cugino, si crede un bel ragazzo. 1) non si fa pregare da Jack e va da solo a conoscere le due ragazze; 2) non ha paura di prendere un rifiuto, perché SA che, nel caso le due ragazze non accettassero, avrebbero dei buoni motivi, non di certo perché lui non è attraente, perché lui È un bel ragazzo. 3) comunque vada a finire, Rodolfo torna a rinforzare quello che crede, cioè di essere un bel ragazzo, mentre Rodolfino rafforza il fatto di non esserlo. Vedi come funziona il rinchiocciolamento? Riconosci lo schema che “si chiude”? Una credenza (sono un brutto ragazzo) crea pensieri e previsioni del futuro (mi diranno di no, stanno ridendo di me) che portano ad azioni (Voce tremante, scena muta) che portano a un risultato (a voi l’immaginazione di cosa può succedere in questo caso). Il risultato in un caso o nell’altro non farà che confermare la credenza di partenza. 


Schema di Rodolfo, chiocciola che “si apre” verso nuove possibilità. Una credenza (sono un bel ragazzo) crea pensieri e previsioni del futuro (sicuramente accetteranno l’invito) che guidano un comportamento (voce rilassata, ottimista) che portano ad un risultato (o un si al drink, o due chiacchiere...). La parte finale, comunque si concluda, confermerà le credenze iniziali. Sempre. Perché se a Rodolfino dovessero dire sì, accettiamo il drink, penserebbe: “un colpo di fortuna irripetibile”. Perché? Perché se sei brutto non accettano un drink da uno brutto, se lo fanno sarà perché magari hanno visto Jack. Sono Rodolfo, non accettano l’invito, penso cose del tipo “probabilmente stanno aspettando i loro ragazzi, o il barista le conosce e conosce i loro ragazzi, non possono farsi vedere accettare un drink da due bei ragazzi come noi...”. Perché? Perché sono un bel ragazzo e ai bei ragazzi si rifiutano inviti solo per motivi del genere. Capisci perché è molto importante chi ci crediamo di essere? (Quelle che io chiamo chiocciole positive e chiocciole negative sono dinamiche a spirale, per approfondire, ti consiglio Claudio Belotti coach formatore ed esperto in materia).

Quindi:



Finale col coach

COME VORREI CHE FINISSE LA STORIA: «Sei proprio un bel tipo, Rodolfo (Jack si rifiutava di chiamarlo Rodolfino, da sempre)! Ma chissà cosa hanno in testa quelle due ragazze! Come fai a dire che stanno ridendo di te!». Jack vede che Rodolfino non è convinto, così continua: «Beh, sai cosa ti dico, c’è un modo molto semplice per saperlo», «Cosa?», «Certo, vai a chiederlo e ti togli il dubbio», «ma io non ho dubbi, lo so», «ah certo, leggi nel pensiero, e quindi cosa sto pensando io adesso?», «che sono un...», Jack lo interrompe prima che si apostrofi chissà come: «Penso che io invece credevo il contrario, che ti avessero notato e stessero pensando che non ti hanno mai visto, e sono timide come te e sperano tu vada a chiederle di unirsi a noi per un drink». «Ah sì, certo, come nei film», «E perché no? Vai e verifichi chi ha ragione», «Lo sai perché», «Perché?», «perché se lo faccio io, tu non impari niente. 

Non devi imparare quale sia la verità, cioè cosa pensano quelle due ragazze. Devi imparare a cercare la verità, senza pregiudizi e preconcetti». Jack insiste bruscamente e alla fine Rodolfino si incammina verso le due ragazze. Attacca con voce tremante un timidissimo: «ciao», al quale nemmeno si voltano. Si schiarisce la voce accenna un saluto e un altro: «ciao... scusate… posso...». Con tutta sorpresa una delle due ragazze si gira d’un tratto sorridendo, alza un dito e dice solo: «aspetta» mentre si rigira verso l’amica a finire quello che stavano dicendo. poi si rigira verso Rodolfino e dice «ci puoi portare due crodini come prima, con le olive e qualche patatina?», «Ma.. veramente... non sono il barista», «Scusa? non sei il barista?». «Eh no… sono Rodolfo, volevo chiedervi... sono là al bancone con il mio amico Jack… se vi va...di unirvi a noi per un drink». Le due ragazze non lo avevano nemmeno notato, tanto da scambiarlo per il barista. Tutte quelle paranoie per niente. 


OPPURE, ALTRO FINALE: Spinto un po’ da Jack, Rodolfino si avvicina alle due ragazze e, mentre sta per tirare fuori tutto il coraggio per parlare, una delle due ragazze gli dice: «Temevo che non mi avessi riconosciuta o che facessi finta di niente. Roberta, prima C ... ti ricordi? ti facevo il filo quando eravamo alle elementari». Ecco. Per la serie: la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire, e meno male. A questo punto spero sia chiaro come funzionano queste dinamiche. Ricapitolando, parte tutto da cosa crediamo, dalle nostre credenze. Ci si mette una innata (proprio innata nella natura umana) voglia di avere ragione che cercherà di confermare le nostre credenze, positive o negative che siano. Ma vediamo ora come si formano le credenze e come usarle a nostro vantaggio, evitando che ci facciano “rinchiocciolire”.

Come si creano le credenze

Le credenze si creano e si solidificano nella nostra mente (nel nostro subconscio) grazie a quattro tipi di informazioni/esperienze: 

- esperienza diretta 

- esperienza indiretta (cioè di altri)

- cosa dicono/raccontano gli altri 

- cosa ti racconti/immagini tu
La somma di queste esperienze e informazioni crea una credenza. Ma vediamo nello specifico per chiarire con un esempio: “credo che non troverò lavoro perché c’è la crisi”. Vediamo quali esperienze dirette posso avere: 


  1. ho fatto il colloquio all’azienda A e non mi hanno assunto; 
  2. ho fatto colloquio all’azienda B e non mi hanno assunto; 
  3. ho mandato altri cinquanta CV e non mi ha chiamato nessun altro. Sono tutte esperienze dirette, in più: 
  4. Mio cugino ha fatto tre colloqui e non lo hanno preso; 
  5. I miei compagni di scuola non sono nemmeno stati chiamati a colloquio; 
  6. Mio zio lavora in ABC e dice che non assumono nessuno, anzi, stanno licenziando. Queste sono esperienze indirette. E cosa dicono o raccontano gli altri? Cosa dice mio zio, posso considerarlo per vero, perché magari mio zio è proprio il responsabile delle risorse umane dell’azienda in cui lavora, altrimenti lo metterei qui tra le “cosa dicono/raccontano”, giusto per essere chiari. 
  7. Sul giornale ho letto che l’80% delle aziende sta licenziando. 
  8. I miei genitori continuano a ripetermi cosa ha detto lo zio, e a guardare i TG che... 
  9. I TG fanno vedere scioperi di operai che stanno perdendo il lavoro. 
  10. l TG fanno vedere che il PIL è in calo.
  11. I TG dicono che grandi aziende stanno lasciando l’Italia per “delocalizzare” la produzione e andranno a produrre in Asia licenziando migliaia di persone. 
  12. Adesso, cosa ti racconti tu, dopo tutte queste informazioni più o meno dirette, cosa sarà mai? 


