Capitolo 20
Prima io o prima gli altri?

Sano egoismo

L

a persona più importante della tua vita. Anni fa a un corso di formazione il coach ci ha fatto una domanda: qual è la persona più importante della tua vita? Ti invito a fermarti un attimo a ragionare, e a rispondere a questa domanda con sincerità. Io ricordo di essere stato combattuto. All’epoca non avevo una compagna, dei figli, quindi stavo pensando a mio fratello, mia madre, mio padre, mia zia. Mentre ero li che cercavo di mettere in ordine di importanza quello che non si può (perché si possono amare più persone allo stesso modo), il coach afferma: 


"se la persona che ami di più non sei tu, la risposta è sbagliata!"


Qualcosa del genere. Scusa, non ho capito... significa che la persona che devo amare di più devo essere io? Io quindi me stesso? Più di chiunque altro al mondo? anche se avessi dei figli? Eh già, ci ho messo un po’ ma poi ho capito e condivido a pieno. Ti elenco qui alcuni dei motivi per i quali la persona che devi amare di più al mondo sei tu. Sei l’unica persona che può veramente prendersi cura di te. Nessun altro al mondo può prendersi la responsabilità della tua salute, della tua forma fisica, di quello che mangi, che bevi, che ascolti, che fai. Nessun altro può quello che puoi tu sulla tua vita. Pensaci bene. Tu sei ogni singolo giorno della tua vita al posto di comando. Ogni singolo secondo hai in mano il volante, il freno, l’acceleratore, la frizione. Tutto a portata di mano. Hai presente quando voli in aereo e la voce dell’hostess dice (mentre i gentiluomini si controllano le parti intime in gesto scaramantico), che in caso di atterraggio di emergenza spunteranno le maschere d’ossigeno? Cosa dice di fare? Dice di aiutare vecchi e bambini e poi di cercare una maschera per noi, o dice di fare l’esatto contrario? Una mamma potrebbe obiettare, d’istinto: assolutamente no! Prima metto la maschera al mio piccolo tesoro, poi penso a me! Certo, l’istinto materno potrebbe farci ragionare così. C’è un solo piccolo dettaglio: se succede qualcosa mentre cerchiamo di mettere la maschera a nostro figlio, rischiamo di rimanere senza ossigeno entrambi. Invece, dando retta alla hostess, una volta che siamo noi salvi, possiamo gestire meglio qualsiasi inconveniente si presenti, aiutando al meglio nostro figlio. Ti ho sentito “Ma se non succedesse nessun inconveniente??” Scusa... c’è un atterraggio di emergenza, spuntano le maschere d’ossigeno... non ti sembra un inconveniente sufficiente? :-) E perché questa regola così egoistica?

 Perché non si può aiutare qualcuno stando male, in carenza di ossigeno per esempio. In effetti le hostess potrebbero anche spiegarlo meglio questo concetto. Chiarire il perché prima la maschera la dobbiamo mettere sul nostro naso, e poi su quello degli altri. Comunque sia, questo è il motivo. Non possiamo dare cosa non abbiamo, quindi non possiamo dare calma se siamo agitati, denaro se siamo squattrinati, informazioni se siamo ignoranti ecc.

Sano altruismo

E c’è comunque anche il sano altruismo, ovviamente. Ha solo una particolarità: arriva sempre DOPO il sano egoismo. Altrimenti come altruismo non po’ essere sano. Cosa intendo per sano? Intendo che faccia bene anche a chi lo “pratica”. Infatti pensateci bene: se sono in forma, ho la pancia piena, il portafogli gonfio, ho fatto tutto quello che dovevo fare per me, allora posso dedicarmi agli altri. Se invece per dedicarmi agli altri sto trascurando me stesso, allora è un gran problema. Sto innaffiando fiori, mi sto prendendo cura di loro, ma sto morendo di sete. Questo vuol dire NON SANO altruismo. Significa fare qualcosa per gli altri ledendo me stesso. Dura poco, per forza. Annaffio i fiori e muoio io di sete? Bravo! Così tra poco io schiatto e non ci sarà più nessuno a prendersi cura dei fiori. Perché? Perché prima di prendermi cura dei fiori dovevo prendermi cura di me stesso. Questo ovviamente è un esempio molto drastico e “fantasioso” per rendere l’idea. Spero sia chiaro. Più sono sanamente egoista, più potrò essere sanamente altruista. Più avrò da dare, più potrò dare/condividere. Lo scrivo... non lo scrivo... lo scrivo… non lo scrivo... sì, lo scrivo: più sono ricco più posso fare beneficenza. Adesso lascio che i tuoi neuroni vaghino, quelli di qualcuno hanno già i capelli dritti, e qui ti volevo, tu che stai cercando di tenere a freno le tue chiome. È così: non si può fare beneficenza essendo poveri. Purtroppo. Non vuol dire che un ricco sia migliore di un povero e nemmeno viceversa. Vuol dire che una persona con possibilità economiche (così chiarisco anche di che tipo di ricchezza sto parlando, quella materiale) ha più possibilità di dare, materialmente parlando, di una persona che non ha disponibilità economica. Poi se la persona è anche ricca “umanamente parlando” deciderà di dare. Altrimenti deciderà di non dare. Questa sarà una sua scelta. A livello di possibilità: una persona povera (sempre materialmente parlando) non potrà nemmeno dare, o potrà dare molto poco rispetto ad una persona ricca. Tutto qui. Non è questo il posto per iniziare a parlare delle diverse ricchezze. Ma sappi che si può essere ricchi in più aspetti della vita. Prendi per buono, per cortesia, che se non specifico di quale ricchezza sto parlando, mi riferisco solo a quella economica e materiale. Riassumendo il concetto “non puoi dare cosa non hai, che si tratti di ricchezza materiale, felicità, esperienze”, per questo è importante essere prima sanamente egoisti, per poi poter essere altruisti e condividere. 


