1.5 Terapia chirurgica otologica

1.5.1 Basi della chirurgia otologica: Otochirurgia e Otoneurochirurgia

La chirurgia dell’orecchio può essere suddivisa in due grandi capitoli: la chirurgia dell’orecchio esterno, medio e interno (otochirurgia) e la chirurgia della base cranio laterale (chirurgia trans- e peri-petrosa) che utilizza un approccio otologico (otoneurochirurgia).

L’otochirurgia, nata nell’ottocento, ha avuto un rapido sviluppo nella seconda metà del secolo scorso, grazie all’introduzione del microscopio operatorio. È oggi una metodica tipicamente microchirurgica che si base su regole e principi molto rigidi, pena il probabile insuccesso.

Il paziente è posto supino, con il capo rivolto dalla parte opposta all’orecchio da operare; il chirurgo opera seduto. Fanno parte dell’attrezzatura operatoria, oltre al microscopio chirurgico con distanza focale di almeno 20 cm, in modo da permettere di operare con le due mani, ad ingrandimento variabile (da 6 a 40 x), il trapano (fino a 100.000 giri/minuto), un sistema di aspirazione-irrigazione, ferri microchirurgici dedicati e in taluni casi, laser, endoscopi, sistemi di monitoraggio dei nervi cranici (in particolare del n. faciale). Particolare attenzione va posta alla asepsi, che deve essere rigorosa soprattutto negli interventi funzionali (otosclerosi, impianti cocleari...) e nella patologia endocranica. Recentemente si stanno sviluppando delle tecnologie di tipo robotizzato e di “navigazione”, ma per il momento sono ancora in via sperimentale.

La terapia chirurgica dell’orecchio medio è principalmente indirizzata alla soluzione di tre problemi: 1) risoluzione della patologia in atto, 2) normalizzazione anatomica (ove possibile) e 3) ripristino o mantenimento della funzione uditiva. Per alcune patologie l’interesse può essere rivolto solo alla risoluzione della patologia (gravi otiti croniche, complicanze), per altre alla risoluzione di entrambi i problemi (otiti croniche), per altre infine l’interesse è rivolto al solo aspetto funzionale (otosclerosi).

L’otochirurgia comprende:

– chirurgia dell’otosclerosi

– chirurgia degli esiti delle flogosi dell’OM e MT (miringoplastica – MPL e ossiculoplastica – OPL)

– chirurgia delle flogosi croniche dell’OM, non-colesteatomatose e colesteatomatose (timpanoplastica – TPL)

– chirurgia delle complicanze delle flogosi

– decompressione del n. faciale

– chirurgia della tuba

– chirurgia delle malformazioni otologiche

– chirurgia dei tumori dell’orecchio esterno e medio

– chirurgia del colesteatoma della rocca

– chirurgia delle protesi impiantabili (osteointegrate, dell’orecchio medio, impianti cocleari, drug-delivery...).


L’otoneuochirurgia comprende:

– chirurgia della vertigine

– chirurgia dei conflitti neuro-vascolari

– chirurgia del tumore glomico

– chirurgia del neurinoma dell’acustico e delle altre neoplasie dell’angolo ponto-cerebellare.


Gli interventi più frequenti sono:

Stapedoplastica (SPL): creazione di un foro sulla platina della staffa e sostituzione della sovrastruttura della staffa con una protesi a pistone.

Ossiculoplastica (OPL): ricostruzione del sistema trasmissivo dell’orecchio medio che ripristini la trasmissione del suono dalla MT alla finestra ovale.

Miringoplastica (MPL): ricostruzione della membrana timpanica; l’esito anatomico della miringoplastica normalmente si correla all’esito funzionale.

Timpanoplastica (TPL): accanto alla ricostruzione timpanica si esegue una ricostruzione della catena ossiculare o si associa una mastoidectomia o una qualsivoglia manovra chirurgica su strutture diverse dal timpano. Comprendono un gruppo di interventi aventi non solo lo scopo di rimuovere la patologia dall’orecchio medio, ma anche di ricostruire l’apparato timpano-ossiculare e quindi migliorare la funzione uditiva (Tab. I).


TPL
Ricostruzione del sistema di trasmissione dell’orecchio medio
Tipo I°
Ricostruzione della MT senza ricostruzione ossiculare (MPL)
Tipo II°
Ricostruzione del sistema di trasmissione timpano-ossiculare a staffa integra
Tipo III°
Ricostruzione del sistema di trasmissione timpano-ossiculare a platina integra
e mobile
Tipo IV°
Disaccoppiamento f. ovale e rotonda con creazione di una minicassa
a livello della f. rotonda
Tipo V°
Disaccoppiamento f. ovale con creazione di una minicassa a livello
della f. rotonda con stapedectomia e ricostruzione con lembo di vena
Tab. I. Classificazione delle TPL sec. Wullstein (mod. Zollner, Tos, Portmann).

1.5.2 Miringoplastica (MPL)

Definizione. Il trattamento chirurgico della perforazione timpanica consiste nell’esecuzione di una Miringoplastica (timpanoplastica I tipo), volta a ottenere una riparazione della perforazione timpanica, in assenza di manovre chirurgiche sulla catena ossiculare, di cui viene esclusivamente esplorata la integrità anatomica e la mobilità. La MPL è intesa come intervento a sé stante se eseguito per chiudere una perforazione timpanica semplice o come fase di ricostruzione timpanica in un intervento di timpanoplastica.

La MPL può essere realizzata usando vie di accesso chirurgiche distinte (Fig. 1):

1) via trans-meatale: attraverso lo speculum auricolare, limitata alle piccole perforazioni posteriori che non oltrepassano il manico del martello;

2) via endo-aurale tipo Shambaugh o endo-aurale allargata, utilizzabile nel caso di perforazioni più ampie, in assenza di procidenza della parete anteriore del CUE;

3) via retro-auricolare: via classica per il trattamento di tutte le perforazioni timpaniche, consente l’accesso alla mastoide se necessario, permette la calibrazione del CUE osseo, il prelievo di un lembo di fascia del muscolo temporale o di un frammento di pericondrio/cartilagine dal trago o dal padiglione auricolare.

La MPL può essere eseguita utilizzando una (Fig. 2):

1) “tecnica under-lay”, nella quale il lembo riparativo (fascia, pericondrio) viene posizionato sotto ai resti timpanici anteriori, ancorato sotto o sopra il manico del martello;

2) “tecnica over-lay”, nella quale il lembo viene inserito tra lo strato epidermico della MT residua e lo strato fibroso intermedio, accuratamente scollati fra loro;

3) “tecnica overlay “anular wedg”: l’innesto viene posizionato sopra l’anulus in una nicchia delimitata dall’anulus e dall’osso del protimpano.

Indicazioni. Perforazione della MT. Si deve ricordare che va eseguito solo su richiesta del paziente, trattandosi di un intervento funzionale. Le contro-indicazioni all’intervento chirurgico si distinguono in:

1) temporanee relative, locali (otorrea prulenta, eczema acuto del CUE), generali (infezione VAS,stati febbrili);

2) assolute, “unico” orecchio udente, eczema umido cronico, rino-sinusiti croniche non rispondenti alla terapia medica, malattie ematologiche, immunodepressione congenita o acquisita.


Fig. 1. (a) Via trans-meatale; (b) via endoaurale allargata; (c) via endoaurale allargata con canaloplastica anteriore.


Fig. 2. (a) MPL tecnica underlay e (b) MPL tecnica overlay.


Bilancio pre-operatorio.

1) Bilancio della lesione timpanica: si effettua mediante valutazione micro-otoscopica, che consente manovre di aspirazione di eventuali secrezioni patologiche o detriti epidermici, o mediante oto-endoscopia. Si devono ricercare segni di patologia infettiva o infiammatoria del CUE, si devono rimuovere croste o squame epidermiche che mascherano le perforazioni marginali. Si devono precisare la sede e le dimensioni della perforazione, l’esistenza o meno di otorrea, le caratteristiche della mucosa della cassa, normale o polipoide, la presenza di chiazze di timpanosclerosi sui resti timpanici o a livello della catena ossiculare.

2) Bilancio dell’orecchio contro-laterale e della funzione tubarica.

3) Bilancio della funzione uditiva: esame audiometrico tonale con mascheramento, audiometria vocale.

4) Imaging (TC): nei casi di perforazione marginale, allo scopo di escludere la presenza di un colesteatoma non apprezzabile clinicamente con la micro-otoscopia.

Materiali di innesto. La funzione dell’innesto è quella di guidare la formazione del neotimpano da parte dei residui della MT. Il materiale da usare come innesto deve essere sottile ed elastico; possono essere usati anche materiali eterologhi (collagene suino, pericondrio, peritoneo), omologhi (amnios, vena, pericardio, dura madre) o artificiali, ma quelli di uso più diffuso e che danno risultati migliori, sono quelli autologhi (lembo di vena, pericondrio, tessuto adiposo ed in particolare la fascia del muscolo temporale, v. Fig. 3 e Fig. 1b del successivo capitolo).


Fig. 3. (a) Otite media cronica a timpano aperto; (b) quadro otoscopico dopo MPL; (c) preparazione intraoperatoria del lembo di fascia.


Risultati. La MPL è oggi una tecnica sicura in termini di risultati anatomici e funzionali e complicanze. La percentuale di chiusura della perforazione è tra il 73% e 93%, con delle variazioni anche in rapporto alla tecnica utilizzata. La via retroauricolare è quella che garantisce i migliori risultati anatomici ma la via transmeatale è meno traumatica e in caso di insuccesso non determina problemi differenti da quelli presenti in fase preoperatoria e non compromette la possibilità di eseguire ulteriori interventi.

1.5.3 Timpanoplastica (TPL)

Con il termine Timpanoplastica (TPL) si intende un gruppo di interventi aventi non solo lo scopo di rimuovere la patologia dall’orecchio medio, ma anche di ricostruire l’apparato timpano-ossiculare e quindi migliorare la funzione uditiva. Le TPL si distinguono in: Aperte, Chiuse e Obliterative; un aspetto particolare riguarda la ricostruzione dell’apparato di trasmissione dell’orecchio medio (ossiculoplastica, v. cap. dedicato).


