Capitolo 29
PER VINCERE

D G D C

Dreams Goals Disipline (self disipline) Consistency (da Will Smith). D G D C (Dream, Goal, Discipline, Consistency) ho preso pari pari dal video di Will Smith motivazionale. In italiano l’ho tradotto in S O D C (sogni, obiettivi, disciplina, coerenza/consistenza) Tradotto: Sogna in grande, datti degli obiettivi, fatti il mazzo per raggiungerli, senza perdere il focus, e continua finché non avrai raggiunto cosa vuoi. Se hai pensato “per lui è facile, perché è un divo di Hollywood” forse hai saltato troppi dei capitoli precedenti, ma non preoccuparti, ti faccio un breve riassunto che aiuta anche gli altri come ripasso: Will Smith è un attore professionista perché: ha sognato di diventarlo, e quando dico che lo ha sognato non intendo che mentre dormiva gli è apparsa l’immagine di sé stesso da grande mentre impugnava l’oscar! Lo ha sognato ad occhi aperti, consciamente. Quando hanno iniziato a chiedergli “cosa vuoi fare da grande?” Lui come migliaia di altri ragazzini della sua età ha detto “farò l’attore”. Ci scommetto che non ha mai nemmeno lontanamente usato la parola “vorrei” o “mi piacerebbe” fare l’attore. Farò l’attore PUNTO. Questa è stata una delle grandi differenze. Poi continua, in 5 minuti di video a insegnarmi ancora come si vive. Se lo è dato come obiettivo, lo ha scritto, lo ha immaginato, si è visto e rivisto con l’oscar in mano. Si è dato l’autodisciplina necessaria per raggiungere il suo sogno e ha continuato a studiare, a studiare, a recitare, a migliorarsi, a fare fare fare fare per ore, giorni, settimane, mesi e anni! Ha sfondato allegramente la soglia delle 10.000 ore quando era ancora un ragazzino. Non gli ha regalato niente nessuno! Soprattutto non ha lasciato che nessuno gli portasse via il suo sogno. Nel video lo dice chiaramente: le persone che abbiamo attorno possono aiutarci a raggiungere i nostri sogni, o possono intralciarci. Nessuno si può permettere di dirci come vivere la nostra vita. Le persone che si ostinano a farlo dobbiamo semplicemente evitarle. Se sono i tuoi genitori (sì, lo so, sento tutto e leggo nel pensiero a distanza) torna indietro a leggere il capitolo “la famiglia: lupi bianchi o lupi neri”

Grazie Will

Vedi, mi fa piacere scrivere tutto quello che mi ha ricordato questo video, e soprattutto rendermi conto che non solo me lo ricordo, ma lo stavo proprio mettendo in pratica mentre facevo il mio plank e le mie sforbiciate! Continuo incessantemente a formarmi e a motivarmi! Mi dirai che mi sto autoelogiando. Hai ragione, l’ho appena fatto. Mi faccio i complimenti da solo, per essermi svegliato all’alba e aver fatto tutto quello che ho fatto. Bravo Coach Claudio! Ti consiglio di farlo anche tu. Checchè se ne dica, valgono molto di più i complimenti che ci facciamo noi, rispetto a quelli che ci fanno gli altri. Perché quando arriverai a farti complimenti da solo, complimenti sinceri, allora saprai di aver raggiunto uno stato di coscienza di te, delle tue capacità, del tuo lavoro che va al di là di ogni gratificazione esterna. Certo, può darsi che questo libro non piaccia a nessuno. In effetti è scritto in modo atipico, ti rimando da un capitolo all’altro, ti dico di saltarne dei pezzi se sei uno sbrigativo, ma chi mi credo di essere io per decidere cosa devi o non devi leggere! Hai perfettamente ragione. Scrivo per studenti universitari che possono essere miei figli, dovrei scrivere più formale, o più informale, usare più termini da GenZ (ma non li so, sono un Boomer), potrei anche scrivere meno parolacce (ti assicuro che quelle che ho visto rileggendo le ho cancellate tutte). Hai perfettamente ragione. Il punto è che, censure di editori a parte, ho quasi cinquant’anni e potrebbe anche non interessarmi se qualcuno si scandalizza. Invece mi interessa non offendere nessuno, per questo motivo ho “ripulito” tutte le volgarità che avevo scritto di getto nel libro. Se dal palco mi scappa una parola troppo forte è un conto, ma scriverla si può sempre correggere, giusto? E così ho fatto. Credo che far finta di essere chi non sono, meglio di quello che sono, sarebbe solo finzione, invece dare il meglio significa per me anche questo: correggere quello che so può essere migliorato, il linguaggio è una di queste cose. Ci sto mettendo tutto me stesso, parolacce incluse prima, autocensura dopo perché non voglio dare nessun cattivo esempio. Tutto quello che scrivo l’ho imparato, testato, ho visto che funziona su di me e sugli altri. Per questo motivo ho messo molta della mia vita, per farti vedere che faccio quello che scrivo, e che ho fatto tanti errori dai quali ho imparato molto. 

Tornando al punto, mi faccio i complimenti.

Vince chi persiste

Il detto “chi cerca trova” è uno di quelli che mi piacciono di più. Anche questo, come tutti, potrebbe essere frainteso, ma credo sia semplice da capire. Basta non insistere a cercare nello stesso posto: perché come diceva Albert Einstein “La follia è fare la stessa cosa ancora ed ancora aspettandosi risultati diversi” qui calza a pennello. Anche qui come al solito, meglio precisare, era sottinteso “nello stesso modo” perché alcune azioni, ripetute, cambiano lo stato delle cose: se ho tirato una martellata su un chiodo ed è entrato nel legno per un centimetro, rimartello finché non è entrato tutto, giusto? Qualcosa si è mosso. Se voglio imparare il cinese dovrò tirare tante martellate, non devo mollare dicendo “se ho studiato un anno e non l’ho imparato, non o imparerò più”. Questa è una scusa. Di sicuro il chiodo si è mosso. Se solo di poco, se solo hai imparato poche parole, ok, martella più forte, cambia metodo, ma non smettere di studiare cinese se lo vuoi veramente imparare. Qui non devi prenderti in giro, e se hai letto già il capitolo sul Perché, sono sicuro che sai a cosa mi riferisco, e sai come fare per evitare di autosabotarti. Se invece a questo punto non hai ancora letto il capitolo sul perché... ho una domanda per te: perché? stai leggendo la ricetta per la carbonara. È inutile leggere che devi aggiungere parmigiano grattugiato a piacere quando servi nel piatto, se ti sei fatto scuocere la pasta. Chiaro? [da Diego e Lili Milano 7.6.2022.. grazie amici miei]

Vince chi si adatta

La flessibilità e lo spirito di adattamento sono più importanti, più funzionali rispetto alla rigidità. Se sbatto contro un muro, ed è proprio tra me e i miei sogni, posso fare molte cose: prendere a testate il muro, prenderlo a mazzate, prendere un bulldozzer (una ruspa) e cercare di abbatterlo. Prendere della dinamite ecc. Divertiti a trovare almeno altri cinque modi per passare l’ostacolo. Oppure posso cercare una porta, una scala, raggirare il muro, scavarci una fossa sotto, volarci sopra. Se insisto per volere passare da lì, rischio di essere definito folle da Alberto (Albert Einstein, ovviamente). Se invece sono flessibile cercherò di percorrere magari una strada più lunga ma meno pesante. La soluzione c’è, non è detto che sia come ce la immaginiamo noi, ma è sempre una soluzione. Alla fine, se passo dall’altra parte attraverso una porta, perché ho scavalcato o perché ho fatto il giro del muro, poco importa. Giusto? Ripeto: possiamo cambiare traiettorie, non obiettivi. Ma la linea retta è la più breve distanza tra i due punti! Sì, certo, in due dimensioni o tre. Se aggiungi il fattore tempo, vedrai che è meglio fare un km in più passeggiando e facendo il giro del muro piuttosto che due metri a pala e picco a scavare il muro che magari neanche si buca, perché è di cemento armato e ti serve un martello pneumatico, o un bulldozzer. Questo è la parte che mi piace di più del fare il Coach: far vedere alle persone altri modi più semplici di risolvere i propri problemi, di arrivare dall’altra parte del muro. Perché lo fa meglio un Coach? Semplicemente perché è abbastanza lontano dal muro per vedere se c’è una porta, se basta fare il giro, se è meglio scavalcarlo ecc. Il coach stesso, quando è alle prese con i propri muri, è troppo vicino per vedere porte o scale. Infatti il Coach si fa aiutare da un altro Coach.

Quindi adesso che si fa?

Bella domanda, vero? La prima cosa da fare richiede molta energia, ci si cimentano in pochi, anche se è più semplice di quanto sembri: pensare! Porsi le domande giuste, costruttive, e pensare alle risposte. Immaginare, sognare. Un lavoro intellettuale e mentale faticoso, non è uno scherzo (anche se è sicuramente un po’ ironico). Il cervello, come abbiamo già visto, consuma da solo il 20% dell’energia che serve al corpo. Quindi, sì, è faticoso. Soprattutto, è INDELEGABILE quando si tratta di sognare, e immaginare il futuro che vorremmo, per crearlo prima nella nostra mente. Il sogno deve essere il più vivido possibile, deve coinvolgere tutti i sensi: cosa vediamo, c’è della musica? Che profumi sentiamo, che gusti, che sensazioni tattili, soprattutto che emozioni proviamo. Tutto questo farà come da gancio trainante e la nostra mente riempirà il gap tra dove siamo e dove vogliamo andare. Inizierà a cercare soluzioni, strade, ponti da percorrere e se non ne troverà, ne penserà di nuovi da costruire. A questo punto il rischio è che qualche sabotatore (interno o esterno) si metta tra i piedi. Per fortuna hai ormai capito come riconoscerli e come tenerli a bada. 

Poi fare, fare, fare (la “Legge dell’Azione” di Coach Stefano Del Serra)38 senza lasciarsi fermare da problemi, senza farci demotivare dai fallimenti (sempre momentanei, finché si continua a mettersi in gioco e riprovare). Quindi, la prima cosa da fare adesso, cara lettrice, caro lettore, è prenderti il tempo per sognare e trovare il tuo Perché, si quello con la P maiuscola. Come lo riconosci? sei già stato innamorato, innamorata? bene, la stessa cosa: quando ci pensi non smetteresti più, ci pensi prima di andare a dormire, e non appena ti svegli. Una volta trovato il tuo Perché inizi a prendere decisioni in base alla tua missione. Se non ce l’hai ancora, cerca e crea il tuo gruppo dei pari condividendo questo libro, così da essere tutti allineati. Se a qualcuno non piace leggere ma è interessato a questi argomenti, a parte trovarmi on line, è un’ottima occasione per te ripetere quello che hai imparato dal libro, così aiuti un’altra persona e te stessa/te stesso (perché, lo sai, quando insegniamo impariamo di più). E adesso goditi il viaggio, goditi la costruzione dei tuoi ponti.