Ti ricordo che nella scala dei bisogni di MASLOW, infatti, prima ai piedi più bassi della piramide ci sono i nostri bisogni, poi se vogliamo evolvere dobbiamo condividere, aiutare gli altri, perché come esseri umani siamo animali sociali. E vedi che tutto il discorso torna. Mi occupo di me stesso, per poi potermi occupare bene anche degli altri. Un altro remind: siamo partiti dall’analisi del concetto di “accontentarsi”. Dopo queste premesse su egoismo e altruismo, ritorniamo al punto.

Quando accontentarsi è pericoloso: quando si cerca lavoro

Accontentarsi sembra una soluzione, ma “accontentarsi” è un termine che io considero una “buccia di banana”, perché è molto facile abusarne, cioè estremizzarne il significato, sia in senso positivo sia in senso negativo. Mi spiego meglio: se mi accontento di qualcosa (diciamo la mia media esami all’università) che ho ottenuto impegnandomi, anche se non è il risultato che mi aspettavo (volevo di più), allora accontentarmi mi fa bene. Mi evita di stressarmi perché ho avuto un risultato minore di quello che desideravo. Qui è fondamentale che io ce l’abbia messa tutta. Bene. Mi accontento = sono contento nonostante volessi di più. Quando però accontentarsi significa smettere di cercare un miglioramento, allora è altamente pericoloso sia quando si tratta della tua carriera universitaria, sia quando si tratta di quella lavorativa. Il pericolo è di rimanere a fare un lavoro che non ti piace solo perché non ne hai trovato altro, e almeno lavori. Qual è qui l’inghippo? La miopia nel non vedere futuri possibili miglioramenti e soprattutto il darsi per vinto! Se mando cento curriculum e mi risponde solo un’azienda e inizio a lavorare, finalmente, ma il lavoro scopro presto che non mi piace, ho almeno due alternative: 

- mi accontento perché sono gli unici che mi hanno risposto e assunto; 

- continuo a mandare cv e fare colloqui mentre lavoro. 


Sono grato del lavoro che ho trovato, perché è meglio della disoccupazione, e nel frattempo cerco qualcosa che mi piaccia di più. Per favore, ti ho sentito. Hai detto “meglio la disoccupazione di un lavoro che non mi piace”... hai tre secondi per chiedere scusa (alla società) e rimangiarti questo pensiero indegno... No? Ok. Ho fatto tre respiri profondi e adesso posso risponderti: capisco che possa sembrare “meglio” stare a casa con la disoccupazione piuttosto che fare un lavoro che magari non è quello per il quale hai studiato, o addirittura è molto al di sotto (per i tuoi canoni) rispetto a quello a cui ambisci. Ed è anche vero che se sfrutti la disoccupazione hai più tempo per cercare e trovare il lavoro dei tuoi sogni. Ma ti faccio una domanda: se tu fossi il responsabile delle Risorse Umane dell’azienda dei tuoi sogni... immaginati di essere proprio lui o lei. Ok? Ci sei? E hai anche la sfera di cristallo quindi vedi tutto, sai tutto, capisci tutto (ti assicuro che ce l’hanno la sfera di cristallo, ti leggono non appena varchi la porta del colloquio, quindi attenzione). Bene, devi assumere una persona per il posto dei tuoi sogni. Ricevi solo due candidature, al 99% identiche. L’unica differenza: uno sta lavorando come cameriere, l’altro è in disoccupazione. Quale scegli? Pensaci bene. Il posto da cameriere era disponibile per entrambi. Uno ha deciso di non accettarlo. Mi può stare bene, ma ha deciso di stare a casa a fare cosa? A riposarsi? Così adesso può venire a lavorare rilassato, mentre l’altro è stanco perché ha le occhiaie di chi lavora 14 ore al giorno? Beh, se sei masochista assumi quello con le occhiaie da Netflix. Solo se sei veramente incapace a fare il tuo lavoro di HR (Human research = ricerca del personale)29.