Qualcosa del tipo “l’economia sta andando a rotoli”, “sono nato (o mi sono laureato) nel periodo peggiore”, “devo accontentarmi del primo lavoro che capita”, “ci sono più disoccupati che posti di lavoro”, “dovrò competere con persone con anni di esperienza disperati, che accetteranno di lavorare al posto di un neolaureato pur di mantenere la famiglia”. “Arrivano i laureati indiani che hanno molta più fame e sono molto più bravi in matematica di noi... non abbiamo scampo come ing...”, e altri pensieri del genere. Allora, se vivo così, con queste informazioni e questi pensieri, secondo voi, con che grinta andrò al prossimo colloquio? Con che voglia cercherò le prossime cinquanta offerte di lavoro su Internet o Linkedin o sulla carta stampata? La mia credenza che non troverò lavoro perché c’è la crisi si poggia su tutti questi argomenti, come se ognuno di loro fosse una gamba sotto il tavolo28. Il tavolo immaginario che regge la credenza . Bene, secondo te, ho ragione o no? Sto credendo una cosa giusta, vera, o no? Fermati un attimo a pensare e decidi, secondo te, ho ragione o no? Secondo te posso cambiare questa credenza? senza cambiare tutto quello che “so”? Non ci credi ma posso. Ti faccio capire come.


Una credenza più forte di un Elefante

Se hai già letto qualche libro sul potere della mente avrai già capito che esempio sto per farti. È un esempio così forte che a nessuno passa più di mente una volta sentito, e spero faccia lo stesso con te per ricordarti di quanto forte sia la tua mente a “creare” la realtà. In India si “parcheggiano” gli elefanti legandoli semplicemente con una corda a un palo. Fa ridere i turisti, questa pratica, perché è evidente che, se solo volesse, l’elefante non solo potrebbe spezzare la corda ma anche sradicare il palo. Se solo l’elefante volesse andarsene, non sarebbero né la corda né il palo a impedirglielo. Giusto, lo sanno tutti... tranne l’elefante. E perché l’elefante non lo sa? Perché tutte le volte che ha provato a liberarsi non ci è riuscito. Prova una volta, due, venti, cento (non so quante volte) ma ha smesso. Peccato che quando provava a liberarsi lui fosse un piccolo giovane elefantino, mentre ora pesa cinque tonnellate e potrebbe andarsene tranquillamente senza nemmeno faticare, non sentirebbe nemmeno la corda spezzarsi o il palo rompersi. Basterebbe muoversi e via, sarebbe libero. Ok, mi dirai, ma probabilmente non vuole andare da nessuna parte e aspetta semplicemente che torni il padrone. Certo. Questo motivo (non vuole andare altrove, quindi non si muove) potrebbe essere valido, senonché lo stesso fenomeno si ripete anche quando l’elefante si trova davanti a un grave pericolo come un incendio. Nonostante arrivi il fuoco e l’elefante voglia scappare, non lo fa, perché “sa” che con una corda alla caviglia non andrà da nessuna parte! Perché è sempre andata così. Il povero elefante si lascia inghiottire dalle fiamme, legato a una fune che avrebbe potuto facilmente rompere e salvarsi la vita. Pensa a quanto sia forte la mente. Forte quanto una fune che “regge” la forza di un elefante adulto. 


Adesso, non è dimostrato che l’elefante si faccia sempre inghiottire dalle fiamme. Spero proprio che davanti al fuoco si dimeni e si liberi. L’ho scritto semplicemente per farti fissare in mente la storia. Perché il resto è tutto vero. Si abitua da piccolo a non riuscire a liberarsi dalla fune. Lui pesa cento chili. Da adulto peserà dalle quaranta alle sessanta volte in più (4-6 tonnellate). La fune legata alla caviglia non lo rallenterebbe nemmeno, se solo provasse a scappare. E lui non scappa. Se pensi che sia perché l’elefante non è intelligente, non è così. È un animale, un mammifero molto intelligente. Eppure l’abitudine di non riuscire a fare qualcosa lo ha fatto smettere di provare. Sembra strano ma succede molto spesso anche a noi. Per questo dobbiamo fare attenzione alle credenze limitanti. E se pensi alla forza di questa credenza limitante, riesci a immaginare che forza e che risultati possono farci avere delle credenze potenzianti. 

Tornando alla credenza dell’elefante, come si è creata? Con la sua esperienza ripetuta (non riusciva a liberarsi dalla fune), e dal vedere che nemmeno gli altri elefanti riuscivano a farlo. Nemmeno quelli adulti. 

Noi a differenza degli animali impariamo anche per esperienza indiretta e raccontata. Quindi torniamo alle gambe del tavolo che sorregge ogni credenza, ripeto: esperienze personali, esperienze di altri, cosa ci raccontano gli altri, cosa ci raccontiamo noi.

In cosa ti serve credere?

Il titolo di questo paragrafo vuole essere provocatorio e svegliare un po’ gli animi, ci tornerò più approfonditamente nel capitolo “Giusto Vs funzionale”, intanto, dopo il paragrafo sugli elefanti, ti chiedo di tornare all’esempio della ricerca di lavoro e di riflettere su questo: sto cercando lavoro, ho fatto tre colloqui andati male, e su 50 CV spediti mi hanno chiamato solo queste tre aziende. Mi serve credere che non troverò il mio lavoro dei sogni, o mi aiuterà di più credere al contrario? Lo so, stai pensando che il contrario non è vero. Facciamo un gioco al volo. Scommetto che ti farò cambiare idea. Cosa scommettiamo? Se vinco io parli di questo libro ad almeno tre amici. Se vinci tu mi scrivi e me lo dici e ti rimborso il costo del libro che hai pagato? ci stai? Ti vedi già con i tuoi euro in tasca? Bene, vediamo. Comunque, a parte il fatto che non lo credi possibile, siamo d’accordo almeno sul fatto che se stai cercando lavoro ti serve più credere che troverai quello dei tuoi sogni, vero? Piuttosto che credere di non avere chance di trovare niente o accontentarsi di quello che “arriva”. Giusto? Bene, andiamo a vedere chi vince la scommessa. Andiamo a vedere come si cambia una credenza.

