Audiologia e Foniatria

Eziologia delle ipoacusie perinatali

Le cause di ipoacusia acquisite perinatali sono:

– Prematurità

– Basso peso alla nascita

– Ipossia o anossia

– Ricovero in NICU

– Basso Apgar

– Iperbilirubinemia

– Ototossicità

– Traumatismi sonori e cranici

– Infezioni.


Le sordità conseguenti a traumi da parto, anossia neonatale, ittero neonatale, spesso associate a lesioni del sistema nervoso centrale, un tempo erano stimate attorno al 15% delle sordità neonatali. Il miglioramento della sorveglianza della gravidanza e del parto, il monitoraggio della emo-ossigenazione, il controllo dell’incompatibilità materno-fetale del sistema Rh AB0, le conoscenze sul potenziale ototossico di molte categorie di farmaci, hanno contribuito a ridurre le sordità secondarie a fattori lesivi in età peri-natale.I progressi nella medicina neonatale, soprattutto dopo l’introduzione della terapia con farmaci surfactanti di nuova generazione dal 1990, hanno consentito di elevare notevolmente il tasso di sopravvivenza nei bambini molto prematuri VLBW (Very Low Birth Weight) o con prematurità estrema (fra 500 e 750 g). D’altro canto i dati relativi ai risultati funzionali di questi bambini in termini di sviluppo neuropsicologico appaiono sconcertanti, anche se riferiti a casistiche molto eterogenee. Essi indicano un aumento della sopravvivenza corrispondente anche ad un aumento in questi bambini di esiti patologici. Se le tecniche di rianimazione applicate in particolare nell’ultima decade garantiscono la sopravvivenza di molti prematuri, sembra che la maggiore aggressività terapeutica si rifletta poi negativamente sullo sviluppo neurologico di questi bambini, aumentando la proporzione di quelli affetti da disabilità residue rispetto a quelli esenti e determinando una maggiore gravità dei danni multisistemici. Numerosi studi riportano che solo il 20% di tutti i bambini sopra le 35 settimane, non presentano deficit evolutivi in epoche successive alla dimissione; tutti gli altri risultano affetti in qualche misura da disabilità, costituite principalmente da ritardo mentale, ritardo psicomotorio (circa 20%) e da danni neurosensoriali (3-4% sordità; 1-2% cecità). Allo scadere del 4° semestre di ‘età corretta’ del bambino, quasi il 50% dei bambini sottoposti a test neuropsicologici dimostra in qualche grado un ritardo mentale che tende a migliorare ma, da quanto emerge da follow-up a lunga scadenza, tende a persistere fino a 6 anni di vita. La prematurità quindi è una condizione di elevato rischio per la sordità, così come per altri disordini: ciò comporta che fra questi “bambini fragili” siano frequenti i casi con handicap multipli. Studi longitudinali che hanno considerato bambini prematuri e di peso molto basso hanno evidenziato che a 5 anni questi presentavano un tasso di sordità superiore di 5 volte rispetto ai bambini della stessa età ma senza problemi alla nascita.


Prematurità

Lo studio dell’ipoacusia infantile nelle forme perinatali non può prescindere dalla conoscenza delle problematiche del prematuro neonato a rischio.

Classificazione. Si definisce parto pretermine o prematuro un parto il cui travaglio ha luogo tra la 20esima e la 37esima settimana completa di gestazione. La durata della maggior parte delle gravidanze è di circa 40 settimane ma circa il 10% dei parti avviene prima. Un neonato nato tra la 37esima e la 42esima settimana è considerato a termine. L’eziologia infiammatorio/infettiva è la più accreditata; tali modificazioni avverrebbero soprattutto alla giunzione deciduo-coriale (metabolicamente molto attiva) che, producendo interleuchine, farebbe scatenare l’aumento delle prostaglandine locali con successiva contrazione prematura dell’utero. Inoltre, in risposta allo stress il feto produce cortisolo che, arrivando al liquido amniotico, incrementerebbe ulteriormente la produzione di interleuchine e prostaglandine, alimentando così un circolo vizioso. Le pazienti con parto pretermine presentano più spesso vaginosi batteriche e un’alta concentrazione nel liquido amniotico di interleuchine e prostaglandine. Tuttavia, solo raramente sono presenti segni di infezione sistemici (febbre, aumento della VES...).Altri fattori eziologici coinvolti sono l’impianto anomalo, una placentazione non corretta, una placenta piccola o con trombosi al suo interno oppure una pre-eclampsia). Un ruolo potrebbe averlo, inoltre, l’alterazione dell’orologio biologico che regola l’inizio della contrazione uterina.

Cause e fattori di rischio.

– Distacco di placenta

– Eccesso di contrattilità uterina

– Eccesso di liquido amniotico (polidramnios)

– L’età della madre (meno di 20 anni o più di 38)

Fibromi uterini

– Il fumo o l’uso di droghe o di alcol (specialmente per IUGR e rottura delle membrane)

– Gestosi

– Gravidanze gemellari

– Grave sottopeso della madre durante la gravidanza

– Incontinenza cervicale

Infezioni vaginali asintomatiche

– Iposviluppo del feto

– Malattie infettive.


APPROFONDIMENTO


La frequenza di parti pretermine è dell’ordine del 4-10% di tutte le gravidanze. Il periodo tra la 24esima e la 32esima settimana comprende l’1-2% ma il 65% di tutte le morti.

In base al peso alla nascita si distinguono:

– Neonati LBW (Low Birth Weight), il cui peso alla nascita è compreso tra 1501 e 2500 gr.

– Neonati VLBW

– Neonati ELBW

Considerando invece il peso alla nascita in rapporto all’età gestazionale si parla di:

– Neonati AGA (Appropriate for Gestational Age) il cui peso è appropriato all’età gestazionale compreso tra il 10° e il 90° percentile.

– Neonati SGA (Small for Gestational Age) il cui peso è basso per l’età e inferiore al 10° percentile.

– Neonati LGA (Large for Gestational Age) con peso maggiore al 90° percentile.

Diagnosi di rischio di un parto pretermine (criterio necessario):

– più di quattro contrazioni al minuto o più di 8 in un’ora

e almeno uno dei seguenti:

– rottura delle membrane

– dilatazione maggiore di 2 cm

– raccorciamento del collo maggiore dell’80% (se minore di 2,5 cm la minaccia è avanzata)

– dopo un’ora la clinica della donna è modificata

– presenza di fibronectina.


Diagnosi di rottura prematura delle membrane:

– esame speculare

– pH vaginale (basico)

– fibronectina vaginale

– ecografia.


Il non completo sviluppo di organi e apparati comporta dei problemi di adattamento alla vita extra-uterina per questo motivo i neonati pretermine hanno rischio di mortalità nel primo anno di vita più elevato di quelli a termine. La nascita pretermine costituisce la causa principale di mortalità e morbilità perinatale anche nei paesi occidentali nei quali l’assistenza sanitaria nei reparti di neonatologia ha raggiunto ottimi livelli. Uno dei rischi maggiori dei nati pretermine è la cosiddetta malattia respiratoria del neonato pretermine anche nota come respiratory distress sindrome (RDS) o malattia da membrane ialine polmonari. I polmoni del pretermine non sono ancora in grado di produrre il surfattante (SRF) fondamentale per il corretto svolgimento della respirazione. Per questo motivo in caso di rischio di parto pretermine alla madre viene somministrato un corticosteroide, solitamente il betametasone, al fine di accelerare la maturazione polmonare del feto.Il neonato pretermine può inoltre andare incontro a svariati problemi:

– di controllo della temperatura, il sistema di termoregolazione non è ancora sviluppato, per questo motivo i neonati pretermine vengono posti in culla termica (o incubatrice), una sorta di contenitore nel quale sono regolabili temperatura, umidità e ossigenazione;

– di tipo infettivo: i neonati pretermine sono maggiormente soggetti a rischio di infezioni da virus e batteri in quanto lo sviluppo del sistema immunitario non è ancora completo;

anemia: la produzione di globuli rossi non è ancora “a regime”;

– cardiaci: bradicardia e conseguente rischio di apnee e desaturazione. Le apnee possono anche essere legate alla pervietà del dotto di Botallo;

– visivi, retinopatia del prematuro (ROP);

ittero neonatale;

– cerebrali: è elevato il rischio di emorragia intraventricolare o leucomalacia periventricolare con paralisi cerebrale, ritardo motorio e mentale, patologie psichiatriche;

– nutrizionali: fino al quando la suzione e la respirazione non sono coordinate il pretermine viene alimentato via endovenosa e successivamente tramite sondino orogastrico (gavage) con alimentazione frazionata o enterale continua;

– neurologico consistenti in ritardi nello sviluppo, difficoltà di apprendimento;

enterocolite necrotizzante;

per quanto riguarda la prognosi se il neonato ha un’età

- <20 settimane: generalmente morte;

– 20-22 settimane: sopravvivenza infrequente;

– 23-25 settimane: sopravvivenza del 10-50% (il 20-30% presenterà complicanze neurologiche);

– 25-26 settimane: sopravvivenza del 50-80% (il 10-25% presenterà complicanze neurologiche);

– >26 settimane: prognosi molto buona.