La Legge dell’Azione o Legge del FARE, del Coach Stefano Del Serra

Avrai, forse, sentito parlare delle legge universali (in caso contrario, ottimo spunto da approfondire), la legge del Karma, la legge dell’Attrazione, la legge della Risonanza e molte altre. Premesso che sono tutte integrate nel DNA del Metodo Ponte, perché funzionano, e non le ho nominate esplicitamente semplicemente per trattare questi argomenti nel modo più semplice e pratico possibile. Detto questo, cosa dice Coach Stefano Del Serra? Semplice, q

"va bene meditare, va bene immaginare, va bene desiderare, va bene “vibrare”, ma poi bisogna FARE!. "

Cioè possiamo prepararci, motivarci, formarci, fare tutto quello che vogliamo, pregare, fare la danza della pioggia, quella del ventre, funziona tutto a patto che poi ci mettiamo a FARE. Stefano, campione europeo di fittness, coach da sempre, sa più di ogni altro che ci vuole la dieta, la mentalità, l’ambiente esterno, il team, il coach, il supercoach… e poi bisogna fare, sudare, impegnarsi, sentire il dolore che dice che il muscolo sta crescendo, e tanto tanto tanto impegno. Tanto “FARE”

Ti sento, adesso ti stai chiedendo “fare cosa?” da dove iniziare? Bene, ricordi che ti ho fatto fare un esercizio, rispondere a tre domande all’inizio del nostro percorso? Spero innanzitutto che tu lo abbia fatto, che tu abbia risposto e segnato la data. Ora è il momento di ripetere l’esercizio senza guardare le risposte che hai già dato. Come la prima volta, rispondi d’impulso senza pensare troppo a cosa “dovresti” rispondere o a casa sarebbe giusto rispondere. Prendi carta e penna o scrivi qui se preferisci e rispondi di getto: 

Chi ti credi di essere? 
Scrivi tutto quello che ti passa per la mente. Puoi scrivere da dove arrivi, dove stai andando, dove vuoi andare. Cosa credi di saper fare, di non saper fare. Chi vuoi diventare. Non fa parte di chi ti credi di essere? Certo che sì.








Dove pensi di essere tra cinque anni? e fra dieci? che persona pensi che sarai? (come ti immagini il tuo futuro insomma).








Che persona vorresti essere fra 5-10 anni? che vita vorresti avere? (come vorresti che fosse il tuo futuro insomma)








Adesso puoi rileggere anche le risposte che avevi dato a inizio libro. Spero che tu veda delle differenze, dei miglioramenti. Se è così, hai già la prova dei primi risultati che ti sta dando questo metodo. Ti consiglio di rifare questo esercizio periodicamente, una volta anche subito dopo aver finito tutto il libro. Ti ricordo che le risposte cambiano così come cambiamo noi. L’importante è che evolvano, migliorino, che i ponti siano più grandi, più lunghi, le asticelle più alte. Non perché dobbiamo avere sempre di più, ma perché possiamo diventare sempre migliori, qualsiasi sia per noi il significato di migliore.


ORA LUBRIFICHIAMO LE ROTELLE

A quali rotelle mi riferisco? A quelle immaginarie che abbiamo nella mente, che girano e macinano pensieri. Nei prossimi paragrafi ti darò altri spunti su cui riflettere. Sai cosa fare, in che ordine, e magari potresti anche sentirti un po’ sopraffatta/sopraffatto. Ripeto, datti tempo, inizia a prendere spunti per usare sempre di più e sempre meglio la tua mente, i tuoi pensieri, perché sono il miglior aiuto che hai (che abbiamo tutti) per raggiungere i tuoi obiettivi, di qualsiasi obiettivo si tratti. Paradossalmente anche per obiettivi sportivi la nostra mente ha sempre un ruolo fondamentale, semplicemente perché, come hai visto, può fare da freno o può fare da turbo per tutto il resto, fisico compreso. Se ti sembra in contraddizione con la legge del FARE, considera che iniziare qualcosa, fare il primo passo, le prime flessioni, i primi metri di corsa parte tutto dalla mente, quindi come vedi tutto è collegato, e tutto torna. 

Detto questo, goditi i prossimi paragrafi.

La relatività

Nei prossimi paragrafi voglio farti ragionare su un aspetto molto importante che molto spesso sottovalutiamo e cioè che tutto è relativo

Purtroppo non ci facciamo molto caso, spesso, perché spinti da credenze così profonde da passare inosservate, da dogmi (infondati) ascoltati migliaia di volte, dai soliti meccanismi mentali di cui ti ho parlato per tutto il libro. Lo scopo quindi dei prossimi paragrafi è quello di farti ragionare, di darti altri modi di vedere le cose, senza dirti cosa è giusto e cosa è sbagliato perché, come anticipato, tutto è relativo e sarai tu di volta in volta a dover capire, situazione per situazione, come interpretare la realtà. Vedrai che dopo questi ragionamenti fatti assieme avrai sicuramente più coscienza e strumenti per gestire la tua interpretazione della realtà al meglio. Intanto vediamo cosa ho imparato sulla relatività.

La relatività secondo nonno Nicò

Il mio primo contatto col concetto di relatività l’ho avuto quando avevo circa otto anni e me lo ha insegnato mio nonno. Mio nonno Nicò in quegli anni aveva qualche problema al cuore, quindi doveva stare a dieta, mangiare regolare, bere vino solo allungato abbondantemente con acqua, niente superalcolici (andavano di moda gli amari). Proprio da qui arriva la mia lezione sulla relatività, sul rapporto quattro a uno. Ci arrivo, tranquilli. Mia nonna Nina mi aveva raccomandato di controllare che il nonno bevesse un solo bicchiere, con quattro dita d’acqua e un dito di vino (avevamo dei bei bicchieroni da cucina, e in effetti ci stavano cinque dita di vino/acqua. Secondo mia nonna e secondo il dottore, nonno Nicò avrebbe dovuto riempire con una parte di vino e quattro di acqua. Bene. Mio nonno non si sarebbe mai sognato di contraddire mia nonna, né tantomeno il dottore. Però mio nonno sapeva bene la differenza che c’è tra un bicchiere di vino con un po’ d’acqua e uno di acqua con un po’ di vino. E la seconda opzione non lo attirava affatto. Cuore o non cuore, avrà pensato, anche lo spirito vuole la sua parte! Veniamo ai fatti quindi: sono da solo a controllare il nonno, e mi raccomando che beva un dito di vino con quattro di acqua. Lui annuisce guardando il bicchiere e versandosi per primo il vino. Riempie il bicchiere fino quasi all’orlo, lasciando un solo centimetro vuoto. Io lo guardo incredulo penso “ma mi hai appena detto di aver capito… quelli sono quattro dita di vino, non uno!”. Lui sempre sorridendo prende la caraffa d’acqua e versa nel bicchiere l’ultimo centimetro. Si gira, mi guarda e mi dice “vedi Clà, ho fatto cosa ha detto la nonna, quattro dita d’acqua – e mi indica vicino al bicchiere le sue quattro dita messe in orizzontale – e uno di vino” – e mette un solo dito, l’indice, in verticale vicino al bicchiere. Io lo guardo, in effetti non fa una piega, anche se penso di non spiegare alla nonna come il nonno giri le dita… meglio evitare guai.

La relatività secondo il Prof. di fisica 2

Probabilmente tutti sanno che per due punti passa una e una sola retta, giusto? Ok, e che per tre punti passa una e una sola retta SOLO SE i tre punti sono allineati. Ci sei? Ok. Per il professore di fisica 2 del politecnico (lo sto ancora cercando perché sembra sia andato in pensione) anche per tre punti passa sempre UNA retta, basta che sia abbastanza larga! È certo una provocazione, fisicamente e geometricamente parlando è un errore (perché la retta per definizione non è “larga”). Ma è significativo di come tutto sia relativo, basta modificare leggermente le condizioni. Cosa significa “leggermente”? Ovvio, significa “quanto basta”.

Tutta questione di proporzioni…

“Le dimensioni non contano... però si sentono” 

diceva una mia ex. Una frase che mi ha fatto ridere così tanto, detta con un tempo comico degno di Zelig, da rimanermi impressa come un dogma scolpito sulla pietra. Perché te lo cito qui? In effetti c’entra proprio col discorso della relatività e delle proporzioni. Pensa che voli pindarici fa la mente: sono sul treno Ventimiglia-Milano, sto scrivendo e a Sampierdarena guardando dal finestrino, ho visto parecchi palazzi nuovi, molto alti, facciata in mattoncini molto molto belli. Poco prima avevo notato una montagna di container al porto. Ho pensato che, per quanti senza tetto possano esserci, a Sampierdarena (ne ho visto uno che dormiva seduto in stazione, spero che non ce ne siano molti altri), di sicuro sono in numero molto minore di tutte le persone che vivono in questi bei palazzi. Non vuol dire assolutamente che non dobbiamo preoccuparcene e aiutarli, certo che no, vuol dire però che se da una parte c’è tanto disagio, dall’altra parte c’è molto benessere. Se dovessimo mettere il tutto in un bicchiere, questo bicchiere sarebbe pieno quasi fino all’orlo (di benessere), e ci sarebbe un filino vuoto (con la povertà). Qui si può innescare però un falso mito, e cioè che se qualcuno diventa più ricco, qualcun altro deve diventare più povero. Su questo potrei scrivere un altro libro, ma non è il mio mestiere. Il mio mestiere è aiutarti a capire che se guardi il numero di aziende che chiudono per crisi (per crisi? sicuri? tutte? ok, per crisi), se non vuoi che questo dato ti dia l’informazione sbagliata (rimani con me e capirai), devi contestualizzare il più possibile il dato stesso. Altrimenti è INUTILE. No? Ok, seguimi: quando ho alzato lo sguardo dal computer e ho guardato fuori dal finestrino, nella stazione di Sampierdarena, ho visto tre persone al binario: una ragazza che ascoltava musica, un uomo d’affari, il barbone di cui ho scritto poco fa, che dormiva seduto e ingobbito sulla panchina con una coperta sulla schiena. Posso dire che un terzo della popolazione di Sampierdarena è di senza tetto? Certo che no. Ma certo che sì se mi limito a cosa ho visto dal finestrino. Perché succede di prendere queste cantonate? Perché il campione di tre persone NON PUÒ RAPPRESENTARE tutta la popolazione di Sampierdarena. Lo sa bene (dovrebbe saperlo:-)) chi studia statistica. Il punto è che questo esempio è molto chiaro, si capisce subito che è una distorsione della realtà. Ma non ho nemmeno dovuto torturare i dati! Tre persone, uno di loro è un senza tetto, il 33,33333..% delle persone che ho visto a Sampierdarena è senzatetto. Punto. Ti starai chiedendo che cosa ti serve il barbone di Sampierdarena. Il barbone di Sampierdarena è l’azienda di cui hai letto o sentito al tg, quella che sta chiudendo. Quella che non ti assumerà. Quella che non sta cercando di assumere ma di licenziare. Poi ci sono tutte le altre. Tutte le persone dei palazzi a mattoni rossi che ho visto, prima di entrare in stazione, sempre a Sampierdarena. Ci sono tutte le StartUp che partono (un po’ rischiose magari, ma sicuramente più stimolanti), ci sono continui spin-off da aziende esistenti. Un po’ la moda italiana: lavoro per un’azienda, dopo qualche anno mi stufo, credo che il mio capo o il proprietario non si meriti di guadagnare più di me (o io di guadagnare meno di lui), mi licenzio e mi metto a fare concorrenza all’azienda che mi ha dato da mangiare fino a ieri, cercando di portargli via i clienti, perché so fare meglio il mio lavoro se non ho nessuno che mi controlla e rompe le p. 