Come si cambiano le credenze

Per cambiare una credenza, bisogna “spaccargli le gambe, una a una”. Sì, un po’ burbera come visione ma coerente con la metafora che stiamo facendo. Quello che tiene su la credenza sono tutte le gambe “sotto il tavolo”. Vediamo come smontare la mia esperienza prima di tutto. In ordine: 


  1. ho fatto il colloquio all’azienda A e B e non mi hanno assunto; 
  2. ho fatto colloquio all’azienda C, D, E e non mi hanno assunto – Ok, queste 5 aziende hanno assunto qualcuno al posto mio? o hanno fatto colloqui per sport? Quindi, quattro neolaureati/disoccupati hanno trovato un posto di lavoro nelle quattro aziende. Non è vero che nessuno trova lavoro. In quanti hanno risposto a quei quattro annunci? 
  3. Ho mandato altri cinquanta CV e non mi ha chiamato nessun altro - Chi ha detto che devo/posso mandare SOLO 50 CV? Perché mi sono fermato? Non c’erano più aziende? 


Anche qui, qualcuno mi avrà detto che se non trovo con 50 non trovo più. E morirono tutti soli, disoccupati e contenti. Sì, dieci anni fa (non è vero ma ci sarà sempre qualcuno disposto a giurare che sia così), dieci anni fa bastava mandare 5 cv per trovare lavoro. E non dico che non possa esserci qualcuno che ha mandato 5 cv e ha accettato il primo lavoro che gli hanno offerto. So anche che di sicuro è qualcuno che si è laureato meglio e più in fretta di me. E sono contento per lui. Se lo è meritato. Ma da lì a dire che tutti su 5 cv avevano lavoro... beh, no. E ammesso anche che fosse più semplice qualche anno fa? C’erano più o meno posti di lavoro? Ah sicuramente di più! Dirà qualcuno. Sicuro? Puoi verificare? Perché magari è semplicemente che ci sono più laureati che ambiscono a quei posti, e quindi le aziende anziché ricevere 5 cv ne ricevono 50... Quindi? Poi nel bonus “come usare il metodo ponte per cercare lavoro”, ti spiego meglio come fare, ma non saltare subito lì. Se ci salti e poi torni indietro a leggere il resto, può aver senso. Se salti a quel capitolo senza rileggere il libro sarebbe come pretendere di avere figli senza prima fare sesso. Sul serio. Sapere come crescere figli senza sapere come farli. Ti mancherebbe la prima parte. Continuiamo il nostro discorso e la nostra scommessa. Ho mandato 50 CV. Sono sicuro che li abbiano letti? Sono sicuro che stessero cercando ancora? Che l’annuncio non fosse vecchio? O che non abbiano ancora finito le selezioni? Se capisci cosa sto facendo, sto mettendo in discussione “la gamba”, le tolgo forza, le tolgo importanza. La sminuisco pezzo per pezzo. Non voglio dire di sperare che le tre aziende non abbiano ancora scelto. Questo te lo tieni come bonus. Il punto è che nessuno ti impedisce di mandare altri CV e andare a fare altri colloqui. Abbiamo già visto la teoria della responsabilità, ricordi? Cosa c’è qui sotto il mio controllo? Non di certo se A B C mi richiamano. Ma sicuramente c’è quanti altri CV mando, quante aziende CHIAMO (col telefono, per parlare con una persona in carne e ossa che potrà dirmi “selezioni chiuse”, “selezioni fino a fine settembre”, “come si chiama? Claudio Allaverna? No, non come l’amaro, come la vena, Allavena... Ah non mi risulta. Quando ha mandato il CV?... ieri, da quale indirizzo mail? a quale mail? la mia è ....@gmail.com e ho scritto a info@ABC.com... per cortesia, la rigiri a sandro@ABC.com perché la collega della info è in malattia... capito?” Questo è sotto il mio controllo ma non mi rispondono... lo hai letto il capitolo su N di NO? Ok, se dovesse risponderti il lavoro dei tuoi sogni insisteresti? L’amore dei tuoi sogni? Una vincita alla lotteria? L’eredità del famosissimo zio sconosciuto d’America? Se non insisteresti e hai letto fin qui... ho scritto proprio un libro incomprensibile! Ma sono sicuro che la risposta sia diversa, vero? Ok, proseguiamo.

Gambe...

Cosa c’è di nuovo nel mercato? AI (intelligenza artificiale) che sostituisce quel tipo di tecnologia/azienda? e loro – i concorrenti che usano AI - stanno licenziando? Credo proprio di no. (Tranquillo, vedrai come risolvere questi dubbi nel capitolo su PONTE per trovare lavoro). 

4) Mio cugino ha fatto tre colloqui e non lo hanno preso – Tuo cugino è in gamba? Ottimo, è in gamba (secondo chi e a fare cosa?). Non era nervoso ai colloqui? C’eri? Te lo direbbe? Dove ha fatto i colloqui, hanno assunto qualcuno? Perché ne ha fatti solo tre? 

5) I miei compagni di scuola non sono nemmeno stati chiamati a colloquio – quanti cv hanno mandato? – quanti di questi cv sono stati letti? – a quante di queste aziende hanno telefonato per assicurarsi di aver risposto a un annuncio ancora valido, di aver mandato il cv a indirizzo giusto, no spam, no persona sbagliata? no persona in ferie/malattia/stra impegnata? 

