Capitolo 11
Il metodo Ponte

Il metodo Ponte, come detto poco fa, è una sequenza ordinata di strategie che, se usate e applicate, ci aiutano a costruire al meglio i ponti che ci portano a ottenere cosa vogliamo ottenere, a raggiungere la sponda che vogliamo raggiungere, a diventare la persona che vogliamo diventare. In sintesi, prima di decidere di costruire un ponte, prima di posare il primo mattone, prima di piantare il primo pilastro dobbiamo decidere dove vogliamo andare, giusto? Per evitare di raggiungere mete “a caso” è fondamentale chiederci perché: perché vogliamo ottenere quel risultato? Perché vogliamo proprio quel tipo di laurea? Perché vogliamo migliorare la nostra forma fisica? Perché vogliamo vivere in quella città? Perché? Il Perché è il motore, la motivazione che ci permette di costruire il nostro ponte nonostante le difficoltà, nonostante gli intoppi lungo il cammino, nonostante le opinioni degli altri, nonostante le nostre paure, i nostri timori, le nostre insicurezze. Una volta capito cosa ci spinge veramente, siamo in grado di fissare il nostro obiettivo, scegliere la sponda sulla quale vogliamo arrivare. Porci un obiettivo ha delle regole che devono essere rispettate, per aiutarci a raggiungerlo. Se il Perché è il motivo per il quale vogliamo raggiungere l’altra sponda, il motivo per il quale costruire il nostro ponte, il porsi l’obiettivo è la pianificazione dei lavori: si decide quanto dovrà essere lungo il ponte, quanti pilastri dovrà avere, in che materiale costruirlo, quanto tempo ci vorrà, quanto costerà in termini di tempo e materiale ecc. ecc. Fissare bene l’obiettivo equivale a pianificare la costruzione del ponte nel modo migliore possibile, nei minimi dettagli. A questo punto bisogna rinunciare alle distrazioni, bisogna sapere dire NO a parecchi altri progetti. E bisogna sapere accettare i NO che riceveremo lungo la strada, continuando nella costruzione del ponte, nonostante il brutto tempo, nonostante i ritardi nei materiali, nonostante gli errori che commetteremo. A questo punto abbiamo il motivo, abbiamo un piano, siamo pronti a fare delle rinunce pur di costruire il nostro ponte e siamo pronti a gestire problemi e ostacoli. Non abbiamo ancora posato il primo mattone ma lo faremo presto. A questo punto iniziamo a costruire. Decidiamo qual è la Traiettoria che vogliamo dare al nostro ponte e dobbiamo essere consapevoli che, molto probabilmente, non sarà una linea molto retta, perché potremo trovare ostacoli imprevisti e dovremo modificare i nostri piani, adattarli alle nuove situazioni. Magari ci rendiamo conto che dove volevamo costruire uno dei pilastri non è possibile, magari il terreno non regge, magari dobbiamo scavare più in profondità, magari credevamo di fare più in fretta e siamo in ritardo, e dobbiamo recuperare il tempo perso per un inconveniente. Tutto questo, se affrontato con gli strumenti giusti, non ci boicotterà i lavori. Ritardi e problemi potranno rallentarci ma non fermarci. Perché abbiamo fissato bene il nostro obiettivo, pianificato periodi per recuperare eventuale “tempo perso per gestire imprevisti”, e perché la nostra motivazione (i nostri “Perché”) è più forte di qualsiasi ostacolo). Siamo alla T e qui abbiamo ancora (oltre alla Traiettoria) il Tempo, il Talento e le Trappole. Dobbiamo darci il tempo necessario per raggiungere obiettivi importanti, e dobbiamo darci un ritmo (il tempo musicale) per fare. Il ponte che scegliamo deve rispecchiare e sfruttare il nostro o i nostri talenti, perché il non farlo ci porterebbe solo ad avere vite tristi e insoddisfatte. Poi dobbiamo far molta attenzione alle Trappole, alla nostra vocina critica (il paperino malefico) e alle voci esterne di persone che (magari anche in buona fede) ci danno consigli che non sono qualificati a darci, e per questo ci possono solo deviare dal nostro obiettivo. Ultima lettera, la E. Qui troviamo Energia, Entusiasmo ed Eudaimonia. Sono la prova finale, la prova del 9. Se infatti ti immagini sulla sponda che vuoi raggiungere e ti senti carica/o di energia, entusiasta anche e soprattutto del percorso fatto per arrivarci, allora è il segno che stai per iniziare a costruire un ponte che per te ha senso. I greci definiscono la felicità come la cura e lo sviluppo dei propri talenti. Questa, secondo Aristotele, è la vera formula della felicità. Inoltre, dobbiamo essere carichi di energia mentale e fisica per raggiungere i nostri obiettivi, quindi curare la forma fisica e quella mentale, sempre.