Ok, se ho ragione, ho appena creato una nuova azienda che darà da lavorare ad altre persone. Torniamo al discorso del focus: quello che guardi cresce. non perché hai i superpoteri e con lo sguardo aumenti le dimensioni delle cose, ma perché se continui a guardare aziende che chiudono, ne vedrai sempre di più (aumenteranno), se guardi quelle che aprono, quelle cresceranno (perché ne guarderai molte di più), se ci pensi infatti le trovi molto spesso assieme (quelle che chiudono le trovi sui giornali, quelle che aprono le trovi alle fiere di settore per esempio). Il punto è che ci sono sia quelle che aprono, sia quelle che chiudono. A te quali servono? Guarda quelle che ti servono. Ma poverine quelle che chiudono! si, e cosa puoi fare per loro? Se puoi fare qualcosa per aiutarle, fallo, altrimenti non tormentarti per cose che non puoi cambiare. Ma mi voglio tenere informato. Su cosa? Su quante ne chiudono o quante ne aprono? Vuoi tenerti informato? Ok, allora guarda quante ne chiudono, quante ne aprono, quante ce ne sono ancora aperte, da quanti anni, poi fai le dovute proporzioni. Perché si sentono. 

Ti faccio una domanda e ti do una risposta: secondo te l’estrema povertà (chi vive con meno di 2$/giorno) a livello mondiale negli ultimi 40 anni sta aumentando, è rimasta la stessa o sta diminuendo? La risposta la trovi sul sito POVERTY & DEVELOPMENT, ti consiglio anche un libro che ho già citato e ricito perché se lo merita e dovrebbe essere testo obbligatorio nelle scuole: “Factfulness, Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo. E perché le cose vanno meglio di come pensiamo, di Hans Rosling, Ola Rosling, e al.

…e di trend

Cos’è il trend? È l’andamento nel tempo di un determinato dato, la tendenza di un fenomeno nel lungo periodo. In che senso dipende dal trend? Diciamo che io oggi sono 7 kg sovrappeso. Dato oggettivo. Quanto peso oggi meno quanto dovrei pesare (per le tabelle in base a età, altezza, % di ossa ecc. ecc.). Ci sono sette chili di troppo. Anche qui ci sono delle proporzioni da considerare, perché se sono alto 1.75 peso 74 e dovrei pesare 67 è un conto. Se sono alto 2.10 peso 117 e dovrei pesare 110 è un altro. Se sono un bambino di 6 anni, dovrei pesare 30 e sono 37 ... questo è molto peggio, giusto? Sono sempre sette chili in più, ma “li sente meno” un giocatore di pallacanestro di 2 metri e 10, di un ragazzino delle elementari. E questo dipende appunto dalle proporzioni, come abbiamo visto. Torniamo ai miei sette chili di troppo. Io sono quello di 1.75. In che senso dipende dal trend? e cosa dipende dal trend? Inizio dal fondo: dipende dal trend come mi sento. Eh? Sei comunque sette chili sopra, come può cambiare come ti senti? Ecco come: dipende da quanto pesavo tre mesi fa, e cosa ho fatto per arrivare dove sono oggi. Ci siamo quasi? Eccomi: se tre mesi fa pesavo 67, significa che il trend è che sto ingrassando, giusto? Anche di corsa. Bene, se invece tre mesi fa pesavo 78? Posso sentirmi meglio adesso? Certo che sì, perché anche se sono ancora 7 kg sovrappeso, sto dimagrendo. Il trend è in discesa, verso il mio obiettivo. OK Finito! Questione di proporzioni e di Trend. Il dato da solo non basta. Non ancora... perché...

…e del perché, della causa

Diciamo che sono dimagrito. Ok, posso essere contento anche se sono ancora sette chili sopra. Diciamo che sono dimagrito ma: A) ho iniziato a mangiare comunque più schifezze oppure ho smesso di fare sport oppure entrambe le cose (più magari altro che esula dal senso di questo esempio e di questo libro)... tutto bene anche qui? B) ho smesso di mangiare perché sono ammalato... allora non sono mica così contento! Ero meglio sovrappeso che ammalato! Quindi, tutto questo per farti capire che più scaviamo, più andiamo a fondo nei numeri, vediamo le proporzioni, i trend, le cause e potremo andare avanti e scavare sulle cause delle cause, e sulle cause delle cause delle cause, più capiamo. Altrimenti rischiamo sul serio di travisare la realtà e di prendere decisioni sulla base del nulla, o peggio del contrario della realtà. 

Altro esempio: Se ti dico che ci sono 750.000.000 di persone che vivono con meno di 2 $ al giorno, fa impressione vero? (diciamo che è il 2017, anno di cui ho dati aggiornati). Sono il 10% della popolazione mondiale. Fa ancora molta paura, senso di... dimmelo tu cosa provi. Io provo tristezza, senso di impotenza, senso di catastrofe, della serie: siamo destinati a diventare tutti poveri e in fretta. Aggiungiamo almeno il trend, e qui si rimanda ai grafici del sito internet Our World in Data.39 Dal 1981 al 2017 la percentuale è scesa drasticamente, dal 42,6 % al 9,27%. Sono sempre gli stessi 750.000.000 di persone, c’è ancora molto lavoro da fare per estinguere questa piaga, ma è anche vero che “stiamo” facendo qualcosa. Che la situazione sta migliorando, che siamo nella direzione giusta.


…e della causa della causa

Per concludere questi giri di parole, e ingarbugliate logiche, pensa che la stessa azione, data da motivazioni diverse, cambia il proprio significato in modo drastico. Vengo al punto con un esempio banale ma chiaro: se sparo a una persona è un bene o un male? Dipende dalla persona... dal perché... giusto. Se la persona non mi ha fatto niente e nemmeno la conosco? se mi punta un’arma? se è un poliziotto? se è un poliziotto corrotto? se io ho in braccio un bambino? Il poliziotto può anche essere corrotto, avermi rubato la pistola, essere ubriaco perché sospeso. Da rinchiudere subito. Se io sto giocando al parco con mio figlio e lui vede gli ufo e mi vede con la testa verde e la proboscide, è meglio che lo richiudano subito. Stesso scenario, lui con la mia pistola (me l’ha presa a casa), lui sospeso, ubriaco, io sto giocando al parco con mio figlio ma... lo sto affogando nella fontana... beh che mi spari subito! O sì? Cosa ne pensi? Questa storia, che potrebbe continuare all’infinito, a ogni dettaglio aggiunto fa spostare l’ago della bilancia, vero? Non ho fatto questo esempio per confonderti, ma per renderti il più curioso possibile. Andrebbero presi a calci nei garretti tutti quelli che sentenziano senza nemmeno sentire finire la storia, qualsiasi storia. Sanno sempre tutto ascoltando una sola campana. Il giusto e sbagliato sono così chiari per loro che basta vedere se ho una maglietta a strisce o a pois per capire se mi deve sparare o meno. Beh, per cortesia, non commettere lo stesso errore. 

Informati, informati e informati. Più scaviamo più capiamo, più capiamo meglio possiamo prendere le nostre decisioni. Ma quindi non si finisce mai di scavare! Come facciamo a deciderci? Ottima osservazione. Dobbiamo considerare quanto è importante la decisione che stiamo per prendere. Una cosa è “risotto o matriciana”, un conto è sparo a qualcuno o no. Un altro conto è esco questa sera o rimango a studiare, un altro conto è smetto di studiare o proseguo gli studi. Soprattutto, scegli sempre con la tua testa. Grazie a tutti per i loro miliardi di consigli più o meno richiesti, più o meno sensati. poi fai mente locale e usa LA TUA MENTE e IL TUO CUORE. Unico modo per non crescere con rancori, recriminazioni, rimpianti, rinchiocciolamenti pericolosi, incazzature e quant’altro. 


Sempre per la serie che tutto è relativo, voglio farti ragionare su aspetti che molto spesso passano inosservati. Molti detti popolari vengono presi per veri, lo sono MA sempre e solo in alcune circostanze, in alcuni contesti, non sempre. Anche qui, giri di parole per aprirti la mente, storie semiserie per rendere la lettura più leggera nonostante i ragionamenti siano tutt’altro che leggeri.

Il lavoro nobilita l’uomo

Non dicono quale però. Qualcuno aggiunge duro, il duro lavoro nobilita l’uomo. Non basta lavorare, deve essere anche faticoso. Ok, ragazzo, pensa che si diceva quando l’unico lavoro era quello dei campi. Senza ombra di dubbio posso confermare che è duro. Anche quando ci piace, anzi anche quando ti piace (perché a me non è mai piaciuto). È duro anche per mio padre, che non può stare più di un paio di giorni senza fare qualcosa nell’orto o in campagna. Lo era anche prima che mio padre andasse in pensione. È duro per mio fratello che è ancora nel pieno delle forze, e non appena ha due giorni tra un concerto e l’altro in giro per l’Italia, si fa km e km per tornare a Pigna e andare in campagna. Ok, ammettiamo che se ci piace il lavoro duro possa nobilitarci. E ammettiamo che – se parliamo di lavoro nei campi, ho toccato con mano – quel lavoro sia duro. Il problema è quando sembra che sia l’unica via! Perché il lavoro nobilita anche quando è “facile”! Esiste, magari non in agricoltura, ma esiste, basta fare cosa ci piace. Il problema di generalizzare è che si vedono persone che, per sentirsi nobilitati dal lavoro, fanno quasi a gare per chi è più stanco, per chi fa più km per andare al lavoro, chi fa più straordinari (magari non pagati), a chi prende meno ferie e così a non finire per rincoglionirsi come i cammelli sardi a tre gobbe. Che non esistono, e se esistessero sarebbero così ingobbiti dal lavoro da avere la terza gobba... e la seconda, perché se non sbaglio i cammelli ne hanno una sola! 

Beh, quindi? Perché deve essere duro sto lavoro? Chi lo ha detto? Non so chi lo abbia detto, ma me lo hanno fatto credere così tanto che mi sentivo in colpa a lavorare “solo fino” alle cinque (iniziando alle sette del mattino, con mezz’ora di pausa al volo), sono nove ore e mezza, che diventavano invece dodici come ridere. Un’ora e mezza in più (MINIMO) delle otto pagate e standard. Ora, non fraintendermi, se non sei disposto/a a fare straordinari quando inizi a lavorare e devi imparare, e sei più un costo che un beneficio per chi ti ha assunto, beh, allora stai sbagliando approccio. All’inizio! Non che poi diventi una routine! Anche perché a fare la gara a chi scalda più la cadrega in ufficio non si vince niente! A parte rubare la paga dello straordinario, se si scalda la sedia e non si produce. E il punto è che proprio in Italia sembrava (spero sia cambiata la moda stupida) sembrava fosse doveroso fare straordinari sempre. Perché mentre gli americani facevano a gara a chi metteva più tavoli da calciobalilla e ping pong negli uffici, a chi aggiungeva palestre, o asili per le mamme in carriera... in Italia giocavamo a chi scaldava di più la scrivania. Con la differenza che in America rendevano il doppio (o quasi). Noi ci stancavamo ed esaurivamo il triplo. Parola di esaurito. Certo, non in tutte le aziende, non sempre, ma la tendenza era questa, e non è nemmeno troppo migliorata, a quanto sento. Quindi sappiate che il lavoro nobilita l’uomo, e lo fa anche quando il lavoro è appagante, divertente, non faticoso. Qualcuno potrebbe obiettare che di lavori così ce ne sono pochi ma, sapete come la penso: chi cerca trova. 