L’epoca del parto e delle prime settimane di vita rappresenta un periodo particolarmente critico per la possibile insorgenza di complicanze che si riflettono sul neonato a volte con esiti duraturi o permanenti. Alcuni fattori di rischio possono creare una condizione di sofferenza generalizzata del feto e che indirettamente provoca un danno a livello dell’orecchio quindi può essere individuato un rischio audiologico che viene stimato in base ai seguenti criteri:


Ipossia

L’asfissia perinatale deriva dal compromesso scambio di gas polmonari o attraverso la placenta. Questo disturbo può portare a ipossia (mancanza di ossigeno) e ipercapnia (aumento dei livelli di biossido di carbonio) nel sangue; l’ipossia grave agisce sulla glicolisi anaerobica e la produzione di acido lattico prima nei tessuti periferici (muscolare e cardiaco) e poi nel cervello. L’ischemia è al tempo stesso causa e conseguenza di ipossia; l’ipossia e l’acidosi deprimono la funzione del miocardio, con conseguente ipotensione ed ischemia e interferisce con lo scambio di metaboliti. L’asfissia può essere causa di encefalopatia; può insorgere prima, durante o dopo la nascita. Eventi pre-parto (ipotensione arteriosa) nel 20% dei casi; eventi intra-parto (patologia cordonale) nel 35% sono fattori di rischio per l’asfissia. Anche il diabete mellito la pre-eclampsia o il ritardo di crescita intrauterina possono complicare il tutto. I fattori di rischio materni, ostetrici, neonatali predispongono il neonato ad asfissia e a questi si possono aggiungere disturbi di circolo ed ossigenazione.


EVENTI ANTEPARTUM

EVENTI INTRAPARTUM

DISTURBI POSTNATALI

Ossigenazione materna

patologica (severa anemia, patologia cardiopolmonare)

Inadeguati scambi gassosi e perfusione placentale (placenta previa, rottura uterina, severa ipotensione materna, contrazione uterina patologica)

Ipertensione polmonare persistente del neonato

Inadeguati scambi gassosi e perfusione placentale (ipotensione o ipotensione materna, insufficienza placentale da patologia vascolare)

Trauma da parto

Severa insufficienza circolatoria

Infezioni congenite

Ossigenazione materna patologica (edema polmonare)

Cardiopatie congenite


I neonati con elevato rischio di asfissia perinatale includono nati da madre diabetica con importante ritardo della crescita intrauterina (IUGR) visto che nella donna diabetica si può avere nefropatia che contribuisce allo sviluppo dell’ipossia fetale e poi dell’asfissia perinatale. Inoltre i neonati con grave ritardo di crescita intrauterina possono sviluppare transitorie difficoltà respiratorie con asfissia perinatale, aspirazione di meconio e ipertensione polmonare persistente. Il fetal biophysical profile score (BPS or BPP) è un indicatore molto sensibile nel predire l’asfissia fetale. Tutti gli organi possono essere affetti da asfissia perinatale sebbene il danno neurologico persista mentre le disfunzioni in altri organi si risolvono prima della dimissione. Gli infanti prematuri hanno un elevato rischio di danno cerebrale dovuto a emorragia intraventricolare, ischemia e danno nello sviluppo delle cellule staminali neuronali. Una lesione strutturale cerebrale o cerebellare può dare un deficit neurocognitivo che si manifesta con paralisi, ritardo psicomotorio e disfunzioni sensoriali. Le alterazioni del circolo possono dare emorragia intraventricolare e leucomalacia periventricolare che sono indicatori di una sofferenza intrauterina. La sostanza bianca è particolarmente vulnerabile; le caratteristiche neuropatologiche di lesioni della sostanza bianca sono: l’attivazione della microglia focali e diffuse che derivano appunto da danni della circolazione.


Ricovero in Terapia Intensiva Neonatale (TIN)

Rappresenta un fattore di rischio per diversi motivi in quanto i piccoli pazienti che vi accedono sono esposti al trauma acustico continuo delle termoculle dove permangono per periodi variabili; inoltre la patologia neonatale richiede terapie salvavita con farmaci anche ototossici e infine i piccoli paziente sono spesso in ossigenoterapia ad alte concentrazioni.


Ittero

L’ittero è una conseguenza dell’aumento della bilirubina indiretta nel sangue e si evidenzia direttamente con il tipico colorito giallastro della cute del neonato. La bilirubina è una sostanza derivata dalla distruzione dell’emoglobina, una molecola preposta al trasporto dell’ossigeno nel sangue; viene normalmente eliminata da enzimi presenti nelle cellule del fegato. L’ittero neonatale è un evento fisiologico dovuto ad una lenta azione di rimozione della bilirubina da parte del fegato ancora immaturo e scompare entro il terzo o quarto giorno di vita. Se per varie cause la bilirubina non viene eliminata, e quindi se ne ha un aumento nel sangue, ne consegue un accumulo e un grave danno a carico delle cellule nervose. La causa più comune di ittero neonatale è l’incompatibilità di sangue materno-fetale per il fattore Rh o ABO. In caso il neonato presenti una grave forma di ittero, viene trattato mediante exanguinio-trasfusione.Altre cause di ittero sono l’immaturità, le infezioni, le epatiti e le emoglobinopatie.

L’ittero è responsabile di una sordità generalmente bilaterale, grave, più accentuata sulle alte frequenze, con danno dei nuclei cocleari e della coclea; spesso si associano lesioni neurologiche per interessamento dei centri nervosi. La sordità neurosensoriale grave si associa a lesioni cerebrali dovute all’accumulo di bilirubina con conseguente ritardo psicomotorio, deficit intellettivo, disordine dei movimenti oculari. Il 30% dei neonati con bilirubinemia >20mg% va incontro ad un’encefalopatia. Si parla di kernicterus o ittero neonatale quando si ha la deposizione di bilirubina non coniugata nelle cellule cerebrali, in particolare dei nuclei della base. Quando i livelli di bilirubina serica superano i 20 mg/dl, nei neonati a termine, o i 10-12 mg/dl nei prematuri, aumentano molto le probabilità che provochino danni cerebrali sottocorticali irreversibili, con conseguente quadro di disartria e corea e solitamente conservazione delle capacità intellettive. I neonati con l’ittero neonatale vengono trattati con l’esposizione ad una intensa luce blu (fototerapia)


Eziologia delle ipoacusie postnatali

Le cause di ipoacusia neurosensoriali acquisite postnatali sono:

Infettive: Virali (HSV, morbillo, rosolia, parotite, parainfluenzale), Batteriche (Haemophilus Influenzae).

Labirintiti ematogene, meningitiche o otogene.

Sostanze ototossiche (aminoglicosidi, cisplatino, eritromicina, vancomicina, furosemide, chinino, aspirina).

Trauma cranico (fratture translabirintiche e commozione labirintica).

Trauma acustico.


Virosi

La parotite (Paramixovirus) costituisce il 6% delle ipoacusie neurosensoriali acquisite postinatali. È responsabile del 3% delle sordità improvvise, generalmente monolaterali e che complicano la virosi in 5/10000 casi.