Adesso entriamo ancora più nello specifico di questi pilastri del Metodo Ponte, uno per uno. 

P = Perché: partenza 

Prima lettera, la P, è il primo pilastro del ponte, è “il perché”, il TUO perché.

Bisogna capire innanzitutto il perché vogliamo iniziare un percorso, perché vogliamo arrivare dall’altra sponda e assicurarci, ancora prima di partire, che sia la sponda giusta per noi. Perché? Troppe persone partono a costruire ponti (carriere, business, imparare skills) per poi ritrovarsi a metà percorso, o addirittura alla fine, a chiedersi: ma chi me l’ha fatto fare? Non è quello che volevo! Mi aspettavo una cosa diversa! Non sarà la fine del mondo ma sprecare tempo (unica risorsa veramente finita) per andare dalla parte sbagliata, è veramente brutto, non lo auguro a nessuno. Mi ci sono trovato, so bene di cosa parlo. Non sono saltato da un ponte, ma mi sono messo finalmente a cercare il “mio perché”, la mia sponda, anzi la mia Sponda con la “S” Maiuscola. Una volta trovato il mio perché, le mie passioni, le mie aspirazioni, allora ho cercato una “sponda” che mi potesse permettere di realizzarmi. Per raggiungere quella sponda vale la pena lavorare, mettere un mattone sull’altro, faticare, fare tardi la sera, svegliarsi presto al mattino. E sai la cosa più bella? Non si sente fatica, non sembra di lavorare. Non si sente il passare del tempo. Mentre ti scrivo sto costruendo il ponte più importante per me: ho deciso di diventare il coach di riferimento per centinaia di migliaia di studenti. Questo libro è uno dei pilastri del ponte che sto costruendo e sto riordinando il materiale per i miei speech, i miei interventi all’università e alle superiori. Tutti pilastri per il mio ponte. Cos’altro? Ho appena ordinato altri due libri, mattoni importantissimi, materiale di costruzione per darti il più possibile spunti nuovi e innovativi per pensare, pensare meglio e più consapevole, dopo averli provati su di me. 

Il Perché (la P maiuscola non è a caso) è fondamentale per avere la forza negli ultimi metri, per scollinare sul poggio con l’ultimo scatto. Quando ti sentirai stanca o stanco e demotivata/o, ti basterà richiederti perché lo fai, e troverai lì tutte le risposte e le energie necessarie. Per farti capire meglio come il perché può cambiare quello che facciamo, il senso, la motivazione, la voglia in quello che facciamo, ti racconto una storia. Non me ne voglia chi l’ha inventata o raccontata prima di me, proprio non ricordo dove l’ho letta (credo di averla sia letta sia ascoltata a un paio di corsi di formazione, una di quelle storie sempre presenti nei corsi di crescita personale). Ecco la storia (come la “ricordo e la racconto” io).