Se devo fare un paragone con la storia degli operai che ha intervistato Giorgino sulle rive della Moldavia, io sono passato dal “mi guadagno da vivere” al “collaboro alla costruzione di un ponte”, per arrivare dove sono adesso (22.14 del 30 giugno, in cui ho iniziato alle 3.00 con la sveglia, treno per Milano, fiera e ora treno di rientro) per arrivare adesso a sentire che sto costruendo il MIO ponte. Che infatti si chiama Metodo PONTE. Sono stanco fisicamente solo perché sono in piedi dalle tre e non sono abituato, ma per il resto non sento fatica, sento soddisfazione. Non è semplice spiegare il concetto, ma la fatica buona è quella che fai mentre costruisci il ponte Carlo, per capirci. Come se pesasse meno. Perché si, pesa meno. 

Tutti questi deliri personali per dirti che se c’è un detto che sembra vero:

  1. Non è detto che sia vero sempre;
  2. Non è detto che sia applicabile a tutto, al nostro caso in particolare;
  3. Dobbiamo fare attenzione a cosa ci insegna;
  4. In condizioni diverse da quelle in cui è nato il detto, può essere vero l’esatto contrario.
Altre due divagazioni sul lavoro che nobilita e sul lavoro duro: il nostro amico Henry Ford diceva che “pensare è il lavoro più pesante che ci sia, ed è probabilmente questo il motivo per cui così pochi ci si dedicano”, e per parlare di nobiltà legata al lavoro, io credo che sia molto nobile (uso il termine col significato del detto popolare) anche dare lavoro, non solo lavorare in se ma anche dare lavoro ad altri (ovviamente un buon lavoro e ben retribuito).

Cambiare le parole

La potenza e la forza intrinseca nelle parole viene troppo spesso sottovalutata, ed è un peccato perché è alla portata di tutti e può radicalmente cambiare in meglio (o in peggio ovviamente) le nostre sensazioni, le nostre emozioni. Prendi in esame questi esempi: 


- Eccitati Vs Ansiosi 

Uno dei metodi consigliati da Kelly McGonigal per combattere lo stress, anzi, per utilizzarlo a nostro vantaggio, descritto nel suo libro “Il lato Positivo dello Stress”, è quello di modificare il nostro dialogo interno ed esterno a riguardo. Invece di dire che siamo ansiosi, possiamo dire che siamo eccitati. Tutto il corpo entra in una fase di attenzione in un istante. Invece di vederla come un pericolo, possiamo vederne gli effetti positivi. Siamo più pronti ad agire, siamo più attenti, vigili, siamo nella modalità “cacciatore”. Se invece ci sentiamo stressati, ci sentiamo pressati, timorosi, attenti ai pericoli, e nella modalità “preda”. Infatti, si dice “in preda alle emozioni”. In questo caso saremo pronti a reagire, quindi passivi a quello che sta per succedere. C’è una grande differenza. 

- Sfide Vs Sfighe

Sempre Kelly McGonigal nel suo libro, ci spiega come passare dal considerare una situazione di pericolo, a una sfida, ci aiuta ad attivare le risorse positive completamente diverse. Quando siamo in situazione di minaccia i vasi sanguigni si costringono, per evitare perdite di sangue. Quando ci troviamo in una situazione di sfida invece, ci sentiamo come in una competizione: aumenta il flusso di sangue ai muscoli per migliorare la performance fisica. In quali delle due modalità saremo più in grado di reagire a nostro vantaggio? Ad esempio, può aiutarci questo cambiamento di prospettiva quando sentiamo il cuore battere più forte: anziché agitarsi, riconoscerla come una risposta del nostro corpo che ci dà più energia per affrontare la sfida che ci si pone di fronte.

Le mie sfighe beate

Rianalizzando la mia vita (i miei primi quarantasette anni) mi sono reso conto che quelle che sembravano sfighe, alla fine si sono rivelate semplicemente dei trampolini di lancio. Tutti momenti di crescita. Te ne elenco qualcuno: rimanere senza soldi mi ha fatto sentire fame. Per la prima volta nella mia vita un istinto che partiva dal profondo dello stomaco (vuoto) mi ha sorpreso. Una forza incredibile. La fame è un istinto primordiale, non guarda in faccia nessuno. Quella fame mi ha attivato la modalità cacciatore. Non ho mai avuto così chiaro il mio obiettivo: Uscire da quella situazione di merda e alla svelta. I soldi stavano finendo, l’avvocato aveva fatturato come se non ci fosse un domani e mi aveva lasciato sul lastrico senza che me ne rendessi conto. Ricordo di aver chiamato mio fratello quando mi rimanevano 500 euro sul conto o giù di lì. La risposta è stata come una rete messa sotto un trapezzista al quale si è appena rotto il trapezio tra le mani: “Stai tranquillo frai, ci sono. Siamo sempre in due. Mandami l’iban”. Per fortuna da lì a qualche giorno sarebbe finita la mia avventura tra avvocati e giudici e il mio conto ha ripreso a respirare. Ma la sensazione di fame non se ne è più andata. Fame di non trovarmi più in quella situazione, fame di non dovermi più preoccupare così del denaro, fame di sicurezza e tranquillità. Ero stato parecchi anni al secondo scalino della piramide di Maslow (di cui ti ho già parlato), quella dei bisogni, ed essere scaraventato al piano terra, mi aveva fatto svegliare di botto.

Altra sfiga: l’essere stato truffato da un presunto “socio”, solo sei mesi dopo aver messo tutti i miei risparmi nella mia mitica società 80 Twenty sro, a Praga. Sei mesi e via, perso tutto con gli interessi e strascichi che hanno fatto un buco nelle casse della neonata 80 Twenty di circa 50.000 euro. Se consideri che per aprirla ho versato 8.000 euro di capitale sociale, puoi immaginare dove sia andato a finire. Non sottoterra, più giù. Comunque sia, ci ho messo due anni e ho “tappato il buco”. Avrei fatto prima a chiudere e dichiarare fallimento, ma la 80 Twenty non era solo una società, era la MIA PRIMA società, e il nome per me significa molto. È un omaggio a Vilfredo Pareto che ha scovato il PRINCIPIO 80/20, e a Richard Koch che lo ha applicato al business (e non solo) e me lo ha fatto conoscere. Come hai visto nel capitolo dei numeri magici, al cap. ovviamente 8020. È stata una lezione mica da ridere, una bella sveglia, come direbbe qualcuno che conosco. Eppure sono ancora qui, e la 80 Twenty ha appena compiuto 9 anni. Cosa ho imparato? Tante cose: 1) non fidarsi degli sconosciuti, nemmeno se presentati da un amico: gli amici presentano persone in buona fede, ma non sempre sanno chi vi stanno presentando; 2) se puzza, è di colore marrone, ha delle mosche sopra... è proprio quello che sembra e basta. Anche con giacca cravatta e cellulare all’ultima moda; 3) come funziona un vero Ponzi (truffa a piramide inventata – guarda guarda – da un nostro connazionale che gli ha dato il nome; 4) se si fidano persone più in gamba di te, più esperte di te, con più business avviati di te, e tu non ti fidi: lascia perdere. Lascia che si fidino gli altri con i LORO soldi; 5) se devo scegliere tra pensare che la maggioranza abbia sempre ragione, o che la maggioranza sia stupida... meglio la seconda. Mi faccio meno male a sbagliare per conto mio. 6) FONDAMENTALE: Non tutti i mali vengono per nuocere, basta rialzarsi e imparare la lezione. 

Infatti, se il primo business che ho iniziato con la mia sro, arrivato così “dal cielo”, avesse veramente portato i soldi che sembrava avrebbe portato, probabilmente mi sarei accontentato di guadagnare una decina di migliaia di euro al mese (erano le previsioni prima della scomparsa del “signore del pellet”) e sarei ancora lì a vendere Pellet. Niente di male, ma adesso lavoro per qualcosa che sento più mio. Aiuto più persone a risolvere problemi più importanti. Di sicuro ce la metto tutta. Anche i tuoi risultati diranno se sto riuscendo o meno. Comunque sia, ho registrato un marchio per pellet da riscaldamento. Se qualcuno fosse interessato, mi contatti pure :-) Mi piace scrivere, mi è sempre piaciuto, sembra che le mie dita siano attratte o da carta e penna o come adesso dai tasti del mio portatile come fossero calamite, come se le mie dita fossero gambe di calciatori attratti da un campo verde di erba con un pallone e due porte. Finalmente unisco il puntino della scrittura con quello del Coaching, con quello del teatro davanti a una webcam a fare video.

Due strumenti veloci - La lingua come strumento.

Etichette: La forza delle parole

Ne ho già parlato ma voglio sintetizzare e sottolineare il concetto. Il nome che do alle cose, agli eventi, alle emozioni è in grado di modificarne il significato, di modificarne l’effetto che ha su di me e sugli altri. Il mio esempio preferito è di fronte ad un imprevisto, chiamarlo “sfiga” (scusate la volgarità ma serve per ricordare meglio questo concetto) o “sfida”. Cambia una lettera nella parola, cambia completamente la luce che metto sull’imprevisto. Cambia anche l’atteggiamento col quale mi pongo nei confronti di questo imprevisto. Pensate all’enorme differenza tra l’affrontare una sfiga e affrontare una sfida, e dipende tutto da come io decido di etichettare l’imprevisto. 

Quando vi trovate di fronte ad un problema, o a qualsiasi cosa che non vi piace, cercate di capire come lo state etichettando, e cambiate etichetta se non vi piace. Una giornata terribile può anche essere descritta come “non proprio il massimo” o “non delle migliori” piuttosto che “una vera giornata di m.” 

E qui arriviamo alle etichette più importanti, quelle che diamo a noi stessi! Qui la regola è semplice e assolutamente da capire: mai dirmi che “sono un fallito”, quello che posso aver fallito sarà un esperimento, un esame, un business quindi meglio dire “ho fallito questo esperimento”, ancora meglio 

"per il momento l’esperimento non è ancora riuscito come vorrei. "

Ci sei? Non lasciare che i risultati scalfiggano la tua identità. Mi raccomando

Focus: La forza delle domande

Anche di questo ho già parlato, lo ri-sintetizzo e sottolineo ancora una volta. La nostra mente è come un cane sciolto senza meta, vaga e vagabonda dove capita. Questo non ci aiuta a raggiungere i nostri obiettivi, a gestire semplicemente la nostra vita. Come la guidiamo? Le diamo delle domande. E attenzione, la mente trova risposte a tutto, nel peggiore dei casi se le inventa. Se mi chiedo ad esempio “perché non riesco a fare una cosa (finire questo libro)” la mia mente inizia a trovare risposte del tipo “perché non sei uno scrittore, perché sei scarso, perché non hai forza di volontà…” come pensate che mi facciano sentire queste risposte? Se invece mi chiedo “come posso finire di scrivere questo libro entro domenica?” la mia mente mi dirà “scrivi il finale” o “evita di andare al cinema, cancella gli appuntamenti inutili, posticipa attività secondarie…” vedete? Le domande guidano il focus, noi possiamo guidare le domande e quindi il focus.