Il Morbillo può provocare un’encefalite acuta in 1/2000 casi; è responsabile della sordità postnatali nel 2.2% dei casi.


Meningite

Fra tutti i casi di sordità infantile il 4-10% è conseguente alle complicazioni di una meningite. Considerando solo le sordità perinatali il tasso è del 37%. Come si è già detto, all’età di 5 anni si stima che fra le sordità profonde il 20% sia acquisita in conseguenza di meningite. La sordità secondaria a meningite è causata da una diffusione dell’infezione al labirinto, dalle meningi attraverso l’acquedotto cocleare, o direttamente danneggiando il nervo cocleare come nella meningite da criptococco. Oltre a questo, gli agenti più frequentemente isolati sono lo Streptococco pneumoniae, Hemophilus influenzae, Neisseria meningitidis, Escherichia coli, agenti virali (herpes, morbillo) e raramente il bacillo della tubercolosi (Kotnis 2001).

L’ipoacusia da meningite è nella maggior parte dei casi bilaterale, frequentemente di grado severo o profondo. Nei bambini può porre notevoli problemi riabilitativi data la possibilità di lesioni al nervo cocleare che impediscono di sfruttare appieno l’amplificazione fornita da una protesi acustica. Indicatori prognostici di sordità sono considerati uno stato di coma e la presenza di alterazioni encefaliche rilevate alla TAC.

Una temibile complicazione della meningite è costituita dall’ossificazione del labirinto: quando ciò si verifica è indicato un impianto cocleare da eseguire precocemente, anticipando la completa obliterazione ossea del dotto cocleare.

In alcune regioni, come nell’Africa centrale, le epidemie di meningite sono frequenti, causando molti casi di sordità fra i bambini sopravvissuti all’infezione. Per il Ghana sono riportati tassi di sordità del 29% come complicanza dell’infezione meningococcica e del 9%come complicanza delle forme sostenute da Hemophilus. Anche nei paesi ad economia sviluppata la morbilità e la mortalità nell’infezione meningococcica appaiono rilevanti.

Secondo un recente studio condotto negli Stati Uniti (Kaplan, 2006), l’infezione meningococcica colpisce più frequentemente i bambini sotto i 12 mesi di età, e nel 12% dei casi compromette la funzione uditiva.

In alcuni paesi, quali Islanda e Svezia, a partire dal 1989 la campagna vaccinale contro linfezione da H.i. ha contribuito a debellare questo agente infettivo, mentre le vaccinazioni per gli altri due agenti più frequenti risultano ancora insufficienti poiché non sono applicate su tutta la popolazione e soprattutto non consentono una copertura efficace contro tutti i ceppi batterici implicati. Anche in questi paesi è descritta una prevalenza di ipoacusia del 14% di tutti i casi che hanno contratto la meningite.

Tutti gli autori concordano nell’indicare necessità di implementare l’intervento sanitario attraverso provvedimenti generalizzati di tipo primario (vaccinazioni contro la N. meningitidis C e lo S. pneumoniae) e di tipo secondario, tramite la tempestiva identificazione dei primi segni clinici di meningite e immediata attuazione di una terapia mirata, al fine di minimizzare gli esiti della malattia.


IPOACUSIE RETROCOCLEARI

La sordità retrococleare è la conseguenza di un danno delle proiezioni uditive o della corteccia uditiva che, se bilaterale, provoca anche un grave deficit della percezione verbale e, nell’infanzia, impedisce il normale sviluppo del linguaggio. Le più note sindromi da neurofibromatosi tipo 2 sono caratterizzate da un esordio tardivo post-verbale, spesso in epoca pre-adolescenziale. In epoca preverbale, i casi di ipoacusia retrococleare sono molto rari e riferibili soprattutto ad anomalie congenite genetiche mitocondriali, come accennato nelle pagine precedenti, oppure a kernicterus.

Le prime presentano un’ipoacusia neurosensoriale associata a quadri clinici estremamente variabili in base all’espressione fenotipica e all’epoca.

Le patologie perossisomiali rappresentano un gruppo di malattie molto rare, ma a gravissima evoluzione e ad esordio neonatale. Fra queste la Sindrome di Zellweger, la Adrenoleucodistrofia neonatale e il morbo di Refsum infantile, sono caratterizzate da ridotto o assente numero di perossisomi, organelli subcellulari contenenti gli enzimi del metabolismo lipidico, che genera una patologia sistemica. Tali anomalie alterano tanto gravemente lo sviluppo psicofisico dei bambini affetti (ritardo mentale profondo, ipotonia generalizzata, cecità) da portare in secondo piano le problematiche relative al deficit uditivo.

Fra le cause perinatali acquisite, il kernicterus o ittero neonatale è considerato causa di ipoacusia sia periferica che centrale retrococleare.


L’approccio diagnostico nella sordità infantile prevede lo screening neonatale che consiste nell’esecuzione di OAE alla nascita dopo 48 ore; se le OAE sono presenti il paziente è considerato sano, se esse sono assenti si procede con l’esecuzione di OAE a 2 settimane e se sono presenti si interrompe l’iter altrimenti entro 3 mesi dalla nascita si esegue ABR e se è regolare si interrompe l’iter.

Se l’esame è indicativo di una soglia patologica il bimbo è protesizzato già dall’età di 3 mesi e comincia il programma riabilitativo che prevede trattamento logopedico appropriato con le protesi.

In genere l’iter diagnostico e di controllo prevede l’esecuzione di esami audiometrici compatibili con l’età del paziente (vedi capitolo audiometria infantile), valutazione logopedia con test percettivi per attestare categoria foniatrica di appartenenza e laddove l’audiometria non fosse possibile si esegue ABR per soglia.

Nella diagnosi di una sordità infantile è fondamentale un’anamnesi approfondita per valutare i fattori di rischio del paziente e definire le modalità di insorgenza e decorso dell’ipoacusia nonché tentare ipotesi eziologiche.

Per l’analisi dell’eziologia è utile eseguire indagini genetico-molecolari per cercare le mutazioni genetiche più frequentemente responsabili di sordità congenite (studio del gene della contessina, pendrina ed eventualmente mitocondriali) e lo studio neuroradiologico dell’encefalo e delle rocche petrose per la valutazione morfologica di tali strutture utile per improntare una corretta terapia futura (vedi capitolo terapia protesica e impianto cocleare).

1.4.3.1.2 Ipoacusia neurosensoriale infantile unilaterale

È opinione diffusa che una ipoacusia monolaterale nel bambino, anche se profonda, non sia un problema serio, anche perché raramente un bambino con ipoacusia unilaterale evidenzia problemi nella comunicazione o in campo educativo. Questo è in contrasto con l’esperienza clinica quotidiana di quanto una ipoacusia monolaterale crei problemi comunicazionali nell’adulto.

L’ipoacusia può essere neurosensoriale o trasmissiva; per quanto riguarda le forme trasmissive su base malformativa vedi cap. 1.4.1.1.

Epidemiologia. I dati dello screening neonatale evidenziano una incidenza attorno allo 0,6 per mille. La prevalenza al primo anno di scuola è del 1,46 per mille (Fortnum HM, 2003).

Eziologia. Elevata è la percentuale di casi in cui non si riesce a risalire ad una causa precisa; la maggior parte degli studi riporta una percentuale attorno al 50% dei casi in cui non è possibile l’identificazione delle cause.

Infezioni. La parotite epidemica è riconosciuta come causa di ipoacusia monolaterale profonda. Uno studio recente stima attorno a 1/1000 l’incidenza di sordità dopo parotite (Hashimoto H, Fujioka M, Kinumaki H; 2009). La parotite epidemica è certamente la malattia maggiormente responsabile di questo tipo di ipoacusia con una percentuale che varia dal 15% al 26%; la seconda causa più frequente è la meningite con percentuali che vanno dal 1,8% al 15,1%, seguono poi il morbillo (1-5%), e le affezioni pre/perinatali (1,4-12%). Anche la vaccinazione MMR (influenza, parotite, rosolia) è stata riscontrata causa di questa patologia.

Traumi. I traumi cranici sono responsabili del 1-8,3% dei casi.