Tecnica chirurgica della TPL

Il paziente viene operato in posizione supina, solitamente in anestesia generale. L’approccio è usualmente quello retro-auricolare. L’incisione arcuata di solito viene eseguita a circa 1 cm dal solco retroauricolare, o più posteriormente lungo l’attaccatura dei capelli (v. Fig. 1a).

Successivamente si preleva a fascia del muscolo temporale, con l’uso di retrattori si espone il piano osseo mastoideo e si procede alla mastoidectomia con il trapano con fresa prima tagliente e successivamente diamantata.

Per mastoidectomia si intende lo svuotamento delle celle mastoidee; solitamente si accompagna all’intervento sull’orecchio medio; viene eseguita isolata nel caso di una flogosi acuta (mastoidite acuta) prevalentemente in età pediatrica. La rimozione del colesteatoma deve essere completa in particolare per quanto riguarda la matrice. A parte nei colesteatomi piccoli della cassa o dell’attico, in cui può essere anche utilizzato un approccio trans-meatale, dato che l’estensione del colesteatoma a partenza dalla pars flaccida avviene solitamente in direzione posteriore, verso la mastoide, si procede da dietro in avanti, cioè dalla mastoide-atro-attico-cassa; successivamente in direzione inferiore, verso il mesotimpano posteriore coinvolgendo la regione delle finestre e il recesso faciale; in direzione anteriore, verso l’epitimpano anteriore e la fossetta sovra-tubarica; in direzione laterale, a coinvolgere l’epitimpano laterale. Dopo la eradicazione della patologia infiammatoria/colesteatomatosa, è necessario provvedere alla ricostruzione della membrana timpanica, utilizzando un lembo di fascia del muscolo temporale o di pericondrio del trago. La ricostruzione della trasmissione ossiculare (tempo funzionale) è in genere ottenuta nel corso di un secondo intervento chirurgico, programmato a distanza di 12-18 mesi, a condizione che le cavità chirurgiche dell’orecchio medio non presentino segni di recidiva della patologia: a questo riguardo, è necessario provvedere, dopo il primo intervento, a un rigoroso follow-up mediante controlli micro-otoscopici periodici.

Storicamente fanno parte degli interventi sull’orecchio medio/mastoide, le operazioni tipo “radicale”. Per Mastoidectomia Radicale Classica si intende lo svuotamento timpano-petromastoideo, con cavità comune esteriorizzata attraverso il CUE; non è previsto tempo ricostruttivo. Mentre per Mastoidectomia Radicale Conservativa si intende la conservazione della MT e della catena ossiculare.


Fig. 1. (a) Incisione retro auricolare e scollamento del lembo; (b) preparazione della fascia del muscolo temporale; (c) dopo aver scollato e spostato in avanti anche il lembo muscoloperiosteo; (d) mastoidectomia; (e) mastoidectomia completata con evidenziazione deol canale semicircolare posteriore (CSL), dell’incidine e fossetta incudis, incisura digastrica e seno sigmoide.


La distinzione principale riguarda l’eventuale abbattimento della parete ossea posteriore del condotto uditivo esterno (canal wall-down o canal wall-up). Per “tecniche aperte” si devono intendere: la “radicale” classica, la “radicale” conservativa e la timpanoplastica aperta. Per “tecniche chiuse” si intendono: la timpanoplastica chiusa e la ricostruzione di orecchio medio. Le TPL obliterative appartengono, a seconda del grado di obliterazione, all’una o altra categoria.

Riportiamo di seguito i punti principali.

1) Timpanoplastiche Aperte (Fig. 2a):

• demolizione della parete posteriore del CUE ed esteriorizzazione dell’epitimpano e della mastoide

• ricostruzione a scopo funzionale di una cavità timpanica di dimensioni ridotte

• riparazione o ricostruzione dell’apparato timpano-ossiculare.

2) Timpanoplastiche Chiuse (fFg. 2d,e,f):

• preserva il muro della loggetta e tutta la parete posteriore del condotto uditivo esterno, preservando o ricostruendo il sistema timpano-ossiculare; (la parete posteriore può anche essere ricostruita dopo essere stata rimossa) (Fig. 2b).


Fig. 2. (a) TPL chiusa; (b) TPL con ricostruzione parete posteriore; (c) TPL obliterativa; (d) TPL aperta; (e) TPL aperta con staffa presente; (f) TPL aperta con staffa assente e TORP.


VANTAGGI SVANTAGGI
“CANAL WALL-UP” (CWU)
Preserva l’anatomia dell’ orecchio medio

Evita la comparsa di sequele dovute
all’ampia cavità chirurgica

Miglior possibilità di recupero uditivo

Riduzione di cure post-opertatorie

CANAL WALL-DOWN” (CWD)
Ampia esposizione di epitimpano
e mastoide
Periodiche pulizie della cavità mastoidea
Completa rimozione della matrice
colesteatomatosa
Sintomi associati alla stessa cavità (otorrea,
infezioni locali, tessuto di granulazione, detriti)
Bassa percentuale di colesteatoma
residuo e/o ricorrente

Non necessità di 2° tempo
 


3) Timpanoplastica obliterativa (Fig. 2c):

riduzione delle dimensioni della “cavità” obliterando parzialmente o totalmente lo spazio attico-mastoideo mediante l’ausilio di diversi materiali sia biologici (cartilagine o patè d’osso) che biocompatibili (cristalli di idrossiapatite).


La discussione sull’abbattimento della parete posteriore del cue, riguarda soprattutto la chirurgia dell’otite media cronica colesteatomatosa (O.M.C.C.) in quanto entrambe le tecniche presentano vantaggi e svantaggi, che possono essere così riassunti (Tab. I).


Recidiva di colesteatoma

Il colesteatoma può recidivare (v. Fig. 3). Si parla di recidive di colesteatoma, sia quando non è stato rimosso in modo completo, sia quando si forma una tasca di retrazione nella parte inferiore della parete posteriore (che è stata in parte rimossa).


Fig. 3. Recidiva di colesateatoma da discontinuità/retrazione della parete posteriore.

1.5.4 Ossiculoplastica

Con ossiculoplastica (OPL) si intende un intervento chirurgico atto a ricostruire la continuità della catena ossiculare, tra MT e platina della staffa. Corrisponde nella classificazione di Wullstein alla TPL di 2° tipo quando la staffa è integra e TPL di 3° tipo quando è presente e mobile solo la platina.

La causa di lesione ossiculare può essere molteplice, sia con MT aperta (in seguito a traumi o flogosi), sia con MT integra, ed anche su base malformativa; la causa più frequente è però l’otite cronica colesteatomatosa (in cui una lesione ossiculare – ed in particolare dell’incudine – è osservabile in oltre l’80% dei casi).

Ai fini della ricostruzione, i punti essenziali sono: la presenza/assenza del manico del martello e della sovrastruttura della staffa.

La ricostruzione può avvenire con materiali diversi, sia biologici sia sintetici, e prende il nome di PORP (Partial Ossicular Replacement Prosthesis, v. Fig. 1a) o di TORP (Total Ossicular Replacement Prosthesis, v. Fig. 1b) a seconda che la sovrastruttura della staffa sia presente o assente e che quindi la protesi faccia da ponte tra il manico del martello/MT e il capitello della staffa o la platina.


Caratteristiche della ricostruzione ossiculare

L’intervento deve essere funzionale e stabile.

Funzionale: deve garantire il trasferimento ottimale dell’energia dalla MT ai liquidi endolabirintici.

Stabile: deve mantenere la posizione stabile nel tempo (uno spostamento anche parziale comporta discontinuità funzionale del sistema e quindi una ipoacusia trasmissiva).


Materiali. Numerosi sono i materiali che sono stati utilizzati nell’OPL (Tab. I). La prima distinzione è in:

materiali biologici, di origine preferibilmente autologa (quelli di origine omologa o eterologa sono stati progressivamente abbandonati per il rischio di malattie trasmissibili virali o della malattia di Creutzfeld_Jacob), in particolare l’osso (molto utilizzata è l’incudine del paziente rimodellata, v. Fig. 1c) e la cartilagine (prelevata a livello del trago o della conca).


Fig. 1. (a) PORP; (b) TORP; (c) T incudine omologa opportunamente rimodellata tra manico del martello e capitello della staffa.


Tab. I. Principali materiali per protesi (cortesia Franco Beoni, Audio Technologies, Piacenza).


materiali sintetici: metalli (oro, platino, acciaio, tantalio, titanio); polimeri plastici (proplast o Teflon, plastipore e polycel); ceramiche bioinetri (ossido di alluminio, vetro-cemento ionomero) e ceramiche bioattive (bioceramiche: idrossiapatite e trioseite) e biovetri (ceravital e bioglass); protesi in materiale composto (idrossiapatite-silicone, idrossiapatite-polycel, idrossiapatite-plastipore, titanio-ceravital, allumina) (v. Tab. I).


In rapporto alla azione sul tessuto ospite (biocompatibilità, cioè non devono creare nell’ospite reazioni inappropriate, che possono portare all’espulsione della protesi stessa), vengono poi distinti in bioattivi (in grado di stimolare una risposta chimica o biologica nell’ospite) e bioinerti (non determinano risposte da parte dell’organismo).

Forma. Le protesi presentano forme a T, L rovesciata, o colonna. Dato che devono trasferire nel modo ottimale l’energia tra MT e liquidi labirintici, le protesi sono studiate in rapporto alla loro forma e peso (v. Tab. II e Fig. 2) e solitamente non pesano più di 5 mg.


Aspetti chirurgici

La presenza/assenza del martello e della sovrastrurrura della staffa, rappresentano due punti nodali nella scelta del tipo e forma di protesi.


Superficie del timpano (cm2)
0,60
Superficie della platina (cm2)
0,032
Rapporto di leve
1,3
Volume della cavità dell’orecchio medio (cm3)
2 -> 6,8
Rigidità della cavità timpano-mastoidea (Pa/mm3)
21
Rigidità complessiva dell’orecchio medio (Pa/mm3)
190

Tab. II. Misure della MT e componenti orecchio medio (cortesia Franco Beoni, Audio Technologies, Piacenza).