6) Mio zio lavora in ABC e dice che non assumono nessuno, anzi, stanno licenziando. Cosa dice lo zio, che è il capo di tutti i capi delle HR dell’azienda ABC. Ok, lui ha ragione. E i suoi concorrenti? Chiedi anche se hanno proprio chiuso al 100% le assunzioni o solo in alcuni reparti, o ridotte, o rimandate. Stanno licenziando? Non per fare lo squalo e insegnarti modi di vedere le cose del tipo “mors tua vita mea”, non fraintendermi, ma quando un’azienda licenzia, oltre alle posizioni che purtroppo sono diventate superflue perché non c’è più lavoro per queste figure, ne approfitta per licenziare anche i “carretti”, quelle persone che credevano di avere il posto fisso a vita e si sono adagiate, diventando più un peso che una risorsa. Ci sono purtroppo in tutte le aziende, e tutte le aziende, per sopravvivere, approfittano dei periodi di crisi per liberarsene. Ma il lavoro per loro c’è. E ci sarà ancora dopo che loro avranno abbandonato l’azienda e incassato il loro TFR, liquidazione e compagnia. Non esiste: ABC Licenzia quindi io non mando CV. Devo essere sicuro che non stia anche assumendo, probabilmente figure diverse da quelle licenziate. Quindi, anche se Zio licenzia e basta, l’azienda in cui lavora non è l’unica. I suoi concorrenti? I suoi concorrenti stanno scomparendo come la ABC. Ok, perché? Adesso, senti ancora così importante quello che succede dallo zio? E quindi quello che dicono i tuoi genitori (che riportano cosa dice zio)? (Fatta anche la metà della gamba). Bene, quante gambe ci rimangono da rompere? 

7) Sul giornale ho letto che l’80% delle aziende sta licenziando 

8) I miei genitori continuano a ripetermi cosa ha detto lo zio, e a guardare i TG che… 

9) I TG fanno vedere scioperi di operai che stanno perdendo il lavoro 

10) I TG fanno vedere che il PIL è in calo 

11) I TG dicono che grandi aziende stanno lasciando l’Italia per “delocalizzare” la produzione e andranno a produrre in Asia licenziando migliaia di persone.


Li mettiamo un attimo assieme perché le devo rompere nello stesso modo TG e media. Hanno ragione. Purtroppo però sono di parte. Dalla parte per lo meno di quello che vuole sentire la maggioranza dell’audience (come abbiamo visto in “complotti o complottati”). Notizie negative. Sempre. Siamo drogati di negatività. Quindi? Se voglio cercare notizie positive, inizio a chiedere a Google: “aziende in crescita”. “Aziende che assumono”. “Settori che assumono”.”Le migliori aziende in cui lavorare oggi”. “Fondi per star-tup. Blue Angels” (sono i finanziatori di Startup). Non voglio aprire la mia startup, magari, però nulla mi vieta di lavorare per una di loro. Giusto? Perché non ne parlano in TV? Sì, ti sento sempre mentre pensi (tranquilla, tranquillo, non sono un mago e nemmeno un ipnotizzatore di serpenti, ascolto semplicemente le persone da mattina a sera, e ultimamente sto ascoltando studenti come te). Quindi, perché non ne parlano in TV: puoi pensare al complotto, o alla “gregge di massa”. L’importante è che non ti fermi a queste news e cerchi quelle che ti servono. Che gamba c’è rimasta?

La tua gamba

Arriviamo alla più importante, cioè a cosa credi tu. Ti sembrava normale quando l’hai letta prima, vero? Ed era così: “12) Adesso, cosa ti racconti tu, dopo tutte queste informazioni più o meno dirette, cosa sarà mai? Qualcosa del tipo “l’economia sta andando a rotoli”, “sono nato, sono nata (o mi sono laureato laureata) nel periodo peggiore”, “devo accontentarmi del primo lavoro che capita”, “ci sono più disoccupati che posti di lavoro”, “dovrò competere con persone con anni di esperienza disperati, che accetteranno di lavorare al posto di un neolaureato pur di mantenere la famiglia”. “Arrivano i laureati indiani che hanno molta più fame e sono molto più bravi in matematica di noi... non abbiamo scampo come ing. ”, e altri pensieri del genere. Adesso? è diversa? hai vinto o hai perso la scommessa? vedi, c’è tutto e il contrario di tutto online? È sempre stato così anche prima che arrivasse internet. Ci sono ancora persone convinte che la terra sia piatta. Se fossi minimamente in dubbio del contrario, cercherei cosa dicono e avrei conferma che i miei dubbi erano fondati, e che la terra è veramente piatta. Se sono convinti, nonostante le mille prove che ho io, possono benissimo far vacillare la mia credenza e convincermi. Sai perché non lo faccio? Ti sembrerà un po’ contro quello che dico riguardo la curiosità, che bisogna averla per scoprire, per sperimentare, per evolverci e uscire dalla nostra zona di comfort, ma te lo spiego così. In un angolino nascosto nel mio cervello sono curioso di sapere come la pensano i terrapiattisti. Non li giudico pazzi a prescindere. Se poi dovessero presentarmi prove secondo me “folli” potrei iniziare a farmi un’idea sul loro comportamento, sulle loro credenze. Ma questa voglia di conoscere le loro argomentazioni è la numero 10111 (diecimilacentoundicesima) delle mie curiosità, in ordine di importanza. Quindi per ora dedico semplicemente il mio tempo, la mia energia e la mia attenzione ad altro. Intanto mi fa piacere che esistano, perché li porto come esempio di credenze completamente contro corrente. Ripeto, senza nessun giudizio. Dopotutto Galileo, ai suoi tempi, era uno solo a credere che la terra girasse. Non per questo, per tutti i non-terrapiattisti, aveva torto. Giusto? Maggioranza = maggioranza. Non vuol dire sempre = ragione. (per fortuna, aggiungerei). Quindi? cosa ti avevo chiesto di fare? Se non hai cambiato idea e credi ancora che sia impossibile trovare lavoro scrivimi a info@coachclaudio.it. Altrimenti seguimi sui social e parla di quello che ti è piaciuto del libro a chi credi ne possa avere bisogno. 


Piccolo inciso: 


le P.IVA chiudono come mosche!


li sento. Sì, e le fiere di StartUp sono sempre più piene, quindi? Mai sentito parlare di KickStarter e compagnia? Altra valutazione: quante P. IVA (startup) aprono sapendo cosa deve fare una P. IVA? quante persone improvvisate iniziano business e poi chiudono? Tanti, circa il 90% entro cinque anni. Sembrerebbe impossibile aprire una P. IVA e sopravvivere. Ma se andiamo a vedere il perché e scopriamo che gli errori sono sempre gli stessi, allora possiamo imparare a riconoscere chi ha un futuro e chi non ne ha. Chi ha iniziato un business (aperto una P. IVA) perché ha un business plan chiaro e basato su dati e fatti, e chi invece si improvvisa e “spera, crede, è sicuro di avere un business incredibile”, senza dati precisi, senza un piano serio, senza una visione chiara, senza le risorse economiche necessarie per far decollare la propria idea sta semplicemente progettando il proprio fallimento. Quindi, visto che tu potresti anche mandare cv a startup, rileggiti cosa hai appena letto e avrai chiaro cosa chiedere, prima di iniziare a lavorare per una startup. E se invece vuoi proprio aprirla tu la P. IVA, la startup, bene: prima informati e assicurati di non commettere errori che ti porterebbero sicuramente alla chiusura.