Frasi di Coach Claudio

“Non ci sono sponde troppo distanti, ci sono solo ponti troppo corti”.

“I piedi devono stare per terra la testa deve volare (sognare) il cuore deve battere forte e dare un senso a tutto” (Modena, con Anamaria).

“Dietro un problema si nascondono sempre delle opportunità, basta cercarle”.

“Quando non sapete cosa fare… fate”.

“Le sfortune più grandi della mia vita si sono sempre trasformate nelle migliori opportunità. Mi è “bastato” trasformarle in sfide”.

“Datemi un’abitudine e vi cambierò il Mondo”.

“Datevi una nuova abitudine e cambiate il vostro Mondo. E attenzione: abitudini di m. renderanno il vostro mondo di M. Al contrario, buone abitudini faranno del vostro mondo, della vostra vita un mondo e una vita migliori”.

“Il motivo principale per il quale abbiamo difficoltà a prendere decisioni nella vita è che non abbiamo un perché forte e chiaro, né tantomeno un obiettivo ben posto”.

“Prima di lamentarti per una ciglia in un occhio, preoccupati della trave che ti sta trafiggendo”.

“Puoi indicare la strada ma non puoi camminare per loro”.

“Cosa ci rende felici non è raggiungere il traguardo, quello che ci rende felici è godersi il percorso verso il traguardo” Coach Claudio.

“Il tempo passato a criticare e invidiare gli altri è tempo passato a sabotare te stesso. Il tempo passato a criticare e invidiare gli altri è tempo rubato a te stesso” Coach Claudio.

“Chi ha successo oggi è perché (chi) le cose difficili le ha fatte ieri. Chi avrà successo domani è chi (perché) le cose difficili le sta facendo oggi”.

“Non puoi pretendere che un perdente ti insegni a vincere”. “Diffida di chi dice di aver sempre e solo vinto”.

“Un talento senza azioni per coltivarlo e svilupparlo è come una Ferrari chiusa in garage, coperta di polvere e senza benzina”.

“Il segreto non è mai vincere, il segreto è prepararsi per vincere e diventare un vincente. Il segreto non è mai passare gli esami, il segreto è prepararsi a passare gli esami e diventare uno studente diligente che si prepara”.

“Il segreto non è avere risultati, il segreto è impegnarci e diventare la persona in grado di avere quei risultati”.

“Se non sei tu a mettere te stesso come prioritario nella tua vita, nessuno lo farà per te”.

“Se i tuoi sogni non sono prioritari per te, non lo saranno per nessun altro”.

“Solo perché fai qualcosa da molto tempo, non significa che tu la faccia bene: ogni tanto, fatti controllare!”.

“Possiamo faticare/impegnarci per raggiungere i nostri sogni, o faticare vivendo con il rammarico di non averci provato”.

“Se la fortuna esiste, esiste solo per chi è preparato e in grado di riconoscerla e ha il coraggio di coglierla”.

“I LIMITI LI IMITI” “per uscir dai LIMITI, basta che IMITI” Cosa vuol dire? Semplice, che per uscire dai nostri limiti ci basta imitare chi ne è già uscito.

“Non sei ricco perché hai soldi, sei ricco perché sei diventato la persona in grado di guadagnare quei soldi”. 


Dopo queste pillole, ci stiamo avvicinando alla conclusione del nostro viaggio assieme, di questo primo nostro viaggio assieme. A questo punto, se hai seguito tutto, hai gli strumenti per cercare e trovare il tuo Perché (quello con la P maiuscola). Sai che è un tuo diritto e dovere osare, sognare in grande, sai anche che per ogni grand sogno ci saranno delle difficoltà, degli ostacoli sul tuo percorso. Sai anche che puoi e devi pianificare il raggiungimento dei tuoi obiettivi e sai anche come farlo in modo corretto. Grazie al capitolo sui NO sei in grado di accettare i fallimenti e vederli come inciampi, come lezioni da imparare per migliorarti. Sei pronta/pronto a proteggere i tuoi sogni, i tuoi obiettivi proteggendo il tuo tempo con i “no grazie”. Hai capito che in tutto c’è bisogno di equilibrio, come nella nostra casa immaginaria. Quindi si allo studio, si al “dovere”, si anche alla cura di sé e della tua forma psicofisica, dei tuoi affetti e delle tue passioni. Sai che le passioni possono portarti a individuare i tuoi talenti, e che coltivare le tue passioni e i tuoi talenti ti aiuterà a raggiungere la felicità. Hai anche gli strumenti per riconoscere e gestire al meglio le trappole interne ed esterne che si possono mettere tra te i tuoi desideri. Vedili come dei test che ti da la vita e affrontali col cuore sereno. Ricordati che puoi cambiare traiettoria, metterci a volte più tempo del previsto ma niente ti impedirà di raggiungere i tuoi obiettivi se avrai la motivazione (il perché) giusta e gli strumenti giusti. Nel dubbio sai che devi chiedere a chi è già dove vuoi arrivare ed è disposto ad aiutarti, mentorizzarti, ispirarti, sostenerti. Chiedere aiuto è fondamentale per creare grandi cose. Nessuno costruisce da solo. Per questo motivo ti consiglio di studiare con altri studenti, per creare quel gruppo di pari, in cui sostenere, aiutare, incoraggiarsi a vicenda. Inoltre, con le possibilità che ci sono oggi, puoi trovare mentori, esempi, guide anche gratuitamente nel tuo telefonino, basta usarlo nel modo giusto.


Ora alcuni esempi molto significativi che ti serviranno per contrastare il tuo paperino quando ti dirà “non si può fare” “per me non funzionerà” “troppo bello per essere vero” e cose del genere.

Sudati successi

Dietro ogni grande successo c’è una marea di insuccessi, di fallimenti, di sfide contro i mulini a vento, di vicoli ciechi, di cadute, ripartenze, di stress, di preparazione, tanta preparazione, di studio, di esercizio, di tanti NO, NO Grazie. Un altro iceberg di cui si vede solo l’ultima parte, che però non galleggerebbe senza tutto il lavoro fatto prima. “Ha avuto fortuna” può anche andare bene, basta specificare quante volte non ne ha avuta, per arrivare dov’è. Io ho avuto fortuna, te lo posso assicurare, la fortuna di sopportare tutti i calci che mi ha dato la sfortuna, e tanto forte da farmi fare un salto avanti comunque, a ogni calcio. Mi viene male solo a pensarci. A dire che siamo stati fortunati sono capaci tutti. Nessuno vede cosa abbiamo dovuto fare e sopportare per essere dove siamo. Qualcuno lo penserà anche di me. Qualcosa del tipo “fino all’altro ieri vendeva termosifoni (o vasche da bagno), adesso fa il coach! Adesso chi non sa cosa fare si autonomina coach!” Eh sì, certo. Vendevo bagni di gran lusso, giusto per essere precisi, e mentre vendevo studiavo, facevo corsi di formazione, e tutti (quasi tutti) mi dicevano: 

"Ma chi te lo fa fare che sei già amministratore unico (anche se di una piccola srl), ti pagano bene ecc ecc. ma stai tranquillo, cosa vuoi dimostrare... cosa vuoi di più!"

Gente che, inutile nemmeno spiegarglielo, confonde la causa con l’effetto. Ero amministratore (mi avevano dato quell’incarico) proprio perché continuavo a formarmi e investire su me stesso. Non il contrario. Non sei ricco perché hai soldi, sei ricco perché sei diventato la persona in grado di guadagnare quei soldi. Mi si gonfia la vena sulla fronte, mi sa che dovrò scrivere un libro solo per chiarire questa stra-fraintesa legge di causa ed effetto, perché ci sono ancora persone che la interpretano esattamente alla rovescia. Se lo hai saltato, ti consiglio di tornare a leggere il paragrafo “Cause ed effetto alla rovescia”. Un bel respiro profondo ok, la vena si è sgonfiata, dicevo, che è vero: molte persone che mi conoscono – anche da molto tempo – potranno pensare cose del genere, ma una cosa è certa: non mi hanno mai visto studiare perché non abbiamo mai studiato assieme, anzi, perché loro non hanno mai studiato questi argomenti o per lo meno non ne abbiamo mai parlato. Quelli che hanno studiato questi argomenti sanno che dietro ogni successo c’è sempre tanto impegno, tanti sacrifici, tanto lavoro. Chi ha studiato è sempre disposto a fare complimenti a chi è dove loro lui/lei vuole essere, perché è così che funziona il mondo, questo mondo almeno: chi è dove vogliamo arrivare è da applaudire (anche solo in silenzio nella nostra mente) perché è la dimostrazione che si può fare. Se fosse la dimostrazione che si deve avere fortuna, allora potremmo andare tutti a giocare al grattaeperdi. Chi apprezza il successo altrui è destinato ad averlo. Chi disprezza o invidia il successo altrui... Ok, provo ad aiutare anche lui: capisci perché provi questi sentimenti e torna al paragrafo “Scarsità vs Abbondanza”, adesso lo leggerai con occhi diversi. Quindi, per dimostrarti che i successi arrivano dagli insuccessi, e che c’è sempre la parte nascosta dell’iceberg a sostenere quella sommersa, ti cito velocemente persone di successo e alcune note sulle loro storie, così potrai avere esempi a sostenere credenze che ti possono aiutare per raggiungere i tuoi obiettivi, soprattutto a convincerci che il fallimento non è mai la fine, è solo un passaggio verso il successo finché continuiamo a rialzarci e ripartire. Il metodo PONTE è anche qui per aiutarti a ripartire ogni volta più preparata/o, più forte. Nel capitolo degli obiettivi hai visto che bisogna riaggiustare il tiro, e che se non raggiungi nemmeno l’obiettivo minimo, più volte, allora devi riconsiderate tutto da un nuovo punto di vista, per evitare di cadere nelle TRAPPOLE che ti fanno girare a vuoto faticando, senza muoverti di un passo (quando non addirittura facendoti indietreggiare). Ognuno di queste persone ha avuto difficoltà che avrebbero dissuaso la maggior parte delle persone dal continuare. Loro hanno insistito e hanno raggiunto ciò che volevano. Li guarderai con occhi diversi, probabilmente, come è successo a me. Cosa ancora più importante, inizierai a cercare in tutte le persone di successo la parte invisibile del loro iceberg. Ti chiederai: come hanno fatto? quali difficoltà hanno trovato sul loro percorso? su quali pilastri hanno creato il loro ponte? Vedrai che ci sono pilastri comuni a quasi tutti loro. Pilastri come la resilienza, l’incuranza delle opinioni altrui, la perseveranza, e soprattutto passione e impegno. 

Buona lettura.