Fig. 2. Analisi del rapporto di forze e peso tra la MT e la staffa (cortesia Franco Beoni, Audio Technologies, Piacenza).


In presenza del manico del martello, la protesi può essere agganciata ad esso o appoggiata al di sotto e di solito è presenta nella protesi una scanalatura che ne garantisce una maggiore stabilità. In caso di assenza del manico del martello, è bene che tra MT e protesi sia posto del pericondrio o una sottile lamella di cartilagine.

I risultati sono molto buoni nel breve/medio periodo, mentre tendono a deteriorarsi nel lungo periodo, solitamente per uno spostamento della protesi o per una progressione dei fattori patologici che erano presenti al momento dell’intervento (atelettasia del neotimpano, reazioni cicatriziali e/o flogistiche nell’orecchio medio, recidiva del colesteatoma). Per questo motivo l’OPL deve sempre essere eseguita in assenza di flogosi del’orecchio medio e meglio quando il neotimpano è già stabilizzato (per questo motivo l’OPL viene spesso eseguita durante un secondo tempo chirurgico, per via trans-meatale).

1.5.5 Chirurgia dell’otosclerosi

La chirurgia è il trattamento di elezione per l’otosclerosi. Oggi la chirurgia dell’otosclerosi consiste essenzialmente nella rimozione della sovrastruttura della staffa, che viene sostituita da una protesi a pistone agganciata sull’apofisi lunga dell’incudine e che si inserisce sulla finestra ovale dopo rimozione in toto della platina (stapedectomia) o tramite un foro platinare (stapedotomia). Le prime tecniche proposte sono state la fenestrazione del canale semicircolare laterale (Holmgren 1923), la mobilizzazione stapediale (Rosen, 1950); la stapedectomia fu proposta nel 1956 da John Shea. Nonostante molte modifiche sul tipo di protesi, materiale di interposizione, di grandezza del foro platinare, di strumento utilizzato per la perforazione platinare, la tecnica è rimasta sostanzialmente la stessa fino ai giorni nostri.


Tecnica chirurgica della stapedoplastica

Il paziente viene operato in posizione supina, in anestesia locale con sedazione o in anestesia generale. L’approccio è usualmente quello trans-meatale (o endocanalare), anche se taluni utilizzano quello endoaurale (tipo Shambaugh) o raramente quello retroauricolare. Con l’uso del microscopio chirurgico, viene eseguita una incisione arcuata della cute della parete posteriore del condotto a circa 4 mm dall’anulus; questo lembo viene scollato e portato in avanti (lembo meato-timpanale). Viene evidenziata la chorda tympani, che solitamente viene conservata, ed ampliata la visione della regione della finestra ovale tramite rimozione delicata di parte dello scutum con curette.

La visione corretta del campo operatorio comprende la visualizzazione dell’apofisi lunga dell’incudine, della platina, dello stapedio fino al processo piramidale, del bordo anteriore del nervo faciale. Dopo aver controllato la mobilità dell’incudine ed il blocco della platina e aver misurato la distanza tra apofisi e platina (solitamente 4,5 mm) si procede all’esecuzione del foro platinare (“safety hole” di House) con perforatore a mano, microtrapano, laser, strumento pizoelettrico.

Viene quindi rimossa la sovrastruttura della staffa dopo aver sezionato lo stapedio e la crus posterior; calibrato il foro platinare viene inserita la protesi che penetra di circa 0,25 mm e agganciata sull’apofisi dell’incudine. Molti chirurghi preferiscono interporre tra pistone e finestra ovale un piccolo lembo di vena autologa (o di pericondrio, o di grasso) per sigillare la finestra ed impedire la fuoriuscita di perilinfa (fistola); questo è particolarmente importante nel caso sia stata effettuata una platinectomia ampia o totale; in caso di foro calibrato sul diametro della protesi, molti chirurghi utilizzano un piccolo coagulo ematico. Controllato il movimento della catena ricostruita, si ripone il lembo meato-timpanale ed il condotto viene medicato con garza otologica (o altro materiale) impregnata di pomata antibiotica.


Problemi o complicanze della chirurgia dell’otosclerosi

La chorda tympani impedisce la visione del campo operatorio: in questo caso viene consigliata la sezione; lo stiramento eccessivo della CT può produrre disgeusia più grave e talvolta paralisi del faciale per infiammazione retrograda.

Nervo faciale deiscente e procidente sulla finestra ovale: in casi estremi può essere impossibile procedere con l’intervento.

Paralisi del faciale: complicanza molto rara, < 1/1000.

Platina flottante: evento raro se si è eseguito prima della rimozione della sovrastruttura il “foro di sicurezza”; nel caso di questa situazione può essere raccomandato di posporre la chirurgia di qualche mese.

Gusher perilinfatico: evento raro, a parte la presenza di acquedotto del vestibolo allargato o nella ipoacusia di tipo misto legata al cromosoma X (DFN3) da mutazione del gene POU3F4; in questi casi la stapedectomia è controindicata.

Ipoacusia neurosensoriale postoperatoria permanente: l’incidenza di questa complicanza è riportata tra lo 0,6% e il 3% nelle casistiche ampie; anche nelle casistiche di chirurghi esperti è ≤ 1%.


Fig. 1. (a) Quadro otoscopico inserito lo speculum; (b) incisione sec. Rosen; (c) sollevamento del lembo timpano-meatale; (d) fresatura del muro della loggetta e spostamento chorda tympani; (e) visione completa della staffa e dello stapedio fino al processo piramidale; (f) fresatura platinare con creazione della platinotomia; (g) sezione dello stapedio; (h) sezione della crus posterior; (i) inserimento di protesi wire-piston-teflon; (l) inserimento di protesi piston teflon; (m) inserimento di protesi con interposizione di vena tra il pistone e il foro platinare.


“Reparative granuloma”: possibile causa di ipoacusia neurosensoriale, viene riferito nel 1-2% dei casi, più frequentemente quando viene utilizzato il gelfoam per sigillare la finestra ovale.

Sintomi vestibolari: possono essere presenti nei primi giorni postoperatori, raramente persistono per mesi.

Ricorrenza di ipoacusia trasmissiva dopo l’intervento varia tra lo 0,5 e il 4%; le cause più frequenti sono lo spostamento della protesi e la lisi del processo lungo dell’incudine.

1.5.6 Chirurgia delle malformazioni dell’orecchio esterno e medio

APPROFONDIMENTO


La chirurgia delle malformazioni congenite dell’orecchio esterno e medio (con esclusione della parte plastica del padiglione)

Il termine “atresia congenita dell’orecchio” è generalmente usato per descrivere una ampia serie di malformazioni dell’orecchio esterno e medio. Anche se il termine atresia implica l’assenza del canale, è usato in senso più ampio anche per indicare da una anomalia lieve con un restringimento del cue, alla assenza completo del canale. Esistono molte divergenze di opinione sulla necessità e opportunità del trattamento; altrettante divergenze sia sulle procedure di scelta sia sui criteri per la valutazione del successo chirurgico.


Epidemiologia

I dati non sono omogenei in quanto c’è poca concordanza sulla metodologia di raccolta dei dati e sulla definizione. Secondo Eurocat (1998) in Europa le atresie congenite del cue sono 1 ogni 10000 nati (periodo 1980-1994), con una netta prevalenza delle forme unilaterali (70-85%, Manach, 1987; Schuknecht, 1989; Cremers e Teunissen, 1992) dei maschi e dell’orecchio destro. Vanno innanzi tutto distinti gli interventi in caso di stenosi, da quelli in caso di atresia. In questa sede non staremo poi a soffermarci sulle indicazioni alla chirurgia ricostruttiva del condotto uditivo esterno, in quanto il successo funzionale delle protesi impiantabili per via ossea (e delle epitesi impiantabili) (Granstrom et al., 1993, 1979) ha certamente ridotto il numero di tali interventi e li ha spostati in là negli anni, alla seconda adolescenza o addirittura all’età adulta.


Terapia chirurgica

Il primo tentativo di operare una atresia congenita dell’orecchio esterno fu pubblicato da Thomson nel 1843; da allora le tecniche chirurgiche hanno seguito l’evoluzione della chirurgia dell’orecchio medio, in particolare l’avvento della timpanoplastica e l’introduzione del microscopio operatorio. Lo scopo è quello di “ottenere un guadagno uditivo funzionale e di stabilire un condotto uditivo stabilizzato ed appropriato per una eventuale protesizzazione acustica” (Consensus Europeo, Declau et al., 1999). La chirurgia dell’atresia del condotto è una operazione a stadio unico, anche se la chirurgia di revisione è frequente (25-50%, Jahrsdoerfer, 1978; Glassock, 1983).


Parametri
Punti
Staffa presente
2
Finestra ovale pervia
1
Spazio orecchio medio
1
Nervo faciale
1
Complesso incudo/malleolare
1
Pneumatizzazione mastoidea
1
Connessione incudo/stapediale
1
Finestra rotonda
1
Conformazione orecchio esterno
1
Totale massimo ottenibile
10


Criteri di selezione

Indipendentemente dal fatto di considerare casi bilaterali o unilaterali, ma in base alla possibilità di ottenere un risultato favorevole dal punto di vista audiologico, secondo Jahrsdoerfer e coll. (1992) non più del 50% dei casi di atresia del cue sono candidati all’intervento. Sempre Jahrsdoerfer e coll. (1992) ha predisposto un sistema di valutazione che si basa sulla TAC del temporale e sulla conformazione del padiglione (v. Tab. I) per prevedere se il paziente potrà avere un beneficio sulla funzione uditiva dall’intervento chirurgico. Un paziente con punteggio uguale o inferiore a 5 non è un candidato alla chirurgia. In particolare pazienti con sindromi malformative cranio-facciali sono da considerare candidati con scarse possibilità di beneficio funzionale dalla chirurgia. Al contrario, pazienti con punteggio uguale o superiore a 8, hanno la possibilità di ottenere un ottimo risultato funzionale (Yeakley e Jahrsdoerfer (1996).