"AH...ecco!"

Ma cambiare idee, credenze, è sempre un processo lungo? Questa potrebbe essere di per sé una credenza limitante, che ci insinua che cambiare sia difficile. Invece per fortuna esistono i momenti “ah ecco”! Questo è il momento preciso in cui cambiamo una credenza. Non ci vogliono mesi o anni. A volte bastano pochi secondi. Una notizia che dissolve tutte le gambe, o la famosa goccia che fa traboccare il vaso (e rompe il tavolo). Ad esempio quando hai scoperto che non ti ha portato la cicogna*. Potresti obiettare che eri piccola, piccolo e che ora non credi più a certe cose, ma spero di averti dimostrato con l’esempio del cercare lavoro, che basta guardare la stessa credenza da angoli diversi per vedere che non ha il peso che credevamo. L’importante è fare i passaggi giusti, rompere le gambe alla credenza e il tavolo cade giù da solo. A questo punto abbiamo un momento “ahahhh ecco!”, un momento di stupore in cui gli occhi si mettono a girare un po’ a vuoto per cercare nuovi riferimenti, perché i vecchi si sono appena volatilizzati. Questi “ah-ah ecco” sono la dimostrazione che qualcosa è cambiato nella nostra mente, qualcosa che davamo per buona, tutto d’un tratto diventa non più buona. Ti auguro e auguro anche a me stesso ovviamente di averne molti di questi momenti “ah-ah ecco”, perché sono momenti in cui si cambia molto velocemente. Sono come delle folgorazioni, delle rivelazioni. Come quando brancoli nel buio, arriva qualcuno e ti accende la luce, mentre tu credevi che non ci fosse nessun interruttore in quella stanza. Come quando fai tutta la gara cercando di raggiungere il primo in testa, non lo vedi, tagli il traguardo convinto di essere arrivato secondo e ti senti dire “Ed ecco il vincitore!”, ti giri incredulo e poi ti dicono che quello che credevi fosse davanti a te si è ritirato. Ok, allora sì, in effetti sono il primo. Ero sicuro al 100% di essere il secondo, ma se lui si è ritirato, non ci sono dubbi. Ho vinto. Altro momento “ahah Ecco”, quando sei convinto di aver preso un brutto voto, poi ti consegnano il compito ed è invece un ottimo voto. Eri convinto fosse andata male, invece no, è andata bene. Poi funzionano anche al contrario, purtroppo. Ricordo ancora dove sono andato a festeggiare il mio primo esonero (esame parziale) di chimica, il primo anno di ingegneria gestionale. Il momento “AH AH ecco!” l’ho avuto quando ci hanno dato i voti. NR o NC o non ricordo come venivano abbreviate le bocciature. Comunque sia, un brutto momento “ah ah ecco!”. Ero convinto fosse andata bene, invece... invece no. Più la credenza è radicata, più l’AH AH Ecco è intenso quando la credenza crolla e svanisce. 

Per concludere, le credenze determinano le nostre azioni. Fai attenzione a quali credenze hai, e cerca di crearti quelle che più ti aiutano a raggiungere i tuoi obiettivi. Come hai visto, basta fare pochi passaggi, cercare le fonti giuste, e potrai sostituire credenze che ti frenano, con credenze che ti mettono il turbo.

No cicogna

*So che ti sarai detta/o: ma ero bambina/o quando credevo alla cicogna, poi mi hanno detto che mi hanno trovata/o sotto un cavolo vicino all’ospedale (è dove hanno trovato me) e fine del discorso. Sembra che da piccoli fosse più facile credere a cose “non vere”, ma considera una cosa: quando eravamo piccoli, oltre a divorare il mondo con gli occhi, avevamo due filtri molto importanti, i nostri genitori. Poi dei filtri un po’ meno forti, i nostri nonni. Poi siamo andati all’asilo, a scuola, e sono arrivate decine e decine di fonti diverse di informazione. Adesso siamo alla follia (direbbero in molti) tra tiktok, youtube, reel, sms, voice message, messenger e chi più ne ha più ne metta. 

Io, per farti un esempio, ho sempre creduto che le aziende pagassero i loro agenti ogni tre mesi. L’ho creduto almeno sei anni. Perché tutte le aziende con cui lavoravo pagavano ogni tre mesi, le aziende con cui lavoravano i pochi colleghi che conoscevo facevano la stessa cosa. Poi ho conosciuto Riccardo che mi ha detto che molte delle aziende con le quali lavorava lui pagavano mensilmente. In un nano secondo è crollata quella credenza che era dovuta da mie esperienze (con minimo 10-15 aziende in quegli anni), ho iniziato a chiedermi se fossi sicuro che anche i colleghi venivano pagati come me, ogni trimestre, e verificando ho capito che non era sempre così, per poi scoprire, qualche anno più tardi, che molti che pagavano me ogni trimestre, pagavano agenti più bravi di me ogni mese. Stessa azienda, pagamenti diversi. Io mi ero “bevuto” il “facciamo sempre così”. Sì, finché non trovi la persona che ti dice che o cambi o ti cerchi qualcun altro. (Adesso lascio perdere questo esempio, se ci senti un leggero retrogusto di nervosismo dietro queste righe, sono stati periodi difficili e hanno lasciato qualche cicatrice piccina). Comunque sia, non ho dovuto spaccare gambe, cercare contraddizioni, altre prove, prove del contrario. È bastata una sola prova evidente. 