Genetica. L’incidenza delle forme genetiche è riferita attorno al 5% di tutte le ipoacusie monolaterali; pochi i dati in letteratura su forme autosomiche che dominanti (solitamente con penetranza incompleta ed espressività variabile). Tra le diagnosi differenziali vanno tenute presenti la sindrome di Waardenburg e la disostosi mandibulo-facciale che possono interessare le due orecchie in modo diseguale (Gorlin, Torriello e Cohen, 1995). Ipoacusia unilaterale è tipicamente osservata nei casi di acquedotto vestibolare allargato (EVA) monolaterale.

Epoca di diagnosi. Se non è stato eseguito uno screening uditivo neonatale, la presenza di una ipoacusia monolaterale, anche se grave-profonda, viene in genere evidenziata nel bambino con un notevole ritardo, anche rispetto a ipoacusie bilaterali di grado minore. Una ipoacusia monolaterale rimane infatti spesso sconosciuta fino a quando non viene rilevata casualmente (durante il gioco, o perché il bambino utilizza il ricevitore telefonico sempre dalla stessa parte) o per mezzo di esami eseguiti durante uno screening scolastico o una visita ORL.


APPROFONDIMENTO


La ragione principale di questo ritardo diagnostico sta nel fatto che di regola i bambini colpiti da questa patologia sviluppano un linguaggio pressoché normale così da non attirare l’attenzione su questo “silente” problema. I dati riportati in letteratura sono concordi nell’evidenziare come questo ritardo nella diagnosi delle ipoacusie monolaterali sia indipendente dalla organizzazione socio-sanitaria e comune a Paesi tra di loro molto diversi. Su 122 soggetti riportati da Everberg (1960) il 52,5% dei casi di ipoacusia venne scoperto dopo il primo anno scolastico; Tarkkanen ed Aho (1966) riferiscono che nel loro campione di bambini l’ipoacusia è stata riscontrata ad una età media di sei anni e nel 50% dei casi non prima dei sette anni di età. Dati molto simili vengono confermati anche in studi più recenti. Bess e Tharpe (1986) in un campione di 60 bambini affetti da ipoacusia monolaterale, riscontrano che il 77% dei casi viene scoperto dopo il sesto anno di vita; Tieri e collaboratori (1988) riportano unetà media di individuazione dellipoacusia di 7 anni e mezzo. In uno studio condotto dal nostro gruppo in un campione di 115 bambini affetti (Martini et al., 1987), il 70% delle ipoacusie monolaterali è stato riscontrato dopo i sei anni di età. Nella maggior parte dei casi, l’ipoacusia è stata sospettata dai genitori.


Problemi educativi-scolastici

Solo recentemente e particolarmente per merito di Fred Bess, si è posto l’accento sulle difficoltà cui possono andare incontro i bambini con ipoacusia monolaterale in particolare in campo educativo. I soggetti con anacusia o grave ipoacusia monolaterale perdono infatti i vantaggi dell’ascolto binaurale, ovvero:

a) la sommazione binaurale

b) la localizzazione della sorgente sonora

c) la liberazione binaurale del mascheramento.

Numerosi studi suggeriscono che questo sia causa di problemi nell’ascolto e nella comunicazione verbale. In età pediatrica potrebbero derivarne difficoltà dell’apprendimento e condotte psicologiche caratterizzate da imbarazzo, passività ed isolamento (Bess, 1986; Bess e Tharpe, 1986; Culbertson e Gilbert, 1986; Oyler et al., 1987).

In uno studio condotto dal nostro gruppo (Bovo et al., 1987) abbiamo confrontato la capacità di localizzazione di una fonte sonora di due gruppi di 25 bambini, di cui uno era composto da bambini normoudenti mentre l’altro da soggetti con ipoacusia monolaterale. I due gruppi erano omogenei per età, sesso, razza, quoziente intellettivo e condizioni socio-economiche (Klee, Davis-Dansky 1986). I nostri dati, che concordano con quelli di Bess e Tharpe (1986), hanno evidenziato che i bambini con l’ipoacusia hanno una minore capacità di individuare la sorgente sonora e quanto maggiore è l’ipoacusia più aumenta la difficoltà di individuazione della stessa sorgente. Inoltre i bambini con ipoacusia monolaterale presentano una più alta percentuale di errore nella comprensione di sillabe senza senso rispetto ai bambini normoacusici e questo si verifica in tutte le condizioni ambientali sia nel silenzio che nel rumore. In una fase successiva, veniva poi inviato un rumore di sottofondo (rumore di mascheramento) all’orecchio malato e poi a quello sano; da un confronto delle risposte si è ottenuto che la percentuale di errore è maggiore quando il rumore di mascheramento viene inviato all’orecchio sano.

La maggior parte degli autori prima citati riporta che circa un terzo dei soggetti ipoacusici, ha avuto problemi scolastici tali da dover ripetere un anno scolastico (Martini et al., 1988; Klee 1986; Culbertson 1986 ecc.) e/o hanno dovuto ricorrere a particolari ausilii quali insegnanti di sostegno o corsi di recupero. Sono state poi messe a confronto le percentuali di errore dei soggetti ipoacusici che vanno bene a scuola con quelle dei soggetti che hanno difficoltà scolastiche. Tale confronto ha evidenziato che non ci sono differenze tra i due gruppi (Bess et al., 1986). Sono stati effettuati anche dei test di competenza linguistica da Klee e Davis-Dansky (sempre su due gruppi normali e ipoacusici) per verificare se i soggetti colpiti da sordità monolaterale presentassero dei problemi. Da questo studio non sono emerse delle differenze tra soggetti normali e quelli ipoacusici.


Trattamento

Il bambino che ha evidenziato una ipoacusia monolaterale neurosensoriale deve essere attentamente seguito da un pool composto da medico di famiglia, audiologo, foniatra, educatori e genitori.

Se da una parte non bisogna “clinicizzare” un bambino che avrà complessivamente uno sviluppo psico-intellettivo normale, va però tenuta presente nella fase di valutazione del quadro patologico la possibilità di un peggioramento dell’orecchio malato e/o di quello sano, per cui almeno una volta all’anno il bambino deve essere sottoposto ad un esame di controllo. Il rischio di un peggioramento dell’orecchio sano è uguale a quello della popolazione normale(a meno che la causa non sia mal formativa, vedi EVA) ed è legato alle normali patologie che possono colpire l’orecchio medio ed interno (dai traumatismi sulla membrana timpanica, alle otiti, ai traumatismi cocleari per da scoppio di petardi, ecc.). In particolare va tenuto presente che una forma catarrale anche banale nell’unico orecchio udente crea ovviamente una situazione di maggior difficoltà uditiva di quella che solitamente già si crea in un bambino “normale”; dato che le flogosi dell’orecchio medio sono una delle situazioni morbose più frequenti dell’infanzia, questo dato va tenuto in particolare considerazione sia per una attenta terapia dell’episodio acuto sia per l’instaurazione di una profilassi.

Il tipo di intervento da attuare in un bambino con ipoacusia monolaterale deve essere concordato tra i componenti del pool sopracitato e deve essere tale da permettere al bambino di non essere in una situazione di svantaggio per il suo problema:

a) scelta di aule idonee per luce e insonorizzazione in quanto i livelli di rumore ambientale nelle classi scolastiche sono un fattore importante da tenere in considerazione per i possibili effetti sulla comprensione dell’insegnante da parte dei bambini ipoacusici (molti rapporti hanno indicato che il livello del suono negli asili e nella scuola elementare supera di molto lo standard minimo);

b) al bambino deve essere assegnato un posto a sedere preferenziale che gli permetta di seguire sempre in maniera ottimale le spiegazioni dell’insegnante (il bambino dovrebbe stare in prima fila, con l’orecchio “buono” rivolto verso l’insegnante; l’eventuale compagno di banco dovrebbe sedere dalla parte dell’orecchio “sordo”);

c) compatibilmente con le necessità didattiche, le attività scolastiche dovrebbero essere modificate in modo da ridurre il più possibile il rumore di sottofondo;

d) l’insegnante dovrebbe stabilire e comunicare agli alunni gli argomenti di lezione prima di cominciare le spiegazioni;

e) il docente dovrebbe parlare con normale tono di conversazione ed introdurre pause in modo da permettere una più facile comprensione da parte degli alunni;

f) l’insegnante deve parlare lentamente e chiaramente senza esagerare i movimenti delle labbra;

g) l’insegnante inoltre deve verificare che i bambini abb iano compreso il tema della lezione prima di cambiare argomento.