Il “timing” chirurgico

Anche se questa trattazione esclude la chirurgia delle malformazioni congenite del padiglione, riteniamo importante ribadire quello che viene oggi considerato il “timing” chirurgico corretto. In contrasto con quanto sostenuto da Marquet (1971) e Bellucci (191) che proponevano la chirurgia dell’atresia come tempo propedeutico alla ricostruzione del padiglione, riteniamo corretto quanto sostenuto da Jahrsdoerfer e Aguilar (1996) e Declau e coll. (1999), che cioè l’eventuale chirurgia del condotto uditivo esterno deve seguire l’eventuale chirurgia ricostruttiva del padiglione auricolare, in particolare in caso di anotia o microtia di terzo grado e mai precederla in quanto le cicatrici chirurgiche conseguenti all’intervento “otologico” sarebbero di grande detrimento per il risultato di quello “plastico” sia per il risultato estetico, sia per la vitalità del trapianto di cartilagine (tecnica solitamente utilizzata per la ricostruzione del padiglione) in quanto non viene alterato il normale letto vascolare.


Approcci chirurgici

Rimandando a trattazioni più specifiche (Martini, 2006), ricordiamo qui solo alcuni punti principali. Tre sono gli approcci chirurgici in caso di atresia del condotto uditivo esterno: la via posteriore transmastoidea, la via anteriore e la via anteriore modificata. I vantaggi della via posteriore rispetto alla anteriore,sono i seguenti:

1) minor possibilità di lesione del nervo faciale che nelle atresie ha spesso un decorso anomalo

2) più facile identificazione della staffa.

Gli svantaggi sono i seguenti:

1) l’ampia cavità che si forma dall’apertura delle cellule mastoidee può facilmente infettarsi e quindi portare ad otorrea cronica

2) la continuità della catena ossiculare è spesso interrotta per evitare una ipoacusia neurosensoriale conseguente alle manovre chirurgiche (in particolare all’uso del trapano) anche se secondo Wullstein (1968) questo non è necessario.


Il colesteatoma è una possibile anche se rara complicanza di una atresia del condotto e in questo caso l’intervento chirurgico va eseguito per evitare delle complicanze maggiori, indipendentemente dal risultato funzionale sull’udito. Il colesteama è invece una complicanza relativamente frequente in caso di stenosi congenita del condotto, in particolare quando la stenosi è uguale o inferiore a 2 mm (fino al 91% dei casi nella casistica di Cole e Jahrsdoerfer (1990). Per questo motivo la chirurgia è raccomandata in caso di stenosi del condotto uguale o inferiore a 2 mm, tenendo presente che in ogni caso quando c’è stenosi del condotto (diametro uguale o inferiore a 4 mm), il rischio di colesteatoma è maggiore che nella atresia (Declau e coll., 1999).


La chirurgia delle malformazioni dell’orecchio medio

In questa parte ci soffermeremo sul trattamento delle “fissazioni ossiculari congenite”, sui “difetti” della catena ossiculare e le malformazioni della finestra ovale e rotonda.

L’incidenza delle malformazioni congenite maggiori (atresia e microtia) è di circa 1:11000 nati (Nager e Levin, 1989). L’incidenza delle malformazioni congenite minori dell’orecchio medio (in cui cioè non è presente anche una malformazione del padiglione o del condotto uditivo esterno) è bassa, ma non trascurabile se si interviene chirurgicamente in una ipoacusia trasmissiva in età pediatrica (Bergstrom, 1980; Steward e Downs, 1993) ed in circa un quarto dei casi questa è parte di una sindrome (Cremers e Teunissen, 1991).

Il sintomo principale è quello di una ipoacusia trasmissiva o mista di grado da medio a medio-grave (solitamente attorno ai 50 dB), presente fin dall’infanzia, stabile o lentamente ingravescente. Una indagine radiologica (TAC a strato sottile) in questi casi va sempre effettuata, sia per riconoscere pre-operatoriamente le forme in cui una malformazione può essere evidenziabile (in particolare lateralizzazioni ed eventuali fusioni all’epitimpano di martello e incudine, malposizioni del nervo faciale, occlusioni delle finestre…), ma anche e soprattutto per evidenziare anomalie dell’orecchio interno e quindi il potenziale rischio di gusher perilinfatico.

In tutti i casi che discuteremo di seguito, l’indicazione alla chirurgia è dopo i 10 anni di età e dopo aver attentamente e lungamente seguito il bambino dopo l’ultimo episodio di otite catarrale. La valutazione audiologica pre-operatoria deve comprendere l’audiometria tonale, l’audiometria vocale e lo studio impedenzometrico (timpanometria e valutazione dei riflessi ipsi- e contraleterali). Gli approcci chirurgici verranno brevemente descritti partendo dalla classificazione ECEAI e seguendo per gran parte le indicazioni di Tos (2000).


Tipo 1: Anchilosi congenita della staffa

a) Fissità della platina con struttura normale o monopodale. Nella maggior parte dei casi (80%) di fissità congenita della platina, la sovrastruttura è normale; quando la sovrastruttura si presenta anormale, è solitamente di tipo monopodale o monocrurale. È da ricordare che anche in assenza di fissità platinare congenita, le variazioni della sovrastruttura sono innumerevoli (la forma ritenuta più comune, con forame otturatore a triangolo isoscele, risulta infatti in circa poco più di un quinto dei casi e poco meno per la forma con forame otturatore a triangolo equilatero) (Dass et al., 1966). Frequentemente il legamento anulare è parzialmente sostituito da osso (Kelemen, 1943). La distinzione tra una anchilosi di tipo otosclerotico rispetto ad una di tipo congenito non è sempre facile e si può riassumere nei seguenti punti. In caso di otosclerosi: 1. maggior vascolarizzazione del polo anteriore della platina, 2. area centrale della platina spesso sottile di colorito bluastro; mentre nella forma congenita: a. bordo della platina difficile da distinguere, b. platina di colore uniforme (la parte centrale è solitamente spessa) (Tos, 2000).

Anche se in passato varie sono state le tecniche chirurgiche utilizzate, oggi la tecnica di scelta in caso di anchilosi stapediale congenita è la stapedectomia/stapedotomia (Charachon et al., 1994 a,b; Hohnmann e Dornhofer, 1995; Tos, 2000)

I risultati sono soddisfacenti, tanto che questa procedura può essere considerata anche nelle forme unilaterali e nel secondo orecchio dopo risultato positivo nell’altro orecchio (Tos, 2000). I risultati però non sono così buoni come nell’otosclerosi: solo nel 60-80% dei casi si ha un miglioramento uditivo di 15 o più dB. È inoltre da tenere presente che in molti casi è presente una ipoacusia neurosensoriale di un certo grado, in particolare in alcune forme sindromiche come la BOR e la “ipoacusia di tipo misto progressiva X-linked con gusher perilinfatico durante la chirurgia stapediale”.

b) Fissità della sovrastruttura. Varie sono le situazioni che si possono osservare di fissità della sovrastruttura; si tratta di forme molto rare (meno di 30 casi riportati in letteratura) in cui la sovrastruttura stapediale è bloccata da: 1. prolungamento osseo dell’eminenza piramidale, 2. ponte osseo tra staffa e processo piramidale con tendine normale, 3. ponte osseo tra staffa e canale del facciale, 4. ponte osseo tra staffa (di varia conformazione) e promontorio, 5. ponti ossei multipli. La tecnica chirurgica consigliata (Tos, 2000) è quella di rimuovere prima il ponte osseo con laser (CO2, argon, KTP, erbion) o con microtrapano, completando poi la rimozione con microcurette o forbice da crura. Successivamente si può procedere alla stapedectomia/stapedotomia. I risultati riportati in letteratura sono buoni.


Tipo 2: Anchilosi congenita della staffa più altra anomalia della catena ossiculare

a) Discontinuità.

b) Fissità all’epitimpano.

c) Fissità timpanica (manico del martello e/o processo lungo).

In tutti questi casi le indicazioni alla chirurgia sono le stesse prima riportate (età superiore ai 10 anni anche in caso di forme bilaterali, controllo della situazione catarrale dell’orecchio medio, esecuzione di tutta la batteria di test audiologici, esecuzione di TAC a strato sottile).

I tempi raccomandati sono:

1) mobilizzazione della catena

2) stapedectomia/stapedoplastica.

Per mobilizzare la catena è opportuno eseguire una atticotomia con conservazione del ponte; l’atticotomia viene successivamente chiusa con cartilagine tragale. Nel caso la fissità riguardi il processo breve dell’incudine sul canale semicircolare laterale, è necessario eseguire una mastoidectomia chiusa. Mobilizzata la catena ossiculare, si eseguirà la stapectomia/stapedotomia, con utilizzo di una protesi classica a pistone tra processo lungo dell’incudine e finestra ovale, o in caso di malformazione severa del processo lungo dell’incudine, tra martello e finestra ovale. I risultati postoperatori sono abbastanza buoni, anche se in circa il 20% dei casi è stata riportata la necessità di una revisione chirurgica (Teunissen e Cremers, 1991), soprattutto nei casi di malformazione dell’apofisi lunga dell’incudine.


Tipo 3: Anomalia congenita della catena ossiculare con platina mobile

a) Discontinuità.

b) Fissità all’epitimpano.

c) Fissità timpanica (manico del martello e/o processo lungo).

Circa il 20% delle anomali osservate nel tipo 3 fanno parte di casi sindromici (in particolare Treacher Collins e Klippel-Feil).

Nel sottotipo A, la chirurgia è semplice e prevede l’interposizione di una protesi a columella o di incudine autologa o allogenica tra il martello mobile e il capitello della staffa o la platina (in caso di contemporanea malformazione della sovrastruttura).