Ponte Carlo

Siamo in Rep. Ceca, sulle rive del fiume Moldava, a Praga, è il 1357. Jiříků è un bimbo di nove anni molto sveglio e molto curioso. Vive nella città vecchia col padre e la madre e di giorno, quando può, va ad ammirare il fiume, la Moldava appunto. È una giornata di luglio molto calda e mentre passeggia sulle rive si accorge che ci sono molti uomini che si danno un gran da fare: un gran va e vieni di carri stracolmi di cibo (uova, latte vino e formaggi, per lo più) e altri che portavano sassi e arenaria. Ovunque, operai con martelli, mazze, picchi e attrezzi di ogni genere. Jiříků (Giorgino, tradotto in italiano) è sempre più curioso e inizia a chiedere. Si ferma da un primo operaio che, mazza alla mano, martella un grande masso, e gli chiede con la curiosità di un bimbo: «Buongiorno Signore, cosa sta facendo?», il signore alza lo sguardo, vede Giorgino e gli risponde bruscamente «Spacco pietre, non lo vedi?». Giorgino fa spallucce, saluta e prosegue. Non contento di quella risposta cerca qualcuno con un aspetto meno burbero, si ferma e richiede sorridente: «Buongiorno Signore, posso chiederLe cosa sta facendo?», questo lo guarda, si asciuga il sudore dalla fronte e, con un lungo sospiro affaticato risponde: «Mi guadagno da vivere, figliolo», e riprende a martellare. Giorgino però non è ancora completamente soddisfatto, e come tutti i bambini (che dovrebbero essere presi a esempio in questo e molto altro) non si dà per vinto. Lui vuole sapere cos’è tutto quell’andare e venire di carri e di persone, e ha trovato solo uno spacca pietre e un altro che si guadagna da vivere (anche lui spaccando pietre). Quindi cerca di individuare meglio il prossimo lavoratore da intervistare. Ne vede uno che assomiglia quasi al nonno. A differenza dei primi due, ha le pietre tutte ordinate, da una parte quelle grezze e dall’altra quelle “martellate” e squadrate e soprattutto mentre martella sembra quasi sorrida. Giorgino pensa: questo deve essere sicuramente più intelligente dei primi due. Si avvicina cauto, lo osserva un po’ mentre lavora: il vecchio guarda le pietre grezze quasi a chiedere “chi è la prossima?” e poi martella come se stesse facendo un favore alla pietra, trasformandola in un mattone squadrato. A un tratto il signore si accorge di essere osservato e sorride a Giorgino, che contraccambia, prende coraggio e chiede: «Signore, posso farLe una domanda?». «Certo», dice il signore smettendo per un attimo di martellare. «Cosa sta facendo?», il vecchio tutto orgoglioso prende fiato e risponde: «Sto collaborando alla costruzione del Ponte Carlo». Giorgino non vedeva nessun ponte, solo qualche pietra messa una sull’altra, e soprattutto l’altra sponda della Moldava era veramente distante. Ma di lì a pochi anni vide il ponte prendere forma, per poi essere completato 45 anni dopo, nel 1402. Ormai nessuno lo chiamava più Giorgino, lo chiamavano Giorgio (Jirka in ceco), e avrebbe ancora usato il ponte Carlo per andare dalla Città vecchia a Mala Strana con la famiglia per parecchi anni. Non c’era passaggio sui 516 metri di ponte che non gli facesse tornare alla mente quelle giornate spensierate e quelle prime grandi lezioni: mai fermarsi alla prima risposta, chiedere a chi sembra più qualificato a rispondere e soprattutto – motivo per il quale la storia del Ponte Carlo e Jiříků l’ho inserita qui – che non conta tanto il cosa facciamo, o il come lo facciamo. La cosa più importante è perché la facciamo. Perché. Quei tre uomini infatti facevano, a guardarli da lontano, la stessa cosa. Solo il terzo però faceva qualcosa che gli scaldava il cuore, che lo faceva stare bene e che lo faceva addormentare col sorriso. Non a caso lo faceva meglio degli altri e sembrava non sentire nemmeno il peso della fatica. Tutto questo perché a differenza degli altri aveva un “Perché”. La sua missione era contribuire alla costruzione del ponte Carlo. A forza di spaccare pietre per farne blocchi squadrati da usare come mattoni. Il ponte Carlo (Karluv Most) è ancora uno degli emblemi di Praga, uno dei posti più magici e romantici della città.

Cosa ci insegna il Ponte Carlo

Qui apro una parentesi: se il tuo motivo è solo guadagnarti da vivere, ti stai “perdendo il ponte Carlo”. Non sarai mai realizzato nel lavoro, e per te un lavoro varrà un altro. Come è successo a me i primi anni da ingegnere in cui volevo imparare, guadagnare, diventare bravo in quello che facevo ma non ci vedevo nessun motivo più grande. Stavo costruendo la mia carriera da Responsabile di produzione, ma non sapevo dove mi avrebbe portato, semplicemente perché non me lo ero chiesto, non avevo idea di dove stavo andando, né tanto meno di dove volessi andare. Infatti, costruivo ponti di altri. Non mi sono mai sentito di contribuire alla costruzione di un ponte, perché ero capitato su quel cantiere per caso. Cercavo pietre da spaccare e qualcuno me le ha date. Io spaccavo pietre, mi guadagnavo da vivere ma tutto si fermava lì. Niente di male, ma allo stesso tempo niente di spettacolare. Adesso che ho deciso che ponte costruire, è tutta un’altra musica.