Tommaso

È il 1879, Tommaso ha trentadue anni, ha provato, riprovato, fallito migliaia di esperimenti. Un giorno un giornalista gli ha fatto notare che ha collezionato più fallimenti che successi. Lui, con uno sguardo quasi incredulo, con un’espressione che diceva “Come fai a pensare una tale idiozia!?”, ha risposto: “Non ho fallito. Ho solamente provato 10.000 metodi che non hanno funzionato”. Tommaso ha trascorso la maggior parte della sua vita a fare esperimenti che non riuscivano, a provare esperimenti che non hanno portato i risultati che si aspettava. Mentre collezionava tutti questi fallimenti pensava: “Le persone non sono ricordate per il numero di volte che falliscono, ma per il numero di volte che hanno successo”. Quindi, giù a lavorare. “Non mi scoraggio perché ogni tentativo sbagliato scartato è un altro passo avanti”. “I tre elementi essenziali per ottenere qualsiasi cosa valga la pena avere sono: primo, duro lavoro; secondo, persistenza; terzo, buonsenso”. Con questa mentalità, Tommaso, ritenuto da alcuni come un collezionista di fallimenti, ben presto ha... “reinventato” la lampadina e altri 1092 brevetti (1093 in tutto i brevetti registrati a suo nome). Se sia stato il vero e primo inventore della lampadina o meno, non lo so. Lascio a te la ricerca. Il punto è che questo Tommaso, lo avrai capito, è Thomas Alva Edison e ha contribuito in modo sostanzioso al mondo come lo vediamo noi oggi, non solo per quel che riguarda la lampadina e la distribuzione dell’elettricità, ma per tutto quello che le sue invenzioni e le sue intuizioni hanno portato anche dopo la sua morte. Se c’è qualcosa che mi piace portarmi dentro, di tutto il lavoro di Tommaso, è la frase 

Le persone non sono ricordate per il numero di volte che falliscono, ma per il numero di volte che hanno successo

, che per togliere qualsiasi significato negativo ai fallimenti e agli esperimenti è il riassunto supremo. 

Ti ho sentito “solo in America... altri tempi”. Tommaso era in America e quindi? non si possono avverare i sogni in Italia? perché “il sogno americano” è solo aMMericano? Sogno americano sì, perché almeno in America, con tutti i difetti che possono avere (per qualcuno), partono dal primo passo, sognare appunto. Se non si sogna non si può realizzare un granché. Poi bisogna fare tutto il resto. Non significa che sognare sia sbagliato (come invece vogliono farci credere molti dei nostri dizionari italiani, che abbinano la parola “sognatore” alla parola “illuso”). Sognare, pianificare, fare. Così ha senso. Gli illusi sono quelli che sognano e basta, aspettando che qualcun altro pianifichi e faccia per loro. Il sogno americano viene troppo spesso visto come un “colpo di fortuna” che capita ogni tanto a qualcuno. Nessuno si sofferma sul capire cosa ha causato questo colpo di fortuna (che non esiste). Se adesso io, coach Claudio, dovessi vincere un miliardo di euro alla lotteria (non succede perché mi rifiuto di comprare biglietti, ma ipotizziamo che succeda), sarei sopraffatto da tutto questo denaro, perché non sono abituato. Per le conoscenze di educazione finanziaria che ho, adesso, beh... il primo investimento lo farei nell’aggiornare proprio la mia educazione finanziaria. Mi farei subito supportare da un miliardario di cui mi fido, per costruire quei muscoli mentali che mi servono per “reggere” quella ricchezza. Vincere grosse somme di denaro non è il vero sogno americano. Il vero sogno è partire da zero e costruire un impero, una fortuna, una vita degna di essere raccontata. Basta chiedere a zio Google “persone ricche partite da zero”. Troverai molte delle storie che non ho il tempo di riportare in questo libro. Tutti partiti da zero. Tutti esempi di impegno, fatica, determinazione, iper focus, resilienza, fallimenti. Finale sempre lo stesso: il successo. (Te ne cito qualcuno, ti impressioneranno le difficoltà che hanno dovuto affrontare e superare: Silvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, Tina Turner, Jim Carrey).

Max Calderan

È una giornata qualunque del 1974, nel paese di Portogruaro passa un venditore porta a porta che convince una giovane madre a comprare un’enciclopedia. Lo so, non sai nemmeno di cosa stia parlando. Te lo spiego. Qualche decennio fa, ante internet, il lavoro che adesso viene relegato ad ADS sui social, veniva svolto da persone in carne e ossa. Questi simpatici e pazienti signori andavano porta a porta a suonare i campanelli o bussare alle porte, per promuovere i loro prodotti. Così funzionavano le ADS negli anni settanta, e così è stata venduta una tra le migliaia di enciclopedie. La versione cartacea di Wikipedia. Sì, hai capito, Wikipedia stampata in volumi pesanti come mattoni, con tanto di copertina in cartone rigido, numerati da 1 a ... tanti. La madre era molto orgogliosa dell’acquisto fatto, perché a quell’epoca l’investimento economico non era da poco, e significava portarsi in casa la cultura, le informazioni, la sapienza, per sé e soprattutto per i propri figli. Infatti, la madre ha regalato questa enciclopedia al figlio, un ragazzino di 8 anni di nome Max. Non so dirti quanti giorni Max abbia guardato quell’enciclopedia senza aprirla, ma so dirti (se lo ricorda bene Max) cosa successe quando la aprì. Uno dei tanti volumi, a una delle tante pagine, e fu un colpo di fulmine: Max vide una foto che avrebbe segnato la sua intera vita, la foto di un deserto inesplorato: IL Deserto per antonomasia, il deserto del Rub’ Al Khali. Quel ragazzino ne fu così colpito da andare dalla madre esclamando: «Mamma mamma, quando sarò grande sarò il primo uomo ad esplorare questo deserto inesplorato, esplorerò il Rub’ Al Khali». Fu così che Max divenne un appassionato di deserti, uno studioso di deserti e, soprattutto, un appassionato esploratore. Vedi, il Rub’ Al Khali non era solo il più grande ed esteso deserto rimasto inesplorato. Era ed è ancora uno dei pochi luoghi al mondo di cui si sa veramente poco. Non viene sorvolato da aerei, non almeno da aerei che tornano indietro o finiscono bene i loro voli. Gli uccelli migratori non lo sorvolano, cammelli non ci si addentrano e nessun uomo vi si era mai inoltrato prima, tornandone vivo. Ci voleva il sogno ad occhi aperti di un bambino di otto anni a rompere questo silenzio, a calpestare quelle dune, a infrangere queste regole. Il sogno di un bambino e una vita (dagli otto ai cinquantadue anni) di passione, lavoro, addestramento fisico e soprattutto mentale, passo passo da un deserto a un altro, da una sfida a un’altra, da un record all’altro. La storia di Max Calderan è diventata leggenda. Un’impresa epica degna di un eroe epico di altri tempi. 

Un’impresa nata da un sogno, un sogno così grande che solo un bambino ha potuto fare, privo di mille limiti imposti dall’esterno, ricco di quell’immaginazione che molto spesso, purtroppo, svanisce con la giovinezza. Torno ai primi capitoli, all’importanza di sognare e di farlo in grande. Max non era figlio di beduini appassionati di deserti cammelli e dune. La sabbia più vicina era quella delle spiagge dell’Adriatico. Era un bambino che ha scelto, ed è rimasto coerente alla sua scelta di “cosa fare da grande”. Possiamo anche dire che è stato fortunato a non avere genitori negativi o iperprotettivi a martellare con “lascia perdere, vola basso, trovati un lavoro normale” e tutte queste trappole di cui abbiamo parlato molto nel libro. Ma non è neanche vero, non possiamo saperlo (e sarebbe come dire che Ronaldo è stato fortunato perché i genitori lo lasciavano giocare a calcio! Mi ci lasciavano giocare anche i miei, ma sono rimasto una schiappa lo stesso! Anche se sognavo di diventare Franco Baresi (il miglior stopper del Milan e della Nazionale degli anni 80-90). 

Non ci sono fortune in imprese di questa portata. C’è un sogno, c’è la tenacia e la perseveranza di un essere umano, c’è tanta fatica fatta, tanti allenamenti, tanta ricerca, tanti test, tante sfide perse e vinte. Max, per fare cosa non aveva mai fatto nessuno, ha dovuto imparare a fare cose che nessuno aveva mai nemmeno pensato, è diventato diverso e migliore di chiunque altro esploratore della storia. Ha imparato a gestire il sonno per non addormentarsi e svegliarsi sommerso dalla sabbia, ha imparato a dormire anche solo cinque minuti. Quando l’ho sentito dire questa cosa non volevo crederci: il tempo che ci mettiamo noi a passare da un brontolio all’altro, Max se lo fa bastare tra ore di camminata e ore di corsa, in solitaria, nel deserto, a temperature da cuocere uova senza tegamino. Ha infranto regole che sembravano infrangibili, sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista mentale. Ha fatto tutto grazie alla propria forza di volontà, e al suo amore per la vita, per sua moglie e i suoi figli. Spero di averti convinto a comprare e leggere i suoi libri, e a lasciarti ispirare da lui e da persone speciali come lui. Ognuno di noi ha quel bambino di otto anni dentro. Dobbiamo solo imparare ad ascoltarlo, fidarci di lui, e seguirlo.

Matteo Martellone

Per concludere il libro in bellezza avevo deciso di mettervi alcuni degli esempi che da sempre mi hanno accompagnato: quelle persone a cui penso quando sono demotivato, stanco di affrontare ostacoli che sembrano sempre più grandi, quando ho bisogno di sapere che lavorare sodo paga, che si possono raggiungere grandi traguardi anche senza soffrire e soprattutto che, per realizzare i propri sogni, la cosa più importante è rialzarsi ad ogni caduta. I nomi che avevo in mente e le cui storie ti consiglio vivamente di cercare e approfondire, te li elenco brevemente, sono significativi soprattutto perché, visti da fuori, sembrano solo fortunati, talentuosi magari, ma ciò che non si vede sono le storie di difficoltà che hanno dovuto superare per arrivare dove sono.

Il primo è Silvester Stallone: finito a vivere sotto un ponte, lui e il suo manoscritto di Rocky 1, che ha rifiutato 15.000 e poi 50.000 $ che gli hanno offerto per i diritti, perché voleva assolutamente essere anche l’attore protagonista… Sotto un ponte… rinunciare a queste somme… il resto è storia. La saga di Rocky è diventata una delle saghe cinematografiche con i migliori incassi di sempre (parliamo di 2,9 miliardi di dollari). Non solo, il primo Rocky – citazione Wikipedia – “Si tratta della pellicola che ha reso Stallone, fino ad allora poco conosciuto, uno dei volti più amati di Hollywood[1] vincendo per di più tre premi Oscar tra cui quello per il miglior film e miglior regia; sempre grazie a Rocky Stallone diviene il terzo uomo nella storia del cinema dopo Charlie Chaplin e Orson Welles a ricevere la nomination all’Oscar sia come sceneggiatore che come attore per lo stesso film.”


La seconda è Tina Turner costretta a cantare in locali malfamati per quattro soldi, insistendo per anni senza nessun risultato, fino all’incontro con il proprio destino che l’ha fatta diventare la star del Rock mondiale che è. Detta così sembra semplice. Manca gran parte dell’iceberg sommerso. Basta leggere la sua autobiografia per vedere le sofferenze e le sfide che questa grandissima donna e grandissima artista ha affrontato e superato. Abusata dal marito, più volte ammalata gravemente al punto da rischiare la vita, ha avuto un ictus dopo il quale ha dovuto affrontare un lungo periodo di riabilitazione per riprendere a camminare. Ipertensione, insufficienza renale, cancro intestinale. Non si è mai arresa e anche grazie ad un trapianto ha superato tutto.