Nel sottotipo B si procede come nel tipo 2/sottotipo B e C, eseguendo prima una atticotomia. Le manovre chirurgiche devono tener presente che la staffa è mobile. In alcuni casi di epitimpano molto stretto, in cui non è possibile esporre bene testa del martello e corpo dell’incudine, si potrà connettere direttamente manico del martello e capitello dell’incudine.


Tipo 4: Aplasia congenita o displasia severa della finestra ovale o rotonda

a) Aplasia.

b) Displasia.

c) Nervo faciale “crossing”.

Frequentemente in questi casi è associata una malposizione del faciale che passa sopra la finestra ovale assente. I risultati chirurgici riportati in letteratura non sono molto soddisfacenti e sono descritti danni anche permanenti sul facciale (Pow, 1963). Le soluzioni possibili sono:

1) creazione di una neofinestra promontoriale (Plester, 1971, 1989)

2) creazione di una neofinestra sul lato canalare (in caso di facciale aberrante) (Sterkers e Sterkers, 1980; Martini, 2009).

d) Persistenza dell’arteria stapediale.

La persistenza dell’arteria stapediale è un evento abbastanza raro (circa 50 casi in letteratura); in questi casi si riscontra un vaso arterioso che proviene da un canale osseo del promontorio, passa per il forame otturatorio della staffa nascondendo i due terzi anteriori della platina per entrare poi nel canale del facciale (Tos, 2000; Pirodda et al., 1994). La tecnica suggerita è quella di una stapedotomia a livello del terzo posteriore della platina e dell’uso di un pistone di teflon di 0,4 mm (Govaerts et al., 1993). L’eventuale interruzione e chiusura dell’arteria stapediale non ha dato luogo nei casi descritti in letteratura a complicazioni postoperatorie. I risultati riportati sono abbastanza simili a quelli di una stapedoplastica usuale (Govaerts et al., 1993).


Note conclusive

La chirurgia delle malformazioni otologiche, siano esse maggiori o minori, richiede una accurata preparazione diagnostica, che comprende sia l’inquadramento nosologico della eventuale sindrome, sia radiologico; il paziente deve essere informato accuratamente degli eventuali rischi chirurgici (mal posizionamento del faciale, eventuale gusher perinfatico…) e delle difficoltà che possono essere incontrate durante l’intervento e deve essere informato della eventuale alternativa protesica.


bibliografia selezionata

Calzolari F, Garani P, Sensi A, Martini A. Clinical and radiological evaluation in children with microtia. Br J Audiol, 33: 303.312, 1999

Calzolari F, Martini A. Radiological abnormalities of the ear. In V. Newton ed. Paediatric Audiological Medicine, 2nd ed., Wiley-Blackwell, Chichester, pp 90-125, 2009

European Group on Genetics of Hearing Impairment (HEAR), ECEAI European Congenital Ear Anomaly Inventory. In A.Martini, M.Mazzoli, D.Stephens, A.Read eds. Definitions, protocols, and guidelines in genetic hearing impairment. Whurr, London, 44-49, 2001

Martini A, Gibelli PL. Chirurgia delle malformazioni auricolari congenite. In A. Martini ed., Genetica della funzione uditiva normale e patologica. Omega Edizioni, Torino, pp 613-643, 2006

Martini A, Sensi A, Calzolari F. Genetic syndromes involving hearing, Int J Ped Otolaryngol, Suppl 1: 1:S2-S12, 2009

Toriello HV, Reardon W, Gorlin RJ. Hereditary hearing loss and its syndromes., Oxford Universitary Press, Oxford, 2004

Tos M., Congenital Ossicular Fixations and Defects, in M.Tos ed Surgical solutions for conductive hearing loss, Thieme, Stuttgart, pp 212-239, 2000

1.5.7 Chirurgia dell’impianto cocleare (IC)

A differenza delle protesi acustiche convenzionali, che amplificano i suoni favorendo la funzionalità cocleare residua, l’impianto cocleare rappresenta un sofisticato sistema elettronico formulato per vicariare interamente la coclea e stimolare il nervo acustico.

La sperimentazione di questi ausili impiantabili, iniziata negli anni sessanta con elettrodi monocanali, è proseguita nei decenni migliorando sia gli aspetti puramente tecnologici, quali dimensioni e biocompatibilità dei materiali utilizzati, sia le metodologie di analisi acustica in particolare del processing dei segnali verbali, fino ai modelli attualmente disponibili che presentano caratteristiche di grande flessibilità nella fase di adattamento protesico o mappaggio e che consentono nei casi ottimali il raggiungimento di alcune performance percettive paragonabili a quelle delle persone normoudenti (conversazione senza l’ausilio della labiolettura in ambiente tranquillo, conversazione al telefono e, nel bambino, alcune acquisizioni linguistiche spontanee).


Struttura e funzionamento dell’impianto cocleare

Il segnale sonoro, captato da un microfono ricevitore (funzione dell’orecchio esterno), viene dapprima amplificato e parzialmente filtrato (funzione dell’orecchio medio) e di seguito analizzato e codificato in modo appropriato al fine di stimolare il nervo acustico (funzione dell’orecchio interno).


Fig. 1. Principali componenti dell’impianto cocleare.


Schematicamente, l’impianto cocleare (Fig. 1) è costituito da una componete esterna ed una interna.

La parte esterna è composta da un microfono-ricevitore, posizionato a livello retro-auricolare, che trasforma i suoni in segnali elettrici e li invia ad un processore. Questo è rappresentato da un’apparecchiatura sofisticata in grado di filtrare, amplificare, adattare e codificare il segnale in ingresso e di inviarlo all’antenna esterna. Il segnale così elaborato viene trasmesso per induzione elettromagnetica all’antenna della parte interna posizionata mediante intervento chirurgico.

La parte interna, a sua volta, è composta da un ricevitore-stimolatore ed un sistema di elettrodi. Il ricevitore-stimolatore è rappresentato da un modulo in ceramica o titanio contenente un’antenna ricevente ed un microchip. Quest’ultimo permette la decodifica delle informazioni ricevute dal processore esterno e la trasmissione delle stesse agli elettrodi intracocleari atti a stimolare le fibre del nervo cocleare in tempo reale.


Tecnica chirurgica

La chirurgia è finalizzata al raggiungimento di due obbiettivi:

• inserimento nella rampa timpanica degli elettrodi attivi

• alloggiamento e fissaggio del ricevitore-stimolatore nella squama del temporale.


Nel dettaglio i tempi chirurgici necessari per effettuare l’intervento di impianto cocleare sono:

1) Allestimento di un lembo cutaneo

2) Mastoidectomia

3) Timpanotomia posteriore

4) Alloggiamento per il ricevitore-stimolatore

5) Cocleostomia

6) Fissaggio dell’impianto

7) Inserimento degli elettrodi

8) Test di verifica

9) Sutura.


1) Allestimento del lembo cutaneo: serve per poter esporre adeguatamente la mastoide e la squama del temporale dove sarà alloggiato il ricevitore dell’elettrodo; per eseguirlo si può procedere con quattro diverse incisioni (Fig. 2):

A. incisione a L capovolta (a cerniera inferiore): inizia inferiormente lungo il solco retroauricolare, si dirige verso l’alto fino al margine superiore del padiglione dove piega postero-superiormente per circa 5 cm; viene così allestito un lembo cutaneo-muscolare superficiale; per dare maggiore stabilità all’impianto, è consigliabile effettuare un’altra incisione più profonda che scollerà il periostio, in questo modo il margine anteriore del ricevitore-stimolatore rimane più protetto e non è a contatto con l’incisione cutanea;

B. incisione a C rovesciata (a cerniera anteriore): inizia a 1-1,5 cm dall’apice dell’elice, si porta posteriormente ed in basso per circa 6 cm,quindi ritorna verso il padiglione per terminare a 1-1,5 cm dal lobulo. Anche in questo caso è consigliabile un’incisione a due piani cutaneo-muscolare e periosteo;

C. incisione verticale: questa tecnica di più recente introduzione ed oggi più utilizzate, consiste in una incisione verticale dalla punta della mastoide e si dirige superiormente per 5-7 cm mantenendosi a 3-4 mm dal solco retroauricolare; l’incisione più profonda a livello del periostio sarà parallela alla prima.

D. incisione endoaurale allargata (a cerniera inferiore): in questo caso l’incisione parte anteriormente fra il trago e la radice dell’elice, si prolunga in alto e posteriormente mantenendosi a 1 cm dal polo superiore del padiglione, per terminare circa 8 cm oltre il solco retroauricolare.


Tutte queste incisioni garantiscono ai rispettivi lembi un’adeguata vascolarizzazione ed un buon drenaggio venoso per cui la scelta della tecnica di incisione è a discrezione di chi la esegue.

2) Mastoidectomia (Fig. 3): permette l’identificazione del seno laterale, del canale semicircolare laterale, della fossa incudis e della parte discendente del nervo faciale. L’attico posteriore viene aperto con una fresa diamantata e ciò consentirà di evidenziare il processo breve dell’incudine, punto di partenza per la timpanotomia posteriore.


Fig. 2. Vari tipi di incisione chirurgica per l’IC.


Fig. 3. Mastoidectomia e alloggiamento per il ricevitore.


Fig. 4. Timpanotomia posteriore con evidenza di incudine, staffa e regione delle finestre.


3) Timpanotomia posteriore (Fig. 4): consiste nel creare un’apertura ossea nella parte posteriore del condotto uditivo esterno per evidenziare il promontorio e la regione delle finestre. Tale apertura avrà forma triangolare a vertice inferiore, delimitato inferiormente dal canale osseo in cui decorre il nervo faciale, superiormente dall’incudine e anteriormente dalla corda del timpano. La fresatura inizia in prossimità della fossa incudis e si protrae inferiormente seguendo il canale di Falloppio. Si evidenziano così:

– processo lungo dell’incudine

– articolazione incudo-stapediale con tendine dello stapedio

– regione delle finestre.

Nell’eseguire la timpanotomia posteriore particolare attenzione deve essere posta ad evitare lesioni del nervo faciale; nel caso in cui questo venga scoperto si dovrà procedere all’isolamento del nervo stesso dall’elettrodo onde evitare stimolazioni anomale. La fresatura è conclusa quando si otterrà una buona visualizzazione della nicchia della finestra rotonda.