PS: brontolo, ti ho sentito, ma Riccardo ha detto la verità, e lo so perché... tu cosa avresti fatto nei miei panni? Mi sono messo a lavorare con/per lui [Rik, se leggi questo libro, grazie mille ancora per avermi aiutato quando ne avevo bisogno], tra l’altro, Riccardo mi ha anche pagato le spese. Quindi è stato proprio la prova vivente che quello che credevo era sbagliato. Un’altra credenza che mi si è volatilizzata sotto il naso è stata quella “sono brutto”. Altre che ci hanno messo un po’ di più ma comunque molto poco, qualche settimana “non sarò mai in grado di guidare”. Il problema è che se non capiamo che siamo di fronte a una credenza, o siamo fortunati e conosciamo il Riccardo della situazione, o continueremo a fare come se la credenza fosse vera. Come? Nel mio caso, io non chiedevo più pagamento mensile perché ero convinto che non fosse possibile, non chiedevo rimborsi spese, credevo non fosse possibile. Non cercavo prove che confutassero la mia credenza e quindi non le trovavo, ero un elefante legato al mio spago. Per questo sono molto pericolose le credenze che ci limitano. Non perché sia difficile cancellarle e sostituirle con credenze che ci aiutano, ma perché è difficile vederle. Spero che dopo aver letto questo capitolo tu abbia gli strumenti per riconoscerle e cambiare quelle che non ti aiutano. Altrimenti fatti aiutare da una persona esterna o vieni ad uno dei miei corsi live o online. Approfondiremo l’argomento. Coachclaudio8020.

Profezie autoavveranti

Quando sento frasi del tipo “non ci riuscirai mai” o “non puoi farcela” o “è troppo difficile per te” mi viene sempre in mente un maialino con un maglione che parla inglese. Un maialino rosa simpatico, tipo fumetto, con un maglione di lana. Ho appena preso un caffè e sono le cinque del pomeriggio, non ho bevuto alcolici, se te lo stai chiedendo. E non fumo e nient’altro di simile. Perché un maialino inglese con un maglione? perché ho allenato la mia mente a riconoscere le profezie autorealizzanti, che non sono altro che la manifestazione negativa dell’effetto PIG-MAGLIONE. Ti sento che me ne dici di tutti i colori, intanto prenditi come regalo questa tecnica di memorizzazione, cioè: scomponi/ricomponi parti di una parola che non riesci a ricordare e associ ad ogni parte qualcosa di buffo, che ti ricorderai facilmente, come un maialino con un maglione. Anche se l'effetto si chiama pigmalione, senza "g", con questo metodo me lo ricordo. E andiamo avanti. Cosa dice l’effetto Pigmalione (o effetto Rosenthal, dal nome di chi lo ha scoperto)? Dice che le credenze altrui sulle nostre capacità, influiscono i nostri risultati. Una persona che crede in noi ci aiuta ad avere risultati migliori. Nello specifico dell’esperimento di Rosenthal, il fatto che i professori credessero che alcuni alunni erano portati, più intelligenti degli altri li hanno fatti risultare e diventare effettivamente più intelligenti. Test alla mano. Ma per spiegarti meglio come funziona questo effetto ti racconto cosa ha fatto Rosenthal: ha fatto dei test di intelligenza a un campione di studenti, poi ha dato i risultati agli insegnanti dicendo che sarebbe tornato a fine anno per verificare se i suoi test avevano effettivamente “scovato” gli studenti più promettenti. A fine anno tornò nella scuola e parlò con gli insegnanti, che confermarono i risultati dei test di inizio anno: tutti i ragazzi dell’elenco erano effettivamente risultati i migliori. Rosenthal rifece il test, per essere sicuro che i professori non avessero involontariamente dato voti più alti a quegli studenti, e il risultato fu lo stesso: gli studenti dell’elenco erano effettivamente più intelligenti, dopo un anno, rispetto ai miglioramenti degli altri studenti. 


A questo punto anziché confermare agli insegnanti la bontà dei test di inizio anno, rivelò loro di aver dato un elenco completamente casuale di ragazzi. Ma come era possibile? Lo studio confermò che la fiducia di una persona esterna influenza i nostri risultati. Per questo adoro fare il Coach, perché posso aiutare le persone a dare il meglio di sé, semplicemente dando loro fiducia, più fiducia di quanta ne abbiano loro stessi. 

Ma quindi? Come si collega l’effetto pigmalione alle credenze? Semplice: qualcuno ti dice che sei intelligente, e diventa una gamba che sostiene la tua credenza di essere intelligente. Te lo dicono in tanti (esempio tutti i professori), inizi a dirtelo anche tu. Questa credenza ti aiuta a dare il meglio di te e di conseguenza ad avere risultati migliori. Un gran bel circolo vizioso. Una gran bella spirale. 

Da qui l’effetto Rosenthal viene anche chiamato l’effetto delle profezie autoavveranti. Dico che mi laureerò e (prima o dopo) mi laureo. Dico che non ci riuscirò mai e non ci riuscirò. 

Lo so, tutto a dimostrare lo stesso concetto del credere in sé stessi. Certo. È così importante ma allo stesso tempo così controintuitivo che le prove scientifiche non sono mai abbastanza. 


Rosenthal ci dice anche qualcosa di più: la fiducia degli altri aumenta le nostre performance. Quindi, ben vengano gli insegnanti illuminati, i genitori che credono in noi, i coach, i mentori. E bando alle persone tossiche che fanno l’effetto opposto, perché infatti esiste anche il contrario dell’effetto Pigmalione ed è chiamato effetto Golem. 

Quando crediamo in qualcosa, ad esempio che “non posso imparare quella lingua straniera”, questa cosa si avvererà. Perché il nostro subconscio, che come abbiamo visto vuole sempre avere ragione, lo farà avverare. È peggio di un ostacolo, è suo parente stretto e francamente poco ci importa se lo chiamiamo ostacolo o trappola. In teoria comunque, ed è il motivo per il quale il maialino inglese col maglione, più precisamente il suo contrario, il Golem, è qui, tra le trappole, è perché non solo ci ostacola ad andare avanti (verso i nostri obiettivi), ci cancella proprio la strada giusta dalla mappa. E se crediamo che non ci sia una strada, che non ci sia un ponte che ci può portare dall’altra sponda, magari possiamo metterci di buona lena a costruircene uno. Ma se addirittura non crediamo che ci sia l’altra sponda allora non proviamo nemmeno a mettere un pilastro dopo l’altro. Così come l’elefante non proverà a liberarsi dalla corda. Le trappole di questo tipo sono veramente infime. “Troppo” difficile, implica non solo che sia una cosa difficile da fare, ma che lo sia “troppo”, e il troppo si riferisce a noi, alle nostre capacità, alle nostre forze. In questo modo però non vediamo tutte le altre possibilità che ci sono. Vi chiarisco cosa intendo con “non vediamo tutte le altre possibilità”. Una cosa è dire “è troppo difficile”, altro è dire “per le mie conoscenze attuali è troppo difficile”, per poi arrivare a “è possibile con le conoscenze giuste” e finire con “una volta acquisite le conoscenze che mi servono, sarà facile...” Questa è una semplice e molto importante tecnica per cambiare i nostri paradigmi, le nostre credenze, e sostituirle con delle più funzionali. Tranquilli, vi spiego questa tecnica nel prossimo paragrafo “SPACCA LE GAMBE ALLE CREDENZE”.