1.4.3.1.3 Ipoacusie di origine genetica

Le cause ereditarie/genetiche rappresentano almeno il 50% delle ipoacusie profonde congenite ed all’incirca la stessa proporzione delle ipoacusie congenite (Parving, 2000).

Tale proporzione è andata aumentando negli ultimi anni in parte per la migliorata prevenzione di danni acquisiti in epoca prenatale o prelinguale e in particolare per la migliorata capacità diagnostica conseguente ai progressi della genetica molecolare. Sono infatti oggi a disposizione test di laboratorio che sono in grado di diagnosticare con precisione il gene in causa in un numero elevato di casi. Le patologie genetiche possono essere classificate in base al difetto in cromosomiche o genomiche, monogeniche o mendeliane, mitocondriali e poligeniche/multifattoriali. Le cromosomiche a loro volta possono essere classificate in anomalie di numero (aneuploidie) o di struttura, mentre le monogeniche vengono suddivise in base al tipo di trasmissione mendeliana (autosomiche dominanti e recessive, X-linked dominanti o recessive. Le malattie poligeniche riconoscono una base eziologica più complessa, con il coinvolgimento di più loci genici, che contribuiscono a dar luogo ad un fenotipo oppure a predisporre, con la concausa di fattori ambientali e/o stocastici, all’espressione di un fenotipo patologico (multifattorialità).

Le forme ereditarie vengono distinte in due grandi gruppi: cromosomiche e genetiche.

Le forme genetiche vengono suddivise, in base al tipo di trasmissione, in autosomiche dominanti, autosomiche recessive, X-linked, mitocondriali. La maggioranza delle ipoacusie sono monogeniche, altre multifattoriali; in altre ancora è essenziale anche l’azione di fattori ambientali (come per esempio nella ototossicità da antibiotici aminoglicosidici).


Cromosomica
Anomalie di numero (monosomie, trisomie …)
Anomalie di struttura (delezioni, duplicazioni, traslocazioni ...)
Monogenica
Autosomiche dominanti
Autosomiche recessive
X linked dominanti
X linked recessive
Mitocondriale

Poligenica/multifattoriale

Tab. I. Classificazione delle patologie genetiche.


Le ipoacusie che riconoscono cause cromosomiche sono di tipo sindromico (vedi sezione successiva), mentre nell’ambito delle poligeniche/polifattoriali troviamo le comuni malformazioni come la microtia non sindromica, la palatoschisi o lo spettro OAV, ma anche condizioni non malformative come la presbiacusia. Le ipoacusie a eziologia mitocondriale possono essere sindromiche, soprattutto nell’ambito di complesse condizioni neuromuscolari o metaboliche oppure anche non sindromiche, tra le quali consideriamo anche la sordità da ototossicità da aminoglicosidici, che è determinata da mutazioni puntiformi nel cromosoma mitocondriale

Per le ipoacusie mendeliane, è necessario e sufficiente il genotipo mutato ad un solo locus per la manifestazione del fenotipo patologico. È stato calcolato che alcune centinaia di geni sono coinvolti nella funzione uditiva, per cui sono attese centinaia di forme monogeniche di sordità.

Fino al gennaio 2010 sono stati identificati circa 40 geni in causa nelle poacusie non sindromiche mentre molti di più sono i loci mappati (più di 130). Dati aggiornati in tempo reale sui loci e sui geni identificati finora sono disponibili presso la “Hereditary Hearing loss Homepage” al sito web http://webhost.ua.ac.be/hhh/.

Per avere un’idea della complessità e della vastità di tali argomenti basti sapere che, ad oggi, per le sole forme genetiche, sembrano coinvolti oltre 30 geni, con più di 60 loci riconosciuti e oltre 100 mutazioni note per le forme recessive del gene GJB2.

In generale, la causa più frequente (15-20% dei casi) è rappresentata da mutazioni a carico della connessina 26 (codificata dal gene GJB2). La relativa frequenza delle mutazioni, le piccole dimensioni del gene e la facilità nel sequenziamento completo del DNA hanno fatto della connessina 26 (così chiamata perché il peso molecolare è di 26 kDa) un facile bersaglio di indagini epidemiologiche, genetiche e biochimiche. Fino a pochi anni fa il sequenziamento completo del gene rappresentava un traguardo, in grado di svelare qualsiasi mutazioni relativa al maggior causa conosciuta ed analizzabile delle ipoacusie neurosensoriali congenite.

Oggi, tale conquista, alla luce delle continue nuove scoperte in campo biochimico e genetico, che portano continuamente alla luce nuovi geni e mutazioni potenzialmente coinvolti, hanno fatto della connessina un punto di partenza per la ricerca di quelle cause non ancora identificate.


Le connessine

Le connessine sono proteine costitutive di canali transmembrana intercellulari (nei vertebrati) deputate al passaggio tra cellule di ioni e piccoli metaboliti. Svolgono quindi un ruolo fondamentale nella comunicazione cellula-cellula. Ad oggi sono 24 le connessine umane identificate e denominate in base al loro peso molecolare (Cx26= 26kDa, varia da specie a specie). I geni codificanti sono distribuiti in diversi cromosomi e indicati con l’acronimo GJ (Gap Junction) seguito da una lettera relativa al sottogruppo (A,B,C,D,E) di appartenenza e da un numero indicante l’ordine cronologico di scoperta. La connessina 26, come già detto, è codificata dal gene GJB2, localizzato sul braccio lungo del cromosoma 13.

Le diverse connessine hanno diverse caratteristiche biochimiche e sono variamente espresse nel corpo umano:



– la Cx43 è la più diffusa (cardiomiociti, cheratinociti, astrociti, cellule endoteliali e muscolatura liscia);

– la Cx26 è presente anche nei cheratinociti e negli epatociti;

– la Cx31 nei cheratinociti

– la Cx45 nel miocardio.

Le connessine svolgono numerosi ed importantissimi ruoli tra cui:

– sviluppo e maturazione di vari organi e tessuti nell’embrione e nel feto;

– funzionalità di cuore, cervello, cute e organi riproduttivi, regolando trasmissione del segnale bioelettrico e fertilità.


Mutazioni a carico delle connessine sono quindi responsabili, direttamente o indirettamente, di numerose patologie, tra cui anche le neoplasie. Nella coclea sono presenti numerosi tipi di connessine tra cui le Cx 26, 30, 31, 36 e 43. Le Cx 26 e 30 sono le più abbondanti, mentre le Cx 36 e 43 sono soprattutto presenti nelle terminazioni nervose, a partire dal ganglio spirale. La Cx 30 è molto abbondante in prossimità del dotto cocleare e delle cellule di sostegno. In particolare, mutazioni del GJB2, il gene che codifica per la connessina di 26 kDa, sono responsabili, di lesioni macro- e microscopiche della cute e di sordità congenita neurosensoriale, per lo più non sindromica cioè non associata ad altre manifestazioni o segni di malattia. Il locus in questione come già accennato verrà in questo caso identificato dalla sigla DFN, seguito dalla lettera A, se a trasmissione autosomica dominante, dalla lettera B, se a trasmissione autosomica recessiva, da nessuna lettera se legato al cromosoma X; infine si aggiunge il numero indicante l’ordine cronologico d’identificazione o assegnazione.