4) Alloggiamento per il ricevitore-stimolatore: è necessario creare un letto osseo nella squama del temporale per poter alloggiare il ricevitore. La zona di fresatura è posta a circa 1 cm sotto la linea temporale ed 1 cm dietro il limite posteriore della masteidectomia. La sede non deve essere troppo alta, dove lo spessore della teca è sottile, ma neppure troppo bassa, ove la posizione ossea mastoidea più curva non consente una buona stabilità del ricevitore. Con l’aiuto di un modello in silicone ed una matita dermografica si delimita l’area da fresare per ottenere la nicchia dalla profondità necessaria, in modo che l’incastro sia ottimale.


Fig. 5. (a) Rapprentazione della coclea rispetto al promontorio; (b) cocleostomia antero-inferiore alla finestra rotonda; (c) la cocleostomia viene eseguita a livello della scala timpanica.


5) Cocleostomia (Figg. 5a,b,c): l’accesso alla rampa timpanica è possibile secondo le due modalità seguenti:

1) tramite la finestra rotonda, fresando il bordo superiore della nicchia per ottenere una buona visualizzazione della membrana secondaria, la cui incisione ci permetterà di accedere alla rampa timpanica. La breccia creata andrà poi opportunamente allargata per permettere il passaggio degli elettrodi;

2) creando una nuova finestra sul promontorio anteriormente al bordo della nicchia della finestra rotonda, in questo modo si fresa il promontorio fino a creare un foro che comunichi con la rampa timpanica; comunemente questo rappresenta l’approccio più utilizzato in quanto permette di ottenere un accesso diretto alla rampa e di saltare eventuali ostacoli legati ad un’obliterazione della nicchia o della crista finestrae.

La cocleostomia può anche essere effettuata per via trans-meatale, dopo aver eseguito incisione timpanomeatale sec. Rosen.

6) Fissaggio del ricevitore-stimolatore: per mantenere il ricevitore ben ancorato nel suo alloggiamento, si può ricorrere a filo di seta non riassorbibile che viene fatto passare attraverso fori creati ai lati della nicchia e legato sopra l’impianto. Altri due fori di ancoraggio ottenuti sulla corticale mastoidea permettono di fissare la parte inattiva dell’elettrodo alla parete superiore della mastoide.

7) Inserzione degli elettrodi (Fig. 6): dominando pienamente l’accesso alla rampa timpanica, si può procedere all’inserimento degli elettrodi, che viene facilitato da un apposito strumento guida. Durante questa manovra è fondamentale procedere con estrema cautela al fine di evitare il danneggiamento degli elettrodi.

8) Test di verifica: dopo l’inserzione degli elettrodi e prima del fissaggio definitivo è possibile effettuare alcuni test a verifica del corretto funzionamento e posizionamento degli elettrodi attivi.

1) Integrity test: valuta il corretto funzionamento dell’impianto registrando l’erogazione della corrente elettrica stimolante da parte di ciascun elettrodo.

2) Valutazione telemetrica dell’impedenza dei singoli elettrodi: è un buon indice del corretto funzionamento e posizionamento degli elettrodi. Il riscontro di una bassa impedenza, inferiore a certi livelli è indicativo per un buon contatto con le pareti della chiocciola. Se vi è diversa impedenza tra gli elettrodi attivi più distali rispetto ai restanti, è possibile che questi siano posizionati in sede extracocleare.


Fig. 6. Inserimento dell’elettrodo nella cocleostomia.


3) Ricerca della soglia del riflesso stapediale: il riscontro della contrazione dello stapedio ipsi-laterale è molto importante in quanto indica un corretto posizionamento e funzionamento dell’impianto e della via uditiva fino al tronco. L’assenza del riflesso stapediale non è necessariamente indice di non funzionalità o malposizione.

4) Telemetria della risposta Neurale: la registrazione del potenziale d’azione del nervo cocleare in risposta ad uno stimolo elettrico generato dal sistema utilizzato per la regolazione dell’impianto fornisce la conferma del corretto posizionamento dell’impianto stesso; inoltre l’identificazione della soglia del potenziale fornisce utili informazioni per la successiva attivazione.

9) Stabilizzazione dell’impianto e sutura: verificato il corretto posizionamento e funzionamento degli elettrodi, si procede alla stabilizzazione dell’impianto. Per evitare l’eventuale fuoriuscita degli elettrodi dalla chiocciola, la cocleostomia viene obliterata con frammenti di muscolo e colla di fibrina, mentre l’elettrodo viene fissato alla cavità di mastoidectomia con polvere d’osso, raccolta durante la fresatura, e colla di fibrina. L’accurata chiusura della cocleostomia è imporante per evitare possibili contaminazioni dell’orechio interno (e quindi in alcune particolari situazioni soprattutto malformative, del liquor) da parte di infezioni dell’orecchio medio, così frequenti in età pediatrica.

L’ancoraggio dell’elettrodo a livello della timpanotomia posteriore è molto importante soprattutto nel bambino in quanto rende molto remota la possibilità di una estrusione degli elettrodi dalla chiocciola con la crescita, grazie al fatto che la distanza tra la timpanotomia posteriore e la nicchia della finestra rotonda rimane invariata per tutta la vita.

A questo punto si procede alla sutura del lembo superficiale muscolo-cutaneo.

Il giorno successivo (o intraoperatoriamente) dopo si effettuerà una radiografia di controllo (Fig. 7) per verificare il posizionamento degli elettrodi ed il livello di inserzione.

La durata del ricovero necessario per l’intervento chirurgico è mediamente di 2-3 giorni. Nel mese successivo alla dimissione vengono effettuati ripetuti controlli della situazione locale della ferita chirurgica fino alla completa risoluzione cicatriziale.

A circa 20 giorni dall’intervento, l’IC viene attivato gradualmente su tutti i canali. Solitamente il mappaggio dell’impianto è completato dopo 15-30 giorni dalla prima attivazione.

Complicanze della chirurgia dell’impianto cocleare

Le complicanze chirurgiche rappresentano una percentuale di casi abbastanza ridotta, si possono suddividere in maggiori (2-5%) e minori (5-7%); una ulteriore suddivisione è in per-operatorie e postoperatorie. Tra le prime vanno ricordate la paralisi del nervo faciale e il malposizionamento dell’elettrodo (complicanze maggiori) ed il riscontro di un gusher o pseudo-gusher.

Tra le complicanze postoperatorie: la paralisi del nervo faciale, la necrosi del lembo e la estrusione/migrazione del ricevitore e la dislocazione dell’array (maggiori), le infezioni (in particolare la meningite) e fistole liquorali.

Acufeni e disequilibrio, solitamente transitori, sono riferiti in un numero limitato di casi. La sofferenza del lembo chirurgico può comportare la necessità di una revisione chirurgica con l’utilizzo di lembi di scorrimento o di rotazione, ma anche in qualche caso può richiedere la rimozione dell’IC.

La estrusione/dislocazione del ricevitore/array può essere correlata alla sofferenza del lembo cutaneo; in caso di dislocazione/migrazione del ricevitore è necessario procedere (a seconda dei casi) alla revisione del lembo, revisione dell’ancoraggio ed in alcuni casi alla rimozione dell’impianto. La migrazione dell’array può essere dovuta alla insufficiente stabilizzazione dell’array, a fenomeni di retrazione cicatriziale ed in taluni casi allo sviluppo somatico. Particolarmente importante è quindi procedere alla stabilizzazione/ancoraggio dell’intero sistema.

Vi sono poi le complicanze cliniche, a breve o a lungo termine ed i problemi tecnici (fitting).

La stimolazione del faciale è una complicanza minore che si presenta con una frequenza attorno al 3,5 %, è più frequente nell’otosclerosi e nell’otosifilide (Bigelow et al., 1998), nelle malformazioni cocleari; non è dovuta ad un danno al VII n.c., ma si evidenzia con l’attivazione dell’impianto per un “electric flow” attorno all’elettrodo.

Il malfunzionamento o la rottura dell’IC, più frequente in passato, può interessare sia il ricevitore, sia l’array; tra le cause: difetto di fabbricazione, dislocazione del ricevitore o dell’array, traumi od usura. Un problema particolare può essere creato dallo spessore del lembo.

Una complicanza maggiore di cui si è molto discusso recentemente è la meningite, in quanto sono stati riportati alcuni casi anche ad esito mortale. La meningite nel soggetto portatore di IC, di origine prevalentemente batterica (pneumococco, haemophilus) può trovare una spiegazione causale considerando la cocleostomia come possibile porta di entrata per esempio dopo un’otite acuta, in soggetti con fratture del temporale o malformazioni maggiori dell’orecchio interno; può verificarsi dopo pochi giorni dall’intervento, come dopo anni. Una recente revisione da parte della FDA della storia clinica di circa 4300 bambini di età inferiore ai 6 anni ha evidenziato 26 casi di meningite. Il Ministero della Salute, in accordo con le direttive FDA, consiglia quindi la vaccinazione anti-Streptococco Pneumoniae e anti-Hemofilus Influenzae per i soggetti portatori di IC ed in particolare in pazienti in età pediartica (nota prot. n° 0003816-P del 6-8-2002 dell’Ufficio IX – Dispositivi Medici).

Tra i problemi che si possono osservare durante un intervento di IC, uno dei principali è il riscontro di una ossificazione cocleare. Le cause eziologiche più frequenti sono: labirintite virale o batterica (in genere per meningite), otosclerosi avanzata, esiti di frattura dell’ osso temporale, malattie autoimmuni dell’orecchio interno, occlusione dell’arteria labirintica, leucemia. Si definisce ossificazione minore quando è < 8mm, maggiore quando è >8mm. L’ossificazione della coclea può richiedere un intervento chirurgico modificato rispetto a quello classico e l’utilizzo di impianti alternativi; in commercio sono presenti: array compresso (stesso numero di elettrodi in array di lunghezza ridotta) e il cosiddetto “split electrode” (stesso numero di elettrodi su due/tre arrays distinti). Numerosi sono i dati riportati in letteratura al riguardo e si può affermare che qualsiasi grado di ossificazione e displasia della coclea (esclusa l’aplasia completa) consente l’impianto della coclea stessa e la conseguente risposta uditiva.