Spacchiamo le gambe alle credenze

Probabilmente hai già intuito come si fa, ma te lo sintetizzo qui brevemente: 

Riconosco la credenza che mi impedisce di raggiungere il mio obiettivo, semplicemente chiedendomi “perché non riesco a raggiungerlo?” Se la risposta riguarda gli altri devo rigirare la frittata per avere io la “colpa” e quindi il controllo. Poi vedo cosa mi blocca e cerco le gambe

- Faccio l’elenco (scritto!) delle esperienze personali che ho avuto, e che rendono vera la credenza, ai miei occhi. 

- Faccio l’elenco (scritto!) delle esperienze personali che ho avuto, e che rendono vera la credenza, ai miei occhi. 

- Faccio l’elenco di cosa sento dire dagli altri. 

- Mi scrivo cosa mi racconto a riguardo, il mio dialogo interno. 


Una volta scritte tutte le gambe, le prove che sostengono la credenza, inizio ad analizzarle una ad una cercando di scovare le generalizzazioni, e smontandole chiedendomi “ma è sempre proprio così? O ci sono anche prove del contrario?” Poi inizio a modificare la credenza fino a trovare quella che mi serve, e faccio il processo inverso, cerco cioè le gambe a sostegno della credenza che mi serve.

Ladri di tempo

È sabato mattina, sono in piedi da un paio d’ore e non ho fatto altro che scrivere, scrivere e scrivere. Il mio “full immersion time” viene interrotto da una notifica sul telefono che ho dimenticato sul tavolo con lo schermo girato verso di me. Non suona ma si illumina. Vedo con l’angolo dell’occhio una mail. Penso “pausa time” (devo ancora fare colazione, ho solo messo a scaldare l’acqua col bollitore, per farmi il mio drink mattutino – acqua tiepida e limone – e apro la mail. Sono gli amici del Salone del Libro. Mail di ringraziamento per la partecipazione. 168.000 partecipanti. Il miglior salone di sempre. Ottimo, in fondo alla mail alcune foto. Ne clicco una d’istinto e via: si apre fb e Zuckerberg mi salta sulle ginocchia. In men che non si dica ho messo like e commenti a persone che non ricordavo esistessero, ho letto alcune pubblicità dell’ennesimo corso da comprare o fare e, senza rendermene conto, ho perso (sì, PERSO) venti minuti a cazzeggiare su fb. Non ci volevo andare, volevo solo vedere una foto, in una mail che non volevo leggere (non mentre sono in vena di scrivere). E invece è andata proprio così. In caso non si fosse capito, basta una notifica a farmi perdere la concentrazione e a farmi deviare dal mio programma. E tu? succede anche a te? te ne rendi conto? riesci a contenere questo effetto collaterale e deleterio della tecnologia? Ti auguro di sì, che tu sia più attenta/o di me. Io faccio molta attenzione, sicuramente, e comunque ci casco ancora. Se ci ripenso poi, le studiano proprio bene: dalla foto sulla mail si apre fb. Io voglio vedere una foto! fb mi chiede di confermare che sono io (si, sono io... ) e mi mette sulla “mia pagina”, NON alla foto. Non sono mica riuscito a vederla la foto! Ormai ci rinuncio, o la cercherò quando deciderò di prendermi IO una pausa cazzeggio, e farò un giro su fb. 


Quindi? Quindi la MIA pagina intanto non è mia, ma di tutto quello che lui, Zuckerberg vuole farmi vedere. Le sue pubblicità, i post che SECONDO LUI mi interessano. Pensi che non sia in grado di cercare il nome di un amico e vedere i fatti suoi su fb? Sono in grado ma mi costa fatica, invece Zuckerberg che sa di cosa ho bisogno, mi risparmia la fatica di collegare un paio di neuroni, e fa tutto lui. Intanto, a pensarci bene, certo che mi conosce, vede i siti che frequento, i like che metto, le ads che guardo, gli amici che ho, cosa compro e cosa vendo, dove vivo e dove mi muovo, che locali frequento, che libri leggo. Da capire bene come funziona questo mondo, e usarlo a proprio vantaggio, non sempre come passivi ingranaggi che vanno dove ci porta qualcun altro. Ti consiglio assolutamente, se non lo hai visto, il film documentario “The social dilemma”. Chiudo prima di andare in paranoia totale: il bene più prezioso che abbiamo è il nostro tempo, perché è l’unica risorsa limitata, non mi stancherò mai di ripeterlo. Bene, come usiamo il nostro tempo dovrebbe dipendere da noi, in parte è così, ma è un bene così prezioso che lo vogliono tutti, e cercano di prendercelo in tutti i modi. Di cosa sto parlando? Dei ladri di tempo, dei ladri di attenzione. Adesso, possiamo parlare di complotti ma a me non piace la teoria complottista, o parlare di nostra responsabilità e consapevolezza: questa mi piace. Quindi dobbiamo essere sempre più consapevoli di dove va il nostro tempo, e dove va la nostra attenzione, la nostra energia, il nostro impegno.

Con i vecchi ladri era più semplice

Prima dei cellulari c’era un telefono fisso per casa. Una volta staccato quello, si rimaneva abbastanza tranquilli. L’unica seccatura, l’unico modo che avevano i ladri di tempo per derubarci era che muovessero le chiappe e venissero a citofonare o bussare alla porta. Anche qui potevamo sempre far finta che non ci fosse nessuno in casa. Adesso per stare tranquilli dovremmo andare su un monte, senza cellulare, senza amici con i loro cellulari, magari in un posto senza nemmeno il segnale (qualche posto così c’è ancora). Poi pensi: e se mi succede qualcosa? Ti viene l’ansia! Ma vivevamo così stressati quando non esisteva tutta questa tecnologia? No. Non dico che non serva, anzi, porto sempre con me il telefono quando vado anche solo a correre, abitudine, sicurezza, scleri vari. Il punto è che in tutto ci vorrebbe una giusta regola, un modo più “sano ed ecologico” di usare la tecnologia. Se domenica venti febbraio avessi ascoltato un podcast o un audiolibro o una canzone, salendo a piedi verso la chiesa di Madonna di Passoscio, probabilmente non staresti qui a leggere questo libro. Non ci credi? Semplice: la creatività, i lampi di genio, le ispirazioni arrivano sempre quando il cervello è in relax, quando è libero di vagare tra i pensieri, e i pensieri non sono solo “lavoro lavoro lavoro, devo devo, dovrei, ho dimenticato...”. Le idee migliori ci vengono quando siamo rilassati. Per questo è indicata la meditazione, che ha come primo obiettivo il far calmare i nostri pensieri ricorrenti. Provare per credere. 