APPROFONDIMENTO


Aspetti biochimici

Le connessine sono sintetizzate in vari tessuti ed organi, ma non tutte le connessine vengono sintetizzate e soprattutto non in tutte gli organi nelle stesse proporzioni. Questo perché sono dotate di caratteristiche biochimiche diverse, che rendono le connessine adatte a funzioni differenti. In definitiva una connessina è parte di un canale di membrana detto connessone e ogni connessone è formato da sei connessine che possono essere identiche (connessone omomerico) o diverse (connessone eteromerico); solitamente non sono coinvolti più di due differenti tipi di connessine per ogni connessone e non tutte le connessine sono compatibili tra loro. In realtà il connessone è un emicanale e così da solo non è in grado di funzionare. Il connessone alloggia nella membrana cellulare in attesa di entrare in contatto con un altro connessone (come le connessine, non tutti i connessoni sono compatibili tra loro) sulla membrana cellulare di una cellula contigua. I connessoni se non fossero “guidati” e “stabilizzati” da altre proteine navigherebbero nel doppio strato fosfolipidico in attesa di essere casualmente agganciati da altri connessoni sulla stessa cellula o su altre cellule; grazie all’aiuto di vie di trasporto, proteine del citoscheletro e proteine di adesione, i connessoni vengono raggruppati prima a centinaia in determinate zone della membrana cellulare a formare le gap junctions e poi giustapposte ad un’unità corrispondenti sul versante opposto.

Il turn over delle connessine è rapido ed i connessoni vengono continuamente rimossi e rimpiazzati, dalla periferia al centro delle gap junctions, nel giro di poche ore; questo meccanismo potrebbe essere alla base anche delle ipoacusie improvvise, sostenuto dalle Heat Shock Protein, oppure da mutazioni a carico delle stesse che le rendono incapaci di “proteggere” da alcuni insulti le strutture normalmente coinvolte nei processi cellulari, tra cui appunto il regolare turn over delle connessine.

La funzione delle giunzioni comunicanti è di fatto quella di mettere in comunicazione il citoplasma di cellule contigue. Tale comunicazione può avvenire in tutte le direzioni e propagarsi ad altre cellule che a loro volta potranno trasmettere il segnale ad altre cellule contigue in tutte le direzioni. La diffusione è quindi a macchia d’olio, con epicentro nel sito di stimolazione e sebbene si possa a volte configurare un vero è proprio canale le cui pareti sono rappresentate dalle membrane delle cellule attraversate ed il lume dal citoplasma di dette cellule, solitamente non copre distanze considerevoli. Ma cosa comunicano le cellule? Fondamentalmente il proprio stato metabolico (glucosio e ATP) o il proprio stato elettrochimico (piccoli ioni tra cui Na+, K+, Cl-, Ca++). Le connessioni intercellulari, seppure deputate ad un trasporto passivo, sono dotate di un sistema di apertura e chiusura regolato dalle concentrazioni di calcio. Lo ione calcio oltre ad aprire il canale, lo utilizza per diffondere esso stesso da una cellula all’altra e permettere il passaggio di altre molecole. Lo stato metabolico e lo stato elettrochimico è alla base delle due principali teorie sulla funzione delle connessine della coclea. Prima però di vedere queste teorie in dettaglio è necessario fare alcune riflessioni. Mentre la diffusione degli elettroliti avverrebbe in modo centrifugo del sito di stimolazione coinvolgendo prevalentemente il potassio, la diffusione di ATP e glucosio avverrebbe in modo centripeto. Questo per un ovvio motivo: essendo il canale costituito da connessine prevalentemente passivo permette in sostanza la diffusione secondo gradiente elettrochimico, quindi in un caso il potassio sarebbe allontanato rispetto al sito di attivazione per smaltire l’eccesso e favorirne l’uptake, nell’altro il glucosio con l’ATP verrebbero reclutati dalla periferia dell’attivazione verso zone a più intensa attività con maggiore consumo di ATP. Non è da escludere che le connessioni siano in grado di funzionare in entrambe le direzioni per differenti molecole o in tempi diversi per le stesse molecole. Si ritiene inoltre che le gap junctions possano, secondo i principi appena elencati permettere anche lo smaltimento di rifiuti metabolici, prodotti dalle intense attività cellulari nei siti di stimolazione. Nel caso della coclea, per sito di stimolazione intendiamo ovviamente il punto di stimolazione elettro-fisica della membrana basilare.


La teoria metabolica e la teoria del ricircolo del potassio

Quando la connessina 26 fu additata come principale responsabile delle ipoacusie neurosensoriali congenite, gli studiosi si trovarono di fronte alla necessità di definire la base fisiopatologia di tale scoperta. Allora era noto che mutazioni a carico del gene GJB2 nella maggior parte dei casi fossero responsabili di forme non sindromiche, ossia che mostrassero come unico sintomo l’ipoacusia neurosensoriale e che si trasmettessero come tratto autosomico recessivo. Era altresì già nota la notevole distribuzione delle connessine nei vari tessuti, in particolare la connessina 26 era stata identificata nei cheratinociti e negli epatociti. Ci fu la necessità di identificare un meccanismo unico per la coclea, come sede della lesione, e nel contempo in grado di giustificare l’entità del danno e la specificità, così importante da compromettere la funzione uditiva. Subito si pensò alla differente concentrazione del potassio nell’endolinfa, rispetto agli altri spazi extracellulari e al fatto che tale concentrazione era indispensabile a mantenere il corretto potenziale di membrana delle cellule cigliate. Inoltre il potassio era abbastanza piccolo da passare attraverso qualsiasi tipo di canale, accompagnandosi anche alla diffusione dello ione calcio. Come si poteva però giustificare il ruolo del potassio nell’endolinfa con la presenza delle connessine che tendono a non disporsi nelle membrane cellulari che si affacciano sul lume cocleare?

La particolare anatomia macro- e microscopica, suggerirono la teoria del ricircolo potassio. Secondo questa teoria la concentrazione endolinfatica del potassio è indispensabile alla funzione uditiva; tale concentrazione deve essere pertanto mantenuta costantemente e ripristinata quando la stimolazione delle cellule ciliate ne induce l’assorbimento ed il passaggio negli spazi basali. La distribuzione delle connessine ha permesso di ipotizzare che una volta eliminato negli spazi basali, nei punti di stimolo elettrofisico, il potassio potesse essere smaltito ai lati attraverso le cellule adiacenti e riversato nuovamente nell’endolinfa, soprattutto attraverso la stria vascolare con un meccanismo attivo e dispendio d’energia. Il letto vascolare non sarebbe in grado di svolgere tale funzione per due motivi: primo per la relativa scarsa vascolarizzazione della membrana basilare e secondo per la bassa concentrazione ematica di potassio che sequestrerebbe il potassio assorbito.

Questa teoria ad oggi è senza dubbio la più accreditata e conosciuta, tuttavia negli ultimi anni molti studiosi di diverse discipline puntualizzano alcuni aspetti e descrivono nuove scoperte portando alla formulazione di una nuova teoria, metabolica, secondo cui in realtà la funzione principale delle connessine nella coclea ed in altri distretti sarebbe quella di convogliare risorse energetiche in siti ad intensa attività metabolica e favorire di contro lo smaltimento di prodotti di rifiuto da dette sedi. Le gap junctions in questo caso sarebbero indispensabili ad un corretto trofismo cellulare in aree con scarsa vascolarizzazione (come la membrana basilare) e tessuti pluristratificati (cute). A tal proposito vacilla negli ultimi anni un altro dogma delle mutazioni a carico della connessina 26: è opinione comune che tali mutazioni si manifestino solo come danno cocleare, in realtà nuovi strumenti stanno mettendo in luce microscopiche alterazioni con associazioni significate a carico di cute, cuoio capelluto e morfologia dell’orecchio interno.


Aspetti genetici

Come già accennato per ogni cromosoma 13 vi è un gene GJB2 in grado di sintetizzare dopo opportuni processi biochimici una connessina 26. Questi alleli normali possono combinarsi con alleli mutati patogenici nel sequente modo:

1) quando entrambi gli alleli sono mutati e la mutazione è identica il genotipo viene definito portatore di quella mutazione in omozigosi;

2) se entrambi gli alleli sono mutati ma non con la stessa mutazione, allora gli alleli sono in eterozigosi composta rispetto alle due mutazioni;

3) se un solo allele è mutato, allora la mutazione è in eterozigosi semplice;

4) se un solo allele è mutato, ma è associato all’allele mutato di un altro gene (ad esempio, il gene GJB6 per la connessina 30), il genotipo sarà portatore delle mutazioni in doppia eterozigosi.