1.5.8 Chirurgia del neurinoma dell’acustico

Come abbiamo precedentemente riportato (cap.1.4.3.2.1.5) l’orientamento attuale nel caso di diagnosi di neurinoma dell’acustico è di tipo conservativo.

Vi sono tre possibilità di terapia: trattamento chirurgico, con o senza intento di preservazione dell’udito, osservazione, radioterapia.

La scelta della terapia più adeguata si basa su:

Dimensioni del tumore. Tumori piccoli, intracanalari, possono essere osservati ovvero sottoposti a “wait and scan” e trattati in modo attivo (chirurgico o radioterapico) se vi è una crescita effettiva. La osservazione tollera una crescita fino a 1,5 cm nell’angolo ponto cerebellare, mentre dimensioni superiori impongono un trattamento.

Udito. La presenza di un udito buono o “efficace” condiziona la scelta terapeutica. La osservazione implica una graduale, progressiva ed inesorabile perdita di udito, anche in assenza di crescita. Analoghe considerazioni valgono per la radioterapia. Il trattamento chirurgico tempestivo, in presenza di neurinoma piccolo e con buon udito al momento della diagnosi, può preservare la funzione uditiva ai livelli preoperatori in una percentuale di casi che, a seconda delle esperienze, varia tra il 45-70%. Se non si sceglie la opzione chirurgica conservativa (che avviene attraverso un approccio retro-sigmoideo o per fossa cranica media), il piccolo neurinoma con buon udito può essere osservato fino ai limiti dimensionali esposti in precedenza, sapendo che l’udito subirà con il tempo un progressivo deterioramento.

Età del paziente. È dimostrato che lo schwannoma vestibolare è un tumore a bassa crescita. Nel paziente anziano (consideriamo per convenzione al di sopra dei 60 anni) la diagnosi di tumore piccolo che non cresce può ragionevolmente essere trattato con la osservazione. Tumori in crescita, o di dimensioni alla diagnosi comprese tra 2-2.5 cm necessitano di trattamento attivo e possono essere irradiati, considerando che la morbidità di una procedura chirurgica in un paziente anziano è teoricamente superiore rispetto al giovane. Il successo della irradiazione è sancito dall’arresto di crescita del neurinoma, evento che deve misurararsi anche con la aspettativa di vita del paziente e con la probabilità che il tumore, dopo un determinato numero di anni, possa riprendere a crescere.


Riassumendo, se per tumori di grosse dimensioni non vi è alternativa alla chirurgia, la sorveglianza radiologica diventa quindi un elemento essenziale nell’iter terapeutico nei tumori intracanalari e con espansione fino a 1,5 cm nell’angolo ponto-cerebellare (apc). Secondo alcuni autori l’alternativa alla osservazione in questa categoria di tumori, intracanalari o con 1 cm al massimo in angolo ponto cerebellare con soglia uditiva nel range di norma, buona discriminazione vocale e ABR nella norma, è la rimozione precoce del tumore che presenta una maggior probabilità di conservazione dell’udito rispetto alla osservazione e alla radioterapia.

Le tre scelte terapeutiche descritte si basano su alcune considerazioni: la osservazione, sul dato che la crescita tumorale è lenta e non costante; la radioterapia, sulla possibilità di arrestare la crescita del tumore nella speranza che questi non riprenda a crescere; la asportazione microchirurgica è diventata un approccio terapeutico standard in pazienti con una medio-lunga aspettativa di vita. Lo scopo primario della chirurgia del neurinoma dell’acustico è l’exeresi radicale del tumore conservando, ove possibile, l’integrità anatomica e funzionale dei nervi cranici, con una minima morbidità. Da non trascurare,l’intervento su un tumore irradiato che riprende a crescere comporta una maggiore morbidità perioperatoria, ed un rischio certo di danno al VII e all’VIII.

La rimozione radicale del tumore comporta una adeguata e sicura esposizione della lesione, con un approccio chirurgico che dipende sia dalla grandezza della neoplasia, sia dall’esperienza e dalla formazione del chirurgo (scuola otoneurochirurgica vs neurochirurgca), sia dalla presenza dell’udito alla diagnosi.

Le indicazioni dei maggiori autori per la microchirurgia come prima scelta sono:

• tutti i tumori > 2-2,5 cm di diametro maggiore in apc (oltre tali dimensioni non è più consigliabile la radioterapia);

• tutti i tumori in crescita oltre le dimensioni di 1,5 cm in apc, o tumori che alla diagnosi presentano un diametro massimo in apc di 1,5, se il paziente è giovane;

• segni di coinvolgimento del tronco encefalico, significativo effetto massa, ipertensione endrocranica o sintomatologia rapidamente progressiva;

• possibile chirurgia di preservazione dell’udito in neurinoma piccolo con buon udito, in alternativa alla osservazione.


Le vie d’accesso più diffuse a disposizione del chirurgo sono (v. Fig. 1):

• la via translabirintica (TLA)

• la via suboccipitale e retro sigmoidea (RS)

• la via della fossa cranica media (FCM).


In alcuni casi particolari, queste vie possono essere modificate o associate allo scopo di garantire l’accesso più largo e meno rischioso per il paziente. Vari fattori possono condizionare la scelta di un approccio chirurgico; fra questi le dimensioni, il rapporto del tumore con il c.u.i., l’età e le condizioni generali del paziente e la funzione uditiva sia dal lato da operare sia controlaterale.

Via translabirintica. È l’intervento elettivo in tutti quei pazienti che hanno già perso l’udito indipendentemente dalle dimensioni e che presentano una discriminazione vocale molto scarsa. Consente l’exeresi di tumori di qualsiasi dimensione, in caso di grossi volumi tumorali l’approccio translabirintico può essere esteso con una fresatura ancora piu ampia ed essere definito Via Translabirintica-transapicale. Viene effettuata una scheletrizzazione del rivestimento durale della rocca, del seno sigmoideo e del nervo faciale nel suo tratto mastoideo. È un approccio che si esegue attraverso la rocca petrosa (trans temporale) senza la necessità di una compressione o dislocazione delle strutture nervose (cervelletto o lobo temporale). Questa via permette una identificazione precoce del nervo faciale al fondo del condotto uditivo interno, preziosa particolarmente nei casi di tumori grandi. La via d’accesso comincia con una incisione retroauricolare. Si procede, dopo una mastoidectomia totale, a scheletrizzare la dura della fossa cranica media e della fossa posteriore pre- e retro-sinusale. La rimozione del blocco labirintico posteriore porta il chirurgo direttamente sul condotto uditivo interno (c.u.i.) con tutto il suo contenuto. Il tumore viene così raggiunto per via totalmente extradurale. L’apertura della dura e l’identificazione dei poli tumorali, permette la riduzione intracapsulare del tumore (svuotamento o debulking del tumore), poi si procede alla sua dissezione dalle strutture vascolari e neurologiche dell’angolo ponto-cerebellare. Il nervo faciale, spesso compresso e spinto in avanti dal tumore, viene identificato prima a livello della sua radice al tronco cerebrale, viene seguito e dissecato fino ad una completa liberazione, e per ultima va eseguita la dissezione del nervo al fondo del c.u.i. Tale tecnica di dissezione del tumore dal nervo faciale è definita “centripeta”, dal centro (tronco) alla perferia (fondo del c.u.i.). Una volta rimossa completamente la capsula tumorale, e sezionato il nervo VIII, si esegue una emostasi accurata per evitare qualsiasi emorragia post-operatoria, ponendo attenzione a non coagulare la arteria cerebellare antero-inferiore (AICA) e postero-cerebellare inferiore (PICA). La cavità chirurgica viene colmata con strisce di grasso prelevato dall’addome. L’attico, dopo la rimozione dell’incudine, viene obliterato per evitare la liquorrea (perdita di liquidi cerebrali attraverso la comunicazione dell’orecchio medio con il naso, rinoliquorrea, o attraverso la ferita operatoria).

Il principale svantaggio di questa tecnica è rappresentato dal sacrificio completo dell’udito (anacusia postoperatoria), pertanto essa non è raccomandata se l’udito è conservato ed il tumore è di piccola dimensione.

Via della fossa media. Questo approccio trova indicazione nei pazienti con tumori localizzati dentro il c.u.i., occupandone tutta la sua lunghezza o sporgendo al massimo di 0.5 cm. nell’angolo ponto-cerebellare. È indicata per quei pazienti con udito normale, buona discriminazione vocale e potenziali evocati normali o con lievissime alterazioni. Consiste in una incisione pre-auricolare con estensione in sede temporale, la creazione di un opercolo osseo (craniotomia) e la retrazione del lobo temporale protetto dalla dura. La retrazione durale dalla faccia posteriore della rocca espone dei reperi ossei in cui si distinguono il labirinto posteriore, la coclea, il condotto uditivo interno.

Il condotto uditivo interno viene esposto nella sua faccia superiore, ed il nervo facciale, insieme al vestibolare superiore, rappresenta il primo piano di struture nervose che si incontrano alla apertura del fondo del c.u.i., la procedura rischia pertando di essere rischiosa per il nervo faciale. Viene utilizzata principalmente per tumori intracanalari, con buon udito, nella scelta di terapia chirurgica conservativa di preservazione dell’udito. Durante l’intervento il nervo acustico viene monitorizzato con un particolare sistema di registrazione dei potenziali evocati uditivi in continua. Il chirurgo può così sospendere le manipolazioni sul nervo acustico se compaiono segni di sofferenza e riprenderle non appena il tracciato si stabilizzi. Nonostante queste precauzioni la possibilità di conservazione dell’udito uguale a quello pre-operatorio non supera il 40-50 % di probabilità. Il punto debole di questa via rimane il maggior rischio di una paresi o paralisi faciale rispetto alle altre due vie d’approccio e la limitazione legata al’età del paziente, infatti non può essere utilizzata sopra i 65 anni per il maggior rischio di lesioni del lobo temporale, che subisce una retrazione.