La parte visibile dell’iceberg? Qui una parte tratta da wikipedia “è nel 1984 che ottiene la definitiva consacrazione grazie all'album Private Dancer, un successo da oltre venti milioni di copie vendute in tutto il mondo che la rilancia come star internazionale. L'album ha prodotto numerosi singoli di grande successo, tra cui What's Love Got to Do with It, che ha toccato la vetta dei singoli più venduti della Billboard Hot 100 negli Stati Uniti, rimanendovi per tre settimane. Il brano è a tutt'oggi l'unico singolo di Tina Turner ad essere giunto alla prima posizione negli Stati Uniti, vincendo ben tre Grammy Awards.”

Avrei voluto anche approfondire la storia del Colonnello Sanders, il fondatore della catena di fast food KFC, che arrivato ai 65 anni è ripartito da zero, dopo aver dovuto chiudere il proprio ristorante. Non aveva altro che la sua ricetta per il pollo fritto, da offrire al mondo, e lo ha fatto girando due anni ristoranti in cerca di un Sì, per aprire il suo primo Franchising, “sì” che è arrivato al tentativo mille nove. Sì, 1008 rifiuti per arrivare al Sì che gli ha cambiato la vita. Mi raccomando però, non prendere da questa storia i 65 anni di Sanders come scusa per aspettare la pensione prima di fare qualcosa. :).

Vedi, questi e molti altri personaggi di successo hanno avuto vite veramente difficili, ma per loro “fortuna” avevano dei perché forti, un obiettivo chiaro, un’elevatissima resistenza ai NO e una chiara idea di cosa accettare e cosa rifiutare (Silvester Stallone ha detto NO GRAZIE ad offerte che, nelle sue condizioni, lo avrebbero sicuramente aiutato nel breve periodo, ma gli avrebbero precluso il vero successo sul lungo). Ognuno di loro ha sfruttato il proprio talento a discapito di cosa dicesse loro la gente e cosa dicessero i risultati del momento. Hanno gestito le trappole lungo il percorso, hanno usato tutte le loro energie mentali e fisiche e hanno raggiunto ognuno la propria felicità, il proprio successo, la propria eudaimonia: la propria felicità coltivando e vivendo i propri talenti.

Stavo iniziando a scrivere delle loro storie quando un post trovato su Facebook ha attirato la mia attenzione. Nella foto c’è un ragazzo con la corona di alloro, sorridente, evidentemente appena laureato. Scrivendo questo libro per matricole, studenti, laureandi e laureati mi sono incuriosito e ho letto il testo del post. Ringraziamenti vari poi… “Infine, un sentito ringraziamento va a me stesso per tutti i sacrifici svolti per arrivare a questo traguardo importante, ma anche a chi mi ha deriso e ostacolato, compresi i rappresentanti delle istituzioni, perché il vostro denigrarmi mi ha dato la forza di un leone affamato, mi ha dato la possibilità e la capacità di trasformare la rabbia in opportunità di coraggio, prima ai miei genitori e poi a me, e tutto ciò mi ha permesso di raggiungere obiettivi assolutamente eccellenti”.

Senza nemmeno aver capito di che tipo di ostacoli stesse parlando, nel post, ho capito che avrei dovuto conoscere Matteo. In quelle poche righe aveva espresso e sintetizzato alcuni dei principi cardine del mio metodo di insegnamento e coaching.

Non avrei mai sperato di trovare un esempio così palese, una prova inconfutabile di come funzionino le strategie che insegno nel metodo PONTE. Non avevo mai visto Matteo, l’ho conosciuto così, grazie a un post che già celebrava la costruzione di uno dei suoi ponti più importanti, la laurea in giurisprudenza. Leggendo poi tutta la sua storia ho scoperto che Matteo è diventato sordo per una presunta meningite all’età di tre anni.

Dopo un primo contatto su fb ci siamo conosciuti e sentiti più volte. Sì, hai letto bene, ci siamo “sentiti” perché abbiamo comunicato sia al telefono sia su zoom, e mi sono fermato più volte a riflettere sul fatto che io stavo parlando completamente incurante della sua difficoltà. Questo semplicemente perché Matteo mi rispondeva ed era scontato che mi capisse molto bene, nonostante il segnale ballerino, tutte le volte che lo chiamavo guidando in autostrada. Matteo mi ha dato la possibilità di scrivere di lui e della sua storia, che è anche la storia della sua famiglia, e ci ho trovato veramente ogni singolo pilastro del metodo PONTE eseguito alla perfezione. Matteo è l’esempio vivente di come funzioni il tutto. Per questo motivo lascio a te, se ne hai voglia, l’approfondimento delle storie di cui ho accennato, e ti racconto di Matteo. Perché Matteo? Perché tu ragazzo/a hai bisogno di esempi ed eroi dei tuoi giorni, che ti aiutino con le loro storie a credere nei tuoi sogni, nonostante le avversità, nonostante i problemi, nonostante anche gravi difficoltà (nel caso di Matteo la sordità che lo ha colpito all’età di tre anni e che gli ha impedito uno sviluppo del linguaggio regolare, per non parlare dell’indifferenza e dell’ignoranza che hanno accentuato la difficoltà fisica mettendo i bastoni tra le ruote a lui e alla sua famiglia).

Ogni successo duraturo è il risultato di impegno e sacrifici. Dietro ogni storia di successo c’è una storia di impegno, dedizione, rinunce, perseveranza. Questo deve rassicurarci, perché impegno e sacrifici ci saranno sempre e comunque, anche per vivere la vita che non vogliamo. Tanto vale vivere i nostri sogni, inseguire i nostri obiettivi, costruire i nostri ponti. Si può. Matteo è l’esempio vivente. Un ragazzo che ha vinto le difficoltà fisiche, ha vinto le ostilità, ha vinto le avversità e le ha trasformate in benzina per il suo motore, materiale da costruzione per il suo ponte. Come scrive lui 

mi ha dato la forza di un leone affamato, mi ha dato la possibilità e la capacità di trasformare la rabbia in opportunità di coraggio.

Meriterebbe un approfondimento maggiore anche la sua storia, ma ti rimando al bellissimo libro che ha scritto a riguardo Monica, la mamma di Matteo: “Il figlio del silenzio” di Monica Tarola.

Per me è importantissima questa storia perché, a differenza delle precedenti, parla di un eroe della tua generazione, un super eroe tra i tuoi banchi di scuola. Un supereroe che, come nei migliori Marvell, a vederlo da fuori sembra proprio una persona comune, uno come te. E come tutti i supereroi ha tirato fuori i suoi superpoteri quando ne ha avuto bisogno, per sconfiggere la malattia, l’indifferenza delle persone, l’ignoranza, e raggiungere i propri obiettivi.

Da genitore non riesco a immaginare cosa devono aver passato Monica e Marco, i genitori di Matteo, avanti indietro da ospedali, logopedisti, insegnanti di sostegno, a combattere da soli la loro crociata “Matteo deve imparare come gli altri ragazzi” a costo di ore extra, impegno extra, supporto extra. La fede di Monica nel figlio, quel bimbo che fino a tre anni cresceva e comunicava come tutti gli altri, e che da un momento all’altro ha smesso di sentire, per chiudersi nel suo mondo incomprensibile e impenetrabile. La fede di Monica nel fatto che Matteo potesse imparare come gli altri bambini, senza rimanere indietro con i programmi, senza doversi accontentare di programmi ridotti, che sì, gli avrebbero reso la vita più semplice nel breve periodo, ma gli avrebbero precluso un futuro “normale”. Questa fede ha portato lei e Marco a sostenere enormi sacrifici fisici e psichici, quei sacrifici di chi viene additato come colui che vuole soffiare contro i mulini a vento, che non si accontenta, che non vuole accettare di avere un figlio diverso. Infatti così è stato, non si sono rassegnati, non si sono accontentati e hanno soffiato contro tutti i mulini a vento che hanno incontrato, uno dopo l’altro, finché il loro soffio non è diventato tanto forte da spazzare via ogni mulino. E come in ogni storia a lieto fine che si rispetti, tutti gli sforzi della famiglia Martellone sono stati ripagati.

Nel suo libro “Il figlio del silenzio”, Monica racconta nel dettaglio le emozioni, i sacrifici, le avversità che hanno vissuto. Io qui voglio rendere omaggio a Matteo e alla sua famiglia prendendo la loro storia come esempio e rianalizzandola passo passo, con i pilastri del metodo PONTE, perché, come ti anticipavo, sono la prova vivente che si può: si può costruire il nostro ponte per diventare chi vogliamo diventare e ottenere cosa vogliamo ottenere. A dispetto di cosa ci possano dire le apparenze, le opinioni degli altri, i risultati (o l’assenza di risultati) nel breve periodo.

P, Perché: Il perché di Matteo, arrivato all’università, era così forte da smuovere le montagne. Non era solo “voglio diventare avvocato”, il suo perché era ed è “Giustizia”. Una Giustizia con la G maiuscola. Non una giustizia per se stesso. Quella avrebbe potuto averla con qualsiasi altro tipo di laurea, la rivincita su tutti coloro che non hanno mai creduto in lui. La Giustizia che alimenta Matteo è la giustizia da difendere nelle aule di tribunali, la giustizia di chi vuole aiutare, la giustizia di cui si occupa un magistrato, il magistrato che Matteo ha deciso di diventare. La Giustizia che troppo spesso gli è stata negata è diventata il valore fondamentale per Matteo, la vera energia che lo alimenta. Un’energia pulita, quella voglia di fare che adesso non è nemmeno più voglia di rivincita, è semplicemente voglia di fare bene cosa gli piace. Nessun rancore, chi doveva capire di aver sbagliato ha capito sicuramente. La vita va avanti. Bisogna aiutare chi ha bisogno di giustizia adesso. Matteo è pronto, deve solo continuare e diventare magistrato. Il suo perché è così nobile e forte da spazzare via ogni ostacolo. È stato così forte da fargli fare tutto il necessario per recuperare negli anni il divario causato dalla sua sordità, nei confronti dei compagni. Così forte da decidere di iscriversi al liceo nonostante tutti gli insegnanti delle medie lo sconsigliassero, orientandolo a studi meno impegnativi.

A questo proposito, leggendo il libro di Monica non ho capito subito cosa avesse spinto Matteo a scegliere proprio il liceo, così l’ho chiesto a lui, e questa è stata la sua risposta, che merita di essere riportata alla lettera: “Ho scelto il Liceo Scientifico per dimostrare a tutti coloro che mi dicevano che non potevo frequentare una scuola difficile che invece i limiti non esistono, avendo le capacità per poterlo fare! In realtà quando mi dicono che non posso fare una determinata cosa è uno stimolo per far capire che puoi raggiungere tutti gli obiettivi e far vedere che sei arrivato alla vetta, alla faccia loro! Alle medie mi dissero che non ero in grado di andare allo scientifico, ma eccomi qui con il diploma del Liceo Scientifico e con una laurea in Giurisprudenza. Sono rimasti tutti in silenzio, e ho goduto tanto.