La mutazione più comune delle popolazioni caucasiche a carico del gene GJB2 è la 35delG. Questo significa, che tra le popolazioni del mediterraneo e degli USA, è molto diffuso un allele del gene che presenta una delezione di una guanina nella sequenza nucleotidica. Sebbene siano possibili molte eccezioni, la mutazione si manifesta sul piano clinico in tre casi:

1) il genotipo è omozigote per la mutazione 35delG, cioè presenta su entrambi gli alleli la delezione di una guanina all’interno di un gruppo di sei guanine che vanno dalla 30^ alla 35^ base del DNA (tale mutazione è anche detta 30-35delG) e viene graficamente sintetizzata nel seguente modo: 35delG/35delG;

2) entrambi gli alleli sono mutati, ma le mutazioni sono diverse ed entrambe patogeniche (ad esempio, 35delG/E47X, oppure 35delG/167delT), il genotipo presenta cioè una eterozigosi composta;

3) l’allele mutato si associa all’allele mutato di un altro gene che però impedisce l’espressione degli alleli normali oppure aggrava il fenotipo che si avrebbe in presenza di un solo allele mutato; la doppia eterozigosi nota, più diffusa è 35delG/wt (per il gene GJB2) associata alla delezione sul gene attiguo GJB6, definita del(D13S1830)/wt.


La mutazione 35delG è una mutazione frameshift che porta alla formazione di un codone di stop. Il risultato è una proteina tronca di soli 12 aminoacidi. Tutti i genotipi che portano alla formazioni di una proteina tronca e le mutazioni responsabili sono detti troncanti. Sono possibili altre mutazioni che alterano la funzione della proteina pur non determinando una accorciamento della sequenza aminoacidica. In questo caso si parlerà di genotipi o mutazioni non troncanti. Altre mutazioni troncanti note sono: E47X, 167delT, W77X, W24X. Mutazioni non troncanti sono invece: L90P, del E120, R184P. In linea generale le mutazioni troncanti compromettono maggiormente la funzione residua della proteina ottenuta, ma non sempre è così, perché molto dipende dal sito della mutazione; questo perché vi sono aminoacidi e parti o domini di una proteina che sono più importanti di altri. È comunque abbastanza diffusa l’opinione che le forme troncanti siano responsabili di gradi severi e profondi di ipoacusia neurosensoriale, mentre le forme non troncanti siano responsabili di forme cliniche lievi.

Così come nelle popolazioni caucasiche la 35delG risulta essere la mutazione più frequente, in altre parti del mondo altre sono le mutazioni più diffuse:

– 167delT, in Israele, Medio Oriente;

– 235delC, nell’Asia;

– R143W, in Africa (Ghana).


Aspetti clinici ed epidemiologici

Presso l’unità operativa di Audiologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara è stato condotto uno studio retrospettivo sui dati clinici e genetici di 566 pazienti, raccolti dal 2003 al 2008, 259 maschi e 307 femmine, con un’età mediana di 11 anni ed un grado variabile d’ipoacusia. Il 28,62% (162 pazienti) presentava mutazioni a carico del gene GJB2 per la connessina 26. Di questi genotipi mutati, il 27,16% (44 casi) è risultato affetto da una mutazione in eterozigosi semplice, con scarsa correlazione con il quadro clinico e audiologico. La maggior parte (il 70, 37%), invece, presenta mutazioni su entrambi gli alleli del gene GJB2 ed altri quattro pazienti sono portatori di una doppia eterozigosi con mutazione del gene GJB6. Tali dati coincidono grossomodo con quelli di altri studi condotti sulle popolazioni del mediterraneo.

Le mutazioni identificate sono responsabili di ipoacusia neurosensoriale congenita (prelinguale) a trasmissione autosomico-recessiva solitamente non progressiva, bilaterale, simmetrica e di grado severo/profondo. Alcune eccezioni sono possibili, ad esempio sono noti casi di forme post-linguali e progressive oppure forme tanto lievi da essere diagnosticate accidentalmente. Così com’è possibile che fratelli con la stessa mutazione presentino quadri clinici ed audiometrici molto diversi. Inoltre alcune mutazioni presentano quadri clinici simili in pazienti differenti tanto da poter tracciare un profilo audiologico comune. La mutazione L90P del gene GJB2 è, ad esempio, responsabile di ipoacusia neurosensoriale di grado lieve per le alte frequenze.


Otoferlina e la neuropatia uditiva

L’otoferlina è una proteina transmembrana delle cellule cigliate interne coinvolta nel rilascio del neurotasmettitore a livello sinaptico (Fig. 1).


Tab. I. Classificazione delle patologie genetiche.


Il 3% delle ipoacusie prelinguali non sindromiche sono dovute a mutazioni del gene che codifica per questa proteina (OTOF); attualmente sono conosciute poco più di 40 mutazioni a carico del gene OTOF, tutte correlate ad un fenotipo omogeneo caratterizzato da una ipoacusia prelinguale profonda (Rodríguez-Ballesteros M, 2008).

I pazienti con mutazioni del gene OTOF in più del 50% dei casi presentano le emissioni otoacustiche, mentre le risposte uditive del tronco (ABR) sono assenti o alterate (Rodríguez-Ballesteros M, 2003, 2008).

Nell’uso comune l’ipoacusia da otoferlina viene considerata una “neuropatia uditiva”.

Il termine “neuropatia uditiva” viene coniato nel 1995 ed viene riservata a quei pazienti ipoacusici con scarso beneficio nell’utilizzo della protesi acustica, con emissioni otoacustiche presenti, ABR assente o alterato; in quegli anni si pensa ad un danno delle vie uditive centrali o del nervo uditivo (Sininger JS, 1995; Starr A, 1996).

Da allora il termine “neuropatia uditiva” entra diffusamente nella letteratura e viene utilizzato quando sono soddisfatti tutti o la maggior parte di questi criteri: presenza di otoemissioni acustiche o del microfonico cocleare, risposte ABR assenti o alterate, dissociazione tono-verbale, ipoacusia di varia entità e configurazione.

In realtà adeguati studi con elettrococleografia, ABR, otoemissioni acustiche e studio neuroradiologico hanno messo in luce che in questa definizione possono rientrare una grande varietà di patologie, il cui danno può essere espresso a livello delle cellule sensoriali fino alle vie uditive centrali (Tab. I); quindi il termine “neuropatia uditiva”.dovrebbe essere riservato solo alle patologie che interessano il ganglio o il nervo (O’Leary SJ, 2000; Rapin I, 2003; Gibson, 2007).

Tra i pazienti che possono soddisfare i criteri descritti ci sono i bambini con sofferenza perinatale da ipossia, da ittero, con danno sinaptico a carico delle CCI (OTOF), con nervo cocleare ipoplasico, e quelli con danno uditivo centrale come la atassia di Freiderich.

Diventa quindi cruciale l’identificazione della sede del danno causa di ipoacusia per un corretto trattamento di questi pazienti, difatti i pazienti con “neuropatia uditiva” legata a mutazioni del gene OTOF possono beneficiare di un impianto cocleare


Ipoacusie sindromiche

Pendrina

Il gene SLC26A4 codifica per una proteina definita pendrina, che è un trasportatore di anioni (Cl -, I -, HCO3-) e si esprime principalmente a livello dell’orecchio interno, della tiroide e del rene. Mutazioni a carico di questo gene sono responsabili sia di una forma sindromica di ipoacusia associata ad acquedotto vestibolare allargato che di una ipoacusia non sindromica, a trasmissione autosomica recessiva.

La forma sindromica associata a due mutazioni patologiche del gene della pendrina è nota come sindrome di Pendred. Il nome della patologia deriva dal medico inglese, Vaughan Pendred (1869-1946), che per primo descrisse la associazione tra gozzo tiroideo ed ipoacusia familiare in una famiglia contadina irlandese (Pendred V. 1896). Per l’identificazione del locus genetico associato alla patologia, sul cromosoma 7, bisognerà attendere 100 anni (Sheffield VC, 1996); attualmente sono conosciute più di 100 mutazioni di questo gene (Pendred and BOR homepage).

La s. di Pendred è caratterizzata da una ipoacusia sempre associata ad acquedotto vestibolare allargato e talora a malformazioni del labirinto anteriore e/o posteriore, ad episodi vertiginosi ricorrenti e ad ipotiroidismo (Phelps, 1998); la patologia tiroidea si sviluppa più tardivamente e più frequentemente in età giovane-adulta.