Via suboccipitale e retrosigmoidea. Condividono l’idea di accedere direttamente al tumore nell’angolo ponto cerebellare dopo retrazione del cervelletto; la via suboccipitale offre un accesso all’angolo ponto cerebellare più ampio e posteriore, rispetto alla via retro sigmoidea. Il vantaggio offerto da tali vie d’accesso è di condurre rapidamente al tumore, senza fresatura intermedia della rocca, mentre il principale svantaggio è rappresentato da una morbidità sul cervelletto che può arrivare all’edema in corso d’intervento e dalla cefalea postoperatoria. La via retro sigmoidea trova indicazione nei tumori anche di discrete dimensioni che, come si era soliti sostenere, invadono solo la parte mediale del condotto uditivo interno, o in piccoli tumori (max 1,5 cm in apc) con buon udito e buona discriminazione vocale. Il tumore non deve superare 1-1.5 cm. nell’angolo ponto-cerebellare, dimensione considerata critica per le probabilità di conservazione di un buon udito. Attualmente, la procedura chirurgica di associare alla via retro sigmoidea una meatotomia retro labirintica (fresatura del c.u.i. extralabirintica) consente una adeguata esposizione anche del fondo del c.u.i., permettendo a tale via di essere utilizzata anche in tumori intracanalari che arrivano al fondo del c.u.i. per la procedura di conservazione dell’udito.

L’intervento si esegue praticando una incisione retroauricolare, seguita da una craniotomia retrosigmoidea. L’apertura della dura e la fuoriuscita del liquor cerebrospinale permette al cervelletto, interposto fra chirurgo e tumore, di retrarsi e facilita le fasi successive dell’operazione.

Una volta rimossa la porzione del tumore che si estende al di fuori del condotto uditivo interno nell’angolo ponto-cerebellare, si procede alla fresatura del bordo posteriore del meato acustico interno per ottenere il controllo della porzione intracanalare del tumore. La fresatura del labbro posteriore del c.u.i. sarà solo parziale, altrimenti si rischierebbe l’apertura del labirinto e di conseguenza la sordità. Con la via retrosigmoidea e la meatotomia retro labirintica è possibile conservare l’udito in una percentuale ormai sovrapponibile alla procedura per via fossa cranica media, con minori rischi sul nervo faciale ma una possibile morbidità perioperatoria sul cervelletto. La conservazione del nervo faciale presenta gli stessi rischi dell’accesso trans labirintico, mentre si ha qualche rischio in più di liquorrea postoperatoria. L’altro inconveniente di questo approccio era ritenuto la exeresi incompleta del tumore (nel 10% dei casi), con possibile crescita nel tempo e necessità di un secondo intervento. Oggi, la meatotomia retro labirintica che consente una buona esposizione del fondo del c.u.i., o la integrazione con l’endoscopio, ha equiparato agli altri accessi il rischio di residuo. Da non sottovalutare inoltre, è la cefalea post-operatoria documentata nei vari centri che eseguono questo tipo di approccio. Per tumori più grandi si può utilizzare la via sottooccipitale. La via retro sigmoidea, o sub occipitale quando eseguita con incisione ed accesso ancora più posteriore per tumori di maggiori dimensioni, ha in sé un potenziale di rischio di complicanze peri-postoperatorie cerebellari e va eseguita in centri oto-neurochirurgici ove vi sia un monitoraggio intensivo postoperatorio.


Via Trans Labirintica

Indicazioni: tumori di ogni dimensione; soglia uditiva non buona

Vantaggi

Svantaggi

Miglior visione laterale del tronco

Perdita dell’udito completa ed inevitabile

No retrazione cerebellare, accesso completamente

extra durale al tumore

Difficoltà maggiori di esposizione APC e regione dei nervi misti se accesso stretto (seno procidente, bulbo alto)

CUI completamente esposto
<rischi per il facciale
 Difficoltà maggiori di esposizione APC e regione dei nervi misti se accesso stretto (seno procidente, bulbo alto)

Possibilità di aprire

il tentorio

Necessità di graft omologo (obliterazione con grasso)

o sintetico

Buon controllo del ponte

Seno Sigmoideo vulnerabile

Confort chirurgico, via di relativa facilità di esecuzione

Terza porzione del VII da esporre correttamente nell’approccio

Pz in posizione neutra

Temo di fresatura ossea maggiore che altri accessi

Via Suboccipitale

Indicazioni: tumori di ogni dimensione, preferibilmente minori di 4 cm, tumori piccoli con buon udito

Vantaggi

Svantaggi

Miglior visione della fossa posteriore

Necessità di retrazione cerebellare (maggiori complicanze post-op)

Minor tempo di fresatura ossea della rocca che

nella TLAB

Mal di testa post-operatorio protratto

Miglior controllo del poro acustico

Scarso controllo del CUI (alta % di recidive o asportazioni incomplete, anche se oggi il dato è in netto miglioramento)

Miglior controllo dei nervi mistii

Difficile confezionare eventuali anastomosi al tronco

sul facciale in caso di suo sacrificio accidentale

Udito preservabile e non

da sacrificare di necessità

 

Via della Fossa Cranica Media FCM

Indicazioni: tumori piccoli, o con ev. estensione sovratentoriale

Vantaggi

Svantaggi

Procedura che espone completamente il CUI

con buona probabilità

di preservare l’udito

nelle condizioni favorevoli

Il VII nc è molto vulnerabile durante l’asportazione

per la sua dislocazione superiormente

La dura madre è frequente a rottura

Esposizione limitata alla FP ma può essere allargata

Tecnicamente difficile

Trisma post-op per manipolazione dei m temporali

Necessita retrazione del lobo temporale con rischio

di sindrome temporale

Possibili danni al nervo grande petroso superficiale

Tab. I. indicazioni, vantaggi e svantaggi dei diversi approcci per la chirurgia del neurinoma dell’acustico (schwannoma vestibolare).


Fig. 1. Approcci chirurgici per il neurinoma dell’acustico (cortesia A. Mazzoni e E. Zanoletti).


Altri approcci descritti sono la via trans cocleare, che è una modifica della via transotica descritta da Fisch, che consente di esporre l’angolo ponto-cerebellare in caso di grossi tumori con estensione anteriore importante, o dentro la coclea. Si tratta di una via trans labirintica che associa il sacrificio del CUE e la sua chiusura a cul di sac.

La via trans labirintica-transapicale (come già citato) è una estensione della via trans labirintica convenzionale, la cui esposizione del c.u.i. avviene a 360° con fresatura della parete anteriore dello stesso.


Complicanze chirurgiche. La chirurgia dello schwannoma vestibolare non è scevra di complicanze anche maggiori, anche se i progressi degli ultimi 2 decenni le hanno rese a percentuali minime (mortalità < 1 %). Complicanze cerebrali-cerebellari maggiori sono in relazione alla grandezza del tumore, alle condizioni generali del paziente, alla via di accesso utilizzata e alla esperienza del chirurgo. Complicanze minori riguardano la paralisi permanente del facciale (variabile in base alle dimensioni, alla via di accesso, ed alla eventuale pregressa irradiazione del tumore. Oggi l’intervento di exeresi del neurinoma, qualunque sia l’accesso, si esegue in genere con un monitoraggio perioperatorio del nervo faciale.), la sordità (inevitabile nella via trans labirintica, prevedibile nella retro sigmoidea in tumori di grosse dimensioni), vertigine prolungata, liquorrea (5-10% a seconda della via di accesso, cui si associa un rischio aumentato di meningite). 

Audiologia e Foniatria
Audiologia e Foniatria
Martini A. - Prosser S. - Aimoni C. - Bovo R. - Ciorba A. - Trevisi P.
VERSIONE EBOOKQuesto manuale è principalmente indirizzato agli studenti che frequentano corsi in cui si richiede una conoscenza dei disordini del sistema uditivo-vestibolare e del sistema fonatorio. Lo scopo per cui è stato scritto era di disporre di un testo agile da suggerire agli studenti come complemento ai trattati di ORL comunemente in uso. Gli argomenti sono suddivisi in tre parti (AUDIOLOGIA, VESTIBOLOGIA e FONIATRIA). La prima riguarda il sistema uditivo e comprende l’anatomo-fisiologia, i principali mezzi di indagine diagnostica, la clinica (comprese le malattie dell’orecchio esterno e medio), nozioni di base di otochirurgia e i sussidi protesici (protesi uditive, protesi impiantabili, impianti cocleari). La seconda è dedicata ai disordini vestibolari periferici e centrali: la parte clinica è preceduta da una descrizione dell’anatomo-fisiologia e dei mezzi diagnostici del sistema vestibolare. La terza parte riguarda i disordini della voce e del linguaggio, in particolare quelli dell’età evolutiva. Nella trattazione dei vari argomenti si è cercato di mantenere uno schematismo per facilitare un apprendimento abbastanza veloce dei temi essenziali. Molti temi sono stati ampliati da “approfondimenti” che abbiamo ritenuti opportuni per meglio spiegare la patologia e la clinica. Questi sono stati evidenziati a stampa diversa, e potranno essere utilizzati secondo i programmi individuali di studio o, augurevolmente, solo per curiosità. L’Audiologia-Foniatria, benché presente nell’ordinamento delle facoltà mediche come specialità autonoma, non ha trovato almeno in Italia un’ampia diffusione nel servizio sanitario nazionale. Questo manuale si propone quindi come mezzo di aggiornamento anche per il medico generico e lo specialista ORL, che diventano molto spesso i primi a fronteggiare patologie di tipo audio-vestibolare e foniatrico anche di elevata occorrenza, che tuttavia possono richiedere una base aggiornata di conoscenze specifiche per essere adeguatamente inquadrate. Questo volume è stato scritto “a più mani”, ma tutti i capitoli sono stati oggetto di discussione “assieme” e rappresenta 20 anni di esperienza maturata tra un gruppo di colleghi-amici nell’Audiologia di Ferrara.