Altrimenti scegli quello che si è dato da fare a portare piatti in tavola sottopagato (sottopagato rispetto a quello che potrà guadagnare come laureato). Perché questo ha dimostrato CON I FATTI di FARE. “Non è alla mia altezza quel lavoro”. Bravo, stai a casa a sfondarti di Netflix aspettando che il lavoro dei tuoi sogni ti bussi alla porta. Aspetta, che poi arriva. Qualcuno convinto potrebbe ancora avere dubbi. Sappi una cosa, non è importante per nessuna azienda solo cosa sai. Per le aziende è importante CHI SEI. E un poltrone che preferisce aspettare è una persona che nessuno vorrebbe in azienda, né come dipendente, né come collega, né come capo. È proprio la mentalità sbagliata. Con una mentalità da “mi è tutto dovuto perché ho la laurea” non si va da nessuna parte. Spiace anche a me vedere laureati fare lavori al di sotto delle loro potenzialità, al di sotto delle loro aspettative e dei loro sogni. È un altro motivo che mi spinge a fare quello che faccio, a scrivere quello che scrivo. Perché questa mentalità da perdenti, purtroppo, te l’abbiamo insegnato noi (la società in generale) ad averla. Tutto subito, tutto con Amazon Prime, o quello che voglio o cambio canale, attenzione di pesci rossi e pazienza ai minimi storici di sempre. Purtroppo il mondo non funziona tutto così. O per fortuna, lasciami dire. Quindi, sii grato del lavoro che trovi e continua a cercare finché non trovi quello dei tuoi sogni.

Accontentarsi di un lavoro

Non è semplice per due motivi: quando inizio un lavoro è difficile trovare il tempo e le energie mentali per continuare a cercare, e soprattutto è difficile perché i responsabili delle risorse umane, o gli imprenditori (chi si occupa delle assunzioni) fiutano se non sei adatto e non ti assumono perché per loro sarebbe come assumere una mina vagante. Dovranno investire nella tua formazione, lo fanno sempre anche se sei già formato in altre aziende, c’è sempre un periodo in cui per l’azienda che ci assume noi siamo un “costo”. Pagano loro per insegnarci almeno ad entrare nelle loro procedure (ammesso che il lavoro lo sappiamo fare perché magari abbiamo 5-10 anni di esperienza). Questo costo diventa un investimento che l’azienda si ripaga non appena iniziamo a produrre. Il punto è che, per loro, formarci mentre cerchiamo un altro lavoro significa formare una persona che si trova nel posto sbagliato e che gli costa (tempo ed energie) per insegnarle un lavoro, e questo costo non diventerà un investimento perché la persona andrà via prima del tempo. Inoltre, dal punto di vista etico e morale, è proprio sbagliato assumere una persona per fare un lavoro solo perché lo può e lo sa fare ma NON lo vuole fare, vuole fare altro. Non lo fa nessuno consciamente (spero). Quindi per questi motivi intanto ti consiglio di NON accettare lavori che a prescindere sai che ti renderanno infelice. Altro conto è accettare un lavoro che non conosci ancora, e poi renderti conto che non fa per te. Questo è un altro paio di maniche. Provare, cambiare, conoscere ed essere curiosi ci aiuta a trovare la nostra strada, se non abbiamo ancora trovato il nostro perché, le nostre passioni, i nostri punti di forza. Altrimenti se il lavoro che ci offrono non c’entra niente col nostro perché, con i nostri talenti, le nostre passioni, i nostri punti di forza... dove credi che ci porterà? a pagare le bollette? ad avere un buon stile di vita? quando? Usciti dal lavoro forse. E da quando ci entri a quando esci la sera, che tenore di vita ti darà? Ma allora ci stai consigliando di chiedere il reddito di cittadinanza e continuare a cercare? No, ti consiglio di lavorare per pagarti da vivere senza smettere mai di puntare a realizzare i tuoi sogniAbbiamo tutti tempo libero. Più di quello che pensiamo. Non servono cinque ore al giorno, ne basta una tutti i giorni per leggere, aumentare le nostre competenze. Chi dice che dopo il lavoro è troppo stanco, è perché non sta facendo un lavoro che lo soddisfa. Motivo in più per fare uno sforzo ulteriore e cercarne un altro. Invece di poltrire e rintronarsi davanti a uno schermo, o davanti all’ennesimo spritz a parlare del nulla. Se le persone avessero un conta tempo, tipo la app che ci dice quanto tempo abbiamo passato al pc o al cellulare, ma che invece contasse il tempo passato a guardare cose inutili sui social, guardare cose inutili in tv, guardare serie tv da cui non impariamo cose utili (qualcuna per fortuna c’è anche che insegna qualcosa), criticare gli altri, farsi i fatti degli altri, lamentarsi della politica, lamentarsi di qualsiasi altra cosa e potrei andare avanti ma credo sia più che sufficiente così; bene, se ci fosse questo contatore e ci fossero i termometri di felicità, realizzazione personale, gratitudine, senso di appagamento, successo nel business, successo nelle relazioni, beh, vedrai che chi avrà alti i primi avrà bassi i secondi e viceversa. Chi è focalizzato sui propri obiettivi non ha tempo per criticare nessuno. Critica sé stesso costruttivamente, dà consigli a chi glieli chiede e poi si concentra nell’osservare i suoi mentor, persone dalle quali imparare, da “copiare, persone che hanno già raggiunto i traguardi che lui vuole raggiungere”. Se si trova assieme a persone che invece criticano, danno la colpa dei loro insuccessi all’esterno, non cercano di analizzare cosa loro stessi hanno sbagliato, vedrai che le persone focalizzate sui propri obiettivi se ne andranno. Perché? Perché chi è realmente determinato a raggiungere i propri obiettivi sa sempre che deve conservare e proteggere il proprio tempo e le proprie energie. Se ha bisogno di svagarsi e prendersi un momento di relax, non ha certo bisogno di sentire gente lamentarsi di tutto senza voler arrivare a niente. Sa di essere in una situazione che gli prende sia tempo sia energie e si defila. Infatti, le persone del primo tipo stanno tra loro, così come fanno le persone del secondo tipo. Sta a te decidere in quale “tribù” rimanere. Così come dicevo parlando del soggiorno della nostra casa invisibile.

