1.5.6 Chirurgia delle malformazioni dell’orecchio esterno e medio
APPROFONDIMENTO
La chirurgia delle malformazioni congenite dell’orecchio esterno e medio (con esclusione della parte plastica del padiglione)
Il termine “atresia congenita dell’orecchio” è generalmente usato per descrivere una ampia serie di malformazioni dell’orecchio esterno e medio. Anche se il termine atresia implica l’assenza del canale, è usato in senso più ampio anche per indicare da una anomalia lieve con un restringimento del cue, alla assenza completo del canale. Esistono molte divergenze di opinione sulla necessità e opportunità del trattamento; altrettante divergenze sia sulle procedure di scelta sia sui criteri per la valutazione del successo chirurgico.
Epidemiologia
I dati non sono omogenei in quanto c’è poca concordanza sulla metodologia di raccolta dei dati e sulla definizione. Secondo Eurocat (1998) in Europa le atresie congenite del cue sono 1 ogni 10000 nati (periodo 1980-1994), con una netta prevalenza delle forme unilaterali (70-85%, Manach, 1987; Schuknecht, 1989; Cremers e Teunissen, 1992) dei maschi e dell’orecchio destro. Vanno innanzi tutto distinti gli interventi in caso di stenosi, da quelli in caso di atresia. In questa sede non staremo poi a soffermarci sulle indicazioni alla chirurgia ricostruttiva del condotto uditivo esterno, in quanto il successo funzionale delle protesi impiantabili per via ossea (e delle epitesi impiantabili) (Granstrom et al., 1993, 1979) ha certamente ridotto il numero di tali interventi e li ha spostati in là negli anni, alla seconda adolescenza o addirittura all’età adulta.
Terapia chirurgica
Il primo tentativo di operare una atresia congenita dell’orecchio esterno fu pubblicato da Thomson nel 1843; da allora le tecniche chirurgiche hanno seguito l’evoluzione della chirurgia dell’orecchio medio, in particolare l’avvento della timpanoplastica e l’introduzione del microscopio operatorio. Lo scopo è quello di “ottenere un guadagno uditivo funzionale e di stabilire un condotto uditivo stabilizzato ed appropriato per una eventuale protesizzazione acustica” (Consensus Europeo, Declau et al., 1999). La chirurgia dell’atresia del condotto è una operazione a stadio unico, anche se la chirurgia di revisione è frequente (25-50%, Jahrsdoerfer, 1978; Glassock, 1983).
Parametri
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Punti |
Staffa presente
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2 |
Finestra ovale pervia
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1 |
Spazio orecchio medio
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1 |
Nervo faciale
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1 |
Complesso incudo/malleolare
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1 |
Pneumatizzazione mastoidea
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1 |
Connessione incudo/stapediale
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1 |
Finestra rotonda
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1 |
Conformazione orecchio esterno
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1 |
Totale massimo ottenibile
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10 |
Criteri di selezione
Indipendentemente dal fatto di considerare casi bilaterali o unilaterali, ma in base alla possibilità di ottenere un risultato favorevole dal punto di vista audiologico, secondo Jahrsdoerfer e coll. (1992) non più del 50% dei casi di atresia del cue sono candidati all’intervento. Sempre Jahrsdoerfer e coll. (1992) ha predisposto un sistema di valutazione che si basa sulla TAC del temporale e sulla conformazione del padiglione (v. Tab. I) per prevedere se il paziente potrà avere un beneficio sulla funzione uditiva dall’intervento chirurgico. Un paziente con punteggio uguale o inferiore a 5 non è un candidato alla chirurgia. In particolare pazienti con sindromi malformative cranio-facciali sono da considerare candidati con scarse possibilità di beneficio funzionale dalla chirurgia. Al contrario, pazienti con punteggio uguale o superiore a 8, hanno la possibilità di ottenere un ottimo risultato funzionale (Yeakley e Jahrsdoerfer (1996).