Tab. I. Vari tipi di neuropatia.


La forma non sindromica di ipoacusia associata ad acquedotto vestibolare allargato ed a mutazione del gene della pendrina (DFNB4) si differenzia per l’assenza della patologia tiroidea; generalmente in questi pazienti si riscontra una sola mutazione patologica del gene della pendrina.

L’acquedotto vestibolare è un canale osseo che origina dalla parete mediale del vestibolo, per estendersi verso la faccia cerebellare della piramide petrosa; contiene vasi ed un componente del labirinto membranoso dell’orecchio interno, il dotto endolinfatico che si apre poi nel sacco endolinfatico (Fig. 2a,b).

Quando il diametro di questo condotto è superiore a 1,5 mm si parla di allargamento dell’acquedotto vestibolare e generalmente si evidenzia anche un aumento di volume del dotto e del sacco endolinfatico.


Fig. 2. Schema dell’acquedotto vestibolare e sacco endolinfatico.


Fig. 3. Quadro RM e TAC orecchio destro con evidenza dell’allargamento dell’acquedotto del vestibolo e del sacco endolinfatico.


L’allargamento dell’acquedotto vestibolare può essere unilaterale o bilaterale, in quest’ultimo caso la malformazione e l’ipoacusia possono essere asimmetriche.

Tramite TC e RM mirate allo studio dell’orecchio interno è possibile identificare l’acquedotto vestibolare allargato, che nelle immagini assiali si trova sullo stesso piano del canale semicircolare orizzontale (Fig. 3).


APPROFONDIMENTO


Storicamente la prima descrizione di questa struttura viene fatta risalire a Mondini che nel 1791 pubblica il suo famoso studio anatomico sulle rocche petrose di cadaveri di pazienti sordi (Mondini C, 1791). Dopo allora si dovrà attendere quasi due secoli perché la letteratura porti in primo piano la associazione tra questa malformazione e l’ipoacusia, nel famoso studio di Valvassori e Clemis (Valvassori GE, Clemis JD, 1978).

Attualmente l’acquedotto vestibolare allargato è considerata la più comune malformazione dell’orecchio interno associata ad ipoacusia (Boston M, 2007). Questa piccola anomalia dell’orecchio interno si riscontra sia in forme sindromiche di ipoacusia che in forme non sindromiche, isolate o familiari, queste ultime a trasmissione autosomica recessiva (Fig. 3); tra le forme sindromiche la più nota è la sindrome di Pendred, ma la presenza di un acquedotto vestibolare allargato è stata descritta anche nella sindrome di BOR, nell’ipoacusia mista congenita X-linked (che può mimare una otosclerosi), nell’acidosi tubulo-renale distale e nella sindrome di Waardenburg (González-García JA, 2006). Per le conoscenze attuali, il gene più frequentemente coinvolto è quello della pendrina (SLC26A4) (Albert S, 2006). Il 20-30% dei pazienti con ipoacusia associata ad acquedotto vestibolare allargato non evidenziano mutazioni del gene SLC26A4 (Pryor SP, 2005).


Tab. II. Da Eur Arch Otorhinolaryngol, 2006.


Nei pazienti con una sola mutazione, o senza mutazioni, del gene della pendrina, probabilmente sono coinvolti altri geni; in questi ultimi anni è emersa l’importanza del gene Foxi1 che è un attivatore della trascrizione del gene della pendrina (Tao Yang, 2007).

Nei pazienti con mutazione del gene della pendrina il danno uditivo potrebbe essere dovuto ad alterazioni dell’omeostasi endolinfatica e mediato da variazioni di PH, da alterazioni della concentrazione del Ca o da stress da radicali liberi; l’aumento del volume del sacco e del dotto endolinfatico sarebbe in relazione ad alterazioni dello scambio ionico (Wangemann P, 2006).

L’ipoacusia associata ad acquedotto vestibolare allargato è generalmente congenita/perinatale o ad esordio precoce, spesso vi è una componente trasmissiva, può essere fluttuante o progressiva, con peggioramenti improvvisi in genere associati a traumi cranici, anche di modesta entità, o a situazioni che comportano variazioni della pressione del liquido cefalorachidiano; solo una minoranza di pazienti con allargamento dell’acquedotto vestibolare lamenta vertigine o disequilibrio (Tab. II e Fig. 4).

La componente trasmissiva sulle frequenze gravi della scala tonale, a seconda delle casistiche riportate in letteratura, viene descritta nel 15-100% dei soggetti con ipoacusia ed acquedotto vestibolare allargato e non dipende da una disfunzione dell’orecchio medio, dato che l’impedenzometria in questi soggetti è regolare (cioè timpanogramma regolare e presenza dei riflessi stapediali) (Merchant SN, 2007).

Per spiegare questa componente trasmissiva sulle frequenze inferiori a 1 kHz è stata rivisitata la teoria della terza finestra (Fig. 6). La presenza di un acquedotto vestibolare allargato, o di altra anomalia strutturale, anatomicamente corrisponde alla presenza di una ulteriore “finestra” rispetto alle due finestre, ovale e rotonda, normalmente presenti e funzionali alla adeguata trasmissione sonora; questo comporterebbe la facilitazione della trasmissione sonora per via ossea ed una dissipazione di energia sonora per via aerea, a causa di una variazione di impedenza del sistema, con la comparsa di un evidente gap trasmissivo al di sotto dei 1000 Hz (Merchant SN, 2008).


Fig. 4. Acquedotto vestibolare allargato monolaterale destro.


Fig. 5. S. di Pendred.


Fig. 6. Da Otol Neurotol. 2008.Fig. 6. Da Otol Neurotol. 2008.

Audiologia e Foniatria
Audiologia e Foniatria
Martini A. - Prosser S. - Aimoni C. - Bovo R. - Ciorba A. - Trevisi P.
VERSIONE EBOOKQuesto manuale è principalmente indirizzato agli studenti che frequentano corsi in cui si richiede una conoscenza dei disordini del sistema uditivo-vestibolare e del sistema fonatorio. Lo scopo per cui è stato scritto era di disporre di un testo agile da suggerire agli studenti come complemento ai trattati di ORL comunemente in uso. Gli argomenti sono suddivisi in tre parti (AUDIOLOGIA, VESTIBOLOGIA e FONIATRIA). La prima riguarda il sistema uditivo e comprende l’anatomo-fisiologia, i principali mezzi di indagine diagnostica, la clinica (comprese le malattie dell’orecchio esterno e medio), nozioni di base di otochirurgia e i sussidi protesici (protesi uditive, protesi impiantabili, impianti cocleari). La seconda è dedicata ai disordini vestibolari periferici e centrali: la parte clinica è preceduta da una descrizione dell’anatomo-fisiologia e dei mezzi diagnostici del sistema vestibolare. La terza parte riguarda i disordini della voce e del linguaggio, in particolare quelli dell’età evolutiva. Nella trattazione dei vari argomenti si è cercato di mantenere uno schematismo per facilitare un apprendimento abbastanza veloce dei temi essenziali. Molti temi sono stati ampliati da “approfondimenti” che abbiamo ritenuti opportuni per meglio spiegare la patologia e la clinica. Questi sono stati evidenziati a stampa diversa, e potranno essere utilizzati secondo i programmi individuali di studio o, augurevolmente, solo per curiosità. L’Audiologia-Foniatria, benché presente nell’ordinamento delle facoltà mediche come specialità autonoma, non ha trovato almeno in Italia un’ampia diffusione nel servizio sanitario nazionale. Questo manuale si propone quindi come mezzo di aggiornamento anche per il medico generico e lo specialista ORL, che diventano molto spesso i primi a fronteggiare patologie di tipo audio-vestibolare e foniatrico anche di elevata occorrenza, che tuttavia possono richiedere una base aggiornata di conoscenze specifiche per essere adeguatamente inquadrate. Questo volume è stato scritto “a più mani”, ma tutti i capitoli sono stati oggetto di discussione “assieme” e rappresenta 20 anni di esperienza maturata tra un gruppo di colleghi-amici nell’Audiologia di Ferrara.