Parcheggi pericolosi

Sai qual è la differenza tra accettare un lavoro “più o meno decente” e andare a fare un lavoro faticoso fisicamente, umile, al di sotto delle tue aspettative? Semplice: nel primo caso rischi di arenarti, di accontentarti, di parcheggiarti magari nella speranza che le cose, un giorno o l’altro cambino. Nel secondo caso, ogni giorno in cui andrai a sopportare quella fatica sarà una spinta a continuare a lottare per i tuoi sogni. Questa è la differenza sostanziale. C’è anche chi poi si adagia sui lavori sottopagati, sotto le proprie capacità, completamente lontani dai propri sogni, ma spero che non lo facciano dopo aver letto questo libro. I talenti sprecati non sono solo uno spreco per la persona stessa, sono proprio uno spreco per la società, che si ritrova con un... (metti tu il lavoro secondo te umile...) magari anche bravo ma mai soddisfatto e veramente contento, e perde un... (metti tu il lavoro di talento) contento, sorridente, soddisfatto. Una scusa che si sente spesso è “devo mantenere la mia famiglia”. Ne ho già parlato e lo ripeto: se smetti di lottare per i tuoi sogni, questo è quello che stai insegnando ai tuoi figli. 


Precisazione importantissima: ognuno decide quale lavoro fare e cosa invece è un lavoro di cui non accontentarsi. Lo preciso perché non vorrei essere frainteso. Ovviamente rivolgendomi principalmente a studenti universitari, mi viene spontaneo considerare un lavoro come quello del cameriere un lavoro di cui non accontentarsi, ma tutto cambia se quello è il tuo sogno, ovviamente. Ho un amico in Rep. Ceca che voleva fin da piccolo fare il cameriere, grazie allo studio, all’impegno, alla sua passione ha girato il mondo e ora gestisce una catena di alberghi in tutta Europa. Per Štěpán è stato fondamentale il lavoro da cameriere, trampolino di lancio per una carriera ammirevole nel mondo dell’Hospitality. Per lui era costruirsi un sogno e lo ha fatto, puntando in alto, pagando il prezzo, prendendo il tempo che ci è voluto. Quindi, per evitare di essere frainteso, qualunque lavoro, quando è quello che vuoi realmente fare, è quello giusto. E per di più, qualunque cosa decidi di fare, quando la fai ad altissimi livelli, ti porterà successo e soddisfazioni.

Metodo Ponte
Metodo Ponte
Come laurearsi senza rinchiocciolirsi