Il “timing” chirurgico
Anche se questa trattazione esclude la chirurgia delle malformazioni congenite del padiglione, riteniamo importante ribadire quello che viene oggi considerato il “timing” chirurgico corretto. In contrasto con quanto sostenuto da Marquet (1971) e Bellucci (191) che proponevano la chirurgia dell’atresia come tempo propedeutico alla ricostruzione del padiglione, riteniamo corretto quanto sostenuto da Jahrsdoerfer e Aguilar (1996) e Declau e coll. (1999), che cioè l’eventuale chirurgia del condotto uditivo esterno deve seguire l’eventuale chirurgia ricostruttiva del padiglione auricolare, in particolare in caso di anotia o microtia di terzo grado e mai precederla in quanto le cicatrici chirurgiche conseguenti all’intervento “otologico” sarebbero di grande detrimento per il risultato di quello “plastico” sia per il risultato estetico, sia per la vitalità del trapianto di cartilagine (tecnica solitamente utilizzata per la ricostruzione del padiglione) in quanto non viene alterato il normale letto vascolare.
Approcci chirurgici
Rimandando a trattazioni più specifiche (Martini, 2006), ricordiamo qui solo alcuni punti principali. Tre sono gli approcci chirurgici in caso di atresia del condotto uditivo esterno: la via posteriore transmastoidea, la via anteriore e la via anteriore modificata. I vantaggi della via posteriore rispetto alla anteriore,sono i seguenti:
1) minor possibilità di lesione del nervo faciale che nelle atresie ha spesso un decorso anomalo
2) più facile identificazione della staffa.
Gli svantaggi sono i seguenti:
1) l’ampia cavità che si forma dall’apertura delle cellule mastoidee può facilmente infettarsi e quindi portare ad otorrea cronica
2) la continuità della catena ossiculare è spesso interrotta per evitare una ipoacusia neurosensoriale conseguente alle manovre chirurgiche (in particolare all’uso del trapano) anche se secondo Wullstein (1968) questo non è necessario.
Il colesteatoma è una possibile anche se rara complicanza di una atresia del condotto e in questo caso l’intervento chirurgico va eseguito per evitare delle complicanze maggiori, indipendentemente dal risultato funzionale sull’udito. Il colesteama è invece una complicanza relativamente frequente in caso di stenosi congenita del condotto, in particolare quando la stenosi è uguale o inferiore a 2 mm (fino al 91% dei casi nella casistica di Cole e Jahrsdoerfer (1990). Per questo motivo la chirurgia è raccomandata in caso di stenosi del condotto uguale o inferiore a 2 mm, tenendo presente che in ogni caso quando c’è stenosi del condotto (diametro uguale o inferiore a 4 mm), il rischio di colesteatoma è maggiore che nella atresia (Declau e coll., 1999).
La chirurgia delle malformazioni dell’orecchio medio
In questa parte ci soffermeremo sul trattamento delle “fissazioni ossiculari congenite”, sui “difetti” della catena ossiculare e le malformazioni della finestra ovale e rotonda.
L’incidenza delle malformazioni congenite maggiori (atresia e microtia) è di circa 1:11000 nati (Nager e Levin, 1989). L’incidenza delle malformazioni congenite minori dell’orecchio medio (in cui cioè non è presente anche una malformazione del padiglione o del condotto uditivo esterno) è bassa, ma non trascurabile se si interviene chirurgicamente in una ipoacusia trasmissiva in età pediatrica (Bergstrom, 1980; Steward e Downs, 1993) ed in circa un quarto dei casi questa è parte di una sindrome (Cremers e Teunissen, 1991).
Il sintomo principale è quello di una ipoacusia trasmissiva o mista di grado da medio a medio-grave (solitamente attorno ai 50 dB), presente fin dall’infanzia, stabile o lentamente ingravescente. Una indagine radiologica (TAC a strato sottile) in questi casi va sempre effettuata, sia per riconoscere pre-operatoriamente le forme in cui una malformazione può essere evidenziabile (in particolare lateralizzazioni ed eventuali fusioni all’epitimpano di martello e incudine, malposizioni del nervo faciale, occlusioni delle finestre…), ma anche e soprattutto per evidenziare anomalie dell’orecchio interno e quindi il potenziale rischio di gusher perilinfatico.
In tutti i casi che discuteremo di seguito, l’indicazione alla chirurgia è dopo i 10 anni di età e dopo aver attentamente e lungamente seguito il bambino dopo l’ultimo episodio di otite catarrale. La valutazione audiologica pre-operatoria deve comprendere l’audiometria tonale, l’audiometria vocale e lo studio impedenzometrico (timpanometria e valutazione dei riflessi ipsi- e contraleterali). Gli approcci chirurgici verranno brevemente descritti partendo dalla classificazione ECEAI e seguendo per gran parte le indicazioni di Tos (2000).