Dove sarei io se quella domenica mattina avessi ascoltato qualcosa, e non avessi avuto l’ispirazione? Molto probabilmente non avrei il mio progetto con le università, o per lo meno non sarei già a questo punto. Probabilmente continuerei a coacchiare liberi professionisti, probabilmente agenti di commercio, rappresentanti. Qualcuno di loro avrebbe già i primi risultati, ma io starei ancora a rincorrere sogni non proprio miei. Nessuno può dirlo con sicurezza. Fatto è che ho avuto l’ispirazione di aiutare gli studenti come te proprio mentre passeggiavo in montagna (stavo curando il giardino della mia casa invisibile) in totale relax.

Accontentarsi Vs essere grati

Non sei mai contento


 ,mi dicono in molti, contestandomi il fatto che continuo a cambiare, migliorare, cercare strade nuove e migliori. Il punto è che si tende a fare confusione tra essere contenti e accontentarsi, tra l’essere grato e il voler sempre evolvere. Io sono grato tutti i giorni di quello che ho: la famiglia, la salute, l’abbondanza di opportunità, gli amici, i colleghi, il mio gruppo dei pari, tutti i miei mentor, la mia crescita, tutte le persone che mi vogliono bene, tutte le persone a cui io voglio bene: Valentino (il cane dei miei), i gatti, il mio paese, Pigna, le città in cui ho vissuto, le mie ex, il mio pianoforte, la mia chitarra, i miei libri, le canzoni che ho scritto, i grazie che ho ricevuto dalle persone che ho aiutato, le persone che ho aiutato (a prescindere dal grazie), l’Italia con la sua cucina, la sua natura, la Rep. Ceca con le sue nevicate, Praga, la birra, il formaggio fritto. Sono grato per i cieli stellati, per i tramonti, le albe, le sveglie alle cinque. Potrei continuare un altro capitolo. Tutti i giorni, appena sveglio, ringrazio per tutto ciò che ho. Non è un’abitudine che ho inventato io, è una delle abitudini delle persone di successo. Stessa cosa prima di addormentarmi: penso almeno a cinque cose successe nella giornata, delle quali sono grato. È molto molto importante addormentarsi con pensieri positivi, perché durante la notte il nostro inconscio lavora, e ci aiuta se lavora su argomenti positivi, invece ci blocca e ci rallenta se lavora su emozioni negative come la paura, lo stress, la rabbia. Tutte cose che possiamo mettere nella nostra mente guardando, per esempio, un horror prima di dormire (purtroppo anche guardando un tg). Ho già approfondito questo discorso, nel paragrafo “chi fai entrare con le scarpe sporche...”, ma si può essere contenti senza accontentarsi? È così radicata questa idea nella cultura tradizionale, che il dubbio viene e torna costantemente. Ma non potrei stare più sereno accontentandomi di un lavoro normale? (Me lo dovresti descrivere tu questo benedetto lavoro normale). Non potrei dormire più tranquillo senza mille pensieri per la testa? Dopotutto ci metterei credo una settimana, forse due a trovare un “lavoro normale”. Non mi è mai più passato nell’anticamera del cervello. Evidentemente non fa per me. 


Quindi, perché ci sono persone che si accontentano e persone che non lo faranno mai? Perché le persone si accontentano lo posso immaginare, ma non posso parlare per esperienza personale. Comunque il punto è che anche culturalmente viviamo con degli schemi predefiniti (dalla società in cui viviamo) che ci illustrano la vita “normale” come qualcosa del tipo: studi, trovi un lavoro, metti su famiglia, compri casa, continui a lavorare fino alla pensione e poi ti godi la vecchiaia. Niente di male in tutto questo. Vedo i miei genitori che dopo una vita di sacrifici si godono sul serio la pensione tranquilli (a parte l’hobby della campagna che tanto tranquillo e rilassante non è, dal punto di vista fisico almeno). Comunque i miei genitori e molti come loro hanno sempre qualcosa da fare e sono sereni e felici. Il problema ad accettare questo schema però arriva quando si inizia a volere di più, a voler fare di più, a voler dimostrare a sé stessi (e a volte anche agli altri) che siamo in grado di fare un passo avanti, un extra sforzo per avere un extra beneficio. Il mio grande problema quando si parla di accontentarsi è che mi sono reso conto che è sempre in un modo o nell’altro uno spreco. Secondo me (liberi di condividere o meno) abbiamo dei doni, dei talenti, delle risorse e sta a noi decidere di sfruttarle a pieno o no. Inutile che ci nascondiamo dietro un dito, ci sarà pure un motivo per il quale siamo qui a questo mondo, o no? Tornando alla gratitudine, per molti è come un punto di arrivo. Sono grato di quello che ho. Vedo che molti hanno molto meno di me, quindi sono contento così, son grato. C’è chi sta peggio, molto peggio! Per altri come me invece la gratitudine è un punto di partenza, un trampolino di lancio. Sono grato di tutto, della mia salute, della mia famiglia, dei miei amici, del mio lavoro, del mio conto in banca. Quindi sono pronto per fare ancora meglio, a migliorare la mia salute, a migliorare i miei rapporti interpersonali, a migliorare la mia carriera o il mio business, ad aiutare più persone. Io sto bene, allora posso (e secondo me devo) aiutare gli altri. Vista in un’ottica universitaria potrebbe essere qualcosa del genere “sono grato di aver preso 18, ciononostante non lo accetto perché voglio di più”. Giusto? Sbagliato? La risposta giusta è solo tua, se il 18 è tuo. La risposta giusta è mia, se il 18 è il mio. 


Visto che l’argomento è veramente importante, vediamo altri spunti sui quali riflettere.

Metodo Ponte
Metodo Ponte
Come laurearsi senza rinchiocciolirsi