Ormai non mi ferma nessuno, vado avanti con nuovi obiettivi con costanza e impegno. ”

Che dire se non “Grazie Matteo, per il tuo esempio!”


O Obiettivo: l’obiettivo, con un perché così forte, non è stato semplicemente “laurearmi in giurisprudenza” ma “laurearmi in giurisprudenza nei cinque anni”, obiettivo chiaro (specifico), misurabile, ambizioso, realistico e con una scadenza (rivedi il capitolo sugli obiettivi, c’è tutto).

Ostacoli: L’ostacolo più grande, quello della sordità, è stato superato grazie all’impegno, grazie alla perseveranza e all’aiuto e il supporto dei genitori e della sorella Desiree.

N: I no che Matteo ha ricevuto sono così tanti, dal “non puoi avere programmi normali perché non sei normale” a “non puoi prendere lo scuolabus…”. Nessuno di questi NO ha fermato né Matteo né la sua famiglia (nel libro ci sono decine di pagine di tutti i NO che ha affrontato).

A quante cose ha detto no? Intanto a chi proponeva programmi facilitati a scuola. Se avesse ceduto, se Monica e Marco avessero accettato avrebbero sicuramente fatto la scelta più facile, invece si sono sobbarcati di ore extra di impegno con Matteo, di studio a casa, esercizi di logopedia, di pazienza e di perseveranza. Difficilissimo quando tutti attorno a noi ci dicono “lascia perdere, non può riuscirci”, “tempo perso”, “purtroppo è così”. Eppure a tutti questi “pseudo consigli” hanno detto NO e hanno continuato per la loro strada, per raggiungere i propri obiettivi.

T Talento: Che talento ha sviluppato intanto Matteo? Il talento e la passione innata per la giustizia, che gli fa brillare gli occhi quando parla del suo futuro da magistrato, che gli ha fatto finire la laurea senza intoppi, che continua a farlo sognare in grande, per essere di esempio per tutti i ragazzi, non solo per quelli che hanno le sue stesse difficoltà fisiche, ma per tutti, proprio tutti. Per questo motivo ha deciso di rendere pubblica la sua storia nonostante la sua timidezza.

Non è un caso che abbia scelto giurisprudenza, facoltà che gli permetterà di esprimere al meglio questo talento, questa passione, questo “fuoco sacro” che sente dentro e che gli ha permesso di usare le difficoltà come benzina per raggiungere i propri sogni. Altro talento è la perseveranza, dote molto spesso sottovalutata. Questa lo aiuterà a raggiungere qualsiasi cosa voglia, nella vita. Molte volte la perseveranza viene scambiata per testardaggine, e in effetti la differenza è molto sottile. In fondo la differenza si vede quando arrivano i risultati. Se ci sono allora sei stato perseverante, finché i risultati non si vedono sei solo testardo e cocciuto. Unica raccomandazione doverosa per i testardi come me: quando i risultati non arrivano nonostante l’impegno, continua a puntare ai tuoi obiettivi a patto che cerchi altre strade, altre strategie, altri metodi, altre traiettorie. Altrimenti facciamo la fine del testardo che si ostina a tirare testate al muro quando un po’ più in là ci sono delle porte aperte, per andare dove vuole. Possiamo sempre imparare da chi ha già raggiunto i traguardi che noi vogliamo raggiungere, o traguardi simili e imparare.

T Tempo: Monica e Marco (e ovviamente Matteo) si sono dati tempo, hanno perseverato anche quando i risultati non arrivavano. Monica mi ha detto di aver sempre creduto che Matteo ce l’avrebbe fatta, perché il suo angioletto fino a tre anni parlava e sentiva bene. L’operazione (la seconda a dire il vero) alla coclea era andata bene, quindi non c’era motivo che non imparasse ad ascoltare e parlare. Nonostante tutti i dottori dicessero che sarebbe stato meglio accontentarsi di programmi ridotti e del linguaggio dei sordi.

Matteo poi, nel suo obiettivo, ha fissato il tempo: 5 anni e laurea. E così è stato. Il ritmo lo ha scandito tra studio, calcio, famiglia, amici con un equilibrio che gli ha permesso anche di divertirsi durante questi anni di università.

T Trappole: Le trappole esterne erano sempre dietro l’angolo, ma era così allenato a riconoscerle e gestirle che niente e nessuno è riuscito a sabotare la sua autostima. E qui un plauso particolare a Monica e Marco: come genitori hanno fatto veramente un ottimo lavoro. Hanno insegnato a Matteo e a Desiree di avere fiducia in sé stessi, di non accontentarsi, di non ascoltare chi dice “vola basso”, di non ascoltare chi dice “chi ti credi di essere!”. Al contrario, hanno insegnato che con l’impegno e i giusti sacrifici si realizzano grandi cose. Grazie, siete un esempio per tutti i genitori.

Matteo ha anche avuto i suoi momenti di sconforto, ha sentito la sua voce “paperino antipatico” quella demotivante, depotenziante, ma ha ascoltato così tanto la “tigre buona” (l’anima vincente) che ormai è l’unica voce che sente. Sicuramente l’unica che ascolta.

E Energia: Matteo ha continuato a giocare a calcio, mantenendo in forma non solo la mente ma anche il fisico, ha trasformato le avversità in benzina. Entusiasmo: ha fatto la facoltà che voleva e per questo ha avuto i risultati che si era prefissato di avere. Quando parla della giurisprudenza e della magistratura lo fa con quella luce negli occhi che da poco adito a dubbi. È nato per fare il magistrato. Non parlo di dna, ovviamente, parlo della missione della sua vita.

Ha riconosciuto il suo talento (il demone secondo i greci) e lo ha assecondato, laureandosi in giurisprudenza, facoltà che gli ha permesso di dar sfogo alla sua ricerca e voglia di giustizia. L’Eudaimonia greca è pienamente rispettata da Matteo che, infatti, assecondando il proprio talento, raggiunge i propri obiettivi ed è un ragazzo felice.

Finisco questo capitolo con un augurio: che l’esempio di Matteo (per te studente) e di Monica e Marco (per noi genitori e per te quando lo diventerai) ci rimangano in mente, tutte le volte che la vita ci pone davanti a prove difficili, e ci dia la forza di prendere le difficoltà e farne la nostra benzina. Voglio finire proprio con le parole di Matteo augurandoti di avere la forza di un leone affamato…la possibilità e la capacità di trasformare la rabbia in opportunità di coraggio.


Buoni ponti a tutti, 

Coach Claudio.

Il mio augurio

Ti chiedo di sognare. Io sto sognando? Ti chiedo di impegnarti per i tuoi sogni. Io lo sto facendo? Ti chiedo di non arrenderti ai fallimenti. Ho fallito e mi sono rialzato? Ti chiedo di frequentare persone che vanno nella tua direzione (verso i propri sogni), che hanno i tuoi valori. Lo sto facendo? Le risposte sono tutti sì. Dei fallimenti scrivo poco altrimenti dovrei scrivere un libro solo per quelli, ma leggendo qua e là nel libro le parti della mia storia che aveva senso condividere, avrai visto tutte le volte che i miei ponti mi hanno portato in un vicolo ceco, in mezzo al mare o, peggio, mi sono crollati sotto i piedi. Ogni volta ho reagito (magari dopo aver smaltito rabbia, frustrazione e demoralizzazione) ho reagito come il Re Carlo di Praga: ne ho progettato uno più grande e solido. Non sempre ho avuto la forza di finirlo, non sempre ho avuto la saggezza di puntarlo nella direzione giusta. Ed è proprio per tutti questi errori che sono diventato un esperto. Sogno in grande? Ecco cosa significa per me “sognare in grande”: scrivo questo libro, poi preparerò un video corso, e andrò a fare i miei workshop nelle università e nelle scuole. Sogno un mondo universitario con coach in ogni facoltà, in ogni scuola superiore. 

Anche ogni scuola media ed elementare. C’è tanto lavoro da fare. Sì. Posso farlo da solo? No. Intanto inizio da quello che posso fare. Sono anche ottimista e sicuro che ci saranno persone che vorranno unirsi al mio progetto e assieme potremo fare molto di più di cosa posso fare da solo. Sto lavorando per raggiungere il mio sogno? Questo libro è una parte di questo impegno. Ti consiglio di continuare a formarti, io lo faccio? Negli ultimi otto anni ho frequentato più di venti corsi di formazione e letto circa centocinquanta libri. Ne ho contati 156 quando li ho rimessi in ordine nel mio nuovo ufficio (dopo il trasloco dalla Rep. Ceca), alcuni non li ho ancora finiti, ma poco ci manca. L’ultimo corso di formazione l’ho frequentato due settimane fa (oggi scrivo ed è il 19 luglio 2022). Uno di tre giorni dal titolo “I Create My Destiny” di Leonardo Leone. Perché? Perché sono ossessionato dalla formazione, dalla crescita, da imparare cose nuove. Perché Leonardo Leone è dove voglio arrivare io: “solo” su un palco con 2600 persone ad ascoltarlo. Ho già prenotato i miei prossimi corsi di formazione perché voglio essere sicuro di crescere, crescere e crescere. Come uno sportivo che continua ad allenarsi, allenarsi, allenarsi. Niente di più. Niente di strano. Tu che stai leggendo, anche se mentre scrivo non ti conosco ancora, tu sei il motivo che mi porta a impegnarmi tutti i giorni. Quando ci incontreremo, on line o magari nell’aula magna della tua università, voglio essere sicuro di poterti dare il massimo: il massimo della motivazione, il massimo degli strumenti, il massimo della mia energia per aiutarti a costruire il tuo ponte, i tuoi ponti al meglio. Posso farlo soprattutto con l’esempio, costruendo il mio nuovo ponte, quello che mi porterà a diventare il punto di riferimento per le università, e le scuole che vorranno offrire ai propri studenti un percorso di coaching. 

Sto facendo dei sacrifici? A chi me lo dice rispondo che il sacrificio più grande sarebbe vivere una vita al di sotto delle mie possibilità, al di sotto dei miei sogni. Darei agli altri un Claudio scontento, forse più riposato, ma sicuramente senza questo fuoco negli occhi e questo caldo nel cuore. 

Quello sarebbe un sacrificio. Il resto è solo e soltanto impegno, e impegnarmi mi piace. 

Ti auguro di sognare, progettare e costruire i tuoi ponti, per diventare la miglior versione di te e dare al mondo, e a chiunque abbia la fortuna di conoscerti, una persona felice e realizzata, un esempio da imitare. Fammi sapere come ti senti, cosa hai trovato in questo libro (mi trovi online come @coachclaudio8020 o sul sito www.coachclaudio.it). Se c’è qualche punto che non ti è molto chiaro o semplicemente ti ho lasciato qualche dubbio, scrivimelo. Ti risponderò o con una mail o con un video e terrò presente le tue osservazioni per i prossimi libri e nuove edizioni di questo (adoro i feedback, credo siano fondamentali per crescere e migliorarci). Se ti ha aiutato leggere questo libro, pensa a qualcun altro che potrebbe averne bisogno e parlagli di me e del Metodo PONTE. 

Al tuo successo, alla tua felicità, alla tua realizzazione personale. 

Buoni Ponti 

Coach Claudio

Metodo Ponte
Metodo Ponte
Come laurearsi senza rinchiocciolirsi