Tipo 1: Anchilosi congenita della staffa
a) Fissità della platina con struttura normale o monopodale. Nella maggior parte dei casi (80%) di fissità congenita della platina, la sovrastruttura è normale; quando la sovrastruttura si presenta anormale, è solitamente di tipo monopodale o monocrurale. È da ricordare che anche in assenza di fissità platinare congenita, le variazioni della sovrastruttura sono innumerevoli (la forma ritenuta più comune, con forame otturatore a triangolo isoscele, risulta infatti in circa poco più di un quinto dei casi e poco meno per la forma con forame otturatore a triangolo equilatero) (Dass et al., 1966). Frequentemente il legamento anulare è parzialmente sostituito da osso (Kelemen, 1943). La distinzione tra una anchilosi di tipo otosclerotico rispetto ad una di tipo congenito non è sempre facile e si può riassumere nei seguenti punti. In caso di otosclerosi: 1. maggior vascolarizzazione del polo anteriore della platina, 2. area centrale della platina spesso sottile di colorito bluastro; mentre nella forma congenita: a. bordo della platina difficile da distinguere, b. platina di colore uniforme (la parte centrale è solitamente spessa) (Tos, 2000).
Anche se in passato varie sono state le tecniche chirurgiche utilizzate, oggi la tecnica di scelta in caso di anchilosi stapediale congenita è la stapedectomia/stapedotomia (Charachon et al., 1994 a,b; Hohnmann e Dornhofer, 1995; Tos, 2000)
I risultati sono soddisfacenti, tanto che questa procedura può essere considerata anche nelle forme unilaterali e nel secondo orecchio dopo risultato positivo nell’altro orecchio (Tos, 2000). I risultati però non sono così buoni come nell’otosclerosi: solo nel 60-80% dei casi si ha un miglioramento uditivo di 15 o più dB. È inoltre da tenere presente che in molti casi è presente una ipoacusia neurosensoriale di un certo grado, in particolare in alcune forme sindromiche come la BOR e la “ipoacusia di tipo misto progressiva X-linked con gusher perilinfatico durante la chirurgia stapediale”.
b) Fissità della sovrastruttura. Varie sono le situazioni che si possono osservare di fissità della sovrastruttura; si tratta di forme molto rare (meno di 30 casi riportati in letteratura) in cui la sovrastruttura stapediale è bloccata da: 1. prolungamento osseo dell’eminenza piramidale, 2. ponte osseo tra staffa e processo piramidale con tendine normale, 3. ponte osseo tra staffa e canale del facciale, 4. ponte osseo tra staffa (di varia conformazione) e promontorio, 5. ponti ossei multipli. La tecnica chirurgica consigliata (Tos, 2000) è quella di rimuovere prima il ponte osseo con laser (CO2, argon, KTP, erbion) o con microtrapano, completando poi la rimozione con microcurette o forbice da crura. Successivamente si può procedere alla stapedectomia/stapedotomia. I risultati riportati in letteratura sono buoni.
Tipo 2: Anchilosi congenita della staffa più altra anomalia della catena ossiculare
a) Discontinuità.
b) Fissità all’epitimpano.
c) Fissità timpanica (manico del martello e/o processo lungo).
In tutti questi casi le indicazioni alla chirurgia sono le stesse prima riportate (età superiore ai 10 anni anche in caso di forme bilaterali, controllo della situazione catarrale dell’orecchio medio, esecuzione di tutta la batteria di test audiologici, esecuzione di TAC a strato sottile).
I tempi raccomandati sono:
1) mobilizzazione della catena
2) stapedectomia/stapedoplastica.
Per mobilizzare la catena è opportuno eseguire una atticotomia con conservazione del ponte; l’atticotomia viene successivamente chiusa con cartilagine tragale. Nel caso la fissità riguardi il processo breve dell’incudine sul canale semicircolare laterale, è necessario eseguire una mastoidectomia chiusa. Mobilizzata la catena ossiculare, si eseguirà la stapectomia/stapedotomia, con utilizzo di una protesi classica a pistone tra processo lungo dell’incudine e finestra ovale, o in caso di malformazione severa del processo lungo dell’incudine, tra martello e finestra ovale. I risultati postoperatori sono abbastanza buoni, anche se in circa il 20% dei casi è stata riportata la necessità di una revisione chirurgica (Teunissen e Cremers, 1991), soprattutto nei casi di malformazione dell’apofisi lunga dell’incudine.