Migliorarsi e usare tutte le risorse possibili

Tornando al nostro Giorgino, te lo ricordi? Il ragazzino che correva vicino al cantiere del ponte Carlo a Praga. Quando alle 5.31 del 9 luglio 1357 Carlo IV pose la prima pietra, stava iniziando un’opera molto più che maestosa per l’epoca in cui era. Qualcuno potrebbe dire: gli è andata bene la prima. Invece non è così, c’erano stati già due ponti, uno in legno e uno in pietra ma erano troppo fragili e non resistevano alle inondazioni. Per questo motivo Carlo IV decise di iniziare un’opera che, se pur sarebbe durata quasi tutta la sua vita, sarebbe anche rimasta per sempre. E così è stato. Il Ponte Carlo è sicuramente un successo, ancora oggi migliaia e migliaia di turisti e cittadini praghesi lo usano ogni giorno, lo ammirano, lo fotografano percorrendolo avanti e indietro. È rimasto fino a oggi, perché è stato costruito “in grande” senza badare a quanti anni ci sarebbero voluti, a quanti sforzi economici, a quanto lavoro. Si narra che per farlo più robusto dei precedenti, si usasse mischiare con l’arenaria uova e altri prodotti alimentari. È diventato famoso per essere stato "impastato con le uova. " Carlo IV chiese a tutti i villaggi vicini di collaborare portando soprattutto uova per l’impasto, per evitare che il nuovo ponte facesse la fine del precedente (ponte Giuditta) che non resse a una inondazione del 1342. Fece un’altra cosa molto singolare, Carlo IV. Avrai forse notato che poco sopra ho indicato anche l’ora precisa in cui venne posta la prima pietra del ponte, proprio da Carlo IV. Le 5.31 del 9 luglio del 1357. Tutto questo per un gioco di numeri che potesse essere di buon auspicio e proteggere la longevità del ponte. Infatti, la costruzione iniziò nel 1357, il 9 luglio, quindi 135797.. alle 5.31 135797531. Per le credenze dell’epoca (e non solo), un numero del genere costituisce un “triangolo magico” in grado di proteggere il ponte. E tu mi dirai “coach Claudio, credi in queste cose?”. E ti rispondo: non è importante quello che credo io, è importante che Carlo IV abbia fatto di tutto per riuscire nella sua impresa di dare un ponte alla città. Se ripensiamo ai due ponti precedenti, uno in legno, poi il ponte Giulietta in pietra, possiamo vedere che il sogno di unire la città nuova con la città vecchia non era una novità. Non è andata “bene la prima”. Non per questo Carlo IV (i praghesi in generale) ha desistito dal sogno di unire le due sponde della Moldava. In legno non regge? Lo facciamo in pietra. In pietra non regge? Lo facciamo MEGLIO. Più grande, più alto, più largo, con nuovi materiali (uova), ci mettiamo il tempo che ci vuole, ci facciamo aiutare anche dalla magia (quella dei numeri) e lo facciamo una volta per sempre. Questo è stato l’atteggiamento. Questo è l’atteggiamento del costante miglioramento, e di come ci si comporta di fronte ai fallimenti. Non era impossibile congiungere le due sponde. C’era il modo e Carlo IV lo ha trovato. Servivano le uova e i numeri? E chi lo sa! Rimane il fatto che il ponte è li. Bellissimo, magico, incantato sotto la neve degli inverni praghesi, illuminato da lampioni che ne esaltano i colori nella notte, uno dei posti più romantici in tutta la capitale ceca. Il “Perché” di Carlo IV era così forte da andare oltre i fallimenti, oltre i limiti dell’epoca. L’opera di costruzione del ponte Carlo, ve lo ricordo, è durata 45 anni. Il ponte è stato progettato e costruito pezzo per pezzo, pilastro dopo pilastro, mattone dopo mattone (mattoni di pietra). Certo, oggi ci vuole meno a costruire un ponte, ma quello non era un ponte, quello era un ponte “mai costruito prima” (infatti gli altri erano crollati). Questo semplicemente per dirti che quando fai qualcosa di nuovo, di unico, la pazienza e la perseveranza dovranno essere tue alleate. Torneremo su questo argomento nel capitolo sul Tempo.

Come trovare il proprio PERCHÉ

Qualcuno a questo punto si chiederà: tutto bello, ma non credo di avere un perché di questo genere. Non so ancora cosa fare e chi diventare. Non ho manie di grandezza, non voglio fare niente di speciale. Beh, innanzitutto la mia domanda, scontata, perché? Se credi di non essere portato, o non essere in grado, spero con questo libro di dimostrarti il contrario. Comunque sia, se non hai chiaro quale sia il tuo “perché” non è un problema. Intanto, devi capire che la prima cosa da fare è... fare. Sì, sembra banale, e in parte lo è: se non provi non puoi sapere se tirare calci al pallone ti piace, se ti riesce. Datti tempo, prova, sperimenta, informati, sii curiosa, curioso. Più avanti vedrai che domande porti per avvicinarti al tuo vero grande perché. E se non dovessi riuscirci da sola, da solo, potrai approfondire studiando il lavoro di Simon Sinek, che ha scritto proprio un libro sul “come trovare il tuo perché”. Come vedrai più avanti, questa è la bellezza di questa era dell’informazione: c’è sempre (o quasi) qualcuno che ha già risolto il problema che stai affrontando ed è disposto a condividere cosa ha trovato, inventato, testato. Un po’ come sto facendo io con questo libro e con tutto il resto del lavoro che faccio: ho capito che ora, da coach, potrei tornare indietro agli anni dell’università e aiutare il Claudio studente a vivere meglio, molto meglio, a prendere decisioni più consapevoli, a lasciarsi meno sabotare da eventi esterni e soprattutto dalla sua voce interna, il “paperino pessimista e antipatico” che gli ha impedito di osare, di tentare, di provare, di vivere appieno in definitiva il suo potenziale. Il Claudio ventenne è cresciuto e ovviamente non torna indietro. Però posso aiutare tanti altri studenti, tanti altri giovani che sono dove ero io, nel dubbio, nella confusione, bombardato da desideri contrastanti, nessuna bussola che mantenesse la stessa direzione per tempi sufficienti e nessuna sensazione di controllo sulla propria vita.

Simon Sinek method

Ecco qui in breve, per chi non lo ha ancora chiaro, come trovare il proprio perché. Innanzitutto, ognuno di noi crea il proprio perché nei primi vent’anni di vita, dice Sinek. Non sempre però questo perché è esplicito, visibile, espresso. Molte volte rimane confuso tra mille pensieri anche contrastanti. Per trovarlo dobbiamo capire come ci siamo comportati durante gli eventi più importanti della nostra vita, per capire cosa ci piace fare, cosa vogliamo fare. Cosa facciamo quando ci capita di perdere la cognizione del tempo. La formula magica, la dichiarazione di perché, come la chiama Sinek, deve essere una frase breve del tipo [fare].............................. PER [ottenere]
Ti scrivo la mia, come esempio. Diffondere il mio metodo PONTE per impattare positivamente la vita di migliaia di studenti. Questo è diventato il mio perché. Non ci ho messo poco, per trovarlo. Prima di questo il mio perché era “aiutare il prossimo”, ma era troppo generico, e a forza di pormi domande sempre più profonde sono arrivato al mio perché. Ecco alcune domande che è bene porci per trovare cosa ci fa battere il cuore: 


Se non dovessi preoccuparmi di guadagnare, se fossi economicamente indipendente, cosa farei? Come passerei il mio tempo?
Se penso alla miglior giornata della mia vita, cosa sto facendo?
Chi voglio diventare? Perché? Come mi sentirei? 


Si trovano spunti molti interessanti anche nel metodo giapponese dell’IKIGAI, anche se è leggermente diverso dall’approccio del Metodo Ponte. In estrema sintesi per trovare il senso della nostra vita, per i giapponesi, dobbiamo unire quattro insiemi e trovare la o le cose che appartengono a tutti questi quattro insiemi: le cose che sappiamo fare bene, le cose che amiamo, le cose per le quali possiamo essere pagati, le cose di cui ha bisogno il mondo. Quindi sempre in estremissima sintesi, dobbiamo focalizzarci su cose che amiamo, sappiamo fare bene, possono essere retribuite e soddisfano un bisogno della società. Mi raccomando, il “fare bene” non possiamo vederlo prima di averci dedicato tempo e impegno quindi l’IKIGAI va applicato considerando che se mi piace una cosa nuova devo prima impegnarmici e imparare a farla per capire se so farla bene o no. Prendete questo come spunto, e se vuoi approfondire, cercate il metodo IKIGAI.

Metodo Ponte
Metodo Ponte
Come laurearsi senza rinchiocciolirsi