Tipo 3: Anomalia congenita della catena ossiculare con platina mobile
a) Discontinuità.
b) Fissità all’epitimpano.
c) Fissità timpanica (manico del martello e/o processo lungo).
Circa il 20% delle anomali osservate nel tipo 3 fanno parte di casi sindromici (in particolare Treacher Collins e Klippel-Feil).
Nel sottotipo A, la chirurgia è semplice e prevede l’interposizione di una protesi a columella o di incudine autologa o allogenica tra il martello mobile e il capitello della staffa o la platina (in caso di contemporanea malformazione della sovrastruttura).
Nel sottotipo B si procede come nel tipo 2/sottotipo B e C, eseguendo prima una atticotomia. Le manovre chirurgiche devono tener presente che la staffa è mobile. In alcuni casi di epitimpano molto stretto, in cui non è possibile esporre bene testa del martello e corpo dell’incudine, si potrà connettere direttamente manico del martello e capitello dell’incudine.
Tipo 4: Aplasia congenita o displasia severa della finestra ovale o rotonda
a) Aplasia.
b) Displasia.
c) Nervo faciale “crossing”.
Frequentemente in questi casi è associata una malposizione del faciale che passa sopra la finestra ovale assente. I risultati chirurgici riportati in letteratura non sono molto soddisfacenti e sono descritti danni anche permanenti sul facciale (Pow, 1963). Le soluzioni possibili sono:
1) creazione di una neofinestra promontoriale (Plester, 1971, 1989)
2) creazione di una neofinestra sul lato canalare (in caso di facciale aberrante) (Sterkers e Sterkers, 1980; Martini, 2009).
d) Persistenza dell’arteria stapediale.
La persistenza dell’arteria stapediale è un evento abbastanza raro (circa 50 casi in letteratura); in questi casi si riscontra un vaso arterioso che proviene da un canale osseo del promontorio, passa per il forame otturatorio della staffa nascondendo i due terzi anteriori della platina per entrare poi nel canale del facciale (Tos, 2000; Pirodda et al., 1994). La tecnica suggerita è quella di una stapedotomia a livello del terzo posteriore della platina e dell’uso di un pistone di teflon di 0,4 mm (Govaerts et al., 1993). L’eventuale interruzione e chiusura dell’arteria stapediale non ha dato luogo nei casi descritti in letteratura a complicazioni postoperatorie. I risultati riportati sono abbastanza simili a quelli di una stapedoplastica usuale (Govaerts et al., 1993).
Note conclusive
La chirurgia delle malformazioni otologiche, siano esse maggiori o minori, richiede una accurata preparazione diagnostica, che comprende sia l’inquadramento nosologico della eventuale sindrome, sia radiologico; il paziente deve essere informato accuratamente degli eventuali rischi chirurgici (mal posizionamento del faciale, eventuale gusher perinfatico…) e delle difficoltà che possono essere incontrate durante l’intervento e deve essere informato della eventuale alternativa protesica.
bibliografia selezionata
Calzolari F, Garani P, Sensi A, Martini A. Clinical and radiological evaluation in children with microtia. Br J Audiol, 33: 303.312, 1999
Calzolari F, Martini A. Radiological abnormalities of the ear. In V. Newton ed. Paediatric Audiological Medicine, 2nd ed., Wiley-Blackwell, Chichester, pp 90-125, 2009
European Group on Genetics of Hearing Impairment (HEAR), ECEAI European Congenital Ear Anomaly Inventory. In A.Martini, M.Mazzoli, D.Stephens, A.Read eds. Definitions, protocols, and guidelines in genetic hearing impairment. Whurr, London, 44-49, 2001
Martini A, Gibelli PL. Chirurgia delle malformazioni auricolari congenite. In A. Martini ed., Genetica della funzione uditiva normale e patologica. Omega Edizioni, Torino, pp 613-643, 2006
Martini A, Sensi A, Calzolari F. Genetic syndromes involving hearing, Int J Ped Otolaryngol, Suppl 1: 1:S2-S12, 2009
Toriello HV, Reardon W, Gorlin RJ. Hereditary hearing loss and its syndromes., Oxford Universitary Press, Oxford, 2004
Tos M., Congenital Ossicular Fixations and Defects, in M.Tos ed Surgical solutions for conductive hearing loss, Thieme, Stuttgart, pp 212